S. MARIA MADDALENA POSTEL (1756-1846)

Nasce il 28 novembre 1756 a Barfleur, un villaggio di pescatori sulla costa normanna. Nel 1798 diviene Terziaria Francescana e prende il nome di Maria Maddalena. Durante gli orrori della rivoluzione francese ospita anche sacerdoti perseguitati e li aiuta a fuggire in Inghilterra. Nel 1805 le viene affidata una scuola di Cherbourg, con 300 bambini e due anni dopo dà inizio alla sua fondazione, le «Suore cristiane della misericordia». Nel 1832 acquista a Saint-Sauveur-le-Vicomte un'abbazia benedettina in rovina e la trasforma nella casa madre dell'ordine. Muore il 16 luglio 1846 a quasi novant'anni ed è canonizzata da Pio XI nel 1925.

Questa donna "apostolo", fondatrice delle Suore delle Scuole Cristiane e della Misericordia, nacque il 28-11-1756 a Barfleur (Francia), nella diocesi di Coutances, da pii e facoltosi contadini. Fin dall'infanzia Giulia Postel, per un miracolo quasi inaudito della grazia, raggiunse il fastigio della santità. A cinque anni, avendo incontrato per strada una bambina coperta di stracci, le donò il mantello. Un'altra volta regalò le scarpe a un piccolo mendicante. La mamma la sgridò per quelle sue liberalità, e allora Giulia non si vergognò di andare a questuare per i poveri, di portare zuppa, legna e acqua agl'infermi, di rassettare le loro case. Esuberante per natura, ella si dominava, e anziché andare a trastullarsi con le amiche, amava ritirarsi in disparte per pregare.
La vista di un serpente le avrebbe cagionato meno orrore che un peccato veniale. Ancora piccina avrebbe voluto udire sempre il tuono perché in quel momento anche gli empi, anziché bestemmiare il nome del Signore, lo invocavano con rispetto. L'intelligenza delle verità religiose fu in lei precoce. A nove anni fece il voto di castità e di dedicarsi alla salvezza del prossimo. Il suo parroco, nonostante le prescrizioni episcopali, l'ammise a quell'età alla prima comunione. Segretamente, in quaresima, non mangiava che pane secco. Dopo che ebbe ascoltato una predica sul digiuno, si fabbricò delle bilance mediante conchiglie per pesare "le due once di pane che componevano la sua colazione". Il confessore le proibì quelle mortificazioni sproporzionate all'età, e allora mise dei bastoncini nel proprio letto e per cuscino fece uso di una pietra. Un giorno, uscendo di scuola, vide in un prato due soldati pronti a battersi in duello. Giulia corse tra loro, sollevò sotto i loro occhi un crocifìsso, e li supplicò per amor di Dio di riconciliarsi.
La scuola di Barfleur era insufficiente per le esigenze spirituali e culturali della Postel. Grazie alla generosità di una benefattrice, poté entrare nell'abbazia reale di Valognes per terminarvi la sua educazione. Le benedettine avrebbero voluto trattenerla con loro data la sua pietà e l'ottima riuscita che faceva negli studi, ma la santa preferì ritornare in famiglia (1774) per aprire una scuola con educandato, allo scopo di fare delle orfane e delle povere buone massaie. Durante la rivoluzione francese (1789-1799) la Postel divenne, in sostituzione del parroco, che aveva giurato la costituzione civile del clero, la "vergine sacerdote" perché ottenne il permesso di conservare il SS. Sacramento in un minuscolo oratorio da lei allestito sotto la scala di casa sua, di comunicarsi con pinzette d'argento, preparare i bambini alla prima comunione, visitare i malati, confortare i moribondi, portare loro il viatico e procurare ai sacerdoti non giurati, ricercati dalla polizia, l'occorrente per la Messa che celebravano ora in casa sua, ora nei granai, con pericolo della vita. Passata la bufera, Giulia, terziaria francescana dal 1798, continuò a catechizzare, a stimolare al bene la gioventù, e a favorire lo zelo dei sacerdoti tornati dall'esilio. Nel 1804, una sua allieva, Maria Dadure, di otto anni, prima di morire, le manifestò profeticamente il suo avvenire.
L'anno successivo la Postel, di quarantanove anni, già indebolita dal lavoro, dalle veglie e dalle austerità, disgustata per i dissensi religiosi sorti a Barfleur a causa della riorganizzazione del culto, si trasferì a Cherbourg. Cabart, cappellano dell'ospizio, le chiese di quali risorse disponesse per stabilire la Congregazione che si sentiva ispirata a fondare. Gli ripose: "Sono tutte nella Provvidenza assecondata dal lavoro e dalla povertà personale". Mostrandogli quindi le dita, soggiunse: "Ecco le mie rendite". Per colei che tutti chiamavano "la santa signora" fu affittata una casa nella quale fece, nel 1807, con le prime sue quattro compagne, la professione religiosa con il nome di Maria Maddalena. Nella scuola da lei aperta ben presto duecento ragazze appresero, con i primi rudimenti delle lettere e della fede, il cucito, il ricamo, i lavori a maglia.
Nel 1811 la Suore della Provvidenza rientrarono a Cherbourg. Madre Postel, che aveva in orrore la concorrenza e detestava le rivalità, si trasferì a Octeville-l'Avernelle, dove due sue suore erano istitutrici. Trovò alloggio in una stalla. Parendogli lo scoraggiamento una forma d'incredulità, animava così le sue figlie spirituali: "Lavoriamo. Preferirei dieci lire guadagnate con le mie mani, che mille avute per carità. Noi le toglieremmo ai poveri, che dobbiamo invece aiutare".
Dopo sei mesi si stabilì a Tamerville, dove si limitò a prendere a suo carico dodici orfanelle. Due anni dopo, il locale in cui erano alloggiate le suore fu posto in vendita dal padrone e Madre Postel, anziché lamentarsi di fronte alla prova, esclamò: "Ancora di più, Signore, ancora di più! Vieni, o croce, che io ti abbracci! Il Signore ci umilia per meglio rialzarci!". Ella partì per Valognes portando tra le sue braccia una statuetta della Vergine e ripetendo di quando in quando, con lo sguardo fisso al campanile: "Ti rivedrò, Tamerville, ti rivedrò".
La comunità si ricoverò in una casetta di cui Don Cabart aveva promesso di pagare l'affitto. Le suore si occuparono di lavori manuali con la più grande alacrità, ma la loro penuria fu così grande che il Cabart, ritenendo la Congregazione abbandonata da Dio, consigliò la fondatrice di trasferirsi all'ospizio di Cherbourg, e di rimandare in famiglia le sue figlie o presso altre comunità religiose. Con la più grande energia essa così parlò loro: "Dite al nostro Padre che non cesseremo di ringraziare il Signore di essersi servito di lui, per così lungo tempo, per secondarci in un'opera che non è ne sua, ne nostra, ma della Provvidenza; che non ho mai contato su di un braccio di carne, per quanto rispettabile esso possa essere; che sono talmente sicura che il Signore vuole la realizzazione dei miei progetti, che ne perseguirò l'esecuzione con il più grande ardore. Le mie Figlio mi hanno promesso ubbidienza fino alla morte; esse sono tutte ugualmente care al mio cuore. Colui che me le ha date e che si prende cura degli uccelli dei campi saprà fornirmi i mezzi per nutrirle; finché avrò vita, non ne abbandonerò una sola". E storicamente certo che Iddio le concesse il dono di moltiplicare i pani, guarire i malati e predire il futuro.
Nel 1814 Madre Postel affittò per dodici lire annue a Tamerville uno stabile coperto di paglia. Colà condusse con le sue suore una vita durissima, costrette com'erano a nutrirsi di patate, di erbe peste e bollite anziché di carne e pesce. La fondatrice aspettava con la più ammirabile pazienza l'ora del Signore. Al suo piccolo gregge non si stancava di ripetere: "Gettiamoci nella volontà di Dio come il pesce nell'acqua.
Adoriamo la volontà divina, e siamo sempre pronte a salire con Gesù sul Calvario e a morirvi se occorre. Aspettiamo tutto da Dio solo". Dopo due anni di soggiorno in quella capanna, a Madre Postel venne affidata la scuola primaria. Cominciò allora a respirare, ma non smise per questo i suoi abiti di stoffa comune, contenta dello stretto necessario guadagnato con il lavoro delle sue mani. Per oltre trent'anni indossò lo stesso vestito, rammendato, ma senza macchie. "La pulizia – diceva – è la ricchezza del povero".
Nella nuova sede, accanto alle novizie, trovarono posto alcune educande e un certo numero di orfanelle. A chi la esortava ad ammettere soltanto ragazze di grande ingegno, la santa, dotata di una meravigliosa lucidità nella scelta delle vocazioni, rispondeva: "Io devo ricevere, come nel sacerdozio, come nei monasteri fondati dai santi, solo ciò che Dio mi manda; non sono io che chiedo; il mio unico dovere è di trarre profitto da ogni persona alla mia dipendenza secondo le sue virtù e la sua capacità".
In una postulante, ai semplici vantaggi del censo, ella preferiva l'attitudine all'ubbidienza e la sollecitudine al lavoro. Le scrupolose, le adulatrici e le criticone le rimandava in famiglia senza pietà. Nelle sue frequenti conferenze diceva: "Le nostre Suore sono chiamate a vivere nel mondo. Bisogna che esse edifichino con la loro modestia e con il loro timido rispetto per i sacerdoti. Bisogna che le loro confessioni siano brevi e non intralcino quelle dei fedeli; nessuna suora deve avere bisogno di quelle direttive che fanno perdere il tempo ai preti e sono biasimate dal popolo". Ella non badava dunque al numero delle religiose, ma alla qualità. In esse voleva vedere una vocazione schietta e riconosciuta tale dai superiori ecclesiastici. Tollerava i loro difetti perché sapeva che la perfezione è opera di tutta l'esistenza. Sovente ripeteva loro: "Ubbidire è andare al cielo sulle spalle altrui".
Però, il termine fissato dalla Provvidenza al suo laborioso pellegrinaggio era a St-Sauveur-le-Vicomte dove, nel 1832, acquistò una vecchia abbazia benedettina in rovina. Benché sprovvista del denaro necessario per pagare le spese del contratto, disse a chi l'aveva seguita: "Se saremo fedeli alla nostra vocazione, tutto sarà riparato". Per raggranellare i fondi necessari si diede al cucito, al ricamo, alla lavanderia e persino alla coltivazione dell'orto. Amava ripetere con San Bernardo: "Il religioso che non lavora non è degno di essere religioso". Con l'aiuto del cappellano Lerenard riuscì ad aprire pure un convitto e una scuola esterna in cui un gran numero di alunno ricevette con l'istruzione gratuita il nutrimento e il vestito.
Nel 1837 Madre Postel adottò le costituzioni di S. Giovanni Battista de la Salle (+1719) con le sue ventiquattro suore e novizie dedite all'insegnamento e alla cura dei malati negli ospedali. È rimasta famosa questa sua massima: "Una suora insegnante deve salvare almeno mille anime durante la sua carriera: un terzo per mezzo delle alunno e due terzi mediante l'influsso delle figlio pie sui genitori". In quell'occasione la fondatrice chiese di restare sacrestana e di non vedere più medici. Nonostante i suoi ottantun anni di età continuò a dormire su due assi in croce, a portare il cilicio e un busto armato di 1164 punte di ferro, a fare un pasto al giorno e a privarsi del cibo dal mercoledì santo alla Pasqua. La Passione di Gesù costituì l'oggetto abituale delle meditazioni di Madre Postel. Ella onorò in modo speciale l'agonia del Salvatore nell'orto degli ulivi con l'Ora Santa, e nutrì un amore di predilezione per la croce.
Dalla sua gioventù fino alla morte recitò ogni giorno il Breviario romano e il rosario. Una pratica di tutta la sua vita fu la riparazione. Per oltre trent'anni le sue religiose passarono successivamente e senza interruzione un giorno intero in ammenda onorevole, con una corda al collo e uno scapolare sulle spalle. Madre Postel era la prima ad accorrere in cappella per le pratiche di pietà e l'ultima ad uscirne. Sovente fu sorpresa inginocchiata per aria con le braccia in croce. Nessun difetto fu mai trovato in lei. Fino alla morte conservò un animo giovanile, un corpo pieno di energia, una felice memoria, un giudizio sicuro, un umore uniforme e una carità senza ombra.
Era tanto grande il disprezzo che la santa nutriva verso di sé che avrebbe voluto morire sulla cenere. Durante le sue crisi d'asma, a chi s'inquietava, ella rispondeva: "Sto bene perché sto come vuole il buon Dio". Cessò di vivere il 16-7-1846 novantenne, con una vista, un udito e un passo ancora eccellenti. Pio X la beatificò il 22-1-1908 e Pio XI la canonizzò il 24-5-1925. Le sue reliquie sono venerate a St-Sauveur-le-Vicomte.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 7, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 180-185
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