…Tu legherai ancora le mie falangi quando, le mie carni saranno fieno sopra lo spazio ristrettito su cui una croce porterĂ forse ancora qualche sillaba del mio nome:… non avrĂ² da temere, avendo nelle mani la mia difesa in te la mia avvocatura: il memoriale eloquente di ciĂ² che Dio fece perchĂ© io non fossi dannato. Così, e la corona della mia vita, la corona della mia morte, diverrĂ la corona della mia eternitĂ ….
LA MIA CORONA*
di Tito Casini
Come al sacerdote il suo calice, tu sei cara a me, o mia corona — strumento benedetto di una preghiera che rinnova nella memoria ciĂ² che il calice serve a rinnovar di fatto sopra l’altare.
Tu sei il calice d’ogni mia sera, che mi ritorni e prepari l’anima alle dolcezze del calice mattutino. Sei il presidio delle mie notti; la guardia a cui rimane affidata la consegna di Compieta:
Procul recedant somnia
Et noctium phantasmata
Hostemque nostrum comprime…
Tutta la vita è una notte: una notte piena di pericoli, d’incubi, di fantasmi ingannevoli, corsa da un «leone» la cui fame, fame di anime, non è mai sazia. E tu sei l’arma, l’unica arma, che mi accompagni fra le tenebre di questa notte ch’è il vivere, per poi restare fra le mie mani nella notte del mio sepolcro. In casa o fuori, da fermo o in viaggio, nell’ozio o nella fatica, nell’allĂ©grezza o nella tristezza, io non so stare senza di te, che non sei mai stata senza di me, che m’hai seguito in ogni vicenda, mia allegrezza nella tristezza, mio riposo nella fatica, mia quiete nel viaggio, mia casa nella lontananza. (E quante volte nella lontananza piĂ¹ dura, piĂ¹ deserta di speranza. piĂ¹ diversa dal vivere necessariamente tralasciato — la lontananza della guerra — la pace della casa nell’ora piĂ¹ casalinga, la visione della famiglia, presso il fuoco, intenta a pregare, ha improvvisamente riconfortato e rinfrancato il mio cuore al solo ritrovarti entro le mie vesti, al solo risentirti premere contro il fianco aderente alla terra, quando le mani, protese dirimpetto ad altri uomini, pur fratelli di fede, erano intente a tutt’altro ufficio che la fraterna preghiera!)
Tu mi hai portato, piĂ¹ ch’io non abbia portato te. Tu m’hai condotto per l’erte, tu m’hai ritirato dai precipizi, forte come la piĂ¹ forte catena, tirata da una mano a me invisibile — forse la fede delle generazioni che dissero il Rosario prima di me e che attraverso il Rosario, dal purgatorio o dal paradiso, si ricongiungono a me. A te ho affidato tutti i miei bisogni; la mia Vita è scorsa sopra i tuoi grani, varia e alterna come i misteri di cui vi si succede la meditazione tu m’hai insegnato, componendo i miei casi coi casi divini, a far sì che i miei gaudi non trapassassero in frenesia, i miei. Dolori in disperazione, le mie «glorie» in superbia.
Tu, la piĂ¹ umile delle mie cose, sei stata, la mia piĂ¹ vera ricchezza, e sarai l’unica che non mi lascerĂ , l’unica che verrĂ con me, sottoterra, quando tutte l’altre mi lasceranno e due braccia di terra in prestito saranno tutto il mio mondo.
Altri ti avvolgerĂ alle mie mani, t’inserirĂ fra le mie dita quando l’ultimo gelo agghiadirĂ il mio corpo, impietrirĂ le mie congiunture.
Così, con te e te soltanto, di quant’ebbi in lì, scenderĂ² nella tomba, giacerĂ² con quelli che dissero come me, prima di me o insieme a me, il Rosario. E mi parrĂ di dirlo ancora, con essi, di ripassar con essi i misteri della vita, della morte e della risurrezione, mentre il tempo avvicenderĂ le sue stagioni sopra di me, prendendo ogni giorno piĂ¹ del mio corpo per ritornarlo nella polvere che fu prima d’esser mio corpo.
Tu legherai ancora le mie falangi quando, le mie carni saranno fieno sopra lo spazio ristrettito su cui una croce porterĂ forse ancora qualche sillaba del mio nome: e io seguiterĂ² a dirlo, il Rosario, a misurar sui misteri il tempo che non potrĂ² piĂ¹ misurare a giri di sole, mentre il gran pellegrino continuerĂ il suo viaggio.
Così possa trovarmi l’angelo che dirĂ al tempo: basta — e tornerĂ il fieno in carne per chiamarla al giudizio! Cosi possa trovarmi, e così ammanettato, legato fra le tue ritorte, tradurmi al gran tribunale!
Così, e io non avrĂ² da temere, avendo nelle mani la mia difesa in te la mia avvocatura: il memoriale eloquente di ciĂ² che Dio fece perchĂ© io non fossi dannato.
Così, e la corona della mia vita, la corona della mia morte, diverrà la corona della mia eternità .
* Testo tratto da: Tito Casini, Il Rosario, Firenze: L.E.F., 1938, pp. 84-87.