MESSA

"Cardinale Pietro Parente; Mons. Antonio Piolanti; Mons. Salvatore Garofalo: Voci selezionate dal Dizionario di Teologia Dogmatica". MESSA (dal lat. missio = congedo; dal IV sec. il rito di congedare i catecumeni prima dell'offertorio diede il nome a tutto il complesso delle cerimonie in cui si compie il sacrificio eucaristico): è il sacrificio della Nuova Legge: l'atto supremo del culto non poteva mancare al Cristianesimo, che è la religione perfetta, perciò Cristo arricchì la sua Chiesa del sacrificio incruento che fosse il memoriale perpetuo, e l'applicazione perenne dei meriti acquistati nel sacrificio cruento della Croce; infatti la Messa non è che la ripetizione dell'ultima cena. secondo il comando del Signore: «fate questo in memoria di me».

Ora l'ultima cena fu un vero sacrificio perché le espressioni usate da Cristo: «questo è il mio corpo dato per voi» (Lc. 22, 19), «questo è il sangue della Nuova Alleanza effuso in remissione dei peccati» (Mt. 26, 28), secondo lo stile biblico, sono termini propriamente sacrificali (cfr. Gal., 1, 4; Ef., 5. 2; Lev., 1. 5, 15; I Petr., 1, 19). Tale conclusione viene efficacemente confermata dall'oracolo di Malachia (1, 10-11) che predice un sacrificio i cui caratteri di santità e di universalità non si verificano che nella Messa, e da tutta la Tradizione, che con la prassi liturgica e con le aperte testimonianze ci assicura della volontà di Cristo di istituire un vero e proprio sacrificio duraturo fino alla parusia (I Cor., 11, 26). Da questi dati della rivelazione la Chiesa trasse ragioni più che sufficienti da opporre, nel Conc. di Trento (sess. 22), ai Protestanti che avevano dato assoluto ostracismo al sacrificio dell'altare.
 I Teologi da molto tempo si domandano come la liturgia della Messa, che si svolge nei tre grandi atti dell'offertorio, della consacrazione e della comunione, verifichi in sé la ragion di sacrificio. In ogni vero sacrificio si devono considerare l'offerente, la vittima e l'atto sacrificale, il quale comprende un elemento materiale, l'oblazione, e un altro formale, l'immolazione.
 Tutti sono d'accordo, dietro la dichiarazione del Conc. Trid. (DB, 938, 940), nel riconoscere che Cristo è il sacerdote e la vittima principale che viene offerta e immolata nell'atto della duplice consacrazione del pane e del vino. Ma la concordia s'incrina fortemente quando tentano di chiarire in che consista essenzialmente l'azione sacrificale della duplice consacrazione.
 Lasciando l'opinione del Bellarmino, del Suarez e del Franzelin, che ponendo un'immolazione fisica sembrano peccare per eccesso, come quella del P. De la Taille e del Lepin, che accontentandosi della sola oblazione peccano per difetto, sembra miglior partito attenersi alla dottrina tradizionale, che presenta il sacrificio della Messa come un'oblazione ed un'immolazione vera, ma di ordine mistico e sacramentale; questa dottrina prende le mosse dal dato primigenio della duplice consacrazione: essendo sotto le specie del pane, in forza delle parole (vi verborum) soltanto il corpo e sotto le specie del vino soltanto il sangue del Signore, ne segue che il corpo di Cristo non in sé stesso, ma in quanto è contenuto sotto le apparenze del pane è separato dal sangue in quanto questo è contenuto sotto le apparenze del vino: abbiamo così una immolazione vera ma mistica, quale è verificabile ora, data l'impassibilità del corpo glorioso del Redentore. Questa dottrina che collima perfettamente con il Concilio di Trento (DB, 938, 940) è suffragata dalle testimonianze più belle della Tradizione, dal Nazianzeno a S. Agostino, e dall'autorità dei più grandi teologi, da S. Tommaso al Billot.