S. PANCRAZIO (289-304)

Nei primi secoli della Chiesa, accanto ad uno stuolo di sante giovinette che andarono al martirio giubilanti pur di non rinnegare la fede o di non perdere la verginità, c\’è tutta una schiera di santi giovani che seppero affrontare coraggiosamente il carcere, la fame, le belve del circo, gli aculei, le ruote dentate, il fuoco, pur di non rinnegare Gesù Cristo. S. Pancrazio fu uno di questi.

Nei primi secoli della Chiesa, accanto ad uno stuolo di sante giovinette che andarono al martirio giubilanti pur di non rinnegare la fede o di non perdere la verginità, c\’è tutta una schiera di santi giovani che seppero affrontare coraggiosamente il carcere, la fame, le belve del circo, gli aculei, le ruote dentate, il fuoco, pur di non rinnegare Gesù Cristo. S. Pancrazio è uno di questi. Egli nacque verso il 289 a Sinnada, città della Frigia (Asia Minore), prima culla del cristianesimo in mezzo al mondo pagano e primo campo evangelizzato dall\’apostolo Paolo.
 I genitori di Pancrazio, Cleonio e Ciriada, erano ricchi pagani e adoravano, come i loro compatrioti, la dea Cibele, la grande madre degli dei. Il tesoro più prezioso che ornava il loro palazzo era costituito dal figlio, ma essi godettero poco delle carezze di lui perché prima la madre e poi il padre lo lasciarono orfano ancora in tenera età. Secondo gli atti del suo martirio, non concordemente accettati dagli storici, Pancrazio crebbe sotto la tutela dello zio Dionisio. Costui si prese cura dell\’educazione del nipote e dell\’amministrazione dei beni che aveva ereditato dal padre sia a Sinnada che a Roma. Alla scuola di un vecchio e saggio pedagogo, il giovanotto crebbe istruito nelle lettere e nelle scienze. Perché progredisse di più nel sapere e prendesse possesso del patrimonio che il padre gli aveva lasciato a Roma, un giorno vi fu accompagnato dallo zio, attraverso la via Appia già percorsa da secoli dalle vittoriose legioni romane e dagli intrepidi banditori della divina parola.
 A quell\’epoca, l\’Urbe non era più la sede ufficiale dell\’imperatore, perché Diocleziano (243-313) aveva istituito un comando collegiale, risultante di due imperatori con il titolo di Augusti, nonché di due vice-imperatori con il titolo di Cesari, con diritto di successione, residenti ai confini dell\’impero per meglio difenderlo dai barbari e reprimere ogni tentativo di usurpazione. I romani non perdonarono a Diocleziano l\’arbitrio di aver eliminato da Roma la sede imperiale per trasferirla a Nicomedia, nella Bitinia (Asia Minore), e malignavano che avesse la velleità di farsi cristiano. Del resto, lo storico Eusebio asserisce che l\’imperatore assumeva di preferenza al servizio del suo palazzo dei cristiani perché li sapeva persone fidate e di morigerati costumi. Irritato per le insinuazioni dei romani e specialmente sobillato dal crudele Galerio Cesare, un giorno si lasciò indurre a distruggere la chiesa di Nicomedia. Dopo quella repressione scoppiò un incendio nel palazzo imperiale. Lattanzio afferma che fu causato dallo stesso Galerio per incolparne i cristiani che stavano al servizio dell\’imperatore.
 Diocleziano, inviperito contro i presunti congiurati, decretò che tutti i suoi sudditi compissero atti pubblici di culto alle divinità dell\’impero, e fossero severamente puniti quanti vi si rifiutassero. La persecuzione coinvolse migliaia di teneri fanciulli, di madri con i bambini lattanti, di vecchi cadenti, di nobili e plebei che sui crocicchi, al centro dei mercati, alla confluenza delle vie e presso le fontane si rifiutarono di bruciare incenso agli idoli, esposti alla pubblica adorazione. Quella persecuzione mieté tante vittime da passare alla storia con il nome di "Era dei martiri".
 Quando Pancrazio giunse a Roma non aveva ancora avuto notizia dell\’editto di persecuzione emanato contro i cristiani. Esso veniva applicato con estrema crudezza in Italia e in Africa, le province soggette al secondo imperatore, Massimiano (250-310), residente a Milano. Tanti cristiani ebbero la debolezza di cedere ai tormenti, numerosi preti, per avere salva la vita, preferirono consegnare alla polizia imperiale le suppellettili ed i libri sacri che custodivano negli archivi ecclesiastici. Di tale misfatto, i seguaci del vescovo scismatico Donato, osarono accusare perfino S. Marcellino (+304), ma S. Agostino respinse l\’insinuazione come calunnia, perché arbitrariamente imbastita sul fatto che quel Pontefice se ne stava nascosto, come aveva già fatto il suo immediato predecessore S. Caio, conforme all\’ammonimento di Gesù: "Quando vi perseguitano in una città, fuggite in un\’altra" (Mt. 10,23).
 Pancrazio a Roma abitava sul monte Celio, vicino alla casa del papa Marcellino. Questa circostanza avrebbe favorito i mirabili disegni della provvidenza sull\’avvenire di lui. In quella casa, al calar delle tenebre, i cristiani si radunavano per celebrare i divini misteri. Qualche nozione di essi Pancrazio la doveva già possedere, perché è molto probabile che S. Paolo avesse annunziato il Vangelo anche a Sinnada, essendo situata sulla via che conduce sia a Troade che ad Efeso. Il messaggio evangelico attirò comunque di più l\’attenzione di Pancrazio e quella dello zio Dionisio, che le magnificenze dell\’impero romano e delle sue divinità, alle quali i pagani attribuivano i più illeciti amori e le più delittuose azioni. I cristiani s\’imponevano alla loro ammirazione per la castigatezza dei costumi, l\’esercizio della carità verso i miseri e il coraggio sovrumano con cui affrontavano i più terrificanti tormenti pur di non rinnegare la propria fede.
 Poiché il padre di Pancrazio era conosciuto alla corte imperiale, è ammissibile che il giovanotto contraesse amicizia con il centurione S. Sebastiano, e che da lui sia stato più volte esortato ad abbracciare il cristianesimo. Desideroso di conoscere le origini della chiesa di Roma, è probabile che abbia visitato, in compagnia dello zio, le catacombe in cui i credenti seppellivano i loro morti, e che abbia quindi letto sulle lastre, poste a chiusura dei loculi, i rozzi epitaffi esprimenti la certezza dell\’immortalità dell\’anima e del premio eterno. E\’ facile che sia sorto in lui il desiderio d\’incontrarsi con il santo pontefice Marcellino, che allora viveva forse nascosto nella chiesa sorta nella casa della diaconessa Lucina. Egli era famoso per i prodigi che operava, e siccome era grande l\’ascendente che godeva anche tra i pagani, la polizia imperiale lo ricercava per farlo morire.
 Nell\’asilo in cui celebrava i divini misteri, circondato dal clero, per diverse settimane zio e nipote ebbero la felice sorte di essere catechizzati da Marcellino e di meritare di essere ammessi al battesimo nonostante l\’infuriare della persecuzione. Riconoscenti a Dio di tanta grazia, quando ritornarono a casa restituirono la libertà ai loro schiavi, e cominciarono a soccorrere generosamente gli orfani, le vedove, i poveri. Avidi della parola di Dio, Pancrazio e Dionisio continuarono a frequentare il rifugio del Sommo Pontefice. Fu così che, approfondendo gli argomenti della fede, per grazia dello Spirito Santo, concepirono il desiderio del martirio.
 Nel 282, Trofino e Sabbazio, commercianti cristiani, di passaggio per Sinnada, durante una orgiastica festa dei pagani, non erano stati esposti alle belve dentro l\’anfiteatro insieme con lo stesso capo del senato cittadino, Dorimedone, che li aveva impavidamente difesi? Niente li impediva di imitarne l\’esempio.
 In quel tempo le carceri di Roma rigurgitavano di cristiani che attendevano di essere esposti, alle belve nel circo. Non è improbabile che Pancrazio, come già S. Tarcisio nel 257, fosse addetto ai sacri servizi e, come accolito, col pretesto di andare a visitare i carcerati, portasse loro la comunione. S. Cipriano (+258) aveva raccomandato ai suoi fedeli di non andare a gruppi e troppo di frequente per tali visite, per non destare sospetti e provocare conseguenti divieti. I carcerieri, molto venali, aprivano facilmente le porte delle prigioni a chi faceva scivolare nelle loro mani una buona mancia. A Pancrazio non mancavano i mezzi per fare questo, e il clero di Roma e i parenti dei condannati alle belve approfittavano sovente della sua generosità per far giungere ai congiunti il necessario al loro sostentamento.
 Pancrazio non poté continuare per molto tempo questo apostolato perché qualche invidioso lo denunciò alla polizia imperiale come cristiano. Un quarto editto di persecuzione era stato difatti emanato da Nicomedia per istigazione di Galerio, durante la primavera del 304 e, dopo la ratifica da parte del Senato, fu promulgato anche nell\’Urbe, nell\’aprile dello stesso anno. Da tempo Pancrazio attendeva la sua ora perché le spietate disposizioni del tiranno colpivano, dopo il clero, specialmente i nobili, i beni dei quali venivano attribuiti al fisco. Dopo tanta ecatombe di cristiani è probabile che Pancrazio, prevedendo di essere alfine arrestato, abbia venduto i propri beni e ne abbia consegnato il ricavato all\’arcidiacono, a beneficio dei poveri mantenuti dalla Chiesa.
 Un giorno i sicari imperiali andarono a cercare zio e nipote nel loro palazzo. Anziché spaventarsene, Pancrazio ne gioì giacché con il martirio era sicuro di entrare subito come un trionfatore nel regno dei cicli. Il giudice, ora con le lusinghe, ora con le minacce, cercò d\’indurlo a sacrificare agli dei dell\’impero, ma Pancrazio gli rispose; "Mi meraviglio che mi comandiate di avere della stima per i vostri dei, dal momento che punireste con l\’estremo supplizio anche uno schiavo che conducesse una vita tanto depravata quanto la loro". Irritato di una simile risposta, il magistrato lo condannò ad essere decapitato poco lontano dalla via Aurelia.
 Con la mente assorta in Dio, Pancrazio si recò al luogo del martirio scortato da soldati e carico di catene come un malfattore. Alcuni suoi confratelli di fede lo seguirono, frammisti alla folla, per raccoglierne, con pannilini, il sangue prezioso. Anche i pagani mormoravano parole di commiserazione all\’indirizzo di quell\’adolescente che, bello come un angelo, camminava spedito e raggiante non incontro alla morte, ma alla vera vita. Nei pressi della Porta Aureliana – oggi chiamata Porta S. Pancrazio – in un viottolo che si staccava dalla via consolare, costruita nel 214 a.C. dal censore Lucio Aurelio Cotta, il 12-5-304 il quattordicenne Pancrazio ebbe mozza la testa. Il Martirologio Romano allo stesso giorno pone pure il martirio dello zio di lui, Dionisio.
 Al calare delle tenebre, la nobile dama Ottavìlla andò al suo "predio Fontejano", dove giaceva la salma del martire, con l\’aiuto di altri cristiani l\’avvolse in un candido lino cosparso di aromi, e la trasportò nella vicina catacomba che aveva fondato e che poi si sviluppò maggiormente intorno al sepolcro del martire e da lui prese il nome.
 Cessato il diabolico furore della persecuzione, sulla via Aurelia, insigne come la Via Appia per la magnificenza dei mausolei romani che la fiancheggiavano, fu innalzata in onore del santo una chiesa da papa Simmaco (+514). Siccome il clero al quale era stata affidata ne aveva poca cura, S. Gregorio Magno (+604) vi pose a custodia i Benedettini che erano stati costretti ad abbandonare Montecassino dopo la distruzione operata dai Longobardi (583), e proclamò l\’invitto martire uno dei principali patroni della Città Eterna. Onorio I (1638) riedificò totalmente la chiesa e collocò sotto l\’altare il corpo del santo. In tale occasione costruì la caratteristica cripta semianulare che è una delle più antiche di Roma. Alessandro IV nel 1257 affidò la chiesa alla custodia dei cistercensi, e Alessandro VII nel 1662 l\’assegnò ai Carmelitani Scalzi che ancora la officiano. Le soldatesche francesi nel 1798 la saccheggiarono e fecero scomparire le ossa del martire.
 All\’Urbe resta ancora la insigne reliquia del teschio di S. Pancrazio, custodito in un antico reliquiario nella basilica di S. Giovanni in Laterano, capo e madre di tutte le chiese del mondo.
 A nord-ovest di Torino, tra i villaggi di Pianezza e di Druent, un miracolo attribuito all\’intercessione del martire, apparso ai coniugi Casella, indusse i graziati ad erigergli in riconoscenza un pilone nel secolo XV. Dopo quell\’apparizione, essendo avvenuti altri prodigi, nel 1647 fu eretto, per la munificenza della Madama reale Cristina di Francia, riconoscente a S. Pancrazio per un segnalato favore da lei ottenuto, un grandioso santuario racchiudente l\’antico pilone eretto a ricordo dell\’apparizione. 
 ___________________
 Sac. Guido Pettinati SSP,
 I Santi canonizzati del giorno, vol. 5, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 177-181.
 http://www.edizionisegno.it/