S. GIOVANNI D’AVILA (1500-1569)

La grandezza di questo sacerdote secolare, apostolo dell\’Andalusia (Spagna), è stata riscoperta in questi ultimi tempi. Studi approfonditi di specialisti hanno permesso l\’edizione critica delle sue opere. Giovanni esercitò il ministero apostolico in varie città dell\’arcidiocesi di Siviglia, insegnando il catechismo ai bambini e la pratica della meditazione agli adulti, dando lezioni di Sacra Scrittura e trascorrendo molte ore nel confessionale. Il suo esempio fu contagioso. Numerosi sacerdoti si sentirono attratti dal suo genere di vita, lo assecondarono, si misero alla sua sequela per condividerne le austerità e lo zelo a favore delle anime.

La grandezza di questo sacerdote secolare, apostolo dell\’Andalusia (Spagna), è stata riscoperta in questi ultimi tempi. Studi approfonditi di specialisti hanno permesso l\’edizione critica delle sue opere.
Giovanni nacque verso il 1500 ad Almodóvar del Campo, a sud dell\’attuale provincia di Ciudad Real, da Alfonso d\’Avila, discendente da una famiglia ebrea convertita al cristianesimo, e da Caterina Xixón, discendente da una famiglia di piccola nobiltà provinciale. Dal padre fu mandato a studiare diritto canonico presso l\’Università di Salamanca. Una corsa di tori gli fece concepire un vivo disgusto per la vita mondana. Dopo quattro anni una "molto particolare chiamata divina" lo indusse a fare ritorno in famiglia (1517). In quel tempo fece un tentativo di vita religiosa, non sappiamo però in quale Ordine e per quanto tempo.
Fallito il tentativo, per tre anni il santo ottenne dai genitori di vivere in austero ritiro, poi si recò a studiare filosofia e teologia presso l\’università di Alcalà (1520-1526), mentre Martin Lutero predicava in Germania la ribellione al papa. Fu maestro di Giovanni il P. Domenico de Soto OP. (+1560), discepolo di S. Tommaso da Villanova (+1555). In quel tempo l\’università risentiva dell\’influsso di Erasmo di Rotterdam (+1536), ammiratore dell\’umanesimo, amante dell\’antichità classica e avversario della scolastica per i suoi barbarismi.
Nel 1525 Giovanni d\’Avila fu ordinato sacerdote e, l\’anno successivo, si recò a Siviglia con il proposito di andare nelle missioni dell\’America, in compagnia del vescovo di Tlaxcala (Messico). Non poté mandare ad effetto il suo divisamento perché "cristiano nuovo", cioè discendente da ebrei convertiti da poco alla fede. Il Ven. Ferdinando de Contreras (+1548), sacerdote secolare, lo segnalò all\’arcivescovo di Siviglia, Alfonso Manrique, tanto era rimasto soggiogato dalla sua virtù. Il presule, che aveva bisogno di animatori per formare il clero, e di predicatori per ridestare i suoi fedeli dal torpore, dovette fare uso di tutta la sua autorità per persuaderlo a rimanere nella sua arcidiocesi. Il santo, a contatto dei Domenicani della città, ebbe modo di correggere l\’impronta nominalista che gli studi fatti ad Alcalà avevano lasciato nel suo spirito. Le correnti spirituali erasmiane, allora forti nel paese, lo avevano aiutato nella costante preoccupazione di risalire alle sorgenti bibliche e patristiche della religione cristiana. Giovanni esercitò il ministero apostolico in varie città dell\’archidiocesi di Siviglia, insegnando il catechismo ai bambini e la pratica della meditazione agli adulti, dando lezioni di Sacra Scrittura e trascorrendo molte ore nel confessionale. Il suo esempio fu contagioso. Numerosi sacerdoti si sentirono attratti dal suo genere di vita, lo assecondarono, si misero alla sua sequela per condividerne le austerità e lo zelo a favore delle anime. Era tanto distaccato dai beni della terra che, per le Messe celebrate e il ministero esercitato, accettava solo l\’ospitalità da parte dei devoti e ammiratori, i quali diventavano sempre più numerosi ed entusiasti tra tutte le categorie sociali.
Con la parola ardente e piena di unzione, il Padre d\’Avila attirava in chiesa o sulle piazze folle innumerevoli di persone. Fin da quei primi anni di sacerdozio molte persone si posero sotto la sua direzione spirituale, tra cui sacerdoti e laici di grande virtù. La migliore delle sue figlie spirituali fu forse donna Sancha Carrillo (+1537) la quale era andata al confessionale del santo ancora mondana e ne era ritornata convertita e decisa a conservarsi casta; un giorno, a costo di uscirne malata, non esitò a immergersi nell\’acqua fredda per domare una tentazione.
Nel 1531 Giovanni d\’Avila fu denunciato all\’Inquisizione per qualche espressione coraggiosa malcompresa e per certe pratiche interpretate con malevolenza, quasi fosse un seguace della corrente pseudo mistica degli alumbrados. Tra i denunciatori non mancava qualche bigotta, solita a suscitare grane ai confessori, o qualche ecclesiastico senza penitenti e senza uditori, invidioso delle affollatissime prediche del santo e della direzione spirituale da lui esercitata con tanto successo e con tanto frutto. Dopo un processo informativo (1531-1532), egli fu arrestato e costretto a rispondere, nel dicembre del 1532, a ventidue proposizioni incriminate.
Tra l\’altro gli fu imputato di favorire la pratica dell\’orazione mentale quasi che ciò ridondasse a scapito di quella orale. Per certuni fu motivo di scandalo persino l\’abitudine del santo di fare portare via il lume dalla sala o cappella in cui predicava per facilitare il raccoglimento degli uditori, lasciandoli nella penombra.
Giovanni d\’Avila rimase in prigione quasi un anno senza mai pronunciare una sola parola di recriminazione contro i suoi troppo zelanti inquisitori. Da quella triste circostanza della vita egli seppe trarre grande profitto, pregando, meditando, traducendo in volgare l\’Imitazione di Cristo. Dio lo arricchì di speciali lumi sul mistero della redenzione che gli permisero di gettare le basi dell\’opera, maggiormente nota, intitolata Audi filia. E\’ un libro di avvisi e di regole cristiane per coloro che desiderano servire il Signore nella via della perfezione. Lo scritto era destinato alla figlia spirituale Sancha Carrillo, che viveva in famiglia come un\’austerissima claustrale. Fu stampato del 1556 ad Alcalà, senza espressa licenza dell\’autore, dopo che era circolato a lungo in copie manoscritte. Nel 1559 fu incluso nel Catalogo dei libri proibiti, pubblicato dall\’Inquisizione spagnuola, in seguito alla scoperta di focolai di luteranesimo in Andalusia e in Castiglia, per il modo con cui trattava il tema della giustificazione, ma soprattutto per l\’eccessivo sospetto con cui venivano riguardati dagli inquisitori i libri di ascetica e di teologia scritti in lingua volgare, quasi fossero veicoli di idee care ai falsi mistici e ai luterani. Difatti nel catalogo furono incluse anche altre opere di Luigi di Granada, S. Francesco Borgia e persino di Bartolomeo Carranza, arcivescovo di Toledo e primate di Spagna. Il santo corresse il libro con cura e precisò meglio la dottrina sulla grazia alla luce del concilio tridentino.
Esso uscì a Toledo nel 1574, dopo la morte dell\’autore.
Il P. d\’Avila fu pienamente assolto dall\’Inquisizione il 16-6-1533. Ritornò a predicare. I devoti di Siviglia lo accolsero in chiesa al suono delle trombe. L\’anno successivo egli si trasferì definitivamente nella diocesi di Cordova, dove s\’incontrò con il famoso domenicano P. Luigi di Granada (+1588), suo biografo, da S. Francesco di Sales proclamato "principe degli scrittori spirituali". Costui rimase ammirato della predicazione così immediata e avvincente del santo, tanto da subirne un profondo influsso. Da Cordova, Giovanni d\’Avita si recava sovente a Granada su invito dell\’arcivescovo Gaspare de Avalos, che teneva in grande considerazione i suoi consigli.
Al principio del 1537, mentre predicava nella suddetta città, convertì S. Giovanni di Dio (+1550), fondatore dei Fatebenefratelli, e due anni più tardi indusse il duca di Gandia, il futuro S. Francesco Borgia (+1572), a lasciare il mondo per farsi gesuita. A Granada fu considerevole l\’influsso che il santo esercitò sull\’università fondatavi nel 1526 dall\’imperatore Carlo V (+1558), e sui collegi maggiori ad essa annessi. Fu forse in questa città che il santo ottenne verso il 1537 i gradi in teologia, il che dimostra quanto amasse lo studio benché fosse continuamente molto occupato nel sacro ministero. Possedeva una aggiornatissima biblioteca in cui figuravano pure i libri dei migliori controversisti cattolici del tempo.
Durante i suoi viaggi apostolici, il Maestro d\’Avila fondò una quindicina di collegi minori e tre maggiori a Baeza, Jerez e Cordova, oltre ai collegi di Granada, Cordova ed Evora (Portogallo) per l\’educazione e l\’istruzione dei chierici. Il più famoso di tutti fu quello di Baeza, trasformato in università nel 1542. Per volontà del santo in essa s\’insegnavano soltanto filosofia e teologia, benché la Santa Sede fosse stata larga nel concedere licenze, e si conferirono gradi accademici soltanto a quei sacerdoti che prima avevano esercitato il ministero pastorale nei villaggi. Egli insegnò senza stancarsi ai sacerdoti che "il solo onore per la Chiesa è di seguire interiormente ed esteriormente il Cristo disprezzando le ricchezze, il lusso, l\’orgoglio e tutti gli altri difetti che farebbero gridare le pietre stesse". Nelle apostoliche attività, il Maestro d\’Avila era coadiuvato dal gruppo di preti secolari che dirigeva spiritualmente, che avviava all\’insegnamento del catechismo e delle altre materie nei collegi da lui fondati, e specialmente alle missioni popolari. S. Ignazio di Loyola (+1556) cercò di unire alla Compagnia di Gesù il folto gruppo dei seguaci di S. Giovanni d\’Avila, ma non vi riuscì. Si adoperò moltissimo, anche a costo di concedergli "qualunque privilegio" e dispensa, per attrarre a sé la loro guida quando, per diversi anni, si mostrò desideroso di farsi gesuita, ma all\’ingresso nella Compagnia di Gesù furono d\’impedimento l\’età e la salute, la condizione di "cristiano nuovo", l\’essere stato religioso, l\’essere stato perseguitato dall\’Inquisizione e la diversità di vedute con taluni gesuiti spagnuoli riguardo a problemi ascetici e apostolici.
A cominciare dal 1551 Giovanni, che non mangiava mai carne e si nutriva soprattutto di legumi, melagrane, fichi e frutta, fu costretto sovente a stare a letto. Gli ultimi nove anni di vita li trascorse a Cordova e a Montilla, adoperandosi perché i suoi migliori discepoli si facessero gesuiti. Gli acciacchi della vecchiaia non gl\’impedirono di continuare a dirigere molte anime con la parola e con gli scritti. La stessa S. Teresa d\’Avila (+1582) sottopose al suo giudizio il manoscritto dell\’Autobiografia ed egli lo approvò. S. Pietro d\’Alcantara (+1562) dichiarò che nessuno sorpassava il Maestro d\’Avila nella conoscenza delle vie spirituali.
Ciononostante egli rimase un eclettico e più un asceta che un mistico. Oltre all\’Audi fìlia possediamo di lui piccoli trattati o discorsi, conferenze spirituali, avvisi, e due memorie sulla riforma ecclesiastica per il Concilio di Trento. Più di 2.000 fogli degli scritti del santo sono andati perduti. Le lettere rimaste sono 252, ma non è improbabile che ne abbia scritte qualche migliaio, emulo in questo di S. Francesco di Sales (+1622). La dottrina del santo è incentrata sull\’imitazione di Cristo Salvatore. Per lui fondamento indispensabile di tutta la vita spirituale è la preghiera, senza la quale è impossibile conoscersi. Alle anime più perfette egli raccomandò l\’orazione di raccoglimento. Prima di ricercare l\’intima unione con Dio, suggerisce di meritarla spogliandosi delle passioni con una costante mortificazione. La virtù non è possibile senza l\’umiltà. Essa "consiste nel camminare nella verità". Egli insegna che "bisogna scavare nel fango del nostro nulla per raggiungere la terra ferma; Dio". Poiché il Signore "sulla croce ci ha donato tutto", dobbiamo amarlo fino alla follia e seguirlo sulla croce. Nell\’incorporazione a Cristo vede il fondamento dell\’apostolato. E\’ un dovere quindi di tutti amare e sovraspendersi per le membra di Gesù alle quali siamo strettamente legati mediante la grazia.
Giovanni d\’Avila morì il 10-5-1569 nella cittadina andalusa di Montilla, presso Cordova, e fu inumato nella chiesa dei Gesuiti. Leone XIII lo beatificò il 15-4-1894; Pio XII lo proclamò patrono principale del clero secolare spagnuolo nel 1946; Paolo VI lo canonizzò il 31-5-1970 in modo equipollente, cioè senza il solito processo canonico.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 5, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 161-165.
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