B. CHIARA BOSATTA (1858 -1887)

E’ “un fiore di cielo” che, per circa 7 anni, coltivò con cura il B. Luigi  Guanella (1842-1915), fondatore delle Figlio di S. Maria della Provvidenza, e dei Servi della Carità per l’esercizio delle opere di misericordia.


Il vescovo di Como, Mons. Pietro Carsana, lo aveva mandato a Pianello Lario in qualità di Vicario Economo della parrocchia vacante per la morte di Don Carlo Coppini (1827-1881). Costui aveva fondato la Pia Unione delle Figlie di Maria Immacolata, e da essa aveva scelto alcune giovani desiderose di consacrarsi a Dio, chiamate Orsoline, per la fondazione e la direzione dell’Ospizio del S. Cuore nella frazione di Camlago sotto la guida di Marcellina Bosatta (1847-1934), sorella maggiore della Beata.

Mandandolo a Pianello Lario il vescovo aveva lasciato capire a Don Guanella che avrebbe potuto occuparsi del nascente Istituto delle Orsoline benché, la curia, avesse già incaricato della sua assistenza Don Giov. Batt. Rizzola, prevosto di Musso.


Don Guanella, che godeva fama di sacerdote irrequieto e di fondatore fallito, nell’umile Ospizio presagì  ” l’embrione – diceva- di quella fondazione che da anni coltivava in cuore”. Nel 1885 il vescovo gliene affidò il governo, ed egli si adoperò subito per svilupparlo, perfezionare la formazione delle Orsoline e avviarle a costituire la congregazione religiosa delle Figlio di S. Maria della Provvidenza di cui, tanto Marcellina, quanto la sorella minore avrebbero costituito le pietre fondamentali.


I coniugi Alessandro Bosatta e Rosa Mazzucchi erano due buoni cristiani di Pianello Lario. Il padre faceva l’agrimensore, possedeva un po’ di terra e una modesta filanda con l’incannatoio per la lavorazione della seta. Dalla moglie, donna molto amante della preghiera, ebbe sei figli maschi e cinque femmine. L’ultima nacque il 27-3-1858 e al fonte battesimale le fu imposto, il giorno dopo, il nome di Dina.


La beata ricevette la prima solida formazione in casa, dalla sorella Marcellina. Fu ammessa alla cresima il 14-9-1868 nella chiesa di Santo Stefano a Bongo, e l’anno seguente alla prima comunione, in anticipo sull’età consueta, in premio della sua devozione eucaristica. Crebbe pia e ingenua tanto da essere chiamata “l’angioletto”, ma anche fragile di fisico e timida di temperamento tanto da essere chiamata “la piangina” o  “la piccola Addolorata” per la facilità con cui versava lacrime.


Alla morte del padre, Dina, per volere della sorella, anziché rimanere in casa senza scuola e incannare tutto il giorno soltanto seta, tredicenne, si trasferì a Gravedona, sette chilometri a nord di Pianelle, nel collegio che le Madri Canossiane avevano aperto per le ragazze di agiate condizioni, in qualità di inserviente. Come retribuzione del servizio prestato le sarebbe stato concesso di frequentare la scuola per alcune ore del giorno. Fu impiegata in cucina e in sagrestia. Con il suo comportamento umile, obbediente e caritatevole la Beata edificò ben presto sia la superiora che le alunne. A Gravedona ricevette un’ottima formazione dalla comunità delle suore, tanto da prendere l’abitudine di “fare tutto per Gesù”, e dagli zelanti arcipreti della parrocchia, tutti eccellenti direttori spirituali i quali ritennero Dina “una eletta del Signore a diventare sua santa” Le concessero, quindi, la facoltà di fare la comunione prima due volte la settimana, in seguito ogni giorno. Centro del suo amore divennero così la Messa e il SS. Sacramento. Da parte loro, Don Coppini e la sorella Marcellina, da oltre cinque anni direttrice del povero e piccolo Ospizio di Camlago, avrebbero desiderato che la beata optasse per la loro opera bisognosa di aiuto. Dina, invece, che si sentiva inclinata di più alla vita contemplativa che a quella attiva, anziché accogliere la loro richiesta, un giorno rispose seccamente a chi, a nome loro, gliene faceva con insistenza richiesta: “Piuttosto che entrare tra le Orsoline, preferirei raggiungere i miei fratelli in America”. Non sopportava l’inevitabile disordine che regnava nell’Ospizio, molto più simile alla piccola arca di Noè che a un vero convento.


Dopo sei anni trascorsi nel collegio di Gravedona, la beata, con il consenso della madre, presentò, alla superiora delle Canossiane, la richiesta di essere ammessa al noviziato della congregazione. Essendo stata accolta, nel 1877 iniziò a Como l’anno di prova, ma il Signore, che aveva altri disegni su di lei, permise che fosse incaricata di prestare la sua collaborazione alle Suore addette all’Oratorio per ragazze esterne. Dina, di temperamento timido e introverso, ne rimase sconcertata. Inoltre trovò molta difficoltà ad aprire il suo animo alla Maestra delle novizie motivo per cui fu ritenuta di spirito chiuso, predisposta allo scrupolo e alla meticolosità tant’era esatta nell’adempimento dei suoi doveri. Fu perciò rimandata in famiglia perché ritenuta inadatta al fine dell’Istituto.


La beata, angosciata, ma conformata al volere di Dio, invece di raggiungere la famiglia, che stava attraversando difficoltà economiche, d’accordo con la mamma, si unì a Marcellina nell’Ospizio di Camlago per conoscere meglio che cosa Dio le chiedeva. Don Coppini, che la dirigeva, le disse chiaramente che il Signore voleva che rimanesse nell’Ospizio, e la persuase ad aggregarsi ad esso con Marcellina e altre due Orsoline, emettendo privatamente il 28-6-1878 i voti religiosi con il nome di Suor Chiara. Dio le faceva compiere così il sacrificio che meno si aspettava.


Alcuni anni più tardi affiorò in lei di nuovo il desiderio di ritornare tra le Canossiane, ma Don Guanella, ormai responsabile dell’Ospizio e delle Orsoline che lo dirigevano, le disse in forma perentoria: “L’Ospizio del S. Cuore è il tuo posto, e qui resterai”. La beata riflette su quell’ingiunzione.


Un giorno fu udita esclamare: “Ebbene, io non parlerò più di partire. Si faccia la volontà di Dio!”. Nel dire ciò non riuscì a trattenere uno scroscio di pianto. Venne incaricata dell’educazione delle orfanelle, delle prime probande e della formazione delle novizie. In poco tempo nell’ospizio fiorì la disciplina e l’ordine.


A tre anni dalla professione, Suor Chiara, per essere più efficiente come educatrice, ritornò a Gravedona, presso le Suore Canossiane allo scopo di frequentare un corso di preparazione immediata agli esami magistrali, per conseguire il diploma di insegnante di grado inferiore, allora ammesso dalla legge, di grande vantaggio per la scuola delle orfanelle dell’Ospizio. Il Signore però le riservava una seconda grave delusione: mentre stava per partire alla volta di Sondrio, dove avrebbe dovuto sostenere gli esami, giunse inaspettata la comunicazione che il Ministero dell’Educazione aveva abrogato la legge relativa al diploma di Maestra di grado inferiore. Non cessò per questo di istruirsi per rendersi utile alla sua famiglia religiosa. Nei processi, Don Guanella attestò di lei: “Io so che era sempre la più pronta ed alacre nel disimpegno di tutti i suoi uffìzi… Essa allegramente scopava le camere e i corridoi; liberava le teste delle orfanelle dalle immondizie, dagli insetti; si metteva al servizio delle persone anziane e ammalate anche più ripugnanti, e non perdeva la serenità anche quando aveva a che fare con persone scontrose e bisbetiche”.


Oltre l’Ospizio di Camlago, anche la parrocchia di Pianello Lario offriva, allo zelo di Suor Chiara, un bel campo di apostolato, dall’assistenza al folto gruppo delle Orsoline al secolo, alla formazione delle Figlie di Maria, all’insegnamento del catechismo ai fanciulli della prima comunione, all’assistenza delle persone inferme e anziane, all’opera di pacificazione delle famiglie in lotta tra di loro. I familiari, fin da quando era giovinetta, di lei erano soliti dire: “Quando compare Dina, cessano i litigi”. I compaesani, anche i meno praticanti, quando la vedevano passare tra di loro modesta e frettolosa, non potevano fare a meno di esclamare: “Quella sì è una vera monaca!”.


Nell’anno scolastico 1884-1885, Don Guanella diede alla beata “una cruda obbedienza” di cui più tardi egli stesso si pentì: recarsi tutti i giorni a piedi a Dongo, distante due chilometri e mezzo da Pianelle, per fare da maestra supplente in una scuola privata. Poiché la titolare era anziana e inefficiente, la famiglia Manzi, dalla quale dipendeva, chiese all’Ospizio di Camlago una maestra che la supplisse. I fondatori, anche per motivi di gratitudine, non seppero dire di no. La loro scelta non poteva cadere che su Suor Chiara, la meglio preparata sotto ogni aspetto.


Benché amasse molto il ritiro, la Beata eroicamente accettò di compiere per un anno quel viaggio a piedi in compagnia di qualche orfanella, il più delle volte sola, con la corona del rosario in mano, e un po’ di refezione per il mezzogiorno nella borsa, nonostante le piogge di autunno, i freddi invernali e la calure estive. Prima di morire confiderà al suo direttore Spirituale: “La più dura obbedienza per me fu quella di andare a Dongo, ma dopo di allora il Signore cominciò a colmarmi di tutti i favori che sento”.


Nell’agosto uel 1885 tré Orsoline, tra cui le sorelle Bosatta, si trasferirono ad Ardenno Valtellina (Sondrio) per una fondazione, in seguito all’invito dell’arciprete Don Lorenzo Guanella, fratello maggiore di Don Luigi, ma per mancanza di sufficiente autonomia ed eccessive ristrettezze economiche, furono costrette dopo un anno a fare ritorno a Pianello Lario. In quel tempo alla beata non mancò neppure la calunnia da parte dell’invidioso Don Rizzola, parroco di Musso, di avere maltrattato o inflitto pene corporali alle orfanelle, per bigottismo. Suor Chiara, chiamata a discolparsi davanti al pretore di Dongo, senza battere ciglio gli dichiarò: “Si sbaglia, signore; lo hanno ingannato perché tanto io quanto le mie compagne e i miei superiori asciughiamo le piaghe se ce ne sono, ne mai e poi mai avremmo in animo di aprirne per nessuna ragione”. La beata comprese allora meglio quanto Don Guanella andava insegnando: “Per fare il bene bisogna salire il Calvario”.


Negli ultimi mesi del 1886 il Beato Guanella, con l’aiuto delle sorelle Bosatta, riuscì a trapiantare a Como un virgulto dell’Ospizio di Pianello che sarebbe diventato il centro di tutte le sue Opere. Suor Chiara a malincuore accettò di esserne nominata direttrice perché si riteneva “una grande peccatrice” e “una buona a nulla”. Secondo il suo direttore, in quel tempo “la vita della beata trascorreva proprio abbandonata nelle mani della divina Provvidenza, senza umani soccorsi, ed anzi, con ingiurie e dispetti di gente volgare e anche con mal celata ostilità da parte di persone distinte. In casa si faceva un po’ di tutto per tirare innanzi. Le ricoverate e anche le suore si prestavano a uffici di carità a servizio dei malati o delle famiglie della città e portandosi anche agli opifici per lavoro”.


Dalle lettere, che Suor Chiara scrisse al suo direttore e confessore, veniamo a sapere che ella trascorse gli ultimi anni di vita in una terribile notte oscura dello spirito. Nella sua continua ascensione verso Dio, passò attraverso desolanti e angosciose prove mistiche. Don Guanella attestò; “Di pene interne, agitazioni, scrupoli, timori, ecc. so che ne ebbe a soffrire così tanto a lungo da sentirsene morire, cosicché io stesso, assistendola… non sapevo rendermi conto come si potesse tanto soffrire e senza una minimo lamento da parte sua che sapevo creatura innocente”.


Negli appunti scritti per una biografìa della sua figlia spirituale, Don Guanella afferma: “Suor Chiara sentiva una grande sete di patimenti, e nelle acque del patire si tuffava e in quelle ancora trovava refrigerio al suo spirito. Quanto era desiderosa di accorciare le ore di riposo, di munire il suo corpicciolo con l’armatura di qualche strumento di penitenza!… Si considerava fortunata quanto trovava qualche consorella che le avesse fatto la carità di una fortissima disciplina”. Ella “godeva di uno spirito di contemplazione abituale, virtuale e attuale fin dalla sua fanciullezza” e sentiva di più il bisogno di pregare, di meditare, di pensare alla Passione del Signore che di mangiare. Contemplando le piaghe di Gesù in croce pensava ai propri peccati ed esclamava: “Sono stata proprio io a fare tutto ciò. Proprio io ho crocifisso il Signore!”. E piangeva e sospirava: “Patire, patire o morire”.


Il Signore esaudì la sua serva fedele dandole la sensazione di respingerla lontano da sé. Quando meditava le varie scene della Passione di Gesù le pareva di udire dalla sua bocca: “Guarda, o malvagia, a che stato mi hai ridotto; vattene lungi da me, perfida, ingrata, e miserabile che sei. Tu stessa mi hai crocifisso, mi hai traforato le mani e i piedi, tu mi hai aperto con una cruda spada il mio costato; ritirati da me, vattene lungi”. Quando le accadeva ciò le si moltiplicavano le pene, e allora gemeva: “Che faccio io miserabile, senza aiuto e conforto, e rigettata da Dio? Il respiro mi manca, mi sento soffocare, mi pare di morire. Come è duro questo abbandono, come doloroso e straziante!”, Don Guanella, che considerava la sua diretta “un sacco di umiltà”, afferma che di frequente gli chiedeva di seppellirla, di sprofondarla sotto terra perché si riteneva troppo indegna di stare davanti a Dio.


Dopo circa sei mesi trascorsi a Como tra grandi fatiche e ristrettezze economiche, Suor Chiara fu assalita da una bronchite che degenerò in pleurite e quindi in tbc. Per ospitare un numero maggiore di povere anziane, si era ridotta a dormire con le postulanti sul solaio dell’Ospizio mal protetto dal vento. Perché guarisse la sua comunità fece speciali preghiere all’Immacolata di Lourdes, ma la malata la invitava a conformarsi alla volontà di Dio. Alle gravi pene mortali che l’affliggevano si aggiunsero pure acute sofferenze fisiche.


Suor Chiara trascorse gli ultimi quattro mesi di vita a Pianelle Larlo nella casa parrocchiale. Ebbe così modo di fare tutti i giorni la comunione e di prepararsi alla morte trascorrendo il giorno e gran parte della notte pensando a Dio, a Gesù crocifisso e alla Madonna Addolorata di cui era devotissima. Gradiva le visite, ma desiderava che fossero brevi per non essere distolta dalla sua abituale unione con Dio, Mamma Rosa, accanto alla figlia morente, ripeteva: “Quel che Dio vuole! La mia Dina è sempre appartenuta di più al cielo che alla terra”. Alla consorella che l’assisteva disse in tono profetico: “Vedrà che la casa di Como crescerà contro ogni previsione, e sorgeranno da quella casa, come piante del seme evangelico, altre case ancora”. Alle Figlie di Maria che le facevano brevi visite non si stancava di ripetere: “Pregate e siate perseveranti sino alla fine. Solo chi persevera acquista la palma”.


Durante i giorni di Pasqua del 1887, la Beata si trovò ridotta agli estremi dal male. Eppure anche allora a chi l’assisteva continuava a ripetere: “Non mi toccate, non mi toccate!”. Prolungandosi la sua agonia, un giorno Don Guanella le disse che doveva assentarsi per andare a fare il catechismo nella parrocchia di Musso. “Vada pure, padre – gli rispose la morente. – Questa sera sarà presente al mio passaggio, perché io voglio e devo morire nelle sue mani”. All’infausto pronostico del dottore sospirò: “Oh, quanto sono contenta! Ora posso più liberamente guardare in su. Oh, Paradiso! paradiso!”. A chi l’assisteva disse; “Andiamo, andiamo! Io non ne posso proprio più; andiamo in Paradiso!”.


Di ritorno da Musso, Don Guanella chiese a Suor Chiara quando avrebbe voluto partire, ed ella prontamente gli rispose: “Subito, subito! Andiamo, egli mi accompagni sino alla soglia”, Don Guanella incalzò: “Allora vuoi partire fra un’ora?”. Gli rispose: “E troppo un’ora! Andiamo subito”. Distaccata da tutto, morì con l’innocenza battesimale dopo aver sofferto la sua vita in espiazione dei peccati di tutti gli uomini il 20-4-1887. Non aveva ancora compiuto 29 anni. Giovanni Paolo II riconobbe l’eroicità delle virtù della Bosatta il 1-9-1988 e la beatificò il 21-4-1991. Le sue reliquie sono venerate a Lora, sopra Como, nella cappella della Casa Madre delle Figlio di S. Maria della Provvidenza.


 





Sac. Guido Pettinati SSP,


I Santi canonizzati del giorno, vol. 4, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 262-269.


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