San Luigi Scrosoppi

SANTO FRIULANO DOPO 1200 ANNI


San Luigi Scrosoppi è il primo santo friulano dopo 1200 anni. L’ultimo fu il santo patriarca Paolino di Aquileia, morto nell’ 802. San Luigi è anche il primo santo della famiglia filippina, dopo san Filippo Neri. Fondatore delle Suore della Provvidenza, Luigi Scrosoppi ha attraversato da protagonista tutto l’800.


Nato a Udine nel 1804, terzo di tre fratelli viventi, fu il terzo sacerdote della famiglia. Carlo, il primo, nato dal primo matrimonio della mamma Antonia Lazzarini con Francesco Filaferro morto esule a Klagenfurt, dopo essere entrato in seminario, si fa filippino. Giovanni Battista, nato dal matrimonio con Domenico Scrosoppi, un orefice udinese, entra anch’egli in seminario e i fa sacerdote diocesano.

Luigi segue le orme dei fratelli ed entra nel seminario di Udine, compie con grande diligenza e profitto tutto il curriculum degli studi, avvalendosi di ottimi insegnanti. Viene consacrato nel duomo di Udine il 31 marzo 1827. Dapprima celebra e predica presso la chiesa di S. Maria Maddalena annessa all’Oratorio filippino del fratello Carlo. La sua prima predica è sull’umiltà, la seconda sulla Misericordia di Dio, la terza sull’ingresso delle anime giuste in Paradiso.


L’oratorio di San Filippo si trovava nel cuore di Udine e aveva annessa la chiesa di S. Maria Maddalena, l’uno e l’altra nell’ottocento sottoposti a traversie di ogni genere: soppresso da Napoleone, che giunse in Friuli nel 1797 per ritornarvi dopo una breve parentesi austroungarica, confiscati e l’uno e l’altra dagli italiani, dopo l’arrivo in Friuli nel 1866. Di essi non rimane traccia oggi, al loro posto fu costruita la Posta centrale, dopo che la chiesa era stata ridotta a palestra e dopo che tutte le suppellettili, perfino gli altari, erano state messe all’asta.


L’Oratorio fu una postazione spirituale e culturale importante per Udine, vi operarono sacerdoti di grande cultura che ne fecero un centro di grande richiamo spirituale. Le varie soppressioni e confische riuscirono a spegnerlo. A nulla valsero per la sua ricostituzione né la determinazione di padre Carlo e neppure la cocciutaggine di padre Luigi, che a 42 anni, sull’esempio del fratello maggiore, divenne anch’egli filippino. Dopo la morte di Carlo, san Luigi fece l’impossibile per ridare vita all’Oratorio, vendette anche tutto il patrimonio di famiglia per riuscire nell’intento, ma il governo italiano lo sfrattò e confiscò ogni bene, costringendolo a domandare alloggio alle suore della Provvidenza. L’Oratorio fu una delle poche iniziative che al santo non riuscì di concretizzare.


In Friuli carestia, fame e malattie e guerre contrassegnarono gli anni 1813 -1817 Annate agricole andate a male, neppure il “sorgo rosso”, afta epizootica, carestia in montagna, piogge continue nel 1816, cambio di guardia tra francesi e austriaci, vaiolo e tifo nel 1817 che soltanto a Udine fecero 2mila vittime su 17mila abitanti. Un filippino, p. Gaetano Salomoni, apre a Udine la “Casa delle Derelitte”, sotto la protezione della Vergine e di s. Gaetano da Thiene, il santo della Provvidenza. Vi raccoglie ragazzine orfane o poverissime o abbandonate: dà loro da mangiare e da vestire, insegna a leggere, a scrivere e a far di conto, oltre che a ricamare e cucire.


Sono 19 le prime, nel ’17 diventano già 40, hanno meno di 12 anni. Sarte e ricamatrici sono le prime “maestre” volontarie friulane: Sandra Marpillero da Venzone e Margherita Gaspardis da Sevegliano. Nel 1819 padre Carlo viene chiamato a dare una mano come economo, divenendo nel ’22 direttore. Dopo don Giovanni Battista Bearzi di Udine, nel 1929 viene nominato vicedirettore don Luigi.


Non era facile portare avanti la casa in quegli anni né dar sostentamento alle ragazze. Già da chierico san Luigi si era fatto mendicante per le strade del Friuli, per dare una mano al fratello. Ma, dopo che di fatto la direzione della casa passò nelle sue mani, le entrate si consolidarono. Certo, per merito della Provvidenza, in cui sempre san Luigi ebbe una fede incrollabile, ma anche per sua iniziativa: col carretto percorse molte vie di paesi friulani, raccogliendo offerte e generi alimentari. Non raramente, buscandosi ingiurie e anche percosse. Si racconta di quel tale che gli mollò un ceffone, ritenendolo scansafatiche: “Questo per me – fu la reazione del santo -, ma adesso per le mie ragazzine cosa mi dai?”. Stupefatto dall’atteggiamento di san Luigi, quell’energumeno lo ricolmò di generi alimentari e divenne un sostenitore dell’opera.


Furono centinaia e centinaia le ragazze soccorse dalla casa, cui vanno aggiunte anche le giovani che vennero raccolte nella Casa del Provvedimento, cui pure veniva assicurata non soltanto un’educazione umana e religiosa ma anche un avviamento professionale, di modo che potessero affrontare la vita con dignità. E’ lo stesso san Luigi, insieme alle sue collaboratrici, poi suore della Provvidenza, a impartire lezioni di catechismo ma anche di astronomia oltre che di geografia e storia.


La Provvidenza è la compagna fedele di san Luigi il suo riferimento ultimo e sicuro. Mentr’era in vita il fratello Carlo, amatissimo e stimatissimo, don Luigi operava nell’ombra, efficiente nella conduzione della casa, vero animatore sociale e spirituale del gruppo di donne che si erano raccolte attorno all’opera come volontarie. Nel 1854 muore il fratello Carlo e padre Luigi deve accollarsi tutta la responsabilità della Casa e prende decisamente la guida delle Suore della Provvidenza.  Erano stati anni duri quelli sotto lo sperone napoleonico, oppressore e confiscatore di beni ecclesiastici; amari anche quelli sotto l’Austria, che praticava un “giuseppinismo” che limitava non poco l’azione della Chiesa; avversi furono anche quelli risorgimentali italiani, dopo il 1866, contrassegnati da liberalismo, anticlericalismo spinto e massoneria. Non era facile governare la Casa, non era semplice provvedere a tante bocche, era impegnativo salvaguardare la libertà educativa e religiosa.


La Casa viveva di carità, anche quando fu proibito di andare a raccoglierla per strade e paesi. C’erano momenti in cui le Suore della cucina si disperavano per la mancanza di materia prima, persino della farina per la polenta. Don Luigi le rassicurava, andava in chiesa a pregare san Gaetano e gli altri suoi santi e, poi, mandava la suora a prendere la farina, dove prima non c’era. Ma ora, miracolosamente, c’era e per tutti. Non uno, ma più episodi raccontati dalle suore fanno capire il rapporto privilegiato del santo con la Provvidenza.


Le Suore della Provvidenza sono state le prime e indispensabili compagne di avventura di san Luigi. Prima erano volontarie friulane, chiamate a dare una mano. Poi, via via, maturò la decisione di fondare una comunità religiosa, già nel 1845. Dapprima, vivente il fratello, si pensava a una aggregazione con qualche altra “famiglia”, alle suore di padre Antonio Rosmini, di cui padre Carlo era amico e che don Luigi ammirava per gli scritti e le opere, o ad altra congregazione. Ma la cosa non andò mai in porto. Segno della Provvidenza, spiegava don Luigi al fratello, che alla fine gli diede mandato di provvedere in conto proprio. E sorse così la congregazione delle Suore della Provvidenza, sotto la protezione di san Gaetano da Tiene, il santo della Provvidenza. In verità, padre Luigi, devotissimo a molti santi, le porrà anche sotto la protezione della Santa Famiglia di Nazareth, la Vergine Santissima e san Giuseppe, “la tenera Madre e la guida”. Il Figlio di Dio, presente nell’Eucarestia, unico punto di riferimento.


 


Anime semplici e generose


Le prime collaboratrici, totalmente votate a Dio e al prossimo. Così vuole le “sue” suore, strumenti docilissimi della Provvidenza. E valorizzazione piena della loro femminilità. Non padre-padrone delle suore, ma loro umilissimo “servo”, così come volle esserlo dei poveri e degli ammalati. A tal punto servo, da fare l’ultimo noviziato, quello per il Cielo, poco prima di ammalarsi e morire, sotto la direzione di una suora.


E voleva che fossero coraggiose: fuori per la strade di Udine nel 1848, quando infuriavano l’assedio e il bombardamento austriaci, a soccorrere i feriti e non importa di quale parte. Paura di morire? Certo, ma per amore di Gesù, si vince la paura. E poi, dopo la benedizione, se Dio vuole: “A rivederci in Paradiso”. Fuori per le strade del Friuli, nel 1855, quando imperversava il colera e i poveri morivano come mosche. Le suore vanno a cercare gli ammalati nelle case e li curano, senza paura di contrarre il morbo.


Oltre che spiritualmente forti, voleva che fossero anche professionalmente preparate. In previsione del bombardamento austriaco e della necessità di soccorrere i feriti, padre Luigi si preoccupò di chiamare il dr. Giacomo Zambelli, perché preparasse le suore con nozioni essenziali di infermieristica. La stessa preoccupazione che ebbe per ogni altra attività caritativa: aprì una scuola magistrale per le suore che dovevano insegnare; mandò altre ad apprendere; assistenza ospedaliera, altre a imparare il linguaggio delle sordomute,   altre ad addestrarsi; nell’assistenza ai malati psichici. E ogni nuova iniziativa veniva studiata nei particolari, perché non risultasse improvvisata.insegnare; mandò altre ad apprendere l’assistenza ospedaliera, altre a imparare il linguaggio delle sordomute, altre ad addestrarsi nell’assistenza ai malati psichici. E ogni nuova iniziativa veniva studiata nei particolari, perché non risultasse improvvisata


Padre Luigi visse in tempi non facili. L’Ottocento, anche in Friuli, fu un’epoca di grandi turbolenze sociali e politiche e di grandi rivolgimenti socio-culturali. Con l’arrivo di Napoleone, arrivò anche il vento della rivoluzione, uno spirito illuministico, un atteggiamento governativo con forti accenti anticlericali e irreligiosi. Anche sotto l’impero austro-ungarico non fu facile preservare la libertà di religione, che il giuseppinismo pretendeva di regimentare e controllare.


Era diffuso l’analfabetismo, soprattutto in campo femminile. Padre Luigi fu un antesignano della promozione della donna, dedicando tutte le sue energie alle ragazzine, alle giovani e, poi, alle suore.


Un altro tratto di attualità della sua personalità fu la sua costante preoccupazione di preservare la libertà e l’autonomia delle sue opere, soprattutto la libertà di educazione, l’autonomia del progetto educativo per la sua Casa, contro i tentativi del governo austriaco e poi di quello italiano di metterla sotto tutela. Meglio nessun riconoscimento, piuttosto che essere soggetti a tutele estranee. Meglio rinunciare anche a sostanziosi contributi pubblici, piuttosto che abdicare alla libertà educativa. Per le sue suore, poi, non mancava di rivendicarne la dignità e di difenderne l’operato, chiedendo alle varie istituzioni di riconoscerne il valore.


E quando i vari regimi, che si susseguivano, mettevano il bavaglio alla Chiesa, lui non aveva nessun timore di schierarsi a fianco del Vescovo e del Papa. Non fu un santo isolato, ma partecipò a tutte le vicende della Chiesa locale, sostenendo moralmente e anche finanziariamente le varie iniziative, pur vivendo egli e le sue opere di carità. Aveva una visione aperta e lungimirante, tant’è che fu, ad esempio, tra i più convinti sostenitori della stampa cattolica. Partecipò personalmente, firmando numerose cambiali, per sostenere la nascita di un quotidiano cattolico a Udine, unico in mezzo ad altri cinque, liberali e anticlericali professi o massonici. Visse a contatto con i migliori spiriti cattolici del tempo, sia in campo sociale che culturale. Oltre che la comunione con la sua Chiesa, praticò uno spirito missionario aperto, che gli consentì di corrispondere prontamente alle richieste di presenza delle sue suore in luoghi sempre più lontani: dapprima in altre località friulane, poi in Trentino, nel Tirolo e in Istria. L’importante era di mettersi a servizio dei poveri, che per lui erano l’incarnazione vivente di Gesù Cristo.


La vita spirituale di padre Luigi era profonda e alimentata da semplici ed essenziali elementi. La sua visione teologica faceva riferimento alla teologia della kènosi, all’incarnazione del Figlio di Dio, alla sua umiliazione, alla sua immolazione sulla croce. Padre Luigi cercò in ogni modo di vivere nella sua vita questa verità di fede: praticò l’umiltà fino al sommo grado, dando per primo l’esempio cercando in tutto l’annullamento di sé, disfacendosi di ogni sua proprietà, persino dei suoi vestiti, mettendosi in conclusione sua vita sotto la guida spirituale di una suora; chiedendo a questa di aiutarlo a vincere fin l’ultima resistenza, quella che a lui pareva una pericolosa tentazione, l’orgoglio spirituale di considerarsi alcunché per il fatto di essere un fondatore. E volle imitare Gesù Cristo nell’immolazione, donando tutta la sua vita al prossimo, trattenendo nulla per sé, della mortificandosi d’un continuo fino a rasentare l’eccesso. Voleva diventare “copia di Gesù”, aveva un grande amore per l’umanità del Figlio di Dio, avvertiva una forte sete di Dio, che soltanto nell’Eucarestia riusciva a placare. Non disdegnava di coltivare tratti interessanti della religiosità popolare. Uno su tutti, la pratica della comunione dei Santi, la sua devozione a una serie impressionante di santi: dalla Vergine santissima a san Giuseppe, da san Luigi a san Filippo Neri, da san Francesco a san Gaetano da Tiene, alle tre sante Marie del Vangelo. Tutta la sua vita è stata come un Oratorio condiviso con tutti i santi, di cui avvertiva la compagnia quasi fisica. Non ha lasciato scritti di grande valore teologico, ma restano alcuni appunti personali e soprattutto restano numerose lettere che il santo scrisse alle sue suore, per incoraggiarle, per seguirne l’itinerario spirituale, ove trasfuse l’intensità della sua vita cristiana e sacerdotale, ove si coglie l’essenza del suo dinamismo apostolico.


La morte di padre Luigi fu esemplare. Aveva chiesto di diventare copia di Cristo. La sua malattia finale fu una sorta di Calvario, fatto di sofferenze fisiche e morali, che egli seppe affrontare con uno spirito di completo abbandono in Dio. Si era preparato con il “noviziato al Cielo”, sotto la direzione di suor Agostina, cui aveva chiesto di rinfacciargli difetti e colpe oltre che di imporgli penitenze dure e umilianti.


Per vincere la sua renitenza il santo si gettò in ginocchio, implorandola in virtù della santa obbedienza a fargli da maestra di noviziato: “Aiutiamo a vicenda a diventare santi”, l’incoraggiò. La malattia e la morte non lo colsero impreparato, anche se il medico faticò a convincerlo di stare a letto: aveva ancora troppe “faccende da sbrigare” per dare importanza “a una malattiucola come questa”, spiegava.


Si trattava di penfigo, una forma grave di dermatite purulenta: “Così è piaciuto al nostro buon Padre che è nei cieli, e così deve piacere anche a noi”. Oppure, nei momenti di maggiore sofferenza: “Bonum mihi, Domine, quia umiliasti me” (Ti ringrazio, Signore, perché mi hai umiliato). Le madri superiori delle sue case, a turno, si portarono al suo capezzale. Il letto diventò la sua ultima cattedra di santità. A ciascuna, immancabile, il suo saluto più caro: “A rivederci in Paradiso”.    Poi, una notte, gli comparvero le sante, sant’Anna, santa Marta e le sue tre sante (Maria Maddalena, Maria di Cleofa e Maria Salome): “Le ho sempre venerate – confidò a madre Cecilia, la generale -, sono venute stanotte ad avvisarmi”. Prima di morire volle salutare tutti, anche il muratore, il giardiniere, il manovale, tutti abbracciò. Infine, un ultimo vaticinio per le sue suore: “La congregazione soffrirà tribolazioni, ma poi tutto andrà bene. Debbo partire per il maggior bene della comunità”. Era il 3 aprile 1884, quando a mattina inoltrata padre Luigi si univa alla compagnia dei santi in Paradiso.


Al suo funerale partecipò una folla enorme. La sua salma, per sua stessa indicazione, fu portata nella casa di Orzano, che con il fratello Carlo aveva comprato per garantire ortaggi e viveri alla Casa della Provvidenza di Udine. Una casa-fattoria che lui visitava di frequente, considerata da lui un’oasi di pace dove finalmente riposare. Il 23 aprile 1952 l’urna con le sue spoglie fu traslata nella sua chiesa di San Gaetano alla casa della Provvidenza di Udine, la casa madre delle Suore della Provvidenza.


La fama della sua santità si propagò subito tra il popolo. Non soltanto i credenti salutarono la morte di un santo, ma persino gli anticlericali. Gli stessi cinque quotidiani non cattolici di Udine, liberali, anticlericali e massonici, riconobbero l’eccezionalità della sua figura di prete. Una testimonianza tra tutte, tratta dal giornale “Il Friuli”, notoriamente mangiapreti: “Pare impossibile – scrisse -, ma questa volta il filantropo è un prete… è don Luigi Scrosoppi, un bravo ministro di dio (con la “d” minuscola, sic), che si prestò sempre con zelo per il bene del suo prossimo e si adoperò per l’istituzione di parecchi istituti di beneficenza”.


 E da subito cominciarono le grazie, le guarigioni fisiche e morali, attribuite alla sua intercessione. Il processo ordinario per il riconoscimento della sua santità si svolse dal 1932 al ’36. Le sue virtù eroiche furono riconosciute ufficialmente da Paolo VI il 12 giugno 1978. Giovanni Paolo II lo proclamò solennemente beato in piazza San Pietro il 4 ottobre 1981. L’ultimo miracolo, ufficialmente riconosciuto dalla Chiesa per l’ultima tappa della canonizzazione, fu compiuto a favore di Peter Chungu Shitima, nello Zambia. Studente dell’Oratorio di san Filippo in Sudafrica, si ammalò di polineurite periferica agli arti inferiori e della sindrome cachettica, insomma ammalato di AIDS in fase terminale. Fu mandato a casa in Zambia dagli stessi medici, perché morisse in famiglia. La comunità dell’Oratorio, i parrocchiani e la stessa famiglia cominciarono a chiedere la guarigione di Chungu per l’intercessione di padre Luigi, di cui Chungu era molto devoto. Una notte Chungu sognò padre Luigi che lo rassicurò sulla sua guarigione. Il giorno dopo cominciò ad alzarsi e a star bene, come prima della malattia. Ora si trova di nuovo in Sudafrica, in seminario.


Giovanni Paolo II riconobbe ufficialmente la santità di padre Luigi nel Concistoro pubblico del 23 marzo 2001. La solenne canonizzazione fu fissata dal Papa il 10 giugno 2001, in piazza san Pietro alla presenza di migliaia di fedeli provenienti dal suo Friuli e da tutte le parti d’Italia e del mondo, ove ancor oggi e sempre con lo stesso zelo per i poveri operano le sue amatissime suore.


Le Suore della Provvidenza continuano infatti il suo messaggio di totale affidamento a Dio e di incondizionato amore ai poveri, ai bambini e agli adulti, agli ammalati, agli anziani e alle famiglie povere. In Italia, in Brasile, in Uruguay, in varie parti dell’Africa, in India, in Bolivia, in Romania e in Birmania. Continua l’opera di padre Luigi, nell’umiltà di un fedelissimo servizio quotidiano delle sue “fiutis” (figliolette), come lui amava chiamare in friulano le sue suore. San Luigi è oggi più che mai vivo nell’amore evangelico che sospinge le Suore della Provvidenza a travalicare le nuove frontiere della sofferenza di quest’umanità inquieta, la testimonianza più vera per la nuova evangelizzazione, che per il santo friulano aveva un nome solo e un unico metodo: “Carità, carità, salvare anime e salvarle con la carità”.


 



TRATTO DAL SITO UFFICIALE DI SAN LUIGI SCROSOPPI


http://www.scrosoppi.it/