S. EUTIMIO IL GRANDE (377-473)

La Chiesa greca considera Eutimio come uno dei principali organizzatori della sua liturgia. Essa gli attribuisce insieme con S. Caritone, S. Teotisto e S. Saba, la prima codificazione delle leggi monastiche e dei dettagli del servizio divino, che passarono nel Typicon o formulario di S. Saba e del monastero costantinopolitano di Stoudion. Nella laura di Sahel si seguiva la liturgia della chiesa di Gerusalemme: la sinassi non si celebrava che il sabato e la domenica e in poche solennità dell’anno.

20 gennaio
Di questo santo igumeno (abate), nato nel 377 a Melitene, nella Piccola Armenia, possediamo la vita che ne scrisse il monaco Cirillo di Scitopoli (+557) servendosi di notizie di prima mano. I suoi genitori, Paolo e Dionisia, l’ottennero dopo molti anni di matrimonio, pregando sulla tomba di S. Polieuto, martirizzato a Melitene sotto l’imperatore Decio o Valeriano. Eutimio non aveva che tre anni quando perdette il padre. La madre, conforme al voto che aveva fatto, lo consacrò al Signore.
Il vescovo Otreio ricevette il bambino nel suo episcopio, lo battezzò e, dopo un’adeguata preparazione, gli conferì la tonsura, lo ordinò lettore, e ammise Dionisia nel ceto delle diaconesse. Il santo crebbe energico e grave, ed emerse tra i condiscepoli per una precoce virtù, una grande mortificazione, una straordinaria purezza di spirito e una perfetta esecuzione degli uffici liturgici. Dalle lezioni pubbliche die riceveva e dai colloqui particolari che aveva con i suoi maestri, egli attinse un grande zelo per la difesa del dogma. A diciannove anni meritò di essere ordinato sacerdote da Letoio, successore di Otreio, e di essere costituito ispettore di tutti i monasteri situati attorno alla città.
Amante della solitudine, Eutimio passava la maggior parte del tempo nel monastero di S. Polieuto e in quello dei Trentatré Martiri. Ogni anno trascorreva la quaresima da solo, sopra una montagna deserta. Vedendo nella carica un ostacolo all’avanzamento nella perfezione, dopo una decina d’anni fuggì a Gerusalemme. Visitò i luoghi santi, prese contatto con i Padri del deserto, o poi si stabili nella laura di Pharan (Arabia Petrea), fondata da S. Caritone, dove strinse amicizia con S. Teotisto l’igumeno (+466). Imparò il mestiere di panieraio per guadagnarsi il pane e a combattere le proprie passioni con veglie prolungate, breve sonno e incessanti digiuni. Tutti gli anni trascorreva la quaresima intera con l’amico nella solitudine di Koutila, lungo il Mar Morto.
La quinta volta invece di fare ritorno a Pharan, Eutimio e Teotisto si fermarono nel Wadi-el Dabor dove una vasta caverna offrì loro un asilo. La trasformarono in una chiesa e liberi da ogni terrena preoccupazione, si diedero alla preghiera e al lavoro, alla penitenza e ai canto dei salmi. Un giorno, alcuni pastori, che avevano condotto il loro gregge in quei paraggi, fecero conoscere il luogo del loro ritiro ai compaesani che portarono subito dei viveri ai due anacoreti. Numerosi monaci vennero ad unirsi a loro, sia dalla laura di Pharan, che da altre parti. Costruirono una “laura” sulla sporgenza della roccia e Teotisto ne assunse la direzione, mentre Eutimio se ne stava nella grotta per ricevere gli aspiranti alla vita anacoretica e dirigerli. Da essi non esigeva pratiche strane, ma fedeltà alla residenza, il distacco dai beni di questa terra, la fiducia nella Provvidenza con il rifiuto di ogni reddito fisso, il lavoro manuale per non essere a carico di nessuno e per aiutare i poveri con il superfluo, la custodia della castità con l’interdizione alle donne di entrare nella laura, la pratica di una sollecita ubbidienza, di una profonda umiltà e di una sincera carità.
Verso il 420, un drappello di arabi, guidato da Aspebet, si presentò alla “laura” chiedendo di vedere Eutimio. “Non è possibile – rispose loro Teotisto; – egli dimora tutta la settimana nella sua grotta e non appare qui che il sabato”. “Che cosa? – riprese lo sceicco – ho qui mio figlio Tèrèbon, affetto di emiplegia; la notte scorsa Eutimio gli apparve e gli promise di guarirlo se fosse venuto a trovarlo nella sua solitudine”. Il santo avvertito di quella visita, non ritenne conveniente andare contro le visioni divine. Scese, fece un segno di croce sul fanciullo e Tèrèbon guarì. I barbari, meravigliati, si prostrarono davanti a lui e gli chiesero il battesimo. Eutimio li istruì e poi li battezzò. Ad Aspebet impose il nome di Pietro. Dopo averli trattenuti con sé quaranta giorni per conformarli nella fede, li rimandò al loro paese, tuttavia Maris, zio materno di Tèrèbon, non volle più abbandonare il monastero. Quella guarigione miracolosa rese il nome di Eutimie celebre in tutta la Palestina. I malati vennero in grande numero a domandargli la salute corporale. Il santo prese allora la decisione di andarsi a nascondere in una più profonda solitudine, benché Teotisto cercasse di dissuaderlo.
Eutimio prese con sé Domiziano, suo compatriota, si diresse verso Rouban; salì sulla montagna dei Marda, dove eresse una cappella, e vi rimase qualche mese; andò nel deserto di Ziph in cui il re Davide aveva cercato scampo dall’ira di Saul, e vi convertì e battezzò un gruppo di messaliani, eretici che non riconoscevano né i sacramenti, né la gerarchia ecclesiastica, e affermavano che la preghiera è il solo mezzo per vincere il demonio e unirsi a Dio. Uno dei notabili della vicina città di Aristoboulias gli condusse il figlio posseduto dal demonio ed egli lo liberò. Gli abitanti della città e dei dintorni gli costruirono un monastero, dove diversi anacoreti vennero a mettersi sotto la sua direzione.
Nella sua umiltà, mal sopportando il crescente concorso del popolo, il santo pensò di ritornare con Domiziano alla comunità retta da Teotisto, ma a circa tre miglia dal monastero si fermò in una grotta della collina di Sahel. Appena seppe del suo arrivo, Teotisto lo pregò di ritornare presso i confratelli, ma egli acconsenti soltanto ad andare a celebrare con loro la sinassi tutte le domeniche. Aspebet, frattanto, che dopo il battesimo si era fatto apostolo, gli condusse quanti aveva guadagnato alla fede. Eutimio li istruì e battezzò, e poiché non riusciva a convincerli di ritornare alle loro case, egli escogitò l’espediente di condurli sopra una pianura a pochi chilometri di distanza e di dire loro: “Se ci tenete tanto a restare presso di me, stabilitevi qui”. Gli diedero ascolto. Innalzarono le loro tende e costruirono una chiesa, una casa per lo sceicco e dei magazzini per i loro raccolti, dando così origine alla comunità dei Parembolai o degli “accampamenti”. Verso il 425 Aspebet sistemò meglio pure Eutimio e i suoi discepoli facendo costruire una cisterna, delle collette e un oratorio. Il santo visitò spesso i nuovi convertiti, ai quali altri se ne aggiunsero con i loro vecchi, finché non gli fu possibile dare loro un prete e un diacono. Crescendo coloro che chiedevano di ricevere il battesimo, Eutimio ritenne conveniente dare a quella comunità un vescovo nella persona di Aspebet-Pietro. Il candidato prescelto (427) fu ben accetto e ordinato da Giovenale patriarca di Gerusalemme.
A Sahel, Eutimio dovette accettare alcuni discepoli provenienti da varie parti dell’oriente. Una voce misteriosa gli aveva detto di non rigettare coloro che chiedevano di vivere sotto la sua guida perché gli erano inviati da Dio. Sorse così la laura di Eutimio simile a quella di Pharan. Quando per interessamento di Aspebet ogni solitario ebbe la sua colletta e la chiesa fu abbellita, Giovenale andò a benedirla solennemente (428). In principio tra i monaci si fece sentire la povertà, ma invece d’inquietarsene Eutimio trovò la maniera di essere liberale. Un giorno si presentarono a Sahel 400 pellegrini armeni desiderosi di vedere il loro compatriota. Il santo diede ordine a Domiziano, economo della laura, di preparare loro da mangiare. Com’era possibile sfamare tante persone dal momento che nella dispensa c’era appena l’occorrente per nutrire dieci persone? “Va’ a fare quello che ti ho comandato – gli replicò Eutimio – perché lo Spirito Santo ha detto: “Essi mangeranno e saranno saziati”. Domiziano si recò alla dispensa e, con sua grande meraviglia, non riuscì ad aprire la porta tant’erano numerosi i pani ammassati dietro di essa.
Dalla sua laura Eutimio partecipò ai grandi avvenimenti della Chiesa. Il vescovo Aspebet-Pietro si recò al concilio di Efeso (431), e fu fedele alle direttive di Eutimio nel sostenere contro Nestorio la maternità divina di Maria e l’unità vera, reale, sostanziale dell’elemento divino e umano di Cristo nell’unica persona del Verbo. La stessa cosa non si verificò per il suo successore Auxolaos e per Domno, un altro discepolo di Eutimio il quale, dopo avere lasciato la laura, ora diventato patriarca di Antiochia. Entrambi presero parte al concilio di Efeso (449) radunato dall’imperatore Teodosio II, ma che si trasformò in “latrocinio” sia perché la presidenza anziché ai legati del papa Leone I fu concessa al brutale e ambizioso patriarca di Alessandria, Dioscoro, fautore del monofisitismo di Eutiche, e sia perché non fu permessa la lettura della famosa Epistola dogmatica del papa a S. Flaviano, patriarca di Costantinopoli, in cui difendeva nel Verbo incarnato l’unione delle due nature nell’unica persona divina. Auxolaos morì “sotto l’indignazione di Eutimio”, Domno invece ritornò a fare penitenza presso di lui.
Il latrocinio di Efeso venne rigettato da tutte le parti, e riparato nel concilio di Calcedonia sul Bosforo (451). Due altri discepoli del santo vi presero parte, Stefano di Lamnia e Giovanni, terzo vescovo dei Parembolai, i quali si affrettarono a portarne le decisioni a Eutimio. Lui e i suoi discepoli le accettarono, mentre gli altri monaci del deserto si schierarono a favore di un partigiano di Dioscoro, il monaco Teodosio, il quale soppiantò a Gerusalemme Giovenale e impose ovunque la sua autorità. Teodosio cercò di guadagnare alla sua causa Eutimio, ma egli fuggì nel deserto di Rouban dove lo seguirono molti suoi monaci. La triste situazione durò fino a che la forza imperiale non ristabilì Giovenale (458) nella sua sede. Il dissidio tuttavia non cessò perché l’imperatrice Eudossia, pia e caritatevole, sosteneva i monofisiti, ed esercitava un grande influsso sui monasteri e sul popolo. Dio aveva decretato che Eutimio la riconducesse sul retto sentiero. Sotto la stretta delle sventure familiari, Eudossia cominciò a dubitare della saldezza della sua fede. Scrisse perciò per consiglio a S. Simeone stilita, il quale le rispose: “Perette andare a cercare l’acqua lontano quando tu hai la sorgente presso di te? Tu hai Eutimio, segui i suoi insegnamenti e sarai salva”. L’imperatrice invitò il santo igumeno ad andarla a trovare, ma poiché egli non voleva lasciare la sua solitudine, Eudossia fece costruire una torre nei pressi della laura. Il Santo vi andò e riuscì ad indurre la principessa a ritenere il dogma definito a Calcedonia, che le due nature in Cristo sono unite personalmente, ma non confuse, ne mutato o comunque alterate. A lei che, separata dal marito, viveva ritirata a Gerusalemme, predisse la prossima fine. Eudossia fece accelerare allora la costruzione della basilica di Santo Stefano. Fu dedicata tre mesi prima della sua morte (460).
La Palestina potè essere salvata dall’errore di Nestorio e di Eutiche grazie all’azione di Eutimio e dei suoi discepoli, due dei quali, Martino ed Elia, divennero patriarchi della città santa. Anche S. Saba, che si era messo alla sua scuola fin dal 457, esercitò un influsso di primo piano in Palestina nella lotta contro il monofisismo sotto l’imperatore Anastasio.
La Chiesa greca considera Eutimio come uno dei principali organizzatori della sua liturgia. Essa gli attribuisce insieme con S. Caritone, S. Teotisto e S. Saba, la prima codificazione delle leggi monastiche e dei dettagli del servizio divino, che passarono nel Typicon o formulario di S. Saba e del monastero costantinopolitano di Stoudion. Nella laura di Sahel si seguiva la liturgia della chiesa di Gerusalemme: la sinassi non si celebrava che il sabato e la domenica e in poche solennità dell’anno. I monaci ricevevano la comunione dalle mani di Eutimio nei giorni festivi; lungo la settimana, essi la potevano fare perché le specie eucaristiche erano conservate come ai giorni nostri. La liturgia eucaristica era incastonata nella liturgia dell’ufficio divino che si svolgeva anche di notte. Il sabato mattina, ad un dato segnale, gli anacoreti s’incamminavano verso la chiesa comune. Dopo l’ora di terza veniva celebrata la Messa alla quale faceva seguito l’ora di sesta. La domenica, nella mattinata, non c’era che una sola Messa, cioè una sola riunione o sinassi liturgica di cui il santo sacrificio formava la parte principale. Il lunedì i monaci ritornavano alle loro capanne, ai loro lavori e vivevano sotto l’autorità di un superiore, una forma di vita intermedia tra i villaggi di eremiti egiziani e il cenobio o monastero in senso stretto.
Dio fece conoscere ad Eutimio l’ora della sua morte, ma egli non disse nulla ai suoi discepoli fino all’ottava dell’Epifania del 473. Morì il 20 gennaio dopo aver predetto che Domiziano lo avrebbe seguito al termine di sette giorni e che la laura si sarebbe trasformata in cenobio. Fu seppellito nella sua grotta in cui rimase fino alla metà del secolo VIII. Dopo se ne persero le tracce.
 
 Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 1, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 234-238.
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