S. ALFONSA dell’IMMACOLATA CONCEZIONE (1910-1946)

Anna Muttathupadathu, era una Clarissa dell’India. Nacque ad Arpukara, nella ragione del Kerala, in India. Rimasta orfana, venne educata da una zia e dalla nonna. A 17 anni entrò nella Congregazione delle Francescane Clarisse assumendo il nome di Alfonsa dell'Immacolata Concezione. Nel 1931 emette i voti temporanei e nel 1936 quelli perpetui nel monastero di Bharananganam. Ma la sua vita è segnata da un cagionevole stato di salute in cui si susseguono varie malattie dolorose. Muore a soli 36 anni. L'8 febbraio 1986 è proclamata beata da Giovanni Paolo II a Kottayam in India e il 12 ottobre 2008 è canonizzata da Benedetto XVI in piazza San Pietro.

E' la prima donna dell'India, clarissa francescana, che Giovanni Paolo II elevò all'onore degli altari 1'8-2-1986, a Kottayam, capitale del Kerala, nel Malabar, insieme al B. Ciriaco Elia Chavara (+1871), confondatore dei Fratelli Carmelitani di Maria Immacolata, durante il suo viaggio apostolico in quella regione. La Beata nacque il 19-8-1910 a Kudamaloor, piccolo centro agricolo della diocesi di Changanacherry, ultima dei 5 figli che Giuseppe Muttathupadathu, oculista e pediatra di modeste condizioni, ebbe da Maria Puthukari. Venne alla luce prima del tempo a causa dello spavento che la mamma provò quando, mentre dormiva sopra una stuoia nell'atrio di casa, si accorse che un serpente le si era adagiato sul collo. Al fonte battesimale le fu imposto il nome di Anna. Rimasta orfana di madre a tre anni, per sei mesi fu allevata dalla zia Murickal, residente a Muttuchira, e poi dalla nonna, fervente cristiana.
Anna fu educata con cura secondo le tradizioni della Chiesa Siro-Malabarica alla quale apparteneva. Imparò quindi a pregare a lungo, in casa, davanti all'immagine del S. Cuore, esposta nella veranda secondo la tradizione, a recitare il rosario, a suffragare le anime del purgatorio e a praticare la devozione allo scapolare. A 7 anni cominciò a frequentare la scuola pubblica induista di Arpookara. In casa imparò il catechismo e le preghiere del buon cristiano dalla nonna la quale, la domenica e gli altri giorni della settimana, la conduceva in chiesa perché si abituasse a ricevere sovente i sacramenti. Nel novembre del 1917 era stata ammessa alla cresima e alla prima comunione.
Dopo la terza classe, la zia Murickal prese la nipote con sé perché, sotto la sua rigida disciplina, continuasse gli studi e si preparasse a divenire una sposa modello. Volle perciò che si adornasse di belle vesti e di ricchi monili, e se cadeva in qualche difetto non le risparmiava rimproveri e persino percosse. Alla piccola Anna non sfuggirono i propositi della zia, ma invece che al matrimonio ella cominciò a pensare molto seriamente alla vita religiosa perché le avrebbe consentito di amare più facilmente il Signore. L'ostinata zia non volle intendere ragioni, e quando la nipote raggiunse i 12 anni di età, lavorò assiduamente per darle un marito. In preda allo sconforto, Anna moltiplicò le preghiere e cercò di fare ricorso ai consigli di un sacerdote di sua fiducia, ma la zia le impose di rivolgersi a un altro di sua scelta. Non sapendo come fare per tramandare l'imminente fidanzamento, una mattina si avvicinò alla fossa in cui, nei pressi della cucina, venivano bruciate le bràttee del riso, con l'intenzione di scottarsi soltanto leggermente i piedi. Fece, però, male i suoi calcoli perché, senza volerlo, sprofondò nella cenere e nella brace fino alle reni. Finché visse portò ben visibili i segni di quell'ustione, ma di matrimonio più non si parlò. Fu solo costretta a ripetere la sesta classe nella Vernacular Middle School da lei frequentata.
Nella città di Muttuchira Anna ebbe modo di frequentare il convento delle Carmelitane Scalze. Negli intimi rapporti che ebbe con loro sentì crescere in sé il desiderio di farsi religiosa. Un giorno una carmelitana le diede da leggere l'autobiografia di S. Teresa di Gesù Bambino (+1897). Fu per lei una rivelazione. Rimase, difatti, affascinata dagli slanci di amore della santa e dai sacrifici che compiva per il bene della Chiesa. Decise di prenderla a modello e, per non venire meno nel proposito, si accostò ai sacramenti il più frequentemente possibile.
Anna era piccola di statura, ma bella di aspetto. A scuola tutti, professori e alunni, le volevano bene perché era molto servizievole, modesta e umile. Si distingueva per l'impegno con cui studiava tutte le materie, soprattutto il catechismo, e la devozione con cui prendeva parte alle funzioni religiose. Nei giorni in cui faceva la comunione appariva più lieta. Ne dava la spiegazione alle compagne dicendo: "Gesù è nel mio cuore".
Al termine della 6.a classe, la Beata, per continuare gli studi superiori, il 24-5-1927 entrò nel convitto delle Clarisse Francescane di Bharananganam, erette in congregazione religiosa il 14-12-1888 da Mons. Carlo Lavinge, Vicario Apostolico di Kottayam, per l'istruzione e l'educazione della gioventù. Per l'impegno posto nello studio e il comportamento disciplinato, il 2-8-1928 meritò di essere ammessa alla velazione tra le Clarisse Francescane con il nome di Alfonsa dell'Immacolata Concezione, in omaggio al santo del giorno. In quel tempo godeva di buona salute. Dal convento di Bharananganam fu trasferita alla sede vescovile di Changanacherry perché fosse in grado di frequentare, a piedi, le classi 8.a e 9.a nella vicina località di Vazhapilly. Perché continuava a fare progressi nella virtù e a mantenersi in buona salute, il 19-5-1930 fu ammessa alla vestizione dell'abito religioso alla presenza dell'ordinario del luogo, Mons. Giacomo Kalacherry, nella chiesa di S. Maria, a Bharananganam.
Da quel giorno la salute di Suor Alfonsa subì un brusco e misterioso cambiamento. Ritornata a Changanacherry per frequentare la 9. a classe a Vazhapilly,a causa di una pertinace emorragia che l'affliggerà, con alti e bassi, per cinque anni, fu costretta ad abbandonare quegli studi che tanto amava. Per ottenere la guarigione fece con grande fede una novena al P. Ciriaco Elia Chavara. Il Beato le apparve, e le disse che il flusso di sangue sarebbe cessato, ma che avrebbe dovuto soffrire per varie altre infermità.
Nel 1935, per le sue migliorate condizioni di salute, Suor Alfonsa fu ammessa al noviziato di Changanacherry, ma a causa di altre forme patologiche da cui afflitta, fu difficile per lei tenere il passo con le dodici sue compagne. Le superiore avrebbero voluto dimetterla, Mons.Kalacherry, invece, non volle che fossero disattese le aspirazioni della beata che considerava il miglior ornamento dell'Istituto, benché andasse soggetta a perdite di sangue dal naso e dalla bocca per cui doveva essere lavata di frequente, a dolori addominali, a vomiti, a ulcerazioni in varie parti del corpo che le cagionavano dolori inenarrabili, e che sopportava con vero gaudio spirituale a imitazione di S. Teresa di Gesù Bambino.
Durante il noviziato ebbe la fortuna di essere diretta da un esperto carmelitano di rito Siro-Caldaico, il P. Luigi di S. Giuseppe, il quale seppe infonderle nell'animo l'amore alla vocazione, l'accettazione gioiosa della croce, l'adesione amorosa alla volontà di Dio e il desiderio di giungere alla santità sulla via dell'infanzia spirituale. In una nota della Beata si legge: "Desidero soltanto di amare perfettamente il mio Signore. Preferisco morire invece di offenderlo commettendo anche solo un leggero peccato veniale". A P. Luigi la medesima confidò: "Finora il buon Dio mi ha concesso la grazia di non perdere l'innocenza battesimale. Qualche volta divento triste pensando che altre persone avrebbero amato Dio molto più di me se avessero avuto le mie grazie".
Suor Alfonsa fu ammessa alla professione perpetua il 12-8-1936 per volere del vescovo diocesano. A quella temporanea era già stata ammessa per la prima volta nel 1931. Di lei il presule aveva concepito una grande stima. Difatti la chiamava "la piccola santa". La Beata gliene fu grata. Gli scrisse in seguito che avrebbe pregato e fatto mortificazioni secondo le sue intenzioni. E concludeva la lettera dicendo: "Regalatemi le vostre sofferenze. Dichiaro fermamente che sono sempre pronta a patire per voi indefinitivamente qualunque sofferenza". Un giorno il vescovo le domandò confidenzialmente in che maniera riusciva a riempire le interminabili sue notti insonni. Gli rispose semplicemente: "Io amo!".
Suor Alfonsa fu rimandata nel convento di Bharananganam, e là rimase fino alla morte senza potere svolgere nella comunità alcun ufficio con assiduità, a causa della tubercolosi che, secondo il dottore, aveva contratto e per cui dovette essere isolata nell'infermeria. Prima del noviziato era riuscita soltanto a fare scuola durante l'anno scolastico 1932-1933 nella casa di S. Paolo a Vakakkad. Mons. Sebastiano Valloppillil, vescovo di Tellichery, che da giovane prete aveva conosciuto la Beata, attestò: "Suor Alfonsa è portatrice di un messaggio di incalcolabile valore proprio a questo mondo: il dolore non è un male; le prove e le difficoltà della vita, accettate e sofferte con gioia, per amor di Dio, sono motivo di meriti e per acquistarli non è necessario compiere azioni straordinarie appariscenti: le croci quotidiane, abbracciate con gioia, per amore di Dio, esaltano la vita cristiana e ci permettono di acquistare grandi meriti. Questo è l'esaltante messaggio al mondo moderno da parte di Suor Alfonsa che, durante la sua breve vita, nulla ha compiuto di appariscente e, dal punto di vista umano, grande: si è consumata come una candela per illuminare gli altri".
Scomparsa la tubercolosi dopo molte preghiere, Suor Alfonsa nel 1939 fu afflitta da polmonite doppia, che la lasciò priva di forze. Fu in quel tempo che un ladro entrò, di notte, nella sua camera e le incusse un tale spavento che, per un anno, perse la lucidità di mente. Si erano appena attenuati gli effetti dello spavento quando l'inferma si vide crescere nella parte più intima del corpo un tumore, grosso quanto una noce di cocco. L'infiammazione causata da quella escrescenza le si estese anche alle gambe, al ventre e al petto, di modo che non trovava sollievo ai dolori né stando seduta, né stando coricata sul letto, né muovendo le gambe. Le consorelle ne erano sgomente perché non sapevano come curarla. In questo stato trascorse lunghi mesi senza mai lamentarsi, pensando all'immobilità di Gesù appeso alla croce, e offrendo a Dio Padre i suoi inenarrabili dolori per la salvezza delle anime, la Chiesa, i missionari, i peccatori, le anime del purgatorio. Con la rottura del tumore fu finalmente possibile prestare alla Beata le cure convenienti, ma il suo miglioramento fu temporaneo. Nel 1943, difatti , andò soggetta a una penosa infiammazione ai denti e ad altre malattie che sarebbe troppo lungo enumerare.
La ragione di tante sofferenze è contenuta nella lettera che Suor Alfonsa, il 30-11-1943, scrisse al P. Luigi: "Da sette anni non mi appartengo più. Mi sono offerta interamente allo sposo divino, come ben sa. Dio faccia qualsiasi cosa secondo il suo beneplacito. Quindi non voglio essere curata. Prego perché sia fatta la volontà di Dio… Tutto è gioia". Il 20-11-1944 allo stesso Padre confidò: "Poiché il mio buon Signore Gesù mi ama tanto, desidero sinceramente rimanere su questo letto di malattia e soffrire non solo questo, ma anche qualsiasi altra cosa, anche sino alla fine del mondo. Capisco ora che Dio ha voluto che la mia vita fosse un'oblazione, un sacrificio di sofferenza". Tante volte aveva pregato: "Mio Gesù, pieno di indicibile dolcezza, trasforma tutte le gioie terrene in amarezza". Era stata esaudita.
La Beata era sta dotata da Dio di un temperamento affettuoso e allegro, con una capacità di gioire anche delle cose più semplici e comuni. A motivo delle cure che le faceva prestare, nutrì un tenero affetto per la superiora che, secondo quanto scrisse al suo direttore spirituale, era in tutto simile a quello che una bambina nutre per sua madre. Qualche consorella se ne ingelosì e, con le mormorazioni, non si peritò di aumentare le afflizioni all'inferma.
La Beata si limitò ad annotare: "Quando sarò disprezzata ed umiliata, troverò rifugio all'ombra del S. Cuore di Gesù". A partire dal mese di luglio 1945 Suor Alfonsa visse praticamente in uno stato agonico, accompagnato da vomito continuo. Ciò nonostante, nel febbraio del 1946, scrisse al P. Luigi: "Mi sono data completamente a Gesù. Si compiaccia egli di curarsi di me. Il mio solo desiderio in questo mondo è di soffrire per amore di Dio e di rallegrarmi nel farlo".
Suor Alfonsa era contenta di morire. Dopo che le fu amministrata la santa unzione, le ultime parole che disse alla superiora che l'assisteva furono: "Non mi sento priva di pace, Madre". Volò al premio il 28-7-1946.
Fu sepolta nel cimitero annesso alla parrocchia di Bharananganam. La cappella in cui fu posta dopo l'esumazione del 1957 è meta di continui pellegrinaggi da parte di cristiani, di musulmani e specialmente di indii i quali credono che la salvezza si può ottenere soltanto con l'abnegazione e l'ascetismo. Bene quindi ha scritto il Card. Massimiliano de Fùrstenberg, Prefetto della Congregazione delle Chiese Orientali: "Suor Alfonsa si presenta come l'araldo di una missione di estrema attualità: richiamare l'attenzione del mondo moderno sulla tremenda e sublime verità del potere redentivo della sofferenza".
Giovanni Paolo II di Suor Alfonsa Muttathupadathu riconobbe l'eroicità delle virtù il 9-11-1984. La beatificò insieme al P. Ciriaco Elia Chavara a Cottayam, 1'8-2-1986, durante il suo viaggio apostolico in India.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 7, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 293-299
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