Libro III – Cap. 13 L’indipendenza dell’America latina.

Prof. A. Torresani. 13. 1  I libertadores – 13. 2  San Martin e Bolivar – 13. 3  Il fallimento degli Stati Uniti del Sud – 13. 4  L’indipendenza del Messico – 13. 5  Lo sviluppo del Brasile e del Cile – 13. 6  La dottrina di Monroe – 13. 7  Cronologia essenziale – 13. 8  Il documento storico – 13. 9 In biblioteca.

La prima seria crisi dopo il Congresso di Vienna accadde fuori d’Europa, nell’America latina, per molti anni priva di contatti con la penisola iberica, men­tre crescevano i contatti commerciali e culturali con la Gran Bre­tagna e gli USA.  La decisione di Napoleone di deporre Carlo IV e Ferdinando VII dal trono di Spagna offrì alle colonie d’America un ottimo pretesto per proclamarsi indipenden­ti.  I quattro vicereami e le capitanerie generali, a loro volta, si divisero in tredici Stati autonomi che subito entrarono in conflitto tra loro, dopo il fallimento di tentativi federalisti.  La Gran Bretagna occupò le posizioni commerciali e finanziarie dei nuovi Stati, evitando di entrare in conflitto con gli USA, dopo la  guerra del 1812-1814 che confermò la crescente vitalità della confederazione nordamericana.
     Dopo il Congresso di Vienna, la Spagna cercò di rientrare in possesso delle sue colonie, ma l’ammutinamento delle truppe con­centrate a Cadice in attesa della traversata verso il nuovo mondo impedì fino al 1823 ogni invio di soldati.  Nel frattempo le divisioni tra gli Stati latino-americani erano dive­nute definitive, e il presidente degli USA James Monroe poté enunciare il celebre principio “l’America agli americani”, per cui ogni intervento del vecchio mondo in America sa­rebbe stato considerato un attentato alla sicurezza degli USA:  la Spagna conservò solo Cuba e Portorico, mentre le ex colonie spagnole iniziarono la loro difficile storia fatta di colpi di Stato, di guerre civili, di dittature, sem­pre in una situazione di dipendenza economica dalle nazioni di lingua inglese.  Il liberalismo economico, in paesi scarsamente sviluppati, si tradu­ce in imperialismo economico che lascia solo l’apparenza della libertà.  In termini di storia sociale, l’indipendenza dell’Ame­rica latina significò il trionfo dei creoli, ossia della borghe­sia indigena che non doveva sottostare ai viceré o ai gover­natori venuti dall’Europa.  La condizione dei meticci o degli in­dios peggiorò perché l’amministrazione locale non fu migliore di quella iberica.

13. 1  I libertadores
All’inizio del XIX secolo, Spagna e Portogallo avevano anco­ra l’immenso impero acquisito all’i­nizio del XVI secolo, in particolare occupavano il con­tinente americano dal Messico fino all’Argen­tina. 
L’intervento di Napoleone nella penisola iberica A determinarne il distacco dalla penisola iberica fu l’intervento di Napoleone.  Nel novembre 1807, un esercito francese penetrò in Portogallo: il principe reggente (il futuro Giovanni VI) si im­barcò su una nave che, sotto scorta inglese, nel gennaio 1808 giunse in Brasile.  Fu pubblicato un decreto che apriva i porti brasiliani al libero commercio con tutte le nazioni, un evento importante che rendeva il Brasile un paese sovrano. Nel 1815 la colonia fu proclamata regno del Brasile, uguale al Portogallo.  
Giovanni VI rimane in Brasile Dopo il Congresso di Vienna, nel 1816, Giovanni VI aveva ripreso il titolo di re del Portogallo, ma si era ben guardato dal tornare nel piccolo regno iberico che versava in condizioni di estrema povertà.  Il dilemma era chiaro: se Giovanni VI restava in Brasile avrebbe perso il Porto­gallo, se sceglieva il Portogallo avrebbe perso il regno del Brasile.
Giovanni VI deve tornare in Portogallo Nell’aprile 1821, in se­guito alla rivoluzione politica scoppiata in Spagna l’anno prece­dente, Giovanni VI con un seguito di tremila uomini e il tesoro della Banca del Brasile, salpò per Lisbona, lasciando in Brasile il figlio Pietro come reggente.  A Li­sbona, i liberali furono così ottusi, dopo aver ottenuto la co­stituzione, da pretendere il ritorno del Brasile al rango di colonia. Pietro troncò i rapporti con la madrepatria.  In primo luogo respinse l’ordine di tornare in Portogallo, poi accettò dalla municipalità di Rio de Janeiro il titolo di “protettore e difensore perpetuo del Brasile”, infine convocò un’assemblea costituente per dare al Brasile la costituzione. Nel 1823 l’indipendenza del Brasile era un fatto compiu­to.
Involuzione autoritaria di Pietro I Pietro I, tuttavia, ben pre­sto trovò la costituzione scomoda e chiese che fosse modificata concedendogli più ampi poteri.  Nel 1824 una legge fonda­mentale erigeva il Brasile in impero accentrato e tale rimase fino al 1889, quando fu istituita la repubblica. Ci furono rivolte come quella avvenuta nel 1825 nel ter­ritorio già spagnolo oltre l’estuario del Rio de la Plata, che nel 1828 ricevette il nome di Uruguay e la condizione di Sta­to indipendente.  Pietro I si riconciliò col Portogallo e firmò un trattato con la Gran Bretagna  che seguiva con attenzione i due Stati posti sotto la famiglia di Braganza:  infat­ti, il Portogallo era il più antico alleato sul continente euro­peo, unito da solidi vincoli commerciali; mentre il Brasile era l’unico grande Stato sudamericano a struttura monarchica dove esistevano investimenti di denaro inglese da tutelare.
Intervento di Napoleone in Spagna L’intervento in Portogallo nel 1807 era stato deciso da Napoleone in alleanza con Carlo IV, l’i­netto re di Spagna che poco dopo, il 19 marzo 1808, fu costretto ad abdicare a favore del figlio Ferdinando VII. In seguito, sia Carlo IV sia Ferdinando VII furo­no costretti a cedere il trono di Spagna a Napoleo­ne che proclamò il fratello Giuseppe “re della Spagna e delle Indie”, col chiaro intendimento che le colonie spagnole passassero al nuovo re.  Na­poleone aveva sottovalutato il pugnace spirito d’indipendenza de­gli Spagnoli.  Una dopo l’altra le province spagnole insorsero formando giunte: quella di Siviglia dichiarò guerra alla Francia, inviando ambasciatori in Gran Bretagna per averla alleata. 
Intervento britannico nella penisola iberica In Irlanda, sir Ar­thur Wellesley stava allestendo una spedizione per impadronirsi delle colonie spagnole d’America.  Subito la spedi­zione fu dirottata in Portogallo e in Spagna perché il Castle­reagh si rese conto  che il tentativo di staccare l’impero ame­ricano dalla Spagna avrebbe distolto quest’ultima dalla guerra contro Napoleone.
Il distacco delle colonie dagli Stati iberici Quando giunsero in America le notizie relative alla Spagna ci furono episodi di lea­lismo con raccolte di fondi per sostenere la guerra contro l’in­vasore, ma presto ci si rese conto che l’occupazione  francese della Spagna era un fatto compiuto e che le colonie potevano rifiutare, al riparo dalla flotta inglese, di passare sotto il dominio francese. La burocrazia presente in Ame­rica e proveniente dalla Spagna si trovò nella posizione equivoca di non avere più un capo riconosciuto.  Perciò esplose il con­flitto tra i creoli (gli spagnoli d’America) e i peninsulares, i funzionari rimasti senza direttive.  La rivolta iniziò all’inter­no dei consigli comunali delle città più grandi che dimostrarono volontà di indipendenza.  I viceré e i governatori fu­rono deposti, poi cominciarono le dichiarazioni di indipendenza: nel 1811 il Venezuela, nel 1816 le province che formavano il vi­cereame del Rio de la Plata. 
Aspetto politico della rivoluzione Queste rivoluzioni avevano carattere politico, ossia non miravano a dar vita a una società più democratica, bensì a soppiantare i peninsulares nelle cariche di governo e a distruggere ogni dipendenza commer­ciale dalla Spagna per aprirsi al commercio più vantaggioso con la Gran Bretagna e con gli USA. Ben presto le guer­re d’indipendenza divennero guerre civili, perché tra le ex colo­nie dell’America latina non si realizzò la solidarietà che aveva permesso alle Tredici colonie inglesi di affrontare con­giuntamente il nemico comune.  Separatisti e lealisti chiamarono alle armi i propri sostenitori, cercando appoggi internazionali.
Opposizione contro Buenos Aires Il vicereame del Rio de la Plata comprendeva Argentina, Uruguay, Paraguay e Bolivia.  Poiché la rivoluzione era stata proclamata a Buenos Aires, i creoli di Asunción in Paraguay si separarono eleggendo una giunta indipen­dente.  Da Buenos Aires furono inviati due eserciti, entrambi sconfitti: José Gaspar Rodriguez de Francia divenne dittatore del Paraguay e fino alla morte, avvenuta nel 1840, rimase al potere di un paese indipendente.  Altrettanto fece la città di Montevi­deo nell’Uruguay, che per sottrarsi al controllo di Buenos Aires, da cui la separavano rivalità commerciali, accettò di dive­nire l’avamposto del lealismo spagnolo.  Ma anche nell’Uru­guay insorsero gli indipendentisti sotto la guida del guerriglie­ro José Gervasio Artigas che combatté contro i lealisti di Monte­video aiutati da Pietro I del Brasile che così poté affermare, per qualche anno, il dominio bra­siliano sull’Uruguay.  La Bolivia fu riannessa al Perù.  Dopo lo smembramento delle zone periferiche, l’Argentina affrontò i disordini interni legati al tentativo di elaborare una costituzione che fosse ac­cetta alle componenti sociali in conflitto.
Congresso di Tucumán Nel luglio 1816, per iniziativa del consi­glio comunale di Buenos Aires, fu convocata a Tucumán un’assem­blea nazionale che proclamò l’indipendenza dell’Argen­tina, scegliendo la forma re­pubblicana.

13. 2  San Martin e Bolívar
Anche in Cile l’aristocrazia creola aveva espresso una giun­ta modellata su quella di Buenos Aires, ben presto esautorata da dissensi interni: nel 1814 la vittoria di Roncagua, ottenuta dal­le truppe lealiste provenienti dal Perù, sembrò cancellare per un momento la rivoluzione. 
Intervento di eserciti lealisti Anche nella Nuova Granata e in Venezuela due diversi tentativi di istituire la repubblica erano falliti per l’intervento di eserciti lealisti: il trionfo della reazione sembrava prossimo. 
I Libertadores Eppure, proprio nel 1816, José de San Martin sta­va organizzando a  Mendoza in Argentina ai piedi delle Ande, un esercito che si proponeva di liberare il Cile e poi entrare nel Perù, ritenuto la roccaforte del dominio spagnolo in America. 
José de San Martin José de San Martin, nato in Uruguay, era sta­to educato in Spagna.  Tornato in Argentina nel 1812, si era votato alla causa dell’indipendenza, ideando il piano accennato che doveva superare difficoltà naturali enormi.  Nel 1817 tutto era pronto per la spedizione organizzata nel massimo segreto per evitare l’intercettazione da parte degli avversari.  Nonostante il mal di montagna e le asperità del terreno, superando passi a quasi 4000 metri di altitudine, la spedizione compì una marcia di 800 chilometri, riunendosi in per­fetto ordine.  I ribelli sconfissero i lealisti, e il 14 febbraio entrarono in Santiago, capitale del Cile.  A capo del governo provvisorio il San Martin pose Bernardo O’Higgins, un irlandese il cui padre era stato capitano generale del Cile e poi viceré del Perù.  La resistenza dei lealisti fu stroncata nel 1818 con la battaglia di Maipo che rese possibile la seconda parte del programma, la libe­razione del Perù. 
Thomas Cochrane O’Higgings allestì una flotta formata di navi corsare inglesi e americane e qualche nave sottratta agli Spagno­li.  Un capace comandante fu trovato nella persona di Thomas Co­chrane, un singolare personaggio che in quel momento era in rotta col governo inglese.  Sulla flotta partita da Valparaiso fu imbarcata una spedizione internazionale in aggiunta all’esercito del San Martin.
Liberazione del Perù Dopo una prudente attesa, il San Martin ottenne l’evacuazione da Lima di tutte le truppe lealiste e nel luglio 1821 il San Martin proclamò l’in­dipendenza del Perù.
Simon Bolívar Da nord, nel 1819 Simon Bolívar aveva raggiunto, proveniente dal Venezuela, il Perù settentrionale. Tra i libertadores, Bolívar è il più noto.  Nato a Caracas nel 1783, da giovane si era appassionato alla letteratura illuminista, era ve­nuto in Europa osservando da vicino la parabola mili­tare di Napoleone, detestandone l’esito imperialistico. Tornato in Venezuela, Bolívar si mise alla testa del movimento di libera­zione del suo paese, ma le prime operazioni furono disastro­se.  Nel 1816 Bolívar ritentò la sorte delle armi sbarcando sulla costa atlantica della Colombia. Qui fu raggiunto da legionari stranieri reclutati tra i reduci delle guerre napoleoniche, e nel maggio 1819 poté iniziare la marcia attraverso le Ande.  Il 7 agosto sconfisse un esercito lealista a Boyacà e quattro giorni dopo entrò in Santa Fé de Bogota. 
Liberazione di Venezuela e Colombia Qui fu proclamata l’unione del Venezuela con la Nuova Granada nello Stato di Colombia di cui  il Bolívar  fu il primo presidente.
Ammutinamento dell’esercito spagnolo a Cadice Se un esercito eu­ropeo fosse giunto in America a sostegno del generale spagnolo Morillo, la sorte della guerra poteva ancora mutare.  Questo ten­tativo fu compiuto negli ultimi mesi del 1819, ma il 1° gen­naio 1820 l’esercito concentrato a Cadice in Spagna si ammutinò, passando agli ordini del colonnello Rafael de Riego, che invece di imbarcarsi si diresse verso Madrid per costringere il re Ferdinando VII a ripristinare la costitu­zione del 1812.  Il generale Morillo, invece di aiuti ricevette alcuni commissari governativi che gli consigliarono di stipulare una tregua con i ribelli del Bolívar, e di tornare in Spagna per riferire direttamente al governo. 
Liberazione dell’Ecuador Spirato l’armistizio, Simon Bolívar tornò in Venezuela per sgomberarlo completamente da truppe lealiste; poi cominciò a rivolgere  la sua attenzione alla presidenza di Quito che si era mantenuta fedele alla Spagna.  Questa regione, che poi riceverà il nome di Ecuador, ondeg­giava tra l’adesione al Perù o alla Colombia: Bolívar pose ter­mine a ogni esitazione e nel 1822 aggiunse alla Colombia le due province di Quito e Guayaquil.  Alle truppe lealiste rimaneva in Sudamerica solo l’altopiano peruviano che il San Martin non era riuscito a liberare.  Egli chiese perciò al Bolívar un colloquio politico per stabilire unità d’azione tra i due mo­vimenti di liberazione. 
Tentativi di accordo tra i libertadores Il colloquio ebbe luogo il 26 luglio 1822 nel momento di massimo successo del Bolívar e di più profonda crisi del San Martin che aveva raccolto non poche critiche in patria.  San Martin controllava le coste del Perù ma non riusciva a sopraffare i lealisti che resistevano all’interno: gli occorreva l’aiuto delle truppe del Bolívar, il quale non intendeva mettersi agli ordini di nessuno. 
Cedimenti del San Martin Il colloquio non dette risultati ap­prezzabili: il San Martin tornò a Lima dove emanò un proclama annunciando il suo ritiro da ogni carica e la decisione di an­dare in esilio.  Infatti, si recò in Europa dove morì. La liberazione definitiva del Perù fu opera del Bolívar che tuttavia aveva molti problemi in Colombia. Infine, poté recarsi nel Perù dove trovò un paese in piena anarchia. 
Fine della resistenza lealista Dopo aver reclutato nuovi solda­ti, il 6 agosto 1824 combatté una difficile battaglia sulle Ande a Junín e il 9 dicembre un suo luogotenente sconfisse ad Ayacucho l’ultimo viceré spagnolo.  Ora resisteva solo l’Alto Pe­ru: nel 1825 fu liberata anche quell’impervia re­gione, chiamata Bolivia in onore di Bolívar.

13. 3  Il fallimento degli Stati Uniti del Sud
Nel 1825 Simon Bolívar aveva raggiunto l’apice della gloria essendo divenuto liberatore della Colombia, dittatore del Perù, presidente della Bolivia. 
Progetti velleitari del Bolívar Egli desiderava creare una grande lega delle nazioni latino-americane e pensava che la co­stituzione elaborata per la Bolivia si potesse estendere al continente sudamericano di lingua spagnola. In realtà, la co­stituzione boliviana era una specie di dittatura a vita maschera­ta da repubblica: tra l’altro il presidente aveva la facoltà di nominare il successore, il parlamento era sottratto al con­trollo dell’opinione pubblica, e un gruppo di notabili col titolo di censori vigilava sulla costituzione e sulle leggi.
Fallimento del Congresso di Panama Nel giugno 1826 il Bolívar aveva convocato a Panama i rappresentanti dei nuovi Stati ameri­cani, molti dei quali non inviarono rappresentan­ti. La conferenza fu un disastro e subito dopo iniziarono di­sordini che fecero crollare i deboli governi appena insediati. Nel 1830 Simon Bolívar abbandonò l’America. La grande Colombia si sfasciò: il Venezuela divenne indipendente e altrettanto fece la regione di Quito eret­ta in Stato indipendente col nome di Ecuador.
Il Caudillismo sudamericano  Per circa cinquant’anni, prima dell’arrivo di grandi investimenti europei per la costruzione di ferrovie e lo sfruttamento delle ricchezze agricole e minerarie del con­tinente, il regime politico che si affermò va sotto il nome di caudillismo, ossia dominio di un capo militare, in genere un guerrigliero che, vivendo di rapine ed estorsioni, riusciva a scalzare l‘autorità del governo centrale, assumeva il potere, per esser travolto da un nuovo capo di ribelli. 
Carenze sociali e politiche Tutto ciò era radicato nella strut­tura  della società dell’America spagnola, caratterizzata da scarsità di popolazione, spesso concentrata in città enormi, dal­la presenza di immense aziende agricole che costituivano unità indivisibili, dalla dipendenza dai mercati esteri che rendeva inevitabile la presenza di banchieri, agenti commerciali e compa­gnie straniere che, di fatto, facevano confluire la ricchezza nelle mani di pochi grandi proprietari, ritagliando per sé i profitti del commercio.  La massa della popolazione, meticcia o india, non fu avviata verso al­cuna forma di progresso culturale e materiale, l’analfabetismo non fu scalfito e, a conti fatti, la situazione peg­giorò rispetto ai tempi dei viceré spagnoli che, almeno, avevano mantenuto l’ordine pubblico. 
Carenze culturali Gli intellettuali, quando non erano asserviti ai potenti, aravano il mare coi loro progetti di costituzione, divisi tra l’ossequio al modello inglese di monarchia costi­tuzionale e il modello statunitense di repubblica presidenziale con struttura amministrativa federalista, per permettere lo sviluppo di una regione senza che esso significasse strapotere sulle altre. 
L’orgoglio dei creoli L’oligarchia dei creoli troppo spesso ebbe un carattere mortificante nei confronti delle altre componenti sociali, nutrita d’orgoglio e di sostanziale ignoranza, ossia priva di un progetto di cultura accettabile. 
La Chiesa cattolica La Chiesa cattolica era la sola forza cultu­rale nel continente latino-americano, ma appariva oppressa da enormi contraddizioni interne. Dall’Europa venivano nunzi pa­pali spesso traumatizzati dalle vicende del periodo napoleonico e non sapevano indicare altra via che l’accordo con le forze con­servatrici per opporsi all’ateismo implicito nelle idee illumini­ste e liberali; oppure potevano consigliare un’azione meramente missionaria per diffondere la pratica religiosa tra popola­zioni superficialmente evangelizzate. In qualche caso, come Hidalgo in Messico, i sacerdoti si misero a capo di contadini disperati in rivolta con esiti catastrofici perché la reazione non tardava a colpire.
Fallimento dei progetti federalisti Il fallimento della confe­renza di Panama del 1826 fu grave per il continente: la Grande Colombia si dissolse nei tre stati di Ecuador, Co­lombia e Venezuela così come al sud l’unione del Rio de la Plata si divise in Argentina, Uruguay e Paraguay.  Esaminiamo le vicende dei più importanti di questi Stati.
Venezuela In Venezuela, dopo la morte del Bolívar, prese il po­tere un suo luogotenente, il guerrigliero José Antonio Paez, sostenuto da una piccola oligarchia di creoli che per sedici an­ni, dal 1830 al 1846, riuscì a mantenere la pace.  Poi ci furono disordini fino alla dittatura di Antonio Guzman Blanco (1870-1888).
Colombia  La Colombia (la chiamiamo così per semplicità perché lo Stato cambiò nome quattro volte tra il 1832 e il 1886) dovette molto al genio organizzativo del suo legislatore Francisco de Paula Santader, presidente dal 1832 al 1837 che le permise di vivere un decennio di tranquillità tra il 1840 e il 1850, poi co­minciarono i disordini tra federalisti e centralisti, clericali e anticlericali, conservatori e liberali che ritardarono lo sviluppo economico e la vita politica per mancanza di stabili­tà.  In Venezuela e Colombia prevalevano i meticci, mentre gli indios erano relativamente poco numerosi; invece, in Ecuador e Perù gli indios erano assai più numerosi.  Questi due paesi del Pacifico avrebbero potuto conoscere un grande sviluppo com­merciale e agricolo (il Perù aveva il monopolio mondiale del gua­no, un fertilizzante pressoché insostituibile prima dell’avvento dei fertilizzanti chimici, e poteva attingere a riserve di pesce inesauribili) ma i conflitti interni resero impossibile l’ordina­to sviluppo del paese.
Ecuador In Ecuador esisteva il dualismo tra Quito, arroccata sulle Ande, e Guayaquil, il porto sull’Oceano Pacifico: gli abi­tanti vivevano come in due mondi separati con scarsi contatti, essendo per di più decimati dalle stragi compiute durante la guerra d’indipendenza. L’esercito appariva come un’istituzione imposta dall’alto e gli indios cercavano di non farne parte, ma l’esercito era anche la sola struttura organizzata re­lativamente moderna. Le uniche forme di governo possibili sem­bravano l’anarchia e la dittatura, e la rivoluzione l’unico stru­mento per ottenere il cambiamento desiderato. La figura dominan­te in Ecuador, tra il 1860 e il 1875, fu Gabriel Garcia Moreno che cercò nella Chiesa cattolica lo strumento per unificare il paese, imponendo un regime austero, quasi teocratico.
Perù In Perù si affermò Ramon Castilla tra il 1845 e il 1862, un audace soldato che impose l’ordine. Il guano e il nitrato di soda, abbondanti nel paese, permi­sero di riassestare le finanze dello Stato, ma la popo­lazione india era così ostile ad abbandonare la dura vita dell’altopiano, che per estrarre quei prodotti furono fatti veni­re migliaia di coolies cinesi.  Tuttavia, il danaro giunto all’improvviso nel Perù servì solo a generare una spaven­tosa corruzione, finita in una guerra con la Spagna.  Infatti, nel 1864, una squadra navale spagnola aveva occupato le isole Chincha da cui si estrae il guano. Le isole furono restituite a condizioni tanto umilianti da provocare l’insurrezione del sen­timento nazionale in Perù, Cile, Bolivia, Ecuador. Solo nel 1871 fu firmata una tregua.
Bolivia Se la struttura del Perù era precaria, quella della Bo­livia era inesistente. Il vastissimo e spopolato paese posto là dove le Ande presentano la massima espansione in larghezza, non aveva alcuna coesione.  Agli inizi dell’epoca coloniale la regio­ne era divenuta il massimo centro minerario dell’impero spagnolo, ma dopo l’indipendenza anche quell’attività era andata in rovina.  La popolazione, in maggioranza india, abitava villaggi isolati in valli poste anche oltre i 4000 metri di quota.  Per dieci anni, dal 1829 al 1839, la Bolivia rimase sotto il dominio di un abile soldato meticcio Andres Santa Cruz che per tre anni resse anche il Perù, ma dopo la sua morte il paese precipitò nel caos.
Distanze immense e scarsa popolazione Nelle Province unite del Rio de la Plata il dato principale era l’immensità del paese che si stendeva dai deserti tropicali fino ai ghiacci dello stretto di Magellano. La popolazione non superava i 750.000 abitanti se­parati da distanze enormi.  Buenos Aires era già una città immensa che prosperava col commercio estero. Le città dell’interno erano piccole, povere e invidiose del be­nessere della capitale. Il conflitto politico verteva sull’oppo­sizione tra centralisti e federalisti, tra città e campagna, tra la capitale e le province. Ben presto si affermò il sistema dei caudillos locali, che amministravano le province come feudi personali. 
Rivolta delle province in Argentina Nel 1816 il congresso di Tu­cumán aveva proclamato l’indipendenza del paese, scegliendo una forma di governo repubblicana, nonostante il dissenso delle province. Nel 1820 l’anarchia giunse al culmine e i capi delle province arrivarono ad assediare Buenos Aires: il con­gresso si dissolse, nel grande paese non c’era più governo centrale e rimaneva solo l’apparenza di una confede­razione.
Ripresa di Buenos Aires Buenos Aires, dopo lo sbandamento, si dette un governatore nella persona di Martin Rodriguez che nominò segretario di Stato Bernardino Rivadavia, un giurista da poco tornato dall’Europa che seppe organizzare un governo efficace. Fu fondata la banca nazionale e l’università, fu istituita la po­lizia e furono organizzate le finanze. Nel 1825 un nuovo con­gresso costituente promulgò la legge fondamentale dello Stato che prevedeva l’autogoverno delle province finché non si fosse dato vita a una costituzione federale. Nel 1826 il congresso nominò presidente il Rivadavia e a dicembre fu promulgata la costituzio­ne.
Guerra tra Argentina e Brasile Durante la presidenza di Rivada­via, pur essendo il paese oppresso da problemi interni, scoppiò la guerra col Brasile per il controllo dell’Uruguay. Fin dal 1816 il Brasile aveva invaso il territorio ex spagnolo dell’Uruguay, e nel 1821 aveva tentato di istituirvi un governo favorevole al Brasile. Nel 1825 un esule, aveva guidato una spedizione partita dall’Argen­tina che sollevò la popolazione contro i brasiliani.  Il conflitto durò tre anni e fu composto solo dalle pressioni del console britannico presso il governo argentino.
Indipendenza dell’Uruguay La guerra tra Brasile e Argentina ave­va indebolito sia Pietro I sia il Rivadavia: la costituzione di uno Stato cuscinetto indipendente che divideva i due paesi più vasti dell’America latina per un poco appianò i conflitti ester­ni, ma quelli interni riesplosero ancora più incontrollabili.  Il Rivadavia si dimise e nel dicembre 1829. Juan Manuel de Rosas, un federalista, grande proprietario terriero, allevatore di bestia­me, divenne governatore della provincia di Buenos Aires, isti­tuendo una dittatura personale che mise da parte ogni progetto di costituzione. Nel 1835 il de Rosas guidò una spedi­zione vittoriosa contro gli indigeni della pampa acquistando tan­to prestigio che subito gli furono accordati i pieni poteri.
Guerra e ristagno economico La vita economica del paese ben pre­sto ristagnò, a eccezione della capitale che col commercio di transito faceva affari da capogiro. Nonostante la dittatura non ci fu la pace: nel 1837 scoppiò la guerra contro la Bolivia, considerata da de Rosas una provincia ribelle; poi ci furono guerre in Uruguay con un assedio di Montevideo dal 1843 al 1851 (Montevideo era la città concorrente di Buenos Aires); il con­flitto con la Francia che bloccò il porto di Buenos Aires dal 1838 al 1840. Gli effetti eco­nomici, invece, furono pesanti e nel 1851 Justo José de Ur­quiza, capo della provincia di Entre Rios, si ribellò al dittatore e lo sconfisse  nella battaglia di Monte Caseros (1852).  Il de Rosas si rifugiò su una nave britannica e finì i suoi giorni in Inghilterra.
Costituzione di Santa Fé Urquiza si era impegnato a realizzare uno stabile assetto costituzionale su basi federali. A Santa Fé si riunì un’assemblea costituente che nel maggio 1853 promulgò una costituzione federale simile a quella degli USA, ma an­cora una volta Buenos Aires rifiutò di accettarla, temendo che il posto del de Rosas fosse preso da Urquiza.  Nel 1854 fu pro­mulgata una costituzione della provincia di Buenos Aires e per un decennio si ebbero due centri di governo, quello federale a Para­nà, e quello di Buenos Aires con problemi di rapporti in­ternazionali.  Di fatto, Buenos Aires continuò a monopolizzare il commercio e quindi i diritti doganali.  Si accese perciò una guerra doganale tra le due entità statali durata fino al 1859: Buenos Aires fu sconfitta a Cepeda, ma due anni dopo vinse la battaglia di Pavon. Bartolomeo Mitre, il vincitore, divenne presidente della confederazione.  Sotto la presidenza di Mitre in Argentina arrivarono le ferrovie, i prestiti internazionali, la colonizza­zione della prateria, l’immigrazione di europei, ma nel 1868 scoppiò ancora una volta la guerra, questa volta contro il Para­guay.
Paraguay La storia del più interno e isolato tra gli Stati latino-americani è singolare.  Il già ricordato José Gaspar Ro­driguez de Francia aveva fondato un governo dittatoriale di creo­li paraguaiani che non volevano sottostare al governo di Buenos Aires. Rodriguez de Francia isolò il Paraguay dal resto del mondo, mirando a una specie di autosuffi­cienza fondata sulla produzione interna e sulla polizia.  Nel 1840 gli successe un altro dittatore Carlos Antonio Lopez che ac­centuò l’arruolamento di uomini nell’esercito, aprendo il paese al commercio estero e all’immigrazione.  Nel 1862 morì lasciando il potere al figlio Francisco Lopez Solano. Costui aveva tutti i difetti e nessuna delle qualità del padre.  Il Paraguay era paragonato alla Prussia che in quegli anni aveva scatenato una serie di guerre per affermarsi come la massima potenza militare d’Europa.  Lopez Solano aveva dispute di frontiera con Argentina, Brasile e Uruguay e fu tanto folle da far guerra nello stesso tempo alle maggiori potenze del continente collegate in­sieme.  Dal 1864 al 1870 il Paraguay condusse una guerra con­tro i potenti vicini nel corso della quale la popolazione passò da mezzo milione a meno di un quarto, tanto che nei villaggi ri­masero solo donne, vecchi, bambini.  Dopo di allora, il Paraguay accentuò la sua arretratezza, e il suo isolamento dal resto del mondo.

13. 4  L’indipendenza del Messico
Mentre nell’America meridionale il pericolo di intervento delle potenze europee fu quasi nullo, nell’America settentriona­le, esso fu grande. 
Il Messico Il Messico da cui furono cacciati gli Spagnoli e che proclamò l’indipendenza nel 1821, aveva un’estensione pari a metà dell’Europa, mentre la sua popolazione non arrivava a sei milioni di abitanti.  Nel 1810 c’era stata la grande insurrezione di contadini guidati dal prete Miguel Hidalgo.  Essi presero d’assalto le tenute dei creoli e brucia­rono gli impianti per la produzione di zucchero.  La ribellione fu repressa a fatica, e lasciò un segno duraturo nella storia del Messico. 
Iturbide Il movimento per l’indipendenza ebbe un carattere  estremamente conservatore, al punto che fu proclamata non una re­pubblica bensì un impero, come era avvenuto in Brasile.  Il primo e unico imperatore fu Augustín Iturbide, un soldato ambizioso e incompetente, rovesciato già nel 1823. Fu allora proclamata una repubblica federale. Una certa stabi­lità fu ottenuta fino al 1827, ma a partire da quell’anno le ri­volte, i pronunciamenti, i colpi di mano non si contarono più.  In trent’anni ci furono quarantasei presidenti.  Dietro le quinte c’era sempre lo stesso personaggio, intrigante, astuto e incon­cludente: Antonio Lopez de Santa Ana.
Ribellione delle province In questa situazione appariva impossi­bile mantenere unito un territorio vasto e scarsamente popolato. Da Cuba, nel 1829, un piccolo esercito spagnolo tentò la riconquista dell’antica colonia.  Nel 1839 lo Yucatán si stac­cò dalla confederazione e a lungo si governò autonomamente.  Nel 1835 il Texas, percorso da carovane di immigrati provenienti dagli USA, si ribellò e l’anno dopo si pro­clamò indipendente: il Santa Ana, a capo di un esercito messica­no, fu sconfitto e fatto prigioniero. Nel 1845 la repubblica del Texas chiese  l’annessione agli USA: invece di accettare il fatto compiuto, il governo messicano dichiarò guerra agli Stati Uniti, conclusa con l’occupazione di Città del Messico da parte del generale Winfield Scott che impose la cessione non solo del Texas, ma anche della California e dei territori intermedi. Le recriminazioni dei messicani, sul piano giuridico, erano giustificate, ma era impossibile che un grande Sta­to con vocazione continentale come gli USA non occupasse un ter­ritorio spopolato, sul quale  il falli­mentare governo del Messico non era in grado di stabilire una qualche parvenza di ordine.
Mancato accordo tra forze culturali e politiche Nel Messico esistevano forze intellettuali degne d’essere ascoltate, e aveva sede la più antica università del continente, eppure le lotte senza quartiere tra federalisti e centralisti, tra liberali e conservatori, paralizzavano qualunque tentativo di governo stabile.  Le cause del disagio vanno cercate in una struttura sociale arretrata. Tutta la ter­ra era posseduta da una piccola oligarchia di creoli; la proprie­tà ecclesiastica era immensa, ma non produceva ricchezza; la mag­gioranza della popolazione era composta di braccianti agricoli, per lo più pagati in natura e quindi incapaci di trasformarsi in piccoli proprietari; poi c’era una schiera di ufficiali dell’e­sercito intriganti e di soldati oziosi privi di co­scienza sociale.
Riforme di Benito Juarez Verso la metà del secolo XIX cominciò a farsi strada il movimento di riforma in senso liberale, af­frettata dalla rivolta dello Stato di Guerrero. Il San­ta Ana fu rovesciato e al suo posto andò un indio, Benito Juarez. Nel 1855 il Juarez fece approvare una serie di leggi di stampo liberale: abolizione dei tribunali privilegiati dei militari e del clero; soppressione dell’ordine dei Gesuiti; divieto agli enti civili ed ecclesiastici di possedere beni immobili. Quest’ultima legge non decretava la confisca delle terre della Chiesa, bensì ordinava di venderle, nel tentativo di farle coltivare meglio e di creare la piccola proprietà contadi­na. In realtà le terre della Chiesa passarono nelle mani dei grandi proprietari a prezzi irrisori.  Poiché anche gli enti ci­vili come i comuni non potevano possedere beni immobili, furono costretti a vendere, ma ancora una volta i beneficiari non furono i braccianti poveri.
Nuova Costituzione e guerra civile Nel 1857 fu approvata una co­stituzione con un governo accentrato per difen­dere il nuovo assetto della società. A dicembre scoppiò la rivolta nella capitale e il Juarez dovette fuggire a Veracruz per organizzare nelle province la resistenza. La guerra civile durò tre anni e fu feroce. Nel 1859 il Juarez propose riforme ancora più radicali: la Chiesa fu privata anche della personalità giuridica, i monasteri furono soppressi, fu istituito il matrimonio civile. Poi si cercò di dividere la grande proprietà, di incoraggiare l’immigrazione e di diffondere l’istruzione. Il Juarez aveva ottenuto il riconoscimento degli USA e nel 1860 la sua causa sembrò trionfare. Nel 1861 Beni­to Juarez rientrò a Città del Messico, espulse gli ecclesiastici e cercò di rendere operanti le leggi di riforma. La guerriglia, tuttavia, continuava e perciò, non avendo più fonti di finanzia­mento, il Juarez decise di sospendere il pagamento dei debiti esteri del Messico.
Il Messico sospende i pagamenti La decisione fu di estrema gra­vità, perché ora anche gli USA, la Gran Bretagna, la Spagna, la Francia si opposero al governo di Juarez.  Per di più gli USA fu­rono impegnati dalla guerra civile e non furono attivi in politica estera fino al 1865.  Gli altri Stati decisero un’a­zione militare in comune per sostenere i loro crediti con l’occu­pazione di parte del territorio messicano.
Napoleone III e Massimiliano d’Absburgo Non così fece Napoleone III che amava gli intrighi politici, sperando che le sue truppe fossero accolte come liberatrici instaurando una monarchia moderata in grado di mediare le tensioni accumulate ne­gli anni precedenti. Al contrario, le truppe francesi incontra­rono una feroce resistenza. Il sovrano scelto da Napoleone III, Massimiliano d’Absburgo, fu incoronato imperatore del Messico nel 1864, ma a questo punto il castello di intrighi e inganni che avevano caratterizzato l’avventura, cadde. Benito Juarez divenne non solo l’idolo dei liberali ma anche il rappresentante della volontà d’indipendenza del paese dagli stranieri. L’imperatore Massimiliano fu abbandonato da tutti, compreso Napoleone che non poteva resistere alle pres­sioni degli USA. Nel 1867 le truppe francesi furono ritirate e il Juarez riuscì ad ac­cerchiare Massimiliano che fu catturato e fucilato.
Ultimi anni di Benito Juarez Dal 1867 al 1872, anno della morte, il Juarez fu presidente incontrastato del Messico, un paese impo­verito, indebitato, percorso ancora da rivolte, potenzialmente ricco, sull’orlo del fallimento nei fatti.  Il potere, dopo la morte del Juarez, fu preso da un luogotenente, Porfirio Diaz che avviò un processo di sviluppo del paese nel corso di una dittatura durata fino all’inizio del XX secolo.

13. 5  Lo sviluppo del Brasile e del Cile
A conti fatti, il più fortunato degli Stati dell’America la­tina risultò il Brasile.  Le guerre e i disordini civili avevano minato la struttura degli altri Stati americani, mentre il Brasi­le aveva operato il trapasso dal periodo coloniale all’indipen­denza senza spargimento di sangue e senza distruzione di beni.
Crolla il prestigio di Pietro I La guerra combattuta per il con­trollo dell’Uruguay non era stata vittoriosa e ai Brasiliani non piaceva la cerchia di Portoghesi che circondava l’imperatore. Pietro I, nel 1831, fu costretto ad abdicare a favore del figlio di soli sei anni e il potere passò all’aristocra­zia creola brasiliana. 
Minorità di Pietro II Pietro II, o meglio i suoi tutori, dovet­tero affrontare pronunciamenti dei militari, insurrezioni, tenta­tivi di indipendenza delle province più lontane che portarono il paese ad adottare una struttura di governo federale con notevoli poteri assegnati alle assemblee locali.  L’enorme paese era abi­tato da quattro milioni di abitanti, tutti insediati sulla costa, a eccezione dello Stato di Minas Gerais.
Fine dell’ordinamento federale Il Brasile fu tanto fortunato da trovare una classe dirigente abbastanza saggia e competente che si schierò a difesa dell’imperatore bambino e che nel 1840 riuscì a far recedere il paese dall’ordinamento federale che poteva por­tare il Brasile a divisioni interne. In quell’anno Pietro II fu dichiarato maggiorenne, ma incominciò a regnare solo nel 1847 quando le secessioni del Rio Grande do Sul e di Pernambuco erano state domate. Da quel momento e per circa quarant’anni, il Bra­sile godette dei benefici della pace e poté avviare il processo di sviluppo quanto mai arduo in un paese immenso che solo nel 1871 arrivò a contare dieci milioni di abitanti, un terzo dei quali erano schiavi negri e moltissimi dei liberi erano analfabe­ti. La vita economica del paese era dominata dai piantatori di canna da zucchero e di cotone al nord, dagli allevatori di be­stiame al centro e dai piantatori di caffè al sud. Dopo il 1850, la diffusione su scala mondiale di quella bevanda dette il sopravvento agli Stati meridionali del Brasile, San Pao­lo, Minas Gerais, Rio de Janeiro, con accumuli di ricchezza ver­tiginosi. Con la ricchezza arrivarono le banche, le ferrovie, il telegrafo, le fabbriche, l’illuminazione a gas della capitale, la navigazione a vapore sul Rio delle Amazzoni.
Struttura sociale e politica del Brasile  La struttura sociale del paese era dominata dal facendeiro, il grande proprietario terriero. Costui faceva lavorare le sue immense proprietà da schiavi, abitava in palazzi simili a regge, e aveva il diritto di vo­to. Il governo rispondeva del suo operato all’imperatore che esercitava il potere esecutivo e una sorta di azione moderatrice tra l’aristocrazia terriera e il resto del paese. L’impero rag­giunse il suo apogeo nel 1865 in una situazione di boom economico che vedeva le entrate in continua ascesa e l’investimento di ca­pitali esteri molto sostenuto a causa della stabi­lità politica e della regolarità dei pagamenti internazionali. 
Caduta della monarchia Ma la prosperità e la diversificazione della produzione brasiliana cominciarono a far franare il presti­gio della monarchia. Il Brasile, dopo il 1863 quando Lincoln proclamò l’emancipazione degli schiavi negri, era rimasto l’unico grande Stato schiavista, e la monarchia non seppe affrontare il problema con sufficiente coraggio. Inoltre il Brasile era l’uni­co Stato monarchico di tutto il continente ed era naturale che sorgesse in Brasile un movimento repubblicano. Lo scontro tra Stato e Chiesa fu provocato dalla massoneria, assai potente nell’ambito finanziario. Poiché la Chiesa si mostrò ostile al pieno riconoscimento della massoneria, mentre Pietro II doveva farle spazio, gran parte della gerarchia ecclesiastica tolse all’imperatore il suo incondizionato appoggio. Infine, la guerra del Paraguay, anche se alla fine fu vittoriosa, lasciò nei mili­tari profondi motivi di risentimento verso Pietro II che a loro giudizio non aveva saputo piegare l’egoismo della grande finanza a favore di una mobilitazione del paese più decisa. L’impero so­pravvisse fino al 1889, quando per tacito accordo dei principali poteri brasiliani fu decisa l’istituzione di una repubblica di stampo positivista e affaristico, senza alcuna connessione col passato coloniale.
Cile Passando al Cile ci imbattiamo nell’unico degli Stati ex spagnoli che abbia avuto un reale sviluppo dopo l’indipendenza paragonabile a quello del Brasile. Il territorio del Cile è formato da una striscia lunga e sottile tra l’Oceano Pacifico e le Ande, chiuso dai ghiacci nell’estremo sud e dal deserto di Atacama a nord.  Verso il 1830 aveva circa un milione di abitanti con scarsa presenza di indios. 
Struttura sociale del Cile Anche in Cile prevaleva il sistema agrario della grande hacienda indivisibile che aveva prodotto una categoria sociale conservatrice, omogenea, abbastanza colta. Il paese era perciò dominato da una oligarchia che dopo i disordini collegati con la dichiarazione di indipendenza seppe organizzarsi e amministrare lo Stato in modo efficiente per merito di Diego Portales che nel 1831 fece promulgare una costituzio­ne adatta alla struttura sociale e alle tradizioni cilene. Il fedecommesso, in forza del quale la hacienda era indivisibi­le, fu ripristinato; il diritto di voto fu negato agli analfabe­ti e ai nullatenenti, ossia alla maggior parte della popolazione; lo Stato appariva alleato alla Chiesa e i poteri locali erano subordinati al potere centrale. Il presidente della repubblica aveva perciò poteri molto estesi, ma non poteva esercitarli se­guendo il vantaggio personale, bensì doveva tener conto della categoria sociale che l’aveva espresso. Per quarant’anni il sistema funzionò e ci furono solo quattro presidenti il cui man­dato di cinque anni fu sempre rinnovato. Occorre anche ricordare che dopo il 1840 furono scoperte grandi miniere di rame e d’argento, e anche di carbone nel sud del paese, facilitando le relazioni d’affari col resto del mondo. La solvibilità finanziaria permise gli investimenti esteri, in particolare della Gran Bretagna, che favorirono l’introduzione della navigazione a vapore, le ferrovie, il telegrafo. Nel 1842 fu fondata l’università del Cile e fiorì una vivace vita in­tellettuale con l’aiuto di esuli dalle altre più sfortunate re­pubbliche.
Fine dell’oligarchia Le cause dell’ordine e della prosperità del Cile vanno cercate nell’essere stato a lungo un paese a partito unico nel momento del suo sviluppo. Poi le idee liberali presero il sopravvento: nel 1851 i liberali tentarono di invalidare l’elezione di Manuel Montt, provocando una breve ma cruenta guerra civile, terminata con la presa del potere da parte del Montt per un decennio. Montt tutta­via spezzò il monopolio del potere oligarchico con una legge del 1852 che aboliva l’istituto del fedecommesso. La proprietà fon­diaria si divise favorendo una maggiore produttività. Anche l’armonia con la Chiesa fu distrutta, ma senza dar luogo a leggi eversive nei suoi confronti. Nel 1859 scoppiò una nuova guerra civile provocata dall’opposizione dei liberali all’elezione di un fedele seguace del Montt. Ne risultò il ritiro della sua candidatura e l’elezione di José Joaquin Perez che av­viò il processo di liberalizzazione del paese: ci fu una leg­ge che permise i culti non cattolici; poi una legge che favori­va la nascita dei partiti politici e la legge che vietava la rie­lezione del presidente in carica. 
La guerra del Pacifico Dal 1864 al 1871 il Cile fu coinvolto in una guerra contro la Spagna alla quale si è già accennato. Più tardi scoppiò la guerra del Pacifico (1879-1883) che ebbe come teatro d’operazioni il deserto di Atacama, a lungo conteso da Pe­rù e Bolivia, perché si era rivelato un immenso giacimento di ni­trato di soda, un ferti­lizzante. Come risultato della guerra, la Bolivia fu estromessa da ogni accesso al mare e il Perù perdette alcune pro­vince meridionali, mentre il Cile emergeva come la maggiore po­tenza dell’America spagnola, in pieno sviluppo sia sociale sia economico.

13. 6  La dottrina di Monroe
Dal punto di vista della politica internazionale l’indipen­denza dell’America latina fu favorita dalla debolezza dei due Stati iberici che non avevano né le flotte né gli eserciti neces­sari per reprimere le rivolte. Nel 1823, tuttavia era accaduto l’intervento della Francia in Spagna, dove la costituzione fu ritirata e l’assolutismo di Fer­dinando VII restaurato. La Francia aveva agito su mandato espli­cito della Santa Alleanza che nel corso del Congresso di Verona del 1822 aveva adottato quella risoluzione. 
La politica d’intervento della Santa Alleanza La Gran Bretagna non aveva aderito a quella decisione che risultava impolitica e temeva che qualcosa del genere po­tesse estendersi alle ex colonie della Spagna.  Per qualche mese i governi britannico e statunitense avevano trattato per pubblicare una dichiarazione congiunta che mettesse in guardia le grandi potenze da tentativi di rimettere in discussione il nuovo assetto del continente americano. In­fatti, quasi tutto il commercio internazionale latino-americano era passato nelle mani della Gran Bretagna e gli investimenti di danaro inglese erano ingentissimi, tanto da non permettere negli Stati americani quanto era accaduto in Spa­gna.
Monroe Il governo americano preferì agi­re da solo per rendere noto un atteggiamento di fondo della sua politica estera da far valere  anche nei confronti della Gran Bretagna. Si giunse così all’enunciazione della famosa dottrina di Monroe, contenuta nel messaggio sullo stato dell’Unione del 2 dicembre 1823, del presidente James Monroe. Per la politica statunitense l’Europa e l’America dovevano costituire due sfere separate, senza alcuna interferenza. Essendo improbabile che uno Stato americano potesse intervenire in Europa, Monroe intendeva affermare che nessuna potenza europea doveva estendere i principi della Santa Alleanza in America: ogni aggressione contro uno Stato americano sarebbe stata giudicata un’aggressione con­tro gli USA.
La dottrina di Monroe Nel corso del suo messaggio, Monroe dichiarò che il continente americano aveva raggiunto l’indipendenza e che nessuna parte del suo territorio poteva essere oggetto di colonizzazione da parte di una potenza europea. Il messaggio fu accolto con generale soddisfazione dagli Stati latino-americani giunti di re­cente all’indipendenza, anche se la maggior parte di essi puntava­no, per aver protezione, più sulla Gran Bretagna che sugli USA, ancora in fase iniziale di sviluppo industriale.
Eccezioni alla dottrina di Monroe La dottrina di Monroe non fu sempre applicata alla lettera. Abbiamo visto alcuni interventi di potenze europee in America: nel 1833 la Gran Bretagna aveva occupato le isole Falkland al largo dell’Argentina; nel 1838 c’e­ra stato il blocco navale inglese e francese del Rio de la Plata, ma quelle operazioni furono considerate provvedimenti puni­tivi, pressioni esercitate a difesa di interessi economici.
Interventi europei durante la guerra civile degli USA Gli inter­venti europei in America risultarono più decisi durante la guer­ra civile americana tra il 1860 e il 1865: la Spagna occupò la Repubblica dominicana, una sua ex colonia minacciata da Haiti; la Francia intervenne nel Messico collocando  sul trono l’arciduca Massimiliano d’Absburgo. Ma appena terminata la guerra, la cre­scente pressione americana sulla Francia condusse al ritiro del corpo di spedizione francese e alla riaffermazione della dottrina di Monroe che per il resto del secolo giustificò i crescenti interventi degli USA negli affari interni delle re­pubbliche centroamericane e dei Caraibi. In altre parole, la politica dell’equilibrio e dei compensi per ogni accrescimento di potenza degli altri Stati che reggeva la politica europea non valeva per il continente americano il cui equilibrio doveva avere un solo arbitro, gli USA.

13. 7 Cronologia essenziale

1811 Il Venezuela proclama l’indipendenza dalla Spagna.
1816 Il vicereame del Rio de la Plata, comprendente Argentina, Uruguay, Paraguay e Bolivia, si proclama indipendente durante il Congresso di Tucumán.
1817 José de San Martin guida la guerra di liberazione in Cile.
1819 Simon Bolívar sbarca in Colombia ove proclama la repubblica.
1821 Il Messico proclama la propria indipendenza: Augustin Itur­bide si nomina imperatore, ma è rovesciato due anni dopo.
1823 Proclamazione della repubblica del Messico.
1823 Il 2 dicembre il presidente degli USA James Monroe enuncia la sua dottrina: l’America agli americani.
1826 Fallisce la Conferenza di Panama convocata dal Bolívar per formare una grande confederazione degli Stati latino-americani.
1831 Pietro I, imperatore del Brasile è deposto. Gli subentra il figlio Pietro II, sotto un consiglio di reggenza.
1835 Il Texas si proclama indipendente dal Messico e chiede l’an­nessione agli USA.
1845 Guerra del Messico contro gli USA che annettono, oltre al Texas, anche la California e i territori intermedi.

13. 8 Il documento storico
La dottrina di Monroe, essenzialmente, si riduce a due prin­cipi: 1) Gli europei sono esclusi da ogni intervento di tipo coloniale in America; 2) Gli americani non interverranno nelle questioni europee. Gli interventi americani nelle due guer­re mondiali si devono intendere come risposta all’aggressione di navi e cittadini americani. Dopo la seconda guerra mondiale la dottrina di Monroe è stata interpretata come opposizione al tentativo di creare regimi comunisti nell’America meri­dionale. Il documento che segue è tratto dal famoso messaggio al Congresso del 2 dicembre 1823 del presidente James Monroe.

      “Non abbiamo mai preso parte alcuna alle guerre delle Po­tenze europee fra di loro; la nostra politica non lo comporta. È soltanto quando i nostri diritti sono intaccati o seriamente mi­nacciati che noi ci consideriamo offesi e ci prepariamo alla di­fesa. Noi abbiamo, di necessità, rapporti più immediati coi movi­menti di questo emisfero, per ragioni che sono chiare ad ogni os­servatore illuminato e imparziale. Il sistema politico delle Po­tenze alleate è essenzialmente diverso da quello dell’America. Questa differenza proviene da quella che esiste nel loro rispet­tivo Governo: e a difendere il nostro Governo, che è stato con­quistato a prezzo di tante perdite di sangue e di ricchezze e sotto il quale abbiamo goduto una felicità senza pari, e maturato dalla saggezza dei cittadini più illuminati, tutta la nazione è votata. Noi dobbiamo tuttavia alla nostra buona fede e alle rela­zioni amichevoli esistenti fra gli Stati Uniti e le Potenze al­leate di dichiarare che noi consideriamo ogni tentativo da parte loro di estendere il loro sistema ad una qualunque parte di que­sto emisfero come pericolosa per la nostra pace e la nostra sicu­rezza. Non siamo mai intervenuti e non interverremo nelle colonie esistenti e nelle dipendenze delle Potenze europee. Ma quanto ai Governi che hanno dichiarato la loro indipendenza, che l’hanno mantenuta e di cui abbiamo riconosciuto l’indipendenza in seguito a gravi riflessioni e in base ai principi di giustizia, noi non potremmo vedere l’intervento di una qualunque Potenza europea al­lo scopo di opprimerli o di controllare in qualche modo il loro destino se non come una manifestazione di disposizioni ostili verso gli Stati Uniti. Nella guerra fra questi Governi e la Spa­gna noi dichiarammo la nostra neutralità all’epoca del loro rico­noscimento, ad essa ci siamo attenuti e ci atterremo finché non vi saranno mutamenti che nel giudizio delle autorità competenti del Governo rendano necessari, da parte degli Stati Uniti, muta­menti indispensabili alla nostra sicurezza.
     La politica che abbiamo adottato verso l’Europa all’inizio delle guerre che hanno così a lungo agitato questa parte del glo­bo, è sempre rimasta la stessa e cioè: non intervenire negli af­fari interni di alcuna potenza europea; considerare il Governo de facto come Governo legittimo per noi; coltivare con esso relazio­ni amichevoli e mantenerle con una politica franca, ferma e co­raggiosa, ammettendo senza distinzione i giusti reclami di ogni Potenza ma senza subire le offese di nessuna. Ma nei riguardi del nostro continente le condizioni sono profondamente diverse. È impossibile che le Potenze alleate estendano il loro sistema po­litico ad una parte qualunque di questi continenti senza porre in pericolo la nostra pace e la nostra felicità; e nessuno può cre­dere che i nostri fratelli del sud, abbandonati a se stessi, adotterebbero tale sistema per loro spontaneo accordo. Ci è pari­menti impossibile, pertanto, di assistere indifferenti a un simi­le intervento, in qualsiasi forma avvenga. Se noi consideriamo ora comparativamente le forze e le risorse della Spagna e dei nuovi Governi d’America e la distanza che li separa, risulta evi­dente che la Spagna non potrà mai sottometterli. La vera politica degli Stati Uniti è di lasciare a se stesse le parti contendenti, nella speranza che le altre Potenze adotteranno lo stesso atteg­giamento”.

Fonte: E. ANCHIERI, Antologia storico-diplomatica. Raccolta ordi­nata di documenti diplomatici, politici, memorialistici, di trat­tati e convenzioni dal 1815 al 1940, I.S.P.I., Milano 1941, pp. 31-33.

13. 9 In biblioteca
Per le vicende dell’America latina molto interessante di P. CHAUNU, Storia dell’America latina, Garzanti, Milano 1955; e del­lo stesso autore, L’America e le Americhe. Storia del continente americano, Dedalo, Bari 1969.


Si consulti anche di T. HALPERIN DONGHI, Storia dell’America latina, Einaudi, Torino 1968, M. CAR­MAGNANI, L’America latina dal Cinquecento a oggi, Feltrinelli, Milano 1975.

Molto esauriente di C. GIBSON- M. CARMAGNANI- J. OD­DONE, L’America latina, UTET, Torino 1976; G. BEYHAUT, America centrale e meridionale, Feltrinelli, Milano 1968.

Per la dottrina di Monroe si consulti di G. DANGERFIELD, L’era dei buoni senti­menti. L’America di Monroe (1812-1829), Einaudi, Torino 1963.