ARISTOTELE

di ANTONIO LIVI. ARISTOTELE. La vita e le opere. Vicende biografiche. Scritti essoterici ed esoterici. Opere di metafisica. Opere di gnoseologia e di logica. Opere di antropologia, di etica, di pedagogia e di politica. Opere di estetica. In che cosa Aristotele si distingue da Platone. La logica. Logica del concetto, del giudizio e del raziocinio. I princìpi primi della scienza. Le quattro forme di razionalità

di Antonio Livi,

tratto da:

“Dal senso comune alla dialettica. Una storia della filosofia”


Casa editrice Leonardo da Vinci, Roma 2004-2005

CAPITOLO TERZO



ARISTOTELE


Parte 1



Il passaggio da Platone ad Aristotele viene spesso descritto in termini di continuità, e di progresso nella continuità; tali categorie – la continuità e il progresso – sono però del tutto inadeguate a esprimere la verità storica del rapporto di Aristotele con il suo maestro, come anche la verità teoretica del pensiero dell’uno e dell’altro. In realtà, Aristotele riprende molti temi che Platone aveva affrontato e (come è nel suo stile) lasciato in parte allo stato di mero problema, senza alcuna soluzione precisa; egli inoltre contraddice direttamente il suo maestro in alcuni punti della sua metafisica, che poi sono quelli più caratteristici del platonismo (basti pensare alla teoria delle Idee), e in altri punti abbandona o lascia inutilizzate importanti intuizioni platoniche, quale soprattutto quella della Trascendenza e della partecipazione (la derivazione, cioè, della realtà mondana dalla Trascendenza stessa). La storia della filosofia, del resto, testimonia come siano divergenti (o almeno possano apparire tali) le categorie metafisiche di Platone e di Aristotele: infatti, il platonismo, come abbiamo già detto, rimane per secoli una scuola di pensiero feconda e ricca di autori importanti, sia pagani che cristiani, ebrei e musulmani; contemporaneamente, l’aristotelismo sopravvive in scuole e in nuove riprese teoretiche quasi sempre in contrapposizione al platonismo, come vedremo in dettaglio nei successivi capitoli di questo primo volume.

Semplificando alquanto, per esigenze di brevità, questi caratteri distintivi e divergenti del sistema platonico e di quello aristotelico, si potrebbe dire che da Platone deriva tutta una tradizione millenaria di pensiero che esprime la metafisica con il linguaggio problematico, allusivo e suggestivo del dialogo, della poesia, del dramma, della testimonianza, dell’aforisma…; mentre da Aristotele deriva la tradizione, altrettanto antica e vitale, della metafisica come “scienza rigorosa”, con le sue precise definizioni, con i ragionamenti espressi con il massimo possibile di limpidezza formale, con una pretesa di sistematicità e di enciclopedismo che fa della metafisica il centro e il coronamento di un sapere universale comprendente le altre scienze, soprattutto quelle della natura. Alla prima tradizione appartengono Plotino, sant’Agostino, san Bonaventura, Pascal, Kierkegaard, Heidegger…; alla seconda appartengono (sempre per fare solo degli esempi) sant’Anselmo, san Tommaso, il beato Duns Scoto, Descartes, Spinoza, Leibniz, Hegel, Rosmini, Husserl…

Ma l’elemento più caratteristico della differenza o discontinuità di Aristotele rispetto a Platone è l’elemento religioso; se è vero che anche Aristotele, come Platone, colloca Dio al vertice delle realtà metafisiche, il Dio di Aristotele non è più, come per Platone, il Bene dal quale l’uomo proviene e al quale anela di ricongiungersi in una vita eterna e beata, bensì un Motore immobile dell’universo, intento a contemplare sé stesso ed estraneo ai destini dell’uomo; il quale uomo, per Aristotele, non sembra avere un’anima immortale destinata all’unione con Dio, né una vita morale che abbia il suo culmine nella vita religiosa, cioè nel rapporto con Dio. Ciò spiega come mai molti pensatori cristiani, nel corso dei secoli, abbiano visto in Platone un “cristiano” ante litteram e abbiano considerato invece Aristotele un “pagano”, intendendo dire un razionalista privo di afflato religioso, un naturalista legato ai soli valori mondani.


 

1. La vita e le opere.


Appartenente a una famiglia aristocratica, Aristotele è noto come lo “Stagirita” in quanto nacque a Stagira (colonia greca della Tracia, sul mare Egeo, nei paesi dell’odierna Salamicco) nell’anno 384 av. Cr.; il padre, Nicomaco, fu medico alla corte di Filippo il Macedone, e la madre era una donna  di nome Festide, nativa di Calcide, nell’Eubea.


Vicende biografiche


Rimasto orfano molto giovane, fu portato ad Atene e intorno al 366 entrò nell’Accademia platonica. Proprio alla scuola di Platone Aristotele maturò e consolidò in maniera definitiva la sua vocazione filosofica, tanto che vi rimase  per venti anni. Alla morte del suo maestro, nel 347, Aristotele abbandonò Atene, forse per il fatto che la direzione dell’Accademia era stata assunta da Speusippo, rappresentante di una corrente completamente contraria alle convinzioni personali che il giovane filosofo si era formato. Lasciata la Grecia, Aristotele si diresse in Asia Minore, dove ebbe inizio una fase molto importante della sua vita. In un primo momento si stabilì ad Asso, dove insieme a Senocrate e ad altri discepoli di Platone fondò una sua scuola. Dopo tre anni, in compagnia del suo discepolo Teofrasto si trasferì a Mitilene, sull’isola di Lesbo. Durante la permanenza ad Asso sembra che lo Stagirita abbia impartito dei corsi sulle discipline più propriamente filosofiche, mentre a Mitilene si dedicò probabilmente alle ricerche di scienze naturali, studiando in particolare la biologia marina.

 L’anno 343 segna l’inizio di un nuovo periodo nella vita di Aristotele, poiché Filippo di Macedonia lo convocò a Pella, capitale del regno, per affidargli l’educazione del figlio dodicenne Alessandro, che sarebbe passato alla storia con il nome di  Alessandro Magno. Aristotele rimase in Macedonia fino all’anno 336, quando Alessandro salì al trono, dopo di che, nel 335, fece ritorno ad Atene e affittò per sé e per i suoi discepoli alcuni edifici vicini al tempio consacrato ad Apollo Likaios, da cui deriva il nome di “Likaion” (che in latino diventò “Licaeum” e in italiano Liceo) che poi ebbe la sua scuola; in séguito, siccome Aristotele teneva le sue lezioni passeggiando per i giardini che erano all’interno di questi edifici, la sua scuola fu anche chiamata Peripato – dal greco peripatós (= passeggio) – e “peripatetici” furono chiamati per molti secoli i discepoli di Aristotele. Il Liceo (o Peripato) si contrappose all’Accademia di Platone, diretta allora dall’amico Senocrate, e per qualche tempo addirittura la eclissò del tutto, sostituendosi ad essa come punto di riferimento della filosofia ad Atene.  Questo secondo periodo ateniese fu il più fruttuoso per la produzione filosofica di Aristotele: fu proprio allora, infatti, che Aristotele sistematizzò tutti i materiali didattici di argomento filosofico che sono giunti fino a noi.

 Nel 323, alla morte Alessandro, ad Atene si scatenò una forte reazione antimacedone, nella quale lo stesso Aristotele fu coinvolto per essere stato il precettore dell’odiato conquistatore. Sottraendosi alle insidie dei suoi nemici, Aristotele, ormai settantenne, si ritirò in Calcidia, lasciando la direzione del Liceo nelle mani di Teofrasto. Morì nel 322, dopo pochi mesi di esilio: lasciava un figlio, di nome Nicomaco, famoso per aver avuto dedicata dal padre una delle sue opere principali di etica. Fu sepolto a Calcide, nell’Eubea, non lontano da Atene.


Scritti essoterici ed esoterici


Le opere di Aristotele si dividono in due grandi gruppi: gli scritti cosiddetti essoterici, sotto forma di dialoghi e destinati a un vasto pubblico; e gli scritti esoterici, base dell’attività didattica di Aristotele, destinati solamente ai suoi discepoli e pertanto patrimonio esclusivo della scuola. Il primo gruppo di scritti è andato quasi del tutto perduto, e a noi non sono arrivati che pochi titoli e qualche frammento. Forse il primo scritto essoterico fu il Grillo o Sulla retorica, mentre gli ultimi furono il Protrettico e Perí Philosophías [“Sulla filosofia”]). Secondo un’antica testimonianza, Aristotele avrebbe scritto nel Protrettico una giustificazione della necessità della filosofia in forma dialettica, giustificazione che mantiene tuttora la sua validità nei confronti di quanti pretendono di eliminare la filosofia in favore delle scienze particolari o della prassi: «Se si deve filosofare, ciò non è possibile se non filosofando; ma, se non si deve filosofare, [per dirlo] occorre filosofare; e così, in un modo o nell’altro bisogna sempre filosofare. Infatti, se la filosofia esiste qualcuno dovrà sempre filosofare, poiché la filosofia è una cosa che esiste; se invece supponiamo che la filosofia non esista, allora dovremo ugualmente cercare il motivo per cui la filosofia non esiste: ma tale ricerca si attua proprio filosofando, dato che è proprio la ricerca ciò che produce la filosofia» (in Aristotelis fragmenta selecta,  a cura di William David Ross, Clarendon Press, Oxford 1958, pp. 27-28).  Altri scritti giovanili che meritano di essere menzionati sono: …………………….. (Perí idéon [“Sulle Idee”]), Sul Bene e il dialogo Eudemo. Tutto il contrario si è verificato per la maggior parte delle opere di scuola, che trattano tutti i problemi filosofici e alcuni rami delle scienze naturali. Questi scritti si possono  classificare per argomento;  se ne ricavano così cinque gruppi, a seconda che si tratti di opere di metafisica; di filosofia della natura;  di gnoseologia e logica; di antropologia, etica, pedagogia e politica; e infine di estetica.


Opere di metafisica

L’opera aristotelica più nota – ed è effettivamene quella principale – venne chiamata appunto Metafisica da Andronico di Rodi; si tratta di un trattato in quattordici libri, in cui Aristotele distingue le conoscenze particolari da quella filosofica, intesa questa come scienza delle cause e dei princìpi primi. Vengono studiati l’essere nelle sue proprietà e attribuzioni (ontologia) e nel suo divenire (atto e potenza), quindi l’uno e il molteplice, e infine la sostanza  e gli accidenti. Inoltre in quest’opera è delineata la prima visione critico-storica di tutte le posizioni, impostazioni e soluzioni dei problemi filosofici da Talete a Platone. Per quanto riguarda il problema teologico, Aristotele ne fa un approfondimento di quello metafisico, per cui le questioni che riguardano Dio le troviamo per lo più trattate in quest’opera, oltre che in tutte le altre.


Opere di filosofia della natura


In questo campo Aristotele è famoso anzitutto per la Fisica: opera grandiosa composta di otto libri ai quali sono collegati i trattati Intorno al cielo (quattro libri); Intorno alle Meteore (quattro libri); Intorno alla generazione e corruzione (due libri); in queste opere sono trattate questioni filosofiche prevalentemente cosmologiche e astronomiche (il mondo sublunare è corruttibile, quello sopralunare è incorruttibile, e così via). A queste opere si affianca la Storia degli animali: il termine “historía” significa in greco “osservazione”; è dunque un’opera di zoologia e si articola nei seguenti libri: Sulle parti degli animali, Intorno alla trasmigrazione degli animali, Intorno al movimento degli animali: sono trattati filosofici sulla vita, a partire dai dati della biologia e della zoologia.



Opere di gnoseologia e di logica


Viene tradizionalmente denominato Organon ( = strumento  [del pensiero]) un ampio trattato intorno alle regole logiche del soggetto conoscente in relazione all’oggetto conoscibile, quindi contiene continue dissertazioni, riferimenti e princìpi intimamente connessi alla metafisica. L’Organon è composto dei seguenti libri:

1)      le Categorie: libro in cui si parla dei generi supremi e dei modi generalissimi dell’ente che l’intelletto deduce e predica; sicché le categorie  sono dette anche predicamenti e sono la sostanza e i suoi accidenti; Aristotele ne deduce nove e li aggiunge al primo, cioè alla sostanza; 

2)      il Perì hermenèias [“Intorno all’interpretazione”]), un libro che tratta dei giudizi;

3)      i  Primi Analitici: due libri che trattano del sillogismo in generale;

4)      i Secondi Analitici: due libri che dimostrano come solo attraverso il sillogismo si perviene alla scienza della verità;

5)      i Topici: otto libri in cui viene esaminato il sillogismo come ragionamento dialettico che, se parte da premesse soltanto probabili, non può raggiungere conclusioni certe; da questo libro aristotelico deriva la disciplina retorica denominata appunto “topica”.

6)      i Sophistikòi èlenchoi [“I ragionamenti sofistici”]: in essi, sulle tracce di Platone, mostra al vacuità della sofistica, dimostrando come essa consista in una rete di fallacie (sillogismi apparenti) che conducono fatalmente all’errore.

 


Opere di antropologia, di etica, di pedagogia e di politica


Per quanto riguarda l’uomo, Aristotele scrisse un trattato che per molti secoli è stato la base di ogni discorso antropologico: è il trattato Perì pychés [“Sull’anima”]; assieme a quello Aristotele ha anche scritto un trattato passato alla storia con il nome latino di Parva naturalia (“Sulle cose minori della natura”), dove abbiamo lo studio critico della natura sensibile e psichica dell’uomo (anima, senso e sensibile, memoria e reminiscenza, sonno e veglia).

            Sui problemi della morale in generale, Aristotele scrisse l’Etica Eudemia,  attribuita un tempo al discepolo Eudemo, ma ora rivendicata e ritenuta autentica; la Grande Etica: chiamata “grande” non per la mole, ma per i grandi valori morali che vi sono trattati; e l’Etica a Nicomaco.; quest’ultima è l’opera più importante per ordine, compiutezza e valore letterario, sì che divenne l’Etica di Aristotele per antonomasia; introdotta a Parigi fin dal 1215, fu la più popolare delle opere aristoteliche, riassunta, tradotta e commentata in ogni tempo e in ogni nazione. Nelle opere di etica Aristotele delinea una visione armonica nella quale l’attività pratica è descritta come effetto rispondente, necessario ed equilibrato dell’attività teoretica; perciò l’attività teoretica, secondo l’insegnamento di Socrate, rimane il fondamento necessario e indispensabile dell’agire umano.

Per quanto riguarda l’etica pubblica, Aristotele scrisse la Politica, in otto libri, in cui vengono  delineati i principi metafisici circa la naturale socievolezza dell’uomo, la famiglia come fonte della società, la natura, funzione e fine dello Stato e  i vari tipi di governo (democratico, aristocratico, monarchico, tirannico);  l’opera comprendeva anche una raccolta, pervenuteci solo in parte, di testi legislativi in cui doveva esservi la storia delle costituzioni di centocinquantotto città, sia greche che barbare (nel 1891 è stata rinvenuta quella di Atene).


Opere di estetica


Aristotele scrisse anche il trattato su L’arte della retorica, in tre libri in cui si insegna che l’oggetto della vera retorica è il verosimile, e il fine è la persuasione degli ascoltatori; si parla inoltre della natura del discorso, delle sue parti e delle regole per la sua efficacia; sull’arte letteraria scrisse invece la Poetica, un trattato giuntoci incompleto, in cui si parla della genesi storica della poesia, dei molteplici generi e della varie regole da applicare per avere un’opera d’arte, e infine della genesi della commedia e  della tragedia.


Gli scritti aristotelici a noi pervenuti, destinati all’attività didattica, si presentano come trattati di grande spessore dottrinale, redatti con uno stile molte volte arido, e probabilmente più volte corretti nel corso del tempo dallo stesso Aristotele, il che  non permette di stabilire con facilità una precisa cronologia. Per questa ragione, nell’esposizione del suo pensiero non seguiremo nessun ipotetico schema cronologico ma, come faceva lo stesso Aristotele, distingueremo nell’àmbito della sua filosofia i diversi settori – ossia le diverse scienze – di cui egli si occupa. Aggiungiamo subito che il pensiero di Aristotele in queste opere esoteriche appare per lo più slegato dagli insegnamenti del suo maestro. Nonostante ciò, come vedremo meglio in seguito, non si può parlare di opposizione tra i due filosofi: Aristotele effettivamente si distacca da Platone in molti aspetti, ma altrettanti sono i punti di contatto, e in definitiva non si può dimenticare che senza la dottrina del suo maestro Aristotele non avrebbe potuto costruire la sua.


In che cosa Aristotele si distingue da Platone.


Per comprendere nel suo vero significato il pensiero di Aristotele, conviene innanzitutto chiarire quale fu la posizione che egli assunse nei confronti della dottrina del suo maestro. Spesso, infatti, quando si presenta Aristotele si tende a sottolineare la sua opposizione nei confronti degli insegnamenti platonici, ed è vero che Aristotele criticò e rifiutò la dottrina delle Idee; tuttavia nel rifiutarla non aveva la pretesa di negare l’esistenza di realtà diverse dalle cose sensibili: voleva dimostrare soltanto che la realtà intelligibile non è separata dal mondo sensibile,  come Platone pensava.


[Aristotele difende, contro Platone, l’immanenza degli universali] Per Platone, come abbiamo visto,  le Idee sono la causa delle cose di questo mondo, e in quanto tali devono essere presenti all’interno di queste, poiché ogni realtà sensibile partecipa a questa o a quell’Idea. Allo stesso tempo, le Idee sono trascendenti, e di conseguenza sussistono separatamente dalla realtà sensibile. Aristotele rifiuta questo modo di concepire le cose sensibili, e lo rifiuta soprattutto in riferimento alla trascendenza delle Idee platoniche; ciò che costituisce l’essenza delle cose, il loro fondamento, può essere solamente interno ad esse, e mai al di fuori, come dotato di una sussistenza propria. Inoltre Platone, come pure abbiamo visto, era preoccupato soprattutto del mondo delle Idee, e non di quello sensibile, e i suoi discepoli – fatta  eccezione proprio nel caso di Aristotele – continuarono le loro ricerche in questa direzione. Aristotele sceglie fin dall’inizio tutt’altra strada. La sua critica può essere sintetizzata nei seguenti punti: da una parte, la “forma” delle cose non può essere pensata come trascendente ma come esclusivamente immanente; dall’altra, le Idee di Platone, per il loro carattere di sostanze, di entità sussistenti, non possono identificarsi del tutto con la forma immanente delle cose. L’immanenza per Aristotele non sarebbe tanto prerogativa dell’Idea, quanto piuttosto dell’universale, e l’universale non può essere sostanza, poiché secondo Aristotele la sostanza è sempre e comunque individuale (si vedano altri particolari di questo confronto tra Aristotele e Platone nei Problemi di interpretazione, 1).


 Questa trasformazione delle Idee in fondamento intelligibile di tutte le cose sensibili non implica tuttavia la rinuncia a ogni forma di trascendenza; anche per Aristotele esiste un principio trascendente che è causa delle cose sensibili, e tale principio è Dio, il Motore immobile, principio non solo intelligibile come le Idee, ma esso stesso intelligente, pensiero di pensiero.


[Primato della forma sulla materia secondo Aristotele] Oltre che della forma, Aristotele parla di un altro principio della realtà sensibile: la materia, che si comporta nei confronti della forma come potenza. Così Aristotele può salvare la realtà delle cose sensibili, rifiutando la teoria della trascendenza delle Idee ma conservando il principio platonico del primato della forma sulla materia. Tuttavia, per Aristotele la forma non costituisce né l’unico principio della realtà, né il principio ontologico per eccellenza. Sinteticamente, si potrebbe dire che, se per Platone l’essere è principalmente consistenza o identità, Aristotele, considerando la forma come principio costitutivo di ogni realtà sensibile, concepisce l’essere soprattutto come sussistenza. Aristotele, in  conclusione, più che opporsi al platonismo lo corregge e lo sviluppa; la sua filosofia si può comprendere solo nell’ottica platonica e, anche se troviamo spesso molto di personale, di diverso e addirittura di contrario allo spirito del suo maestro, alla base della filosofia aristotelica c’è sempre quella dottrina che per venti anni lo Stagirita apprese e discusse nell’Accademia.


[Differenze di metodo e di interessi tra Aristotele e Platone circa la religione, la matematica, la ricerca scientifica] Non si possono peraltro negare la differenza di carattere, di formazione e di interessi che hanno diversamente segnato l’orientamento dei due filosofi. I dialoghi di Platone in molte occasioni manifestano la sua profonda religiosità, spesso espressa in maniera poetica; Aristotele, invece, pur riservando un posto privilegiato al divino, non dà molto spazio nei suoi scritti alle sue credenze religiose, occupandosi – specialmente nelle opere esoteriche – di problemi teorici, da studiare con il rigore del metodo scientifico.


Tra le scienze teoriche, oltre che della metafisica Platone si era occupato prima di tutto delle matematiche, trascurando le scienze empiriche. Aristotele, al contrario, nutre un interesse speciale per i fenomeni fisici e per quasi tutte le scienze naturali, dedicandosi in molte occasioni a rilevare e a classificare fatti empirici. Platone non è uno scrittore sistematico; nei suoi dialoghi i discorsi si disperdono e si mescolano, si risolvono, e poi spesso ritornano sugli stessi punti, trattandoli nuovamente e suscitando nuove questioni. Aristotele, al contrario, delimita e stabilisce i problemi del sapere filosofico per trattarli separatamente, utilizzando metodi specifici nelle diverse opere. Inoltre, mentre Aristotele si sforza di esprimere il suo pensiero attraverso un linguaggio tecnico, Platone si serve del linguaggio ordinario dei dialoghi tra filosofi e della metafora poetica. Queste divergenze hanno indotto a parlare di una grande distanza tra il discepolo e il suo maestro, ma bisogna riconoscere che tale distanza è più apparente che reale: lo dimostra, tra l’altro, che un sistema coerente e fecondo come quello di Tommaso d’Aquino ha potuto valersi di princìpi metafisici sia dell’uno che dell’altro filosofo, armonizzando la nozione platonica di “partecipazione” con la nozione aristotelica di “matera e forma” (vedi più avanti, cap. X ).


Adesso, per esporre sinteticamente il pensiero di Aristotele seguiremo l’ordine che Aristotele stesso consiglia:  studieremo prima di tutto la logica, per il suo carattere strumentale e ausiliare rispetto alle altre scienze; successivamente ci occuperemo delle scienze che Aristotele considera teoriche, e tra queste la fisica (o filososofia della natura) e la “filosofia prima” o metafisica; in ultimo ci soffermeremo sull’etica, che è la principale tra le scienza pratiche, introducendola con la dottrina aristotelica sull’uomo (ciò che oggi chiamiamo antropologia) e mostrandone la dimensione comunitaria, ossia la politica.

 

2. La logica.


Una felice intuizione del curatore delle opere che Aristotele dedicò all’esposizione di ciò che oggi chiamiamo “logica” (ma il termine fu coniato successivamente,  dagli Stoici) è quella per cui pensò di raggrupparle sotto il nome di “……………………………. [òrganon]  = strumento”. Questo termine manifesta quale fosse il vero l’intento di Aristotele nel parlare del pensiero e dei ragionamenti: esporre gli “strumenti” e i mezzi di qualsiasi procedimento scientifico.


Aristotele conserva il concetto di scienza che aveva ereditato da Platone: la conoscenza scientifica richiede stabilità, deve essere una conoscenza non solo universale, ma anche e soprattutto stabile e necessaria. Questa stabilità l’avevano intuita già i presocratici e Platone in funzione dei rispettivi oggetti di indagine: per Platone, però, la stabilità della scienza era intesa in modo tale che non sembrava  possibile parlare di scienza in rapporto alle realtà contingenti del mondo sensibile, e dunque la scienza poteva riguardare solamente le realtà eterne e immutabili. Aristotele invece fa entrare nel campo della scienza anche l’osservazione e la ricerca delle cause delle sostanze materiali del mondo sensibile; queste sostanze certamente non sono necessarie, possono esserci o non esserci, e sono soggette al cambiamento, ma per Aristotele la conoscenza che noi abbiamo di esse può essere una conoscenza universale, stabile e necessaria,  e pertanto scientifica. Aristotele inaugura così quello che potremmo chiamare “empirismo metafisico”, il quale consiste nel partire dai dati sensibili ma scorgendo in essi l’essenza e l’esistenza delle cose, ossia realtà intelligibili. Vedremo che Tommaso d’Aquino adotterà proprio questo tipo di approccio epistemologico tipicamente aristotelico.

Platone individuava nella dialettica lo strumento  attraverso il quale l’intelletto umano può conoscere il mondo delle Idee e arrivare così a possedere la scienza. Per Aristotele invece il modo di procedere del pensiero umano nell’attività scientifica viene stabilito dalla logica.  Con questo studio Aristotele si ripropone di individuare  come proceda il pensiero umano, quale sia la struttura del ragionamento, come siano possibili le dimostrazioni e quali oggetti possano riguardare.


Logica del concetto, del giudizio e del raziocinio.


Aristotele nella conoscenza umana distingue tre operazioni fondamentali: la semplice apprensione, con cui captiamo la natura delle cose e attraverso la quale si ottengono i concetti; il giudizio, che mette in relazione i concetti tra loro; e infine il raziocinio, con cui procediamo da giudizi già formulati ad altri da formulare. Queste tre operazioni danno luogo ai diversi trattati della logica aristotelica. I sei libri dell’Organon  corrispondono infatti a questi tre aspetti e ad alcune questioni conseguenti.


[Logica del concetto: le categorie]

Il primo trattato, le Categorie, si occupa delle parole o dei termini, espressioni elementari degli atti  intellettivi più semplici, che sono i concetti. Per Aristotele il linguaggio è espressione adeguata della conoscenza intellettuale, e questo a sua volta lo è della realtà. Pertanto, le parole riflettono i diversi modi di essere, a cui tutta la realtà può essere ridotta; questi modi di essere sono dieci e costituiscono i “predicamenti” o “categorie”: «Ogni parola o espressione indipendente o senza legame con altre significa di per sé una di queste cose: o la sostanza o la quantità o la relazione o il dove o il quando o lo stare in una posizione o l’avere o il fare o il patire» (Categorie, 4, 1b 25). Se le categorie rappresentano, come vedremo, i modi fondamentali dell’essere da un punto di vista metafisico, dal punto di vista logico qualsiasi termine della proposizione potrà essere ridotto ai generi supremi. Così, quando dico: Socrate corre, “Socrate” entra nella categoria di sostanza e “corre” nella categoria di azione.


[Logica del giudizio: la proposizione]

 Se uniamo i termini tra loro affermando (o negando) una qualsiasi cosa di un’altra, abbiamo il giudizio. Il giudizio è pertanto l’atto con cui affermiamo (o neghiamo) un concetto di un altro concetto, e l’espressione logica del giudizio è la asserzione o proposizione. Pertanto, la proposizione – a differenze delle parole o dei termini – è sempre vera o falsa. Il giudizio sarà vero o falso a seconda che l’intelligenza abbia unito o separato dall’intelligenza ciò che è realmente unito o separato nell’oggetto della conoscenza: Le affermazioni, così come le negazioni, possono esistere solamente quando vari termini si combinano o si uniscono tra loro. Ogni asserzione positiva o negativa deve essere vera o falsa; però le parole o le espressioni non combinate con altre – per esempio “uomo”, “bianco”, “corre”, “vince” – mai possono essere vere o false (Ibidem, 2 a 1).

Aristotele si occupa della proposizione nel secondo trattato, Sulla interpretazione, distinguendo le diverse classi che possono essere individuate a seconda che le proposizioni siano affermative o negative e di maggiore o minore estensione, e a seconda del modo con cui si afferma o si nega.


[Logica del raziocinio: il sillogismo, l’induzione e la deduzione] Il terzo trattato è quello degli Analitici primi, dove si studia il legame tra proposizioni, ossia la struttura del ragionamento, che per Aristotele è soprattutto il sillogismo. Aristotele ha il merito di aver per primo elaborato tutta una teoria e una tecnica del sillogismo che la filosofia medioevale ha poi solo sviluppato. Questo studio costituisce dunque una vera logica formale, scienza che proprio Aristotele ha creato e portato a un alto livello di sviluppo.

Il quarto trattato è quello degli Analitici secondi, che si occupa della dimostrazione o del raziocinio così come viene impiegato dalle scienze. Temi centrali sono l’induzione, come metodo per arrivare ai primi princìpi della scienza, e i diversi tipi di deduzione. Questo trattato si completa in un certo senso con il quinto, i Topici. In quest’ultimo infatti viene proposta un’altra questione metodologica, la dialettica, concepita però in maniera molto diversa da come era concepita dai sofisti, perché adesso si tratta di rilevare ciò che di vero c’è nel linguaggio ordinario. Qui Aristotele fa un dettagliato studio dei predicabili: Mi ero riproposto il seguente obiettivo: trovare un metodo che ci mettesse in condizioni di trarre conclusioni partendo da una proposizione data servendoci di opinioni generalmente accettate. Questo è in effetti il ruolo della dialettica in particolare, ma anche dell’analisi scientifica. La dialettica è certamente molto vicina alla tecnica sofistica dell’argomentazione, ma si distingue da essa per il fatto che l’interlocutore deve esaminare la proposizione non solamente da un punto di vista formale e dialettico ma anche in rapporto al contenuto (Argomentazioni sofistiche, 34, 183 a 37).

Il trattato da cui abbiamo tratto questa citazione, intitolato appunto Argomentazioni sofistiche, si occupa degli pseudosillogismi o falsi ragionamenti dialettici, per valorizzare l’autentica dialettica, che è al servizio della verità.


 

I princìpi primi della scienza.


Aristotele parte sempre dal dato di esperienza che attesta l’esistenza di sostanze individuali. Tuttavia, al momento di elaborare una scienza su queste, egli distingue l’ente reale dal  modo umano di conoscerlo (logica), perché è evidente che un ente non si trova nella realtà nello stesso modo in cui si trova nella mente umana che lo conosce. Chi afferma il contrario incorre nell’errore di Platone, che pensava che gli enti reali fossero solo le Idee universali, e che di conseguenza non fosse possibile una scienza del mondo fisico. Aristotele si colloca su un altro piano: non si può partire dall’universale, si deve partire dall’esperienza, ossia dall’osservazione della realtà – nella quale troviamo solamente individui, ossia cose singole – dalla quale si astraggono i concetti, che però devono essere sempre conformi alle cose dell’esperienza e a esse sempre riferiti.

 

[La conoscenza dei princìpi si ottiene mediante l’induzione] Negli Analitici secondi Aristotele si pone la questione fondamentale della certezza circa le proposizioni universali prime, che costituiscono i primi princìpi della filosofia: per esempio, come arriviamo al principio di non contraddizione o a quello che il tutto è maggiore delle sue singole parti? Vanno anzitutto scartate due possibilità: che i primi princìpi siano innati, come sosteneva Platone, non vedendo come essi potessero derivare dall’esperienza; oppure che ci si possa arrivare attraverso il ragionamento, cosa impossibile perché presupporrebbe una conoscenza precedente: allora però, da che cosa partire per conoscere i princìpi se proprio essi costituiscono l’inizio? L’unica ipotesi possibile è dunque che essi possano essere derivati dall’esperienza attraverso l’attività spontanea della nostra intelligenza (cfr Analitici secondi, II, 19).

Così come i concetti sono elaborati dall’astrazione a partire dalle sensazioni – il concetto di uomo, per esempio, conoscendo tanti uomini diversi -, allo stesso modo i princìpi o giudizi primi nascono per induzione, a partire dai giudizi sui fenomeni particolari; per esempio, giudicando per evidenza che il tutto di una certa cosa concreta è maggiore delle sue singole parti, intuisco nell’universale il principio indimostrabile ma evidente che ogni tutto è maggiore delle sue singole parti.


[La scienza: conoscenza del fatto risalendo alle sue cause]

Per Aristotele la scienza è la conoscenza certa di un fatto attraverso le sue cause. Seguendo Platone, Aristotele distingue la scienza (episteme) dall’opinione (doxa); quest’ultima si basa su proposizioni possibili, discutibili, diversamente dalla  conoscenza scientifica che esige sapere con ogni certezza come e perché una cosa è, il che implica l’aver potuto risalire alle sue cause necessarie. È un sapere mediato, elaborato, che parte da princìpi immediati, necessari e universali, cioè evidenti e indimostrabili, come sono ad esempio il principio di non contraddizione, il principio del tutto maggiore della singola parte e altri consimili: «Riteniamo di possedere una conoscenza scientifica su qualche cosa  […] quando crediamo di conoscere la causa in virtù della quale quella cosa è, ossia quando riteniamo che la causa che abbiamo individuato sia effettivamente causa della cosa in questione, e che quella cosa non potrebbe essere in maniera diversa da come è […]. Di conseguenza, è impossibile che ciò di cui si possiede la conoscenza scientifica in senso proprio sia diverso da come è in realtà. Ora, se esista un modo diverso di possedere la conoscenza scientifica [ossia una conoscenza intuitiva dei princìpi], questa è una questione di cui ci occuperemo in seguito; per il momento diciamo che possedere una conoscenza scientifica corrisponde a quanto abbiamo detto [ossia conoscere la causa]: è necessario che la scienza dimostrativa proceda da premesse vere, prime, immediate, più note, anteriori e che siano causa delle conclusioni. In questo modo anche i princìpi appartengono a quanto dimostrato» (Analitici Secondi, I, 2, 71 b 9).

La scienza propriamente detta è l’insieme delle conclusioni dimostrate  a partire da questi princìpi, e dimostrare per Aristotele vuol dire procedere mediante sillogismi. I due tipi di dimostrazione propriamente scientifica sono la cosiddetta dimostrazione “propter quid” e la dimostrazione “quia“. La dimostrazione “quia” parte dagli effetti per arrivare alle cause (per esempio, attraverso i sintomi si può dimostrare che una persona ha una determinata malattia); la “propter quid“, al contrario, parte dalle cause per arrivare agli effetti: un esempio chiaro sono i teoremi matematici, che partendo da alcuni princìpi deducono certe conclusioni necessarie (cfr Ibidem, 13).

La scienza, pertanto, è secondo Aristotele una conoscenza necessaria e universale, diversamente dalla conoscenza possibile e contingente che deriva dall’opinione. Siccome la scienza è frutto di princìpi certi ed evidenti, le conclusioni sono necessarie, nel senso che non potrebbero essere diverse. La scienza è inoltre, sempre per Aristotele, una conoscenza universale, nel senso che è immutabile e valida per qualsiasi classe di enti che costituiscano l’oggetto di ogni scienza, e nel senso che si contrappone a una conoscenza che solo alcuni possono avere. Per Aristotele la scienza può riguardare la realtà sensibile, mai però presa nella contingenza dei singoli fatti ma sempre raggruppata in generi o specie, ossia in classi. Insieme a questo concetto di sapere, considerato nel passato come uno dei tratti più tipici del pensiero aristotelico, oggi gli interpreti tendono a rivalutare il ruolo che nel corpus aristotelico assumono altri tipi di razionalità. Oltre al sapere apodittico, infatti, Aristotele teorizza altri modi di sapere meno rigorosi, più accessibili ma dotati anch’essi di un certo grado di necessità. Il loro impiego sarà necessario lì dove l’oggetto e la finalità dello studio non permettano, almeno in un primo momento, l’argomentazione rigorosamente dimostrativa. In particolare, l’attenzione degli interpreti si è concentrata sulla “dialettica” così come la intende Aristotele, e ne è stato messo in luce il valore scientifico . Questo metodo dell’argomentazione, come si è detto, non parte da premesse apodittiche o necessarie, ma soltanto plausibili, cioè da opinioni – éndoxa – generalmente condivise da tutti o almeno dai sapienti; da queste, anche attraverso sillogismi, si raggiungono conclusioni la cui verità è relativa alla verità delle premesse. Tali conclusioni possono raggiungere un grado di necessità che normalmente non sarà assoluto, ma è pur sempre sufficiente nell’àmbito del sapere in cui si sviluppano. La dimostrazione dialettica  si realizza nel contesto di una discussione e tende  a provare la validità o meno di una tesi confrontandola, anche nelle sue conclusioni, con le opinioni accettate da coloro che prendono parte alla discussione e, normalmente, con l’opinione condivisa dalla maggioranza degli uomini o almeno dalla comunità scientifica. Si può accostare questa dottrina aristotelica delle éndoxa alla moderna dottrina del “senso comune”, quale ad esempio si ritrova in Giambattista Vico, il quale distingue il “certo” dal “vero” e dal “verosimile” (si veda vol. II, cap. X). Se la dimostrazione apodittica è la metodologia espositiva di chi possiede un determinato sapere, la dialettica è il metodo più adeguato per il processo di ricerca, di estensione del sapere, in cui – come per Platone – la dimensione dialogica gioca un ruolo importante .


Le quattro forme di razionalità.


Per Aristotele, in definitiva, il logos o razionalità può essere impiegato non solo per la dimostrazione vera e propria ma anche per il dialogo con i diversi interlocutori e per alcune funzioni sociali quali l’oratoria politica e la letteratura. Aristotele infatti parla di quattro tipi di ragione: 1) la ragione dimostrativa, che è quella tipica della scienza, che poi – se viene comunicata – dà luogo all’insegnamento; 2) la ragione dialettica, che è propria della discussione tra gli scienziati e che serve a promuovere la ricerca e a prendere coscienza dei problemi; 3) la ragione retorica, che è indirizzata a persuadere ascoltatori non esperti della materia, più con parole che suscitano emozioni che con argomenti che convincano l’intelletto; 4) la ragione poetica, tipica del teatro e della poesia (epica e lirica), volta non a evidenziare direttamente la verità ma a mostrarne alcuni aspetti collaterali quali la bellezza, la tragicità, la comicità o la sublimità. Queste quattro forme di uso della ragione sono, nella vita reale, spesso intrecciate tra loro: il che non toglie che il primato spetti sempre alla ragione dimostrativa, perché l’uomo non può mai rinunciare a un riferimento più o meno diretto alla verità delle cose, sia nello studio della natura che nella religione, nell’etica, nella politica e nell’attività artistica .

Non manca in Aristotele una nozione modernissima qual è quella di “logica pragmatica”, ossia la nozione di una razionalità dell’agire umano dalla quale si deriva – con l’osservazione e l’induzione – la conoscenza dei princìpi che ispirano colui che agisce, anche se non parla e non fa conoscere la sua l’intenzione; scrive infatti Aristotele: «Si dice la verità sia con il discorso che con la vita» (Etica nicomachea, 1127b).

(Continua)