Testamento di Josyf card. Slipyj (II)

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Il 7 settembre 1984 chiudeva a Roma la sua lunga e travagliata esistenza il cardinale Josyf Slipyj, arcivescovo maggiore di Leopoli degli ucraini, definito dal Pontefice Giovanni Paolo II “uomo di fede invitta, pastore di fermo coraggio, testimone di fedeltà eroica, eminente personalità della Chiesa” (L’Osservatore Romano 19-10-1984). Ecco la seconda parte del testamento tradotto dalla fotocopia del dattiloscritto originale in ucraino, da padre Alessio U. Floridi S.J.

     Quando arrivai a Roma il Concilio Vaticano II era già in corso. Come nei secoli passati, dall’epoca del primo concilio apostolico a Gerusalemme, il concilio è una assemblea dei Pastori della Chiesa di Cristo, che sono testimoni della fede e della vita delle Chiese assegnate al loro insegnamento e ai loro servizi pastorali. I Padri del Concilio testimoniano davanti alla Chiesa e al mondo intero.

Consapevole della grandissima importanza di una testimonianza del genere parlai, nel mio indirizzo ai Padri del Concilio l’11 ottobre 1963, non della mia testimonianza, che era una cosa già nota, ma di quella della Chiesa ucraina. Parlai della testimonianza della sua fede in Cristo e nella Sua Chiesa, una, santa, universale e apostolica; la testimonianza che era sostenuta dal sigillo di sangue della professione coraggiosa della fede, dalla sofferenza e dal martirio, oltre che dalle montagne delle nostre vittime. Allo scopo di esprimere gratitudine e riconoscenza davanti al mondo intero e in modo particolare per dichiarare la solidarietà nella sofferenza con coloro che venivano perse­guitati e anche per dare loro un appoggio morale, lanciai una proposta e preghiera di elevare la sede metropolitana di Kyiv‑Halych e di tutta la Rus’ al rango patriarcale.

Per la prima volta in tutta la storia della nostra Chiesa l’idea della sua elevazione a patriarcato era proposta così chiaramente in pubblico e in una sede così internazionale come il Concilio Ecumenico, sebbene l’idea di per sé non fosse nuova. I metropoliti di Kyiv avevano governato sulla Chiesa come se fossero patriarchi a tutti gli effetti, servendosi dei pieni diritti patriarcali sull’esempio di altre Chiese orientali, anche se non portavano il titolo ufficiale di patriarca. Erano consapevoli che una Chiesa patriarcale costituisce un segno visibile di maturità e di individualità di una Chiesa particolare, e un potente fattore nella vita della Chiesa e del popolo.

Non è cosa sorprendente quindi che nel periodo più tragico di declino e di divisione nella nostra Chiesa, figure così luminose nella nostra storia quali i metropoliti Petro Mohyla e Josyf Venyamyn Rutskyj presero tutte le misure possibili per restaurare l’unità della Chiesa e per salvarla dalla distruzione, unendo tutti sulla base solida del patriarcato di Kyiv e di tutta la Rus’.

Anche i dirigenti del ripristinato giovane Stato ucraino negli anni della rivoluzione (1917‑1920) capirono l’importanza del patriarcato ed espressero il loro desiderio di vedere il metropolita Andrey Sheptyckyj, da poco rilasciato da una prigione zarista, nella posizione di primo patriarca di Kyiv, Halych e di tutta la Rus’. La Costituzione proclamata e ratificata della Repubblica Nazionale Ucraina del 1920 lo esprime chiaramente, e sebbene questa Costituzione fosse di seguito annullata, testimoniava l’idea immortale del patriarcato della nostra Chiesa.

Come dimostra la storia della Chiesa cristiana nelle distese dell’Europa Orientale, il patriarcato di Kyiv avrebbe dovuto proteggere, e avrebbe certamente protetto, l’unità della Chiesa ecumenica di Cristo, oltre alla nostra unità ucraina sia religiosa che nazionale.

Si deve considerare miopia storica la inosservanza data alle importanti intenzioni dei metropoliti Mohyla e Rutskyj dagli ambienti predominanti a quell’epoca nella Sede Apostolica di Roma, una miopia storica con importanti conseguenze fino al giorno d’oggi. Sebbene questi ambienti predominanti non si opponessero di per sé all’idea del patriarcato della nostra Chiesa, un’idea basata sii fatti storici e sulle esigenze della vita religiosa, ciò nonostante giustificarono il loro rifiuto di acconsentire formalmente alla sua realizzazione con il motivo della “congiuntura” politica. E benché tali motivi non riguardino Dio ma siano parte di una faccenda esclusivamente umana, ciò nonostante sono stati ripetuti, usati come scusa e messi in pratica in relazione ai nostri tentativi  di acquisire i pieni diritti della nostra Chiesa sotto forma di patriarcato fino al giorno d’oggi. Motivi così puramente umani sono sempre stati contrari, e lo sono tutt’ora, all’antico concetto ucraino di verità, in cui sia la verità che la giustizia sono intrecciate!

Come figlio fedele della Chiesa cattolica, riferendomi alle risoluzioni chiare del Concilio Vaticano sulla questione della creazione o instaurazione di patriarcati , e avvalendomi in pieno del fatto che appartengo alla cosiddetta Famiglia Pontificia, grazie al defunto Papa Giovanni XXIII che mi elesse cardinale in pectore, nomina che voleva annunciare sul letto di morte e che fu più tardi annunciata il 25 gennaio 1965 da Papa Paolo VI, ribadisco, come figlio fedele della Chiesa cattolica, che diverse volte ho chiesto a Papa Paolo VI sia attraverso lettere che in conversazione un consenso formale che esaudisse la mia preghiera e proposta, che i Padri del Concilio Vaticano avevano accettato senza sollevare nessuna obiezione. Ho spiegato costantemente al defunto Papa Paolo VI che nella Chiesa orientale né Papi né concili ecumenici hanno mai instaurato patriarcati delle Chiese particolari separate. Il conferimento a queste Chiese della dignità patriarcale è sempre stato il frutto della matura coscienza cristiana del popolo di Dio e di tutti i suoi gruppi compositi, della coscienza del clero e dei pastori ma, in modo particolare, la coscienza delle comunità laiche ‑ il gregge spirituale affidato ai loro servizi pastorali ‑ ha avuto un ruolo importante in questa questione. La matura consapevolezza dei propri valori e delle proprie realizzazioni storiche e culturali, dei propri sforzi e dei propri sacrifici, che diventarono anche patrimonio di tutta la Chiesa cristiana ed ecumenica, ha formato una forte base per un patriarcato! Ho spiegato ripetutamente che la Chiesa metropolitana di Kyiv‑Halych ha fornito prove sufficienti di questa coscienza durante tutta la sua storia. Perché allora non riconoscere lo stato patriarcale a Kyiv, culla di cristianità nell’Europa Orientale?

Con umiltà filiale e con pazienza, ma con grande chiarezza, dichiarai al defunto Papa Paolo VI: “Se Voi non lo approvate, lo approverà il Vostro successore… Poiché siccome noi – la nostra Chiesa ucraina ‑ esistiamo, non potremo mai rinunciare al nostro patriarcato…”.

E vi scongiuro, miei figli diletti, non rinunciate mai al patriarcato della vostra Chiesa Sofferente, poiché voi siete vivi e siete i suoi figli attuali! Rafforzo la mia preghiera a voi ripetendo qui la mia Dichiarazione solenne scritta con la mia stessa mano nel 1975: “Dio creò l’essere umano e la famiglia. Nello stesso modo è creatore della stirpe, della tribù e della nazione. Anche il popolo e la nazione hanno diritto all’amore e all’affetto con i quali ogni essere integro è attaccato alla propria famiglia. Il patriottismo e lo zelo per il benessere della propria nazione sono sempre stati considerati doveri dati da Dio, e talora uno deve proteggere il benessere di una nazione da diversi nemici e perfino da certi elementi interni, che altrimenti porterebbero a trascurare le necessità fondamentali del popolo. E lo stesso principio si applica anche alla Chiesa. Esiste ugualmente un dovere dato da Dio di badare realmente al benessere della Chiesa, e un dovere e un diritto di difenderla da chiunque possa nuocere a essa. I nostri antenati hanno cercato per mille anni di mantenere i legami con la Sede Apostolica a Roma, e nel 1595 e nel 1596 rafforzarono la loro unione con la Chiesa cattolica romana a certe condizioni che i Pontefici di Roma promisero solennemente di osservare. Nel corso di quattro secoli questa unione è stata dimostrata dal grande numero di martiri fra gli ucraini, e perfino i nostri giorni sono segnati gloriosamente negli annali della Chiesa per la difesa della Santa Unione da parte dei nostri fratelli.

“Negli anni Settanta la Sede Apostolica Romana, sotto l’influenza e l’autorità dei funzionari della Curia Romana, prese una certa posizione politica, forse anche con buone intenzioni, che colpì dolorosamente la nostra Chiesa in Ucraina e perfino più gravemente colpì la porzione della nostra Chiesa e del nostro popolo che si trovava nel mondo libero. L’intero mondo cristiano è testimone del fatto che i nostri avvertimenti costanti e i nostri umili argomenti, presentati a Paolo VI, non furono presi in considerazione”.

Oggi quindi, che si conoscono i documenti segreti riguardanti i contatti tra la Santa Sede di Roma e il patriarcato moscovita ‑ documenti che per loro natura pronunciano la sentenza di morte per la Chiesa ucraina e che in modo umiliante interessano l’intera Chiesa ecumenica di Cristo guidata dal successore dell’apostolo san Pietro ‑ ancora una volta scongiuro, ordino e comando a voi, mio gregge spirituale:
“Fratelli, vivete come figli della luce… E non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre, ma anzi confutatele; perché è cosa turpe anche il solo parlare di quello che esse compiono di nascosto…” (Ef. 5,9,11‑12). Grido agli indifferenti e ai ciechi: “Svegliati, o dormiente, e sorgi dai morti, e su di te splenderà il Cristo…” (Ef. 5,14). Cento volte vi prego tutti di essere “il sigillo dei mio apostolato” (I Cor. 9,2); “…siate vigilanti, mantenendovi costanti nella fede, operate virilmente, e siate forti…” (1 Cor. 16,13), perché siamo “incalzati da ogni parte, ma non messi alle strette; perplessi, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; abbattuti, ma non annientati” (2 Cor. 4,8‑9).

“Noi restiamo fedeli immutabilmente all’ordine patriarcale della nostra Chiesa”, furono le mie parole in un discorso alla conclusione del nostro Sinodo del 1969 (cfr. Blahovisnyk, vol. 1‑4, 1969, p. 120).

Voi, miei cari fratelli e sorelle, avete capito le mie parole e da buoni figli della vostra Chiesa avete cominciato a pregare per il vostro patriarca sia privatamente che durante la divina liturgia. Con le preghiera avete dimostrato la vostra matura coscienza cristiana, perché la preghiera è innanzitutto espressione di fede assoluta nell’aiuto di Dio e di fiducia inflessibile che Dio onnipotente realizzerà ciò che a Lui chiediamo instancabilmente. Non ci ordinò Cristo sia di chiedere che di pregare? Non ci promise Cristo che avrebbe esaudito le nostre preghiere fiduciose? Poiché Egli disse: “Chiedete e riceverete; cercate e troverete; bussate e la porta vi sarà aperta…” (Mt. 7,  7).

Ma l’importanza della preghiera e in modo particolare della preghiera liturgica sta anche nel fatto che con essa il credente esprime la sua fede nella rivelazione dei sacramenti della fede e la sua profonda conoscenza della essenzialità di tutta la Chiesa cristiana compresa anche la sua Chiesa natale, parte inseparabile e originale della Chiesa cristiana, uguale nei riti, nella liturgia, nell’amministrazione ecclesiastica e nel patrimonio spirituale consacrati dalle tradizioni. Nei secoli passati la preghiera liturgica divenne mezzo della formulazione esatta delle verità fondamentali della fede in base ai “Simboli e Confessioni di Fede”. La preghiera liturgica forma la base per la formulazione di leggi di diritto canonico che riguardano la Chiesa stessa. Vi sono perciò grato per avere dimostrato la vostra matura fede cristiana quando avete pregato e avete continuato a pregare per “Sua Beatitudine il Patriarca di Kyiv, Halych e di tutta la Rus’” nei vostri santuari di Dio, e anche quando avete pregato per lui sulla tomba dell’apostolo san Pietro nel 1975, durante l’Anno Santo. Avete anche dimostrato la vostra fiducia nella preghiera per la realizzazione della pienezza della vostra Chiesa pregando per il patriarca con il canto, allo stesso modo in cui la nostra gente prega con il canto e dimostra la sua fedeltà all’unione ‑ “Dio concedi a noi l’unione” ‑ e la sua fiducia nella realizzazione dei suoi tentativi per la pienezza della libertà, quando invoca: “il nostro popolo è in catene e la nostra terra in cattività, il nemico non ci permette neanche di pregare… Grande Iddio, concedi la libertà alla nostra terra, concedile un avvenire e la felicità, forza e potenza… ” [I riferimenti sono agli inni ecclesiastici ucraini O Signore, ascolta la nostra supplica e O Gran Signore]. Il patriarcato, la speranza delle vostre anime fedeli, è diventato una realtà vivente per voi. E tale rimarrà in futuro! Perchè tra breve il patriarca per cui ora pregate varcherà la soglia della vita terrena, e il simbolo visibile e la personificazione del patriarcato non esisterà più nella sua persona. Ma nella vostra coscienza e nella vostra visioni, rimarrà una vera e vivente Chiesa ucraina, incoronata con una ghirlanda patriarcale!

Vi comando allora: Pregate, come avete fatto fino a ora, per il patriarca di Halych e di tutta la Rus’, sebbene per adesso anonimo e sconosciuto! Verrà il momento in cui Dio onnipotente lo manderà alla nostra Chiesa e rivelerà il sito nome! Ma abbiamo già un patriarcato!

Alla lotta per la pienezza di vita della nostra Chiesa sulla base dell’ordine patriarcale è strettamente legata la lotta per l’unità religiosa del popolo ucraino, Sento grande gioia nella mia anima quando vedo che, sebbene non ancora uniti in una Chiesa unica, i figli e le figlie della nazione ucraina, con le croci sulle spalle, sono già uniti in Cristo, e si stanno avvicinando nelle Sue sofferenze, in modo da potersi accogliere l’un l’altro con il bacio della pace e da potersi abbracciare con amore fraterno! Esprimendo questa gioia, vi prego tutti, e lasciate che la mia preghiera sia la mia volontà: “… Abbracciamo­ci e chiamiamo l’un l’altro fratello!”. Seguite le orme del servo di Dio Andrey, che diventò precursore e campione dell’unità della Chiesa cristiana e che dedico tutta la sua vita all’unità dei cristiani! Alzatevi tutti per difendere i diritti della Chiesa cattolica ucraina, ma difendete anche i diritti della Chiesa ortodossa ucraina, distrutta con altrettanta crudeltà dalle azioni violente dell’invasore straniero! Difendete anche tutte le altre comunità cristiane e religiose in terra ucraina, perché sono tutte private della libertà fondamentale di coscienza e di religione, e patiscono tutte perché credono in un solo Dio!

Più vicini a noi nel credo religioso e per legami di sangue sono i nostri fratelli ortodossi. Siamo legati dalle tradizioni della nostra cristianità natale, dalle usanze religiose e nazionali comuni e da una cultura che risale a duemila anni fa. Siamo legati dalla lotta comune per la originalità della nostra Chiesa natale e per la sua piena realizzazione, simbolo visibile della quale sarà un unico patriarcato della Chiesa ucraina!

Noi tutti, cattolici e ortodossi, stiamo lottando per la elevazione della nostra Chiesa e per la sua forza spirituale in Ucraina e in tutti i paesi dove i nostri fedeli si sono stabiliti. E noi tutti, nel professare Cristo, stiamo portando la croce pesante del nostro Signore! (cfr. I decreti del Sinodo, in Blahovisnyk, vol. 1‑4, 1969, p. 127).

Perciò comando a voi tutti: Pregate, lavorate e lottate per la salvezza dell’anima cristiana di tutti coloro che appartengono al popolo ucraino, e per l’intera nazione ucraina, e chiedete a Dio onnipotente di aiutarci a esaudire il nostro vivo desiderio di unione e i nostri sforzi per l’unità della Chiesa con la realizzazione del patriarcato della Chiesa ucraina!

Sentendo l’avvicinarsi della mia fine non posso mancare di esprimere l’amaro tormento che mi accompagnava per tutta la durata del mio soggiorno lontano dalla mia terra natale. Ero tormentato a causa della mancanza di unione tra i membri del nostro episcopato al di fuori dei confini ucraini. Questa mancanza di unione è simile al peccato originale che si è impossessato dell’anima di coloro che dovrebbero essere fari di luce. Questo peccato si è infiltrato come un ladro nella nostra Chiesa sofferente in Ucraina.

La nostra sfortuna e il nostro peccato sempiterno sono la mancanza del senso e della comprensione dell’unione nei problemi fondamentali della vita della nostra Chiesa e del nostro popolo!

Ho meditato sulle ragioni di questo fenomeno sconsolante. E’ dovuto, prima di tutto, a una educazione teologica inadeguata, alla educazione in scuole straniere, all’influsso di condizioni ambientali straniere e alla mancanza di conoscenza del passato della nostra Chiesa in coloro che sono stati chiamati a dirigerla con i più alti incarichi 1 frutti guasti di tutto ciò sono la non considerazione per ciò che i nostri nonni e i nostri bisnonni raggiunsero con i loro, sforzi e con i loro sacrifici e il disprezzo di tutto quello che è nostro, accompagnato dalla ricerca di onori e dalla sete di potere che ci ricordano tanto la lotta per i principati vassalli all’epoca del declino dello Stato di Kyiv. E infine il tutto è dovuto anche alla leggerezza del carattere, la quale si manifesta con servilismo nei confronti dello straniero e con inchini profondi davanti a divinità straniere!

Come capo e padre della nostra Chiesa ho cercato di insegnare e di ricordare. In più di una occasione, come padre, ho richiamato alla unione con parole supplichevoli: come capo della nostra Chiesa ho ammonito con parole decise e risolute ogni volta che era necessario risvegliare la coscienza letargica e fare rilevare la responsabilità pastorale per il gregge spirituale davanti a Dio e alla Chiesa. Infatti l’episcopato dovrebbe essere modello di concordia nell’amministrazione della Chiesa ed esempio di unione in ogni aspetto della vita religiosa e nazionale! Quanto ho dovuto soffrire per questo ‑ disprezzo, ferite morali; in poche parole, tutte quelle “frecce dei maligno” sono a voi ben note. Queste sofferenze non furono affatto più leggere di quelle nelle prigioni e di quando ero in esilio. E le ho sopportate così dolorosamente come avevo sofferto la tortura in anni precedenti. Ma oggi ringrazio l’Onnipotente per essere stato prostrato sia nelle prigioni che nella libertà! Lo ringrazio per essere stato tormentato e non glorificato dagli schiavi.

Li perdono tutti, poiché anch’essi sono semplicemente strumenti nelle mani dell’Onnipotente, che mi ha chiamato e che mi ha dato la sua benedizione per essere prigioniero per amore di Cristo, sia in cattività che in libertà!

Il nostro serenissimo predecessore, il servo di Dio Josyf Venyamyn Rutskyj, nel suo testamento, allude allo stesso peccato, alla stessa mancanza di unione nei ranghi dell’episcopato. Egli parla anche di controversie, del perseguimento del lucro e della indifferenza verso i doveri pastorali e in conclusione richiama tutti i vescovi all’armonia spirituale e al lavoro zelante. Li scongiura dicendo: “Chiedo una sola cosa ai miei molto reverendi Padri, vescovi di Rus’, che attraverso l’amore di Cristo si uniscano l’uno all’altro e con il loro metropolita. Che confermino con le parole e con le opere che lo riconoscono come padre…”.

Avendo qui espresso il profondo dolore e la profonda inquietudine che riempiono il mio cuore, non desidero in nessun modo rimproverare nessuno. Quindi, miei eminenti e cari fratelli nel servizio episcopale, perdonatemi come vi perdono io! Quando esprimo il mio profondo dolore desidero, in questo modo, ricordarvi per l’ultima volta, da padre e da pastore, e dirvi con insistenza: Unitevi insieme, salvate la nostra Chiesa dalla distruzione e dalla rovina! Fate che la vostra unione, l’unione di tutto l’episcopato della Chiesa cattolica ucraina, diventi stimolo e fonte di ispirazione per tutti i Pastori, per il clero e per i fedeli, i padri e gli antenati dei quali sono nati dalla Chiesa Madre, la Chiesa metropolitana di Kyiv. Nel corso della storia si sono diffusi in paesi diversi, fra vari popoli, e hanno dimenticato la madre che li ha generati. Aiutateli a riscoprire di nuovo questa madre!

“Seduto sulla slitta … ” volo con i miei pensieri verso tutti i miei fratelli e sorelle dell’Ucraina e delle vaste distese di tutta l’Unione Sovietica, verso coloro che soffrono nella libertà e coloro che languiscono nelle prigioni, nelle galere, nei campi di lavoro forzato e in quelli di sterminio. In mezzo a loro vedo nuove schiere di combattenti, di scienziati, di scrittori, di artisti, di braccianti e di operai. Vedo, fra loro, quelli che cercano la verità e quelli che difendono la giustizia. Sento le loro voci alzate in difesa dei diritti umani fondamentali dell’individuo e delle nazioni. Li osservo con meraviglia e vedo come difendono la nostra lingua natale ucraina, come arricchiscono la nostra cultura natale ucraina, e come salvano l’anima ucraina con le piene facoltà intellettive e dell’anima. E soffro insieme a loro perché vengono perseguitati per questo come se fossero criminali comuni.

Prego per voi, fratelli miei, e chiedo a Dio di concedervi la forza di continuare a difendere ì diritti naturali e divini di ciascun essere umano e di tutta la società. Vi benedico come capo della Chiesa ucraina, come figlio, della nazione ucraina, come vostro fratello e come vostro compagno di prigionia e di sofferenza!

“Seduto sulla slitta … ”, qui sul colle del Vaticano, come se fossi sugli scogli di Patmos, dove san Giovanni il Teologo, profugo forzato dalla sua terra natale, era in profonda contemplazione delle sue visioni e delle sue rivelazioni

Ascolto la voce di Dio che dice: “Io sono l’Alfa e l’Omega, Colui che è, e che era, e che viene, il Dominatore universale” (Ap. 1,8). Anch’io come fèce una volta Giovanni, “nostro fratello, che partecipa con noi della tribolazione, del regno e della nostra perseveranza in Gesù” (Ap. 1,9), vi interpreto il mistero di ciò che vedo e di ciò che avverrà.

Vedo le Chiese Figlie della nostra Chiesa ucraina nei vari continenti del mondo. A momenti brillano luminosamente come le stelle e a momenti svolazzano come fuochi fatuiLe mie parole sono perciò dirette a loro.

Alla Chiesa Figlia più vicina alla gelida regione polare [Chiesa cattolica ucraina in Canada] dico: “Conosco le tue opere; non sei freddo né caldo. Fossi tu freddo o caldo!… Dici: “Io sono ricco, mi sono arricchito e di nulla ho bisogno!”… Rinfervorati dunque e ravvediti” (Ap. 3,15,17,19).

Davanti ai miei occhi appare ora nelle vicinanze la Chiesa Figlia nel paese che accoglie gli stranieri con un monumento ‑ simbolo di libertà ‑ e chiamò la culla della sua nascita e della sua crescita città dell’“Amore Fraterno” [Chiesa cattolica ucraina negli Stati Uniti]. Qui si trova anche il luogo dove la prima Chiesa Figlia della Chiesa Madre ucraina è nata e cresciuta. Ti scongiuro con la voce del Signore che dice: Cristo ti ha dato “la chiave di David” simbolo di potere e di autorità (cfr. Is. 22,22‑25; Ap. 3,7) ‑ “le chiavi della morte e dell’Ade” (Ap. 1,18). “Conosco le tue opere … ” e tutti conosceranno che io ti ho amato; e se tu osserverai “la parola della mia perseveranza, anch’io preserverò te dall’ora della tentazione che sta per venire sull’intera terra abitata, per tentare coloro che abitano sulla terra…” (cfr. Ap. 3,8‑10). Evita quindi tutte le tentazioni e sii difensore degli oppressi e dei membri sofferenti della tua Chiesa Madre! Sii testimone vivente di amore fraterno!

Con gli occhi della mia anima vedo nel sud una Chiesa Figlia che è ancora giovane. Si trova in un continente santificato da Cristo Salvatore con una montagna accanto al mare [Chiesa cattolica ucraina nell’America Meridionale]. Benedico anche te, mia Chiesa Figlia, tanto umile quanto la tua Chiesa Madre! Ascolta la voce del Signore diretta verso di te.‑ “Conosco la tua tribolazione e la tua povertà ‑ ma in ciò tu sei ricca … Sii fedele fino alla morte e io ti darà la corona della vita” (Ap. 2,9‑10).

Con gratitudine penso alla Chiesa Figlia che si trova agli antipodi della terra [Chiesa cattolica ucraina in Australia] e nella preghiera le comunico la voce del Signore: “Conosco le tue opere e il tuo amore, la tua fede, il tuo servizio e la tua pazienza…” (Ap. 2,19). Benché tu sia collocata così lontana oltre il mare, sei legata molto strettamente con la tua anima e con il tuo cuore alla Chiesa Madre! Stendo la mia benedizione su di te e ti prego di perseverare nella fede dei tuoi padri, nell’amore per i tuoi fratelli e nel servizio della tua Chiesa Madre. Lascia che la tua ricompensa sia la “stella del mattino” (Ap. 2,28) che ti sarà data dal Signore.

Con dolore nel mio cuore vedo la Chiesa Figlia di Albione. Non ti parlerò più perché vedo che la mia fine è vicina. Ma siccome la mia voce, la voce del capo della Chiesa ucraina, non ha raggiunto i tuoi vertici e non ha stimolato la loro coscienza, ascolta allora la voce di Colui “che ha la spada appuntita a doppio taglio: So dove risiedi: lì dove è il trono di Satana. Tu tieni saldo il mio nome, e non rinnegasti la fede in me … Ma ho contro di te alcune cose: hai costì alcuni che tengono la dottrina di Balaam, il quale istigava Balac a porre inciampo davanti ai figli di Israele … Ravvediti dunque” (Ap. 2,12‑14,16).

Dalla sommità del mio colle, come dagli scogli di Patmos, getto il mio sguardo anche sulla Chiesa Figlia nei paesi intorno a me, sul vecchio continente [Chiesa cattolica ucraina in Europa]. Offro le mie preghiere per questo continente diviso da confini e da cortine, e la voce del Signore parla a esso: Conosco le tue opere; passi per vivo, ma sei morto. Svegliati, e rafforza la residua vitalità che sta per morire. Non ho trovato le tue opere perfette davanti al mio Dio … Ricorda dunque quanto hai ricevuto e ascoltato: osserva e ravvediti” (Ap. 31‑3).

E fra le varie visioni che appaiono davanti ai miei occhi, vedo Kyiv la Città del Trono nella mia terra natale. Congedandomi la saluto con le parole dell’Apocalisse: “Conosco le tue opere, la tua fatica e la tua perseveranza; so che non puoi sopportare i malvagi, e che hai messo alla prova coloro che si dicono apostoli e non lo sono, e li hai trovati ingannatori; hai perseverato, molto hai sopportato per il mio nome, e non ti sei stancato…” (Ap. 2,2‑3). La voce del Signore ti rivela dunque: “Rimuoverò la tua lampada dal suo posto…” (Ap. 2,5). E io, tuo figlio, ti saluto. “Continua a splendere”, nostra Gerusalemme, e risorgerai nella tua antica gloria!

Questa è la mia visione, caro gregge spirituale. Ve la racconto e ve /a offro come guida nel vostro pellegrinaggio!

Non sarei padre affezionato e buon Pastore se dovessi dimenticare i miei collaboratori più vicini. Sono i padri ecclesiastici, i monaci e le suore, che durante il mio soggiorno in questa isola romana hanno formato la mia famiglia spirituale. Mi hanno ascoltato come un padre, hanno lavorato insieme a me e mi hanno servito, loro Pastore, con la loro sapienza e il loro lavoro assiduo. Hanno pregato per me e con me e mi hanno abbracciato con il loro amore. Mi hanno aiutato e si sono presi cura di me quando la vecchiaia mi ha fatto perdere le forze. Hanno diviso con me la loro gioia e il loro dolore e mi hanno aiutato a reggere la croce pesante di prigioniero per amore di Cristo! Con il cuore sincero di padre vi ringrazio e vi benedico con la mano inferma! E chiedo a Dio onnipotente, unito nella santissima Trinità, che lo Spirito Santo possa consacrarvi, illuminarvi, conservarvi e incoraggiarvi nel vostro servizio leale alla vostra Chiesa natale ucraina!

Seppellitemi nella nostra cattedrale patriarcale di Santa Sofia, e quando la nostra speranza si avvererà e la nostra santa Chiesa e la nostra nazione ucraina risorgeranno libere, portate la bara in cui riposerò nella mia terra natale e ponetela nel santuario di San Giorgio a Lviv, vicino alla tomba del servo di Dio Andrey. Muoio e lascio per sempre questo mondo come colui che il servo di Dio metropolita Andrey, il capo della nostra Chiesa, chiamò nella sua autorità a servire come esarca della “Grande” Ucraina Orientale. Se è volontà di Dio e desiderio del popolo ucraino di Dio, collocate in seguito la mia bara nei sotterranei della cattedrale restaurata di Santa Sofia. Ho dovuto soffrire per tanti anni nei sotterranei di una prigione a Kyiv quando ero ancora tra i viventi ma vorrei riposare in pace nella cripta sotterranea della cattedrale restaurata di Santa Sofia, una volta che il mio corpo ha cessato di vivere!

Seppellitemi, miei fratelli e figli, e “diventate forti nel Signore e nella forza della sua potenza. Indossate l’armatura di Dio perché possiate resistere alle insidie del diavolo; non si tratta per noi di una lotta contro sangue e carne, ma contro i Principi, contro le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro gli spiriti della malvagità nelle sfere celesti. Perciò prendete l’armatura di Dio, affinché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo avere superato le prove. State perciò ritti, essendovi cinti la vita con la verità e rivestendo la corazza della giustizia, calzando i piedi con la prontezza dei vangelo della pace e tenendo sempre alzato lo scudo della fede con il quale potete spegnere tutti i dardi infuocati dei maligno; prendete l’elmo della salvezza e la spada dello spirito, che è la parola di Dio!” (Ef. 6,10‑17).

Seduto sulla slitta e facendomi strada verso l’eternità…” recito una preghiera alla nostra protettrice e Regina del Cielo, la sempre Vergine Madre di Dio: Prendete la nostra Chiesa ucraina e il nostro popolo ucraino sotto la vostra efficace protezione!

Possa la grazia del nostro Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo essere sempre con tutti voi! Amen!

Josyf, umile servo di Dio
Patriarca e Cardinale

Nella preghiera e nella meditazione cominciai a scrivere nel 1970 e completai e firmai alla vigilia della festa della Immacolata Concezione della purissima Vergine Maria nel 1981.

© per la traduzione italiana: Cristianità, http://www.alleanzacattolica.org/