I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Lavoro

1. Necessità del lavoro.

2. Utilità del lavoro.

1. NECESSITÀ DEL LAVORO. – Dalla sacra
Scrittura apertamente si rileva che la necessità del lavoro e
la sua gravezza fu conseguenza del peccato. Quelle parole del Signore
ad Adamo: «Per causa tua la terra è maledetta; d’ora
in poi non ti darà che triboli e spine e se tu vorrai trarne
il tuo sostentamento l’avrai da irrigare col sudore della tua fronte»
(Gen. III, 17-19), suonano non solamente una maledizione e
una condanna, ma un obbligo strettissimo al lavoro, imposto a tutti
gli uomini come opera di penitenza e di espiazione.
È vero che
anche prima della sua caduta Adamo doveva lavorare, perché
leggiamo che Dio collocò l’uomo in un giardino di delizie,
assegnandogli per compito la custodia e la coltivazione del medesimo
(Gen. II, 15). Ma
questo, anziché un lavoro grave e penoso, era un’occupazione
dilettevole e gradita; l’uomo lavorava non per guadagnarsi il vitto
col sudore della fronte, ma per esercitare la sua intelligenza e le
sue forze; egli non si affaticava, dice il Crisostomo, ma nello
stesso tempo non stava in ozio (Homil. in
Gen
.).
Qui possiamo osservare: 1° l’antichità
del lavoro e dell’agricoltura… 2° la sua dignità,
sia perché stabilita e ordinata da Dio, sia perché
tutti i patriarchi, cioè i primi personaggi del mondo antico,
attesero a coltivare la terra… 3° il carattere tutto speciale
dell’agricoltura che fu ordinata all’uomo nello stato d’innocenza a
preferenza di ogni altro lavoro e impostagli dopo la caduta, in
espiazione dei suoi peccati… Perciò non fa meraviglia se
Abele e gli altri figli e nipoti di Adamo, come anche di poi Abramo,
Isacco, Giacobbe, Giuseppe e i suoi fratelli, Mosè, Giobbe,
Davide attesero alla pastorizia ed all’agricoltura. Romolo e i primi
Romani, furono pastori ed agricoltori. I re, scrive Plinio,
lavoravano i campi e la terra si rallegrava di essere solcata dal
vomero di quei coltivatori cinti d’alloro e splendidi per trionfi.
Essi governavano le cose della campagna tanto diligentemente quanto
quelle della guerra; preparavano il terreno a ricevere le semenze con
quella cura con cui affilavano e armi per trionfare dei nemici.
S. Paolo esortava
Timoteo a lavorare, come buon soldato di Cristo (II,
II, 13); S. Gerolamo scriveva a Rustico: « Impiegati
continuamente in qualche lavoro, affinché il diavolo ti trovi
sempre occupato; poiché l’ozioso è molestato dai
cattivi desideri (Epist. ad Rustic.)».
«Non amare il
sonno, dice il Savio, se non vuoi cadere nell’indigenza; apri gli
occhi e ti procurerai cibo in abbondanza» (Prov.
XX, 13). «Non rifiutarti ai lavori faticosi né
all’agricoltura perché essa fu creata dall’altissimo»
(Eccli. VII, 16). Per
cinque ragioni lo Spirito Santo ci raccomanda il lavoro: 1°
perché allontana l’ozio, sorgente e origine di tutti i vizi.
2° Perché il lavoro è occupazione così
naturale e necessaria all’uomo, come il volare all’uccello (IOB. V,
7). 3° Perché il lavoro mantiene la sanità,
fortifica l’anima e il corpo. 4° Perché in mezzo alle
spine del lavoro germogliano le rose della virtù, come
l’innocenza, la pazienza, ecc. 5° Perché Dio l’ha
stabilito e ne ha fatto un dovere.
 
2. UTILITÀ DEL
LAVORO. – Udiamo, a questo riguardo, l’opinione e l’insegnamento
degli antichi sapienti pagani. «Di tutto ciò che l’uomo
ricerca, non vi è cosa né più dilettevole, né
più dolce, né più degna dell’uomo libero, che
l’agricoltura», scrive Cicerone (Lib. I
de Offic
.). «La ragione è quella
recata già da Massimo di Tiro, che il coltivatore della terra
si esercita per mezzo di un continuo lavoro; gode l’aria più
pura e, più di ogni altro, gusta le bellezze e le dolcezze
della natura; la sua mano è agile, il piede saldo e la
complessione è robusta: egli è già un soldato
esercitato a difendere la patria» (Orat.
XXIV).
Tra le cose necessarie a procurare la sapienza,
Aristotile annoverava il lavoro (PLUTARC.); Platone era di avviso che
se non si può esercitare il corpo senza lo spirito, nemmeno si
può raffinare lo spirito senza gli esercizi del corpo; che
l’uno e l’altro devono lavorare d’accordo (LAERT. lib. III). Catone
poi rassomigliava l’uomo al ferro il quale è lucido se viene
adoperato, altrimenti irrugginisce. Perciò leggiamo che Ercole
per avvezzarsi al lavoro, si esercitava ogni giorno a schiantare
siepi di rovi che ingombravano il paese da lui abitato (PAUSAN. lib.
VI). Licurgo esercitava alle corse, alle finte battaglie, al tirare
con l’arco, anche le donne, affinché si avvezzassero a
sopportare i pesi, a soffrire i dolori ed anche a combattere per la
patria, quando occorresse (PLUTARC.).
«Come ogni arte
si mantiene e si perfeziona per mezzo delle cure che vi si spendono
attorno, così ogni grazia aumenta col lavoro e deperisce
nell’ozio», predicava il Crisostomo (Homil.
III, in Matth.
). E S. Ambrogio scrive: «Ogni
cosa va crescendo in bene per mezzo del lavoro. Chi si procurerà
mai nulla senza esercizio? Non si esercita forse il soldato, per
diventare baluardo della patria? Non si addestra l’atleta per
guadagnare il premio?» (Lib. I, de
Offic
.).
Leggete, pregate,
lavorate e il tempo vi parrà sempre troppo breve… e voi
sarete felici… «Figliuol mio, dice il Savio, sii spedito nei
tuoi affari e terrai lontane da te molte malattie» (Eccli.
XXXI, 27). L’attività nel lavoro vivifica e invigorisce
l’anima non meno che il corpo… Col lavoro il sangue circola,
si purifica, si rinnova; gli umori biliosi e nocivi si dissipano, la
digestione si compie con più facilità, Il sonno è
calmo e ristora le forze, ecc. Dio benedice gli uomini laboriosi;
essi guadagnano l’affetto dei loro simili; godono in sé la
tranquillità e la pace; ottengono vittoria sui loro nemici
sono stimati, accarezzati e soccorsi nei loro bisogni o per dir
meglio, il lavoro non lascia che patiscano penuria e tiene lontano da
loro il bisogno.
Riguardo all’anima poi, il lavoro
è efficacissimo mezzo a dissipare le tentazioni, a scacciare i
cattivi pensieri, a tenere lontano il demonio, a domare la
concupiscenza… Noi, noi medesimi siamo il campo del Signore e
perciò dobbiamo coltivarci… Il campo che dobbiamo lavorare è
l’anima nostra; gli alberi fruttiferi sono la sobrietà, la
castità e le altre simili virtù; il coltivatore è
l’uomo; la pioggia è la grazia di Dio; i venti sono le
tentazioni; il calore del sole è l’influsso dello
Spirito Santo, la messe è la ricompensa della vita eterna…
L’agricoltura è
dunque nel senso mistico la coltivazione dell’anima nostra e di
quella dei nostri fratelli. La campagna che Dio ci ordina in primo
luogo di coltivare è l’anima, lo spirito, il cuore, secondo
quelle parole di San Paolo ai Corinti: «Voi sete l’agricoltura
di Dio» (1 Cor
III, 9). Bisogna avere la massima diligenza per coltivare bene questo
campo; non avere paura né di pene, né di sudori, né
di veglie, sostenendoci la speranza di una messe abbondante, di una
messe che più non ci verrà meno in eterno, secondo le
parole del Salmista: «Andando spargevano tra il pianto la loro
semenza, ma nel ritorno verranno lieti e giubilanti portando pesanti
covoni» (Psalm.
CXXV, 7-8). Bisogna innanzi tutto lavorare per l’anima, per la
salute, per il cielo…, poi lavorare per il corpo, ma avendo
l’occhio all’anima. Tutti i lavori del corpo e dello spirito
dovrebbero essere fatti per l’eternità.