Limiti della libertà economica (I)

Di p. L. Taparelli d'Azeglio S.J.   1. Necessità di stabilirne per principio l'autorità – 2. Quanto male essa sia compresa – 3. Suo fine è l'esternare l'ordine morale – 4. coordinando l'opere dei cittadini – 5. Se risponde del fine, dee regolare i mezzi – 6. Mezzi propri, mezzi comuni – 7. Assurdi di chi negasse il dritto di regolarli – 8. Norme di tal direzione, la giustizia – 9. e la benevolenza o convenevolezza – 10. La seconda cede alla prima – 11. Il governante dunque non comanda arbitrariamente ma coordina l'adempimento dei doveri – 12. Ordina le persone non usa le cose – 13. Ordina persone e società reali e presenti, non ideali e futuribili. – 14. Giusto riguardo ai nascituri – 15. Son necessari anche mezzi pecuniari – 16. Li regola il mallevadore del fine – 17. Il popolo quando è sovrano, i ministri quando sono responsabili – 18. Varie maniere di coordinare la cooperazione economica – Importanza delle dottrine spiegate – 20. Loro epilogo – 21. I. Fine: II. mezzi propri e comuni: III. libertà dell'opera regolata: IV. secondo giustizia: V. dritto coercitivo: VI. insinuazioni persuasive – 22. Questi termini possono violarsi, ma non confondersi o negarsi.

LIMITI DELLA LIBERTÀ ECONOMICA
«La Civiltà Cattolica», 1860, a. 12, Serie IV, vol. X, pp. 556-566, pp. 695-704; vol. XI, pp. 144-161, pp. 270-283

§. I. Diritti dell'ordinatore sociale.

SOMMARIO

1. Necessità di stabilirne per principio l'autorità – 2. Quanto male essa sia compresa – 3. Suo fine è l'esternare l'ordine morale – 4. coordinando l'opere dei cittadini – 5. Se risponde del fine, dee regolare i mezzi – 6. Mezzi propri, mezzi comuni – 7. Assurdi di chi negasse il dritto di regolarli – 8. Norme di tal direzione, la giustizia – 9. e la benevolenza o convenevolezza – 10. La seconda cede alla prima -­11. Il governante dunque non comanda arbitrariamente ma coordina l'adempimento dei doveri – 12. Ordina le persone non usa le cose ­13. Ordina persone e società reali e presenti, non ideali e futuribili.

1. Rivendicata ai privati una giusta libertà cogli articoli precedenti, studiamone ora i limiti: e per ben comprenderne razionalmente il valore, rifacciamoci a considerare la natura, l'essenza della suprema autorità ordinatrice. Parrà forse al lettore un po' soverchio questo risalire perpetuamente ai principii. Ma che volete? Qui sta propriamente il gran difetto della scienza ai tempi nostri. Ricca di osservazione e di sperimenti, attuosissima nel moltiplicarli e confrontarli, generosa nello spendere ove la scienza spera incremento, paziente nel ridurli a formole statistiche e a calcoli aritmetici, concorde nell'aiutarsi con associazioni e congressi, essa fabbrica macchinosi edifizi, ai quali manca un solo elemento, ma importantissimo, la solidità della base.

2. Ne abbiamo avuto un esempio curioso in un congresso scientifico, tenuto l'anno scorso in Losanna, dai 25 ai 28 di Luglio (1), nel quale illustri economisti e politici, volendo fissare una teorica delle pubbliche gravezze, e per conseguenza le obbligazioni dello Stato a cui si pagano, si son trovati impacciatissimi nel definire che cosa sia l'imposta e quale la funzione del governante. Voleano, gli uni che il governante fosse un moralista, cui le gravezze pubbliche servissero per insegnar morale: altri che fosse un presidente di società assicuratrice, cui colle gravezze si retribuisse l'opera. Di che il signor Emilio de Girardin inferiva che ogni cittadino, fatto il calcolo dei pericoli che corre e della sicurezza che ottiene, ha il diritto di consentire o ricusare le gravezze. «Dans la pensée de M. de Girardin, l'Etat n'a pas à s'occuper des moyens de civilisation ou de moralisation; sa rnission est d'étre assuré dans taute l'acceptation du mot, et pour tous les risques que l'Etat a à courir. Ces risques une fois déterminés, c'est au contribuàble à voir s'il a intérét à payer la prime d'assurance qu'on lui demande. De là, la libertè du contribuable et l'impot volontaire» (2).
Come vedete la quistione intorno alla funzione di pubblico ordinatore, non solo non è rancida, non solo è viva ed attuale, ma è per gli economisti la base per la soluzione di mille altri problemi; e base sommamente problematica, e nel tempo stesso d'importanza. suprema per determinare i limiti della libertà economica.
Non vi dispiaccia dunque che ancor noi ricorriamo a questi principii per risolvere i problemi di libertà; e che poco usi come siamo alle dottrine scettiche, continuiamo col nostro tono, che le esitazioni dei dottrinarii troveranno troppo dommatico, ma che ci sembra inevitabile in materie di tanta evidenza.

3. Il pubblico bene, dicemmo nei precedenti articoli, è l'esterna attuazione dell'ordine morale tra i cittadini. Obbligati questi ad osservare ciascuno per coscienza cotesto ordine, e dotati perciò del diritto di usarne i mezzi, potrebbero molte volte esserne impediti e dalle cause materiali e molto più dalla malvagità degli uomini. Ad evitare questo male fu data dal Creatore la società (adiutorium simile sibi), nella quale cooperando tutti gli onesti allo scambievole aiuto, possono colle forze di tutti domare l'opposizione di pochi malvagi, e superare la resistenza dei materiali elementi. Ma come si formerà questa unità di azione? Vedemmo più volte che nella tanta varietà dei giudizii e libertà degli arbitrii umani, l'unità riuscirebbe impossibile, se un'intelligenza centrale non avesse il diritto di raccogliere intorno a sé, e spingere in unica direzione le forze degli onesti. Questa intelligenza centrale è quella che appellasi il governante: e il diritto di dare unità all'atto sociale è quello che dicesi autorità.

4. Bastano queste poche parole a far comprendere qual sia il fine e remoto e prossimo dell'autorità; da cui germoglia, come abbiamo detto, il diritto di adoperare e guidare i mezzi per conseguirlo.
Il fine remoto è il riposo della società nell'ordine: il fine prossimo è dare unità all'atto sociale, quanto è necessario per ottenere quel fine. E poiché l'opere umane debbono prodursi dalla volontà personale, il comando dell'imperante ha il diritto di piegare all'opera esterna le volontà dei sudditi.

5. Di che voi vedete come per quello stesso motivo, per cui la ragione personale, incaricata di giungere al fine della persona, ha il diritto di adoperarne e guidarne i mezzi; anche il governante, incaricato del fine sociale e di produrlo mediante l'unità delle opere, debbe avere il diritto d'adoperarne i mezzi e indirizzarli a quel fine. La quale osservazione vi mostra uno essere il principio e della libertà negli interessi privati e di obbedienza nei pubblici: essere per conseguenza interesse del suddito il conservare l'autorità del superiore, interesse del superiore il conservare la libertà al suddito: giacché violato o nell'uno o nell'altro il principio, perde la forza necessaria a conservare in entrambi il rispettivo diritto legittimo. Avrà egli dunque il diritto di essere obbedito dagli associati ogni qual volta, per giungere alla pubblica attuazione del bene morale, è necessario il concorso delle forze di tutti. E chi sarà giudice della necessità di tal concorso, e della direzione che conviene dargli per ottenere lo scopo? Ognuno lo vede: se il governante è veramente supremo, a lui solo tocca nell'ordine suo determinare la necessità e l'uso dei mezzi.

6. Avvertite peraltro esservi due specie di azioni che possono servire di mezzo. Le une, che sono per loro natura talmente proporzionate a quel fine, che né il fine può ottenersi senz'esse, né esse avrebbero ragione di esistere senza quel fine. Tali sarebbero p. e. per l'autorità pubblica l'arruolamento dell'esercito, e la formazione delle varie sue armi ed istituzioni. Le altre, che possono bensì giovare a quel fine, ma che giovano anche ad altri fini e talora anzi sono per sé ad altri fini ordinate. Così p. e. giova allo Stato che ciascuno del sudditi sia sano e robusto, che i privati non isprechino il danaro, che i parenti educhino bene la figliuolanza; benché la sanità delle persone, le spese private e l'educazione dei figli non sieno per sé ordinate al bene pubblico, e sussistano anche fuori della pubblica società in qualsivoglia famiglia isolata.
In queste due specie di mezzi l'autorità può avere qualche diritto: ma nella prima specie questo diritto è immediato, per sé, in forza della propria funzione; nella seconda specie il diritto dell'autorità è secondario, indiretto e soggetto a molti ostacoli ed incagli, che la giustizia rispetta, e solo il dispotismo infrange sfacciatamente, tostochè il suo interesse (il quale è tutt'altro che il bene pubblico) chiede il sacrifizio del diritto altrui.
I mezzi economici possono appartenere e alla prima e alla seconda specie, vale a dire esser mezzi diretti e proprii, o indiretti e comuni. A proporzione del bisogno pel vero bene pubblico., l'autorità ha il diritto di volgersi al cittadini chiedendone la cooperazione, ed imponendo quei sacrifizii o di danaro alla borsa (e col danaro intendete qualunque avere equivalente), o di libertà nell'uso delle forze produttive che può riuscire necessario e proporzionato al bisogno.

7. Chi volesse negarle un tal diritto, dovrebbe asserire uno di questi errori: o dire 1° «nelle società umane non sono necessarii gli averi materiali»; 2° «questi averi pel fine sociale non abbisognano di alcun regolamento;» o 3° «questo regolamento non ricerca una mente ordinatrice:» errori tutti che un po' di buon senso obbliga a rigettare.

8. Questa prima conseguenza è un principio universalissimo, che può trovare la sua applicazione in tutte le funzioni, colle quali il governante tende a quel fine, che gli è prescritto di attuare esternamente nelle relazioni civili dei cittadini, l'ordine morale. Questo esige in 1° luogo che si escluda il disordine morale; 2° che regni l'ordine di giustizia; 3° che vi si aggiunga la positiva e pratica benevolenza. Ogniqualvolta dunque le azioni pubbliche dei cittadini in materia economica o sono per sé positivamente disordinate, o abbisognano assolutamente di direzione per compiere concordemente le leggi di giustizia e di benevolenza; coteste azioni soggiacciono socialmente ad una qualche direzione della suprema autorità ordinatrice (3). Ben inteso che questa non è arbitraria nel comandare, nel prendere, nel donare; ma,dee seguire, nell'escludere i disordine, le leggi di giustizia penale; nell'esigere l'ordine di relazione fra i privati, quelle di giustizia commutativa; nel riscuoterne il concorso in atti di benevolenza, quelle di giustizia distributiva. Sicché dovendo, per cagion d'esempio, punire un pubblico peculato, mirerà colla pena a ristorare quegli ordini di pubblica probità ed interesse, che furono malmenati col delitto. Nel provvedere al diritto successorio, farà che tanto ottengasi da ciascuno degli eredi, quanto loro per giustizia è dovuto. Nell'esigere il concorso dei sudditi ad un istituto necessario di pubblica beneficenza, seguirà le proporzioni complesse dell'utilità che ciascuno può trarne, del debito che ha di concorrervi, dei mezzi di agiatezza di cui sovrabbonda eccetera (4). La quale proporzione di giustizia distributiva dovrà guidarlo ugualmente nel ripartire le gravezze, che saranno necessarie per sostentare e fornire d'istromenti tutto l'organismo dei pubblici ufficiali.

9. Il lettore comprenderà per sé medesimo altro essere il diritto del governante nel promuovere quelle funzioni di bene pubblico, che sono all'esistenza sociale assolutamente necessarie, altro il diritto di fomentare certe imprese, giovevoli bensì al bene pubblico, ma non assolutamente necessarie all'esistenza sociale. Se egli altro non fa che coordinare l'opera dei cittadini a norma del loro dovere; secondochè questo dovere stringerebbe i cittadini privatamente, dovrà il governante spingerli legalmente. Ora privatamente ogni cittadino è bensì certamente obbligato a volere nella società rispettata la giustizia, sicure le persone, provveduti i necessarii alimenti; ma non è obbligato a volere comode le strade, magnifici i palazzi, deliziosi i giardini. Anzi un povero operaio, cui manchi quasi il pane per la famiglia, fallirebbe al proprio dovere se la lasciasse digiuna per contribuire al pubblico lusso. Or questo disordine appunto viene cagionato da quei governanti che sparnazzano in simili pompe, gravandone enormemente le tasse (e suole avvenire per lo più, come notavasi dal Passy nella dissertazione degli Octrois citata altra volta, nei municipii), specialmente degli oggetti più necessarii, come pane, sale, macinato ecc. Codesti governanti dicono in sostanza al poverello: «Tu stenti il nutrire e vestire tuoi pargoli col sudore di tua fronte. Eppure tant'è: tu hai da togliere di bocca a quei poverelli la metà di quel tozzo con che appena si sfamano, affinché io paghi col loro digiuno l'agiatezza dei ricchi, le delizie dei giardini, la comodità dei viaggiatori». V'è egli giustizia in tal domanda ? Se quel padre volontariamente sacrificasse il necessario della famiglia pel lusso dei concittadini, noi direste colpevole di prodigalità nell'economia domestica? E potrà poi meritare nome di ordinatore pubblico, un governante che imponga a migliaia di povere famiglie un tal disordine?

10. N'è vale il rispondere che anche il povero partecipa alle delizie di quei giardini, al comodo di quelle strade. Non istà qui la quistione, sta nel vedere se il parteciparvi sia suo dovere suppongasi pur vero che ne partecipi, è egli giusto per questo il suo dispendio? Direte voi giusto lo sprecare che fa un operaio in procacciarsi piaceri anche leciti, coi salarii o le mercedi che dovrebbero sostentare la famiglia, perché quelle delizie se l'è godute egli stesso?
Quando dunque parliamo di bene pubblico, rispetto al quale il governante dee congiungere le opere dei governati ed ha diritto per conseguenza di regolare l'uso dei mezzi, intendiamo che questa regola sia stabilita, secondo le leggi di giustizia facendo sì che ciascuno dei cittadini adempia quelle parti che, secondo tal norma, a lui rispettivamente si addicono: cotalchè chi ha dovere, adempia necessariamente il dovere; cui si procura un comodo, paghi ragionevolmente il comodo; chi bramasse il superfluo, somministri egli stesso i mezzi senza gravarne l'intera comunità (5). Così potrà dirsi che l'ordinatore ordina.

11. In questo modo di procedere il volgo non vede se non il diritto del governante a prendere la roba dei sudditi; e l'Elvezio, il quale come materialista non poteva in faccende di governo vedere meglio del volgo, scrivea facetamente al Montesquieu che tutta l'arte del governo sta nel trovare le vie, per far passare i quattrini dalla borsa dei governati in quella dei governanti (6). Ma il pubblicista filosofo che studia davvero nella natura dell'uomo i diritti del governante, vede benissimo ch'egli altro non fa in sostanza che ciò che farebbe un moralista, se dai singoli cittadini venisse consultato sui rispettivi loro debiti. «Voi, direbbe al ricco, avete maggiore interesse al buon governo, e mezzi maggiori da potervi contribuire senza incomodo della famiglia, senza fallire ad altri doveri ecc. Dunque dovete dar più.» Questo che direbbe il moralista consigliando la coscienza, vien detto (per quanto si possono approssimativamente stabilire le proporzioni) dal governante tassando per autorità.

12. Dalle quali considerazioni voi potete ricavare la conferma di ciò che in altre occasioni abbiamo detto, il governante in quanto tale (7) operare sulle persone e non sulla roba, imprimendo a ciascuno dei cittadini un impulso che lo solleciti a contenersi, in quanto alle sue azioni pubbliche, nelle vie dell'ordine morale. Nell'imprimere questo moto morale alle persone, sta propriamente quello che si appella governo d'uomini: il quale tanto è più retto, quanto più procura di muovere l'uomo secondo uomo, conducendolo ad operare pel convincimento della ragione, pel movimento conseguente della volontà, dalla quale dee nascere l'operazione. Per lo che ben dicea colui «non essere abile governante chi vuole che altri faccia, ma sibbene chi fa che altri voglia.» Il che vuolsi intendere di animi retti e capaci d'ascoltare la ragione; perocchè verso i barbari, i rozzi, i malcostumati ecc. non si può molte volte procedere se non come verso i fanciulli, più per via d'immaginazione o d'affetto o di timore, che di persuasione e di dovere.
Ma qualunque mezzo si adoperi, sempre sta che il governante in quanto tale non è un pubblico negoziante, un pubblico capitalista, un pubblico impresario che debba concorrere contro i privati nel mestiere di far quattrini pel fisco. Questo potrà farlo talvolta come amministratore dell'erario pubblico e senza ledere i diritti privati: ma come governante egli è ordinatore delle persone, e la sua funzione mira ad ottenere il pubblico bene mediante la congiunzione delle volontà dei sudditi; e questa congiunzione egli deve ottenerla, non già imponendo obbligazioni arbitrarie, ma esigendo e determinando concretamente l'adempimento dei doveri reali, imposti dalla natura e dall'ordine dei fatti.

13. Al qual proposito badate di grazia a non cadere in un abbaglio, consueto fra molti economisti e sì filosoficamente, sì praticamente perniciosissimo; il quale consiste nel raccomandare ai governanti un cotal uomo o popolo ideale, in cui vantaggio vengono tribolati l'uomo e il popolo reale. Fu notato questo da altri economisti più savii in certi casi particolari, come sarebbe a cagion d'esempio nel sistema di gravezze; il quale viene in certi Stati a sì generosi salassi sui popoli, da dissanguarli fino al deliquio; consolandoli col luccichio di quel gran bene che ne godranno poscia i nostri pronipoti.
Ma di grazia, Signori, un po' di carità pei viventi prima di occuparvi dei nascituri! E lo stesso potrebbe dirsi riguardo a certe filantropie umanitarie, che pensano al sollievo dei remotissimi Cafri o Groenlandi, dimenticando gli operai concittadini o i famigli: chè per affrancare da ogni vincolo il commercio adducono l'universalità di affetto fra gli uomini, ed esortano i concittadini a tollerare il male transitorio di loro persone in vista del futuro bene universale.
A cotesta filantropia malintesa è necessarissima l'avvertenza da noi testé suggerita: la cui ragione fondamentale sta nell'essenza medesima di società, la quale è propriamente aggregazione d'uomini vivi e cooperanti, ciascuno dei quali ha il diritto di trovare in essa un aiuto e non un ostacolo al procacciamento dei mezzi necessarii all'onesto e quieto vivere. Questo aiutante (adiutorium) non è un provveditore: dee svincolare le braccia ai lavoranti, non lavorare egli stesso per gli oziosi. Ma se invece d'aiutare al lavoro ne inceppa l'opera e ne smugne il lucro (pognam pure che il faccia per amore dei nascituri), egli non si conforma agli intenti di chi istituì la convivenza sociale. Anche presso i sostenitori di quel romanzo ginevrino del Patto, la società intanto si forma, in quanto ogni cittadino, per bene proprio e non già dei nascituri, patteggia e si spoglia. Molto più poi nell'intento della Provvidenza creatrice, presso la quale ciò che ha vero pregio è l'anima ragionevole individuale, e non già la grandezza nazionale o altro bene politico, cose tutte che al morale bene delle persone debbono essere subordinate.

LIMITI DELLA LIBERTA' ECONOMICA

14. Giusto riguardo ai nascituri – 15. Son necessari anche mezzi pecuniari – 16. Li regola il mallevadore del fine -17. Il popolo quando è sovrano, i ministri quando sono responsabili – 18. Varie maniere di coordinare la cooperazione economica – Importanza delle dottrine spiegate – 20. Loro epilogo – 21. I. Fine: II. mezzi propri e comuni: III. libertà dell'opera regolata: IV. secondo giustizia: V. dritto coercitivo: VI. insinuazioni persuasive – 22. Questi termini possono violarsi, ma non confondersi o negarsi.

14. Quando nel quaderno precedente ci fu tronca a mezzo la parola, stavamo dicendo esser dovere del governante provvedere al bene dei viventi e non sacrificarlo alle speranze dei nascituri. Al che sembrano propensi quei pubblicisti che torturano con immense gravezze i loro sudditi, confortandoli colle promesse di un felice avvenire pei loro figli e nepoti. Quando dunque si dice che il governante dee coordinare i cittadini fra di loro, questo assioma deve intendersi di quell'ordine che, secondo le leggi di eterna giustizia, lega fra loro i conviventi in relazioni reali. E siccome sarebbe, non che ingiusto, ridicolo chi stirpasse dal campo del vicino gli erbaggi e le messi per fare che la terra giunga più riposata e fruttifera in mano degli eredi; così ingiusto sarebbe il governante che col danno della generazione vivente pretendesse felicitare le generazioni venture.
Ciò non esclude certi riguardi anche al bene di queste; né sono lodevoli quei governi improvvidi che colle anticipazioni del debito pubblico mettono le generazioni venture nell'alternativa fra l'iniquità del fallimento e gli stenti di un Tesoro esausto. Ma il debito in ciò del governante non è direttamente e immediatamente verso i futuri, sibbene verso i presenti, in quanto essi stessi hanno qualche obbligazione verso i futuri per la gran legge di giustizia del cuique suum. Ai futuri si serbi intatto il diritto di usare in proprio vantaggio l'opera loro, perché i viventi non hanno diritto di usufruttuarla anticipatamente: si assicuri contro la prodigalità la perenne durevolezza della famiglia, a cui il padre sarebbe obbligato di provvedere: nel qual provvedimento viene a perennarsi anche il bene della Stato, del quale il governante supremo ha cura speciale ed immediata. Così, senza affidare a questo né il governo della famiglia che tocca al padre, né l'immediata cura del bene dei nascituri; si conceda peraltro al governante supremo quella mediata e indiretta influenza che si confà alle leggi della giustizia ed assicura ordinatamente il pubblico bene mediante la ragionevole cooperazione di tutte le corporazioni inferiori e di tutti i concittadini, la cui operazione è proprio ed immediato obbietto della funzione governatrice.

15. Ad ottenere un tal fine non è chi non veda essere richiesti, fra gli altri, anche i mezzi pecuniarii. E come farebbe a reprimere il disordine senza tutto il corredo personale e reale dei tribunali crimin­ali e della pubblica forza; istituzioni tutte che richiedono spese vistose? Come congiungerebbe nel rispetto alla proprietà i giudizii e le volontà per sé discordi di tutti i cittadini, se colle leggi e coi giudizii civili non mettesse in chiaro qual sia l'ordine che emerge dalla complicatissima collisione dei diritti? E l'esercizio della benevolenza scambievole quale aiuto potrebbe avere dal congiungimento degli sforzi sociali, se il governante, ponderati i doveri che corrono in vario grado a tutti i cittadini, non avesse il diritto d'imporre alle loro borse il rispettivo concorso? Non vi è funzione morale sulla terra che non abbisogni di un materiale appoggio, come non vi è sì sublime operazione dell'intelletto che non domandi il fulcro dell'uomo senziente. Se dunque è dovere di tutti gli associati di concorrere a cotesti effetti, a cotesta formazione dell'ordine pubblico, dovere loro sarà di contribuirvi in quanto è necessario, anche mediante le facoltà economiche, e le forze produttive.

16. Ma con qual direzione? A chi tocca il regolare le spese in tal materia? La risposta ve la dà il teorema fondamentale. Chi è nella società costituito dalla natura come ordinatore delle opere sociali al pubblico bene? Non è egli il governante? A lui ne chiede conto la società, la quale ad ogni male che minaccia chiede rimedio dal regnante, ed al regnante imputa la colpa d'ogni male che la flagella. Ora se a lui tocca stare pagatore del fine, qual giustizia permette che gli si sottragga l'ordinamento dei mezzi?

17. Dacché il popolo si è voluto far sovrano, si è preteso che a lui tocchi regolare e sancire le pubbliche spese, sperando in tal guisa un governo a buon mercato. Quale risparmio siasi con ciò ottenuto e qual sicurezza di vedere bene impiegato il danaro, i nostri lettori, e più ancora i popoli che pagano, se lo sanno. Ma prodigo od economico che sia il governo del popolo, s'egli governa è ragionevolissimo che regoli le spese. Egli dee giungere al fine dell'ordine pubblico; a lui tocca regolarne i mezzi. Supponete all'opposto che quest'ordine sia raccomandato ad un Monarca: sarebbe egli giusto torgli la libertà nell'uso del pubblico danaro e nella direzione del concorso privato, e poi pretendere che egli risponda del pubblico bene? No certamente.
Ed appunto da questa legge indeclinabile della finalità mostrava l'acuta mente del Donoso Cortes ragionevolissimo quel dispotismo con cui negli Stati parlamentarii del continente ogni nuovo ministero che afferri i portafogli grida tosto a cose nuove uomini nuovi, e dà il congedo allo sterminato esercito dei minori officiali burocratici. «Non dite voi (così la discorreva il gran pubblicista spagnuolo) che i ministri sono responsabili? Or quale ingiustizia, quale assurdità non sarebbe volerli mallevadori del fine e costringerli ad usare stromenti inetti, anzi talora renitenti?»
Quando dunque la pubblica amministrazione, ponderati a rigore di giustizia i doveri dei sudditi, e misurati cogl'insegnamenti delle scienze economiche, agronomiche, amministrative ecc .. i bisogni di pecunia o i limiti necessarii alla libertà dei sudditi pel conseguimento di alcuno di cotesti beni a lei raccomandati dalla natura della sua funzione, ordina secondo sua prudenza quella parte di pecunia che a tal fine è destinata, essa non travalica il proprio dovere, né offende la libertà dei privati. Solo si fa guida dell'opera loro esigendo per autorità ciò che essi per coscienza spontaneamente, dovrebbero fare, obbligati come sono a concorrere pel bene, pubblico. Ma se essi lo procacciassero ciascuno da sé alla spicciolata, disperderebbero le forze e nulla otterrebbero; ridotti ad unità dal pubblico ordinatore ottengono col minimo sforzo di ciascuno il massimo bene di tutti.

18. E in qual modo vengono ridotte all'unità coteste contribuzioni o di pecunia o di opera? Capirà, il lettore essere moltiplice il modo con cui, secondo la varia indole dei popoli, dei tempi, delle materie, dee procedere il governante. In certi popoli più atti a vita pubblica (8) col solo proporre un vantaggio comune da conseguirsi, si trova la rispondenza nella prontezza dei socii: e qui basterà che il governo prenda coi suggerimenti, come dicono, l'iniziativa: altri vogliono essere guidati di passo in passo, pronti sempre a far sosta ove cessi l'impulso: e qui non basta la proposta, ma ci vuole per parte del governo l'insistenza alla esecuzione. Certe funzioni utilissime a tutti (la pubblica sicurezza p. e.) esigono gravii dispendii o pericoli che niuno in particolare vorrebbe addossarsi; e qui converrà raccogliere per via di gravezze comuni il fondo necessario. In certi casi, il castigo minacciato, in altri sarà più efficace il premio promesso. Insomma la maniera di ottenere il concorso di tutti al bene di giustizia e di benevolenza, dipende dalla prudenza di chi governa. Ma le varie maniere sono sempre una esecuzione di quel medesimo dovere fondamentale di produrre unità di volontaria operazione sociale diretta a bene pubblico. Anche quando mediante le gravezze un governante raccoglie grandi somme, a stipendio p. e. dell'esercito, quel danaro non è propriamente un danaro del governante: ogni obolo è la contribuzione di uno dei cittadini cooperante a difendere la patria. Questa cooperazione viene prodotta dalla opera unizzante dell'autorità, senza la quale, l'unità e la società sarebbe impossibile. E ben sei veggono eziandio gli encomiatori di libertà: i quali dopo averci detto non doversi intromettere il governo ove bastano i privati, invitano poi i privati ad associarsi, ad organarsi, a formare comitati ecc.; insomma a creare un'autorità fittizia dopo essersi sottratti alla naturale. Non intendiamo biasimare un tal procedere ove trattasi di fini speciali e non proprii della naturale società. Ma credemmo opportuno il notarlo, affinché si vegga l'impossibilità di sottrarsi a quella legge di natura, secondo la quale il fine sociale è raccomandato all'autorità e dalla autorità debbono regolarsene i mezzi.

19. Ci permetta il lettore di raccomandare assai alla sua attenzione le varie condizioni nelle quali, secondo il fin qui detto, regolarmente si esercita la centrale autorità ordinatrice: giacché tutta la retta soluzione del problema dipende dall'adequata intelligenza di queste condizioni; senza la quale facilmente si travalica or negli eccessi di libertà sfrenata, or in quelli dell'incentramento dispotico, or nelle titubazioni di un indeterminato e irragionevole dommatismo. Così suole accadere agli economisti eterodossi: gli uni abborrenti dalla tirannia non trovano altro rimedio che declamazioni perpetue contro l'autorità: altri atterriti dall'anarchia riguardano una qualche dose di despotismo come necessità della natura sociale che dee tollerarsi: altri finalmente, volendo pure evitare e Scilla e Cariddi, ma senza la bussola dei principii, si aiutano cogli esempii particolari, risolvendo i casi speciali con un po' di senso comune ridotto in forma elastica, da allargarsi o restringersi secondo le varie occorrenze. E tutto ciò perché? Perché la confusa e generica idea, o piuttosto sentimento che hanno dell'anarchia e della tirannia ne ispira loro l'abbominio senza che ben possano definirne il concetto.

20. I nostri lettori hanno già veduto con quante distinzioni e schiarimenti abbiamo applicato ai sudditi e alle società inferiori il teorema fondamentale di libertà economica negli articoli precedenti. Riflettano adesso ugualmente alle condizioni già spiegate per applicare il teorema stesso all'ordinatore supremo. Sì, abbiam detto, anche l'ordinatore supremo, se è mallevadore del fine da conseguirsi, debbe essere regolatore dei mezzi; degli economici come di tutti gli altri. Ecco il principio onde sgorga e si rassoda l'unità sociale. Ma come evitare che questa degeneri in centralismo vizioso? quali sono i limiti razionali di questa centrale unità?

21. Eccoli, secondo il testé spiegato:
I. l'autorità suprema ordina al ben commune del tutto. Dunque per sé a lei non tocca ordinare direttamente né i cibi nell'individuo né il sarta tecta nella casa, né i provvedimenti e di vizi nel Comune ecc., cose tutte ordinate per loro natura a beni particolari di persona, di casa, di Comune.
II. Al suo fine l'autorità ordina per sé e direttamente i mezzi proprii; quelli cioè senza cui il ben comune non potrebbe ottenersi, e che non avrebbero ragione di essere senza l'intento del bene comune (p. e. l'esercito, la diplomazia ecc., e i mezzi economici necessari a tali istituzioni).
III. Per ottener quel fine e questi mezzi il governante (in quanto tale) non intraprende da sé le funzioni molteplici (p. e. il commercio, l'insegnamento, l'agricoltura, ecc.); ma coordina l'operare dei cittadini nelle varie loro classi e professioni, lasciando a ciascuna di esse la libertà d'azione nella sfera sua propria. Laonde se scorge bisogno di costumatezza, di fabbriche, di cereali ecc., non si dà a fare il moralista, l'architetto, l'agricoltore ecc.: ma solo eccita e mette in ordinate relazioni gli esercenti codeste professioni.
IV. Metterle in ordinate relazioni, non significa costringere ciascuno a sacrificare l'opera sua quasi schiavo dei suoi concittadini; ma sì obbligare ciascuno a compierle a proporzione dei doveri dai quali per natura, o per patto, o per giusta legge si trova obbligato.
V. Chi a tali obbligazioni fallisce, non solo debb'essere indotto o costretto ad adempirla, ma rende lecito talvolta al governante l'intromettersi nei diritti degl'inferiori, quando gli altri agenti secondari non sottentrino secondo giustizia all'adempimento dei doveri medesimi.
VI. Tutto questo riguarda le opere obbligatorie, le quali dal governante supremo debbono regolarsi a rigor di giustizia. Vi sono però molti beni che all'intera società possono recare giovamento notabile, benché non ne costituiscano una assoluta necessità. Anche a questi dovrà provvedere l'autorità suprema, giacché sono in bene del tutto; e però altri fuor di lei non può averne o la comprensione o i mezzi. Ma nel provvedervi dovrà la sua efficacia proporzionarsi al motivo impellente. Il motivo non essendo obbligatorio, i mezzi non dovranno essere necessitanti. Ma forse mancano all'autorità or attrattive di premi per indurre, or uomini procaccianti e vogliosi di associarsi, or capitali dei quali ella può disporre, or credito con cui tanto si opera e sì spontaneamente dai cittadini? Usar questi mezzi ed ottenere così cooperazione ordinata anche per beni non istrettamente obbligatorii, ecco un'ultima forma di funzione governativa, il cui buon uso può mettere il compimento alla perfezione sociale, senza che l'unità ordinatrice degeneri nei viziosi eccessi del centralismo, e senza che per l'opposto la libertà lasciata ai cittadini li abbandoni o all'impotenza dell'inerzia o allo sterile e confuso operare della moltitudine anarchica.

22. Rifletta il lettore a tutte codeste condizioni nella cui cerchia trovasi dalla ragione ordinata l'autorità centrale; e vedrà che essa può essere per sé e suprema e monarchica, senza aver nulla di essenzialmente arbitrario, Certamente che quando un uomo ha il genio e la libertà del dispotismo, fatelo Dittatore come Garibaldi, o Ministro responsabile come il Cavour, o Camera deliberante come la costituente romana, o senato come i Dieci in Venezia, l'arbitrio potrà sempre usurparlo. Ma nelle teorie ordinarie degli economisti esso è necessità inevitabile; perché non si assegnano i confini razionali e chiari dei due termini da conciliarsi. All'opposto nella teoria da noi spiegata sembraci averne determinati i confini, fondandoli sopra principii razionali, che ben potranno violarsi, ma non ragionevolmente negarsi.
Tutto ciò che di mano in mano andremo dicendo presenterà continue applicazioni a spiegare e confermare queste leggi della suprema funzione ordinatrice. Ma il lettore non vorrà forse aspettare sì tardi il comodo di meglio comprenderci. Offeriamogli dunque, un esempio ipotetico che gli mostri la portata dei principii stabiliti.
Supponete che percorra con voi le campagne di Sardegna o di Calabria uno di quei viaggiatori italiani, i quali ebri di fanatismo alla moderna hanno percorso tutte le regioni protestanti dalla Prussia e Inghilterra fino agli Stati Uniti in busca di quella azzimata civiltà che la grossezza dei popoli cattolici ancor non sa indursi ad invidiare. Fate che in una delle borgate più mediterranee si av­venga in crocchi di villanzoni grossolani o vegga sulla piazza un branco di monelli passar lunghe ore giocando alla trottola o al carachè fra le sguaiataggini e le inurbanità consuete di simile marmaglia: qual sarà il primo natural movimento del compagno touriste? Già si sa: vi scapperà fuori benedicendo quei paesi ovo la polizia assunti gli uffici paterni, obbliga tutti i ragazzi dalla prima fanciullezza a frequentare l'insegnamento obbligatorio, vituperando senza pietà la goffa trascuranza dei governi italiani.
Direm noi che non sieno meritati i rimproveri? Se veramente così va il fatto, se nulla opera il governo per provvederci, diciamolo pur francamente, i rimproveri secondo la nostra dottrina sono giustissimi, giacché un popolo così allevato non conoscerà né i doveri morali, né i diritti civili; né le arti onde campare. Or un tal popolo può egli dirsi bene ordinato nelle pubbliche relazioni? Può dirsi che il governo si adoperi seriamente per ottenere da ciascuno dei cittadini l'adempimento dei suoi doveri, mentre ne permette la trasgressione alle famiglie e ai municipi: in materia così rilevante come è l'educazione?
Non per questo darem ragione al fanatico ammiratore del despotismo prussiano o della polizia educatrice. Prima di lodare codesta oppressione dei diritti paterni domanderemo all'italo-prussiano se quel governo lasci ai parenti la libertà necessaria per compiere l'ufficio educativo: e se i padri anche diligenti ed amorevoli nell'allievo dei figli vengano incatenati a foggiare in essi non l'immagine paterna ma lo stampo di Polizia, dubiteremo assai se sia da preferirsi la schiavitù di tutti per rimedio alla trascuranza di pochi, a quella non curanza dei governi più badiali, i quali lasciando ai buoni la libertà di educare, lasciano la trascuranza dei pochi senza il conveniente rimedio.
Ma dunque come dovrebbe rimediarsi per evitare i due estremi? Il primo diritto di educare è dei parenti. Lo trascurano questi? dove lo spirito di famiglia ancor non è perduto, e però sono vive ed energiche le affezioni domestiche e ne sono solidari gl'interessi e la riputazione, la trascuranza dei padri dovrebbe richiamare le cure della famiglia. Anneghittisce anche questa? la trascuranza dei doveri di coscienza è posta fra cattolici sotto la vigilanza di un pastore ecclesiastico, alla cui sollecitudine aggiunge sprone di tempo in tempo la visita pastorale del Vescovo. Se il disordine dell'educazione trascurata è pubblico, non è più conforme alla libertà dei cittadini e all'indole dell'abuso da correggersi, il sollecitare le coscienze per mezzo del parroco, anzi che strappare il figlio ai parenti per mano del poliziotto o dell'ispettore?
Prima peraltro di condannare assolutamente e sottoporre ad esterne coazioni il padre, ancor domanderemmo se il disordine dei figli sia pubblico (giacché ciò che non è pubblico non è sottoposto al pubblico ordinatore) domanderemmo se ciò che pretendesi dal padre sia per lui veramente obbligatorio, cioè ineluttabilmente congiunto coll'ultimo fine, col bene supremo dei figli suoi, quale appunto sarebbe l'onestà del vivere. Corrompere nei figli quest'onestà, e corromperla ad occhi veggenti, sarebbe per fermo una spaventevole scelleratezza. Ma se un legislatore si brigasse di imporre o certe materie di non necessaria istruzione, o certi metodi o certi maestri ecc., egli eccederebbe quei diritti, che all'autorità competono, di coordinare nell'adempimento dei doveri, non già d'imporre funzioni arbitrarie.
Come vedete, prima di gridar tirannia perché la libertà non è piena, o anarchia perché al governante s'impongono dei limiti, bisogna pensarci seriamente; e persuadersi che, in una macchina così complicata come è la società pubblica, i principii sono assoluti, ma le loro applicazioni debbono acconciarsi a mille rispetti che ne rendono variabile l'andamento, difficile la condotta e temerario il giudicarne alla leggera.
Da queste generali idee dei diritti che appartengono al pubblico ordinatore, dipenderanno come corollarii molti teoremi delle trattazioni seguenti. Alcuni corollarii peraltro sarà conveniente dedurli esplicitamente fin d'ora, sì per la stretta loro connessione colla materia presente, sì per l'universalità della loro applicazione alle trattazioni future: essi dunque formeranno il soggetto del seguente paragrafo.

NOTE

1) Fu questo uno dei tanti congressi, con cui gli economisti vanno spargendo con pubblicità le loro dottrine, e s'ingegnano di cattivarsi l'attenzione e il favore del pubblico. D'alcuni di questi (p. e. di quello intorno alla proprietà letteraria tenuta nel Belgio, di quello intorno alla beneficenza tenuto nelle provincie renane) abbiam dato conto altra volta ai nostri lettori, (V. III Serie VoI. IX pag.168 s. Vol. XI, pag. 531 s. 690 s. Vol. XII, pag. 147 seg. ) Poche parole diremo di quel di Losanna, solo perché si vegga dai vituperatori delle astrattezze essere inevitabile anche agli uomini più positivi il ricorrere ai principii supremi; ed essere gravissimo il danno, quando codesti principii a cui si ricorre mancano o di verità o di certezza o di esattezza.
Occasione di l'adunare questo Congresso fu il concorso proposto dal cantone di Vaud agli scrittori che volessero trattare e teoricamente e praticamente intorno alle gravezze pubbliche, per usufruttuarne i lumi a migliorarne il sistema in quel cantone. Chiuso ai 15 Settembre 1859 quel concorso, l'economista sig. Pasquale Duprat propose e promosse un Congresso nazionale intorno alla stessa materia: il quale favorito da parecchi uomini di Stato e pubblicisti dei cantoni di Vaud, Vallese, Neufchatel e Friburgo, si raccolse in fatti nella gran sala del governo cantonale di Losanna dai 25 ai 28 Luglio 1860, trattando parecchie quistioni intorno al tema proposto.
Or fra i tanti che parlarono in tal materia, il sig. Emilio De Girardin vi stabilì per definizione dell'Imposta quella del Montesquieu «Parte di proprietà ceduta dal cittadino per ottenere la sicurezza del rimanente». L'impot etant défini, par Montesquieu, une portion que chaque citoyen donne de son bien, pour avoir la sureté de l'autre. (Journal des Economistes Ottobre 1860, pag. 72). E il Congresso ne dedusse molte conseguenze che non istaremo ad enumerare, essendo appena accennate nel Journal des Economistes. Solo osserveremo che fra le altre se ne inferisce la convenevolezza della quasi unica imposta, e la disconvenienza di francare da ogni gravezza l'intelligenza produttiva appoggiando le tasse sulla rendita.
E sapete voi d'onde muove la smania dell'unica imposta, e il volerla gravare anche sulle doti di sapienza d'ingegno ecc.? Dipende dal considerarla qual contratto di salario con cui si compra l'opera dei governanti.
Chi considera la funzione di governo, come atto di carità patria, sente che la società qualora s'imbattesse in un governante degno di tal nome, troverebbe nei sentimenti di lui quasi un diritto per sé medesima di dirgli «governaci, poiché sei ricco delle doti necessarie.» Né occorrerebbe pensare a rimunerarne l'opera in pecunia: la ricompensa a tal governante sarebbe, umanamente parlando, l'appagamento di quella naturale ambizione di fare il bene dei concittadini, che tanto può sugli animi non infangati nei più vili interessi. Questi sentimenti, che hanno pure naturalmente un non so che di magnanimo, ponno eglino negarsi dagli economisti? E se non si negano, chi non vede che il contratto asserito dal Montesquieu è falso ed ingiusto, quanto è vile? Falso, perché chi con tali sentimenti assume il governo, benché acquisti molte ricchezze, mira però a tutt'altro; mira, a soddisfare la bramosia di grandeggiare, di comandare: ingiusto perché la società dice ad un uomo «ti renderò possessore di quell'apice di grandezza, che tu sei disposto a pagare non che cogli averi, perfino col pericolo della vita, e perché tu accetti il mio regalo ti darò la giunta della lista civile». Gli economisti che sanno sì bene equilibrare la domanda coll'offerta, come non veggono l'iniquità di questo contratto notissima agli stessi selvaggi? Presso i quali, ce lo narra il De Smeth parlando dei Testepiatte, il Cacicco è per lo più ridotto a povertà, perché dà del proprio ai suoi amministrati, sentendo che il potere è un dono della società, e verso di questa impone obbligazioni a chi l'acquistò. Gli economisti all'opposto vogliono che si paghi colla giunta del denaro chi gode i beni dell'onore e del comando.
Ma donde una tale generosità? Dall'aver trasformato la sovranità in un mestiere, l'imposta in un salario, la società in un contratto di compravendita. Vedete se importano le buone definizioni!

2) Jounal des Economistes Ottobre 1860 pag. 79

3) Diciamo assolutamente, perché ad elidere il diritto certo dei sudditi non basterebbe una congruenza qualunque: diciamo leggi perché il suddito è obbligato ad adempirle, e per conseguenza ad accettare la direzione necessaria: laddove se si trattasse solo di consiglio, non essendo il suddito obbligato ad accettarlo, neanche sarebbe obbligato ad accettare la direzione, senza la quale non potrebbe conseguire quel maggior bene.

4) Quod superest, dice il Vangelo: e il governante, che chiede al suddito il quod superest, riduce in atto esterno l'obbligazione imposta alla coscienza.

5) Avendo noi dimostrato che l'obbligazione di pagare le tasse dipende nei sudditi dall'obbligazione o dal desiderio di conseguire certi beni determinati; e che per conseguenza il governante che impone le tasse, dee gravarle su coloro che debbono o vogliono procacciare rispettivamente quel bene; ragionevolissima è l'usanza di quei governi ove ad ogni oggetto, per cui si spende, viene addetto un fondo o un ceto di persone donde si ripete il danaro. All'opposto quell'arraffare onde che sia la pecunia, gittarla nel pozzo dell'erario alla rinfusa, per trarne poscia secondo il bisogno, senza riguardo alla provenienza, molto sa del comunismo e molto impedisce quella giustizia distributiva della quale abbiamo parlato.

6) Lettre a Montesquieu.

7) Il governante può essere considerato non solo come reggitore delle persone, ma anche come amministratore della ricchezza pubblica, ossia dell'erario e di altri fondi destinati ad uso del governo. In questa amministrazione egli opera sulla roba come qualunque altro privato amministratore: amministratore, diciamo, e non padrone.

8) Notate lettore che questa attitudine può derivare o dall'aumento, di capacità nelle persone o dalla tenuità degli affari maneggiati. In Inghilterra, in Francia, negli Stati Uniti la lunga abitudine ha fatto che l'ultimo dei calzolai o dei pasticceri si briga di alleanze politiche e dei trattati di commercio. Qui dunque un governante potrà proporre alla azione dei privati, delle imprese, dei pubblici lavori, delle istituzioni di credito ecc., che in Italia passerebbero inosservate o spregiate. Diremo noi per questo che gl'Italiani sieno inetti a tali imprese? Tutt'altro. Proponete loro grandi imprese municipali; e dediti come sempre furono alla vita del Comune, li vedrete comprendere cotesti interessi più ristretti, ma ordinariamente più veri e personali; ed infervorarvisi e concorrere coi mezzi e spendervi la persona e l'opera assai più utilmente che gli altri popoli non la spendono nelle loro perpetue agitazioni politiche. E la ragione è chiara, essendo il più degli uomini assai più atto a ben conoscere e leggere ed amministrare i minori, ma concreti e palpabili interessi, che le più astratte regioni politiche e gl'interessi internazionali. L'agitare questi ultimi al cospetto del volgo è utilissimo pei mestatori che vogliono abbindolarlo e scompigliarlo: ma chi vuole che il popolo faccia davvero il proprio bene s'ingegna di ottenerne la cooperazione in quell'ordine più ristretto ove esso è tanto miglior giudice quanto più da vicino sente le impressioni.