La verginità di Maria, oggi (3)

Magistero Ecclesiastico. Testimonianze bibliche. La Tradizione….

LA VERGINITA’ DI MARIA, OGGI



PARTE   PRIMA


“CONCEPITO DI SPIRITO SANTO “


 


LA VERGINITÀ’ DI MARIA ” PRIMA DEL PARTO “



III. LA CONFUTAZIONE DEGLI ERRORI E DEI DUBBI



1. L’INSEGNAMENTO DEL MAGISTERO ECCLESIASTICO


(attraverso l’antichissima ” Regola della Fede “, attraverso i vari ” simboli della fede “, attraverso i Concili Ecumenici, attraverso l’insegnamento dei Papi e attraverso le testimonianze della Sacra Liturgia).


1 ) La ” Regola della fede ” e il concepimento verginale. L’esistenza di una ” Regola della fede ” è testimoniata fin dall’inizio del secolo II. È infatti questa ” Regola della fede ” che S. Ignazio d’Antiochia (+ 107 – 110) opponeva ai Doceti allorché enunziava ” in formole già stereotipate e fissate dall’uso liturgico ” (cfr. CAMELOT TH., O.P., in Ignace d’Antiochie, Lettres, ed. ” Sources Chrétiennes “, 10, 27; cfr. p. 118, n. 2), la generazione verginale, la morte e la resurrezione di Cristo: ” Nostro Signore – diceva nella lettera agli Smirnesi (1, 2) – è veramente della stirpe di David secondo la carne, figlio di Dio secondo la volontà e la potenza di Dio, veramente nato da una vergine “. Si tratta, in forza del contesto, di una verità di fede, di una verità cioè della quale i cristiani dovevano essere ” fermamente convinti “. Parlando poi contro gli stessi Doceti, e asserendo che Dio è nato ” veramente ” (ossia, corporalmente, non già apparentemente) ” da una vergine “, S. Ignazio parla, evidentemente, di una verginità corporale (cfr. JOUASSARD G., Marie à travers la patristique, in Maria del P. H. Manoir, I, Paris 1949, 73, n. 6).


Secondo S. IRENEO (+ 202 c.) la fede della Chiesa universale, ricevuta dagli Apostoli e dai loro discepoli, aveva per oggetto, in modo particolare, ” la generazione di Cristo dalla (ek) vergine “, nonché la sua passione, la sua risurrezione, la sua ascensione e la sua parusia (Her. 1, 10, s.; ed. Harvey, I, p. 91). Ed aggiunge immediatamente: ” Avendo ricevuto questo Kerigma e questa fede, come noi abbiamo già detto, la Chiesa, quantunque sparsa in tutto il mondo, lo custodisce con cura, come se essa non avesse che una sola dimora; ed ella vi crede come se non avesse che un’anima sola e un cuor solo, ella la predica unanimemente, la insegna e la trasmette, come se essa non avesse che una sola bocca ” (Her. 1, 10, 2; ed. Harvey, I, 92). Per S. Ireneo, una tale verità è da aversi ” come regola della fede, da credersi da tutti ” (5).


Altrettanto ripete TERTULLIANO (+ 222-223 c.) appellandosi anche lui alla ” Regola della fede “: ” La regola di fede – dice – è del tutto una, sola, immutabile e irreformabile: è necessario credere in un Dio unico onnipotente, creatore del mondo, e nel suo figlio Gesù Cristo, nato dalla Vergine Maria, crocifisso sotto Ponzio Filato, risuscitato dai morti il terzo giorno, ricevuto nei cieli, assise ora alla destra del Padre, e che verrà a giudicare i vivi e i morti per la risurrezione della carne ” (De virg. vel., 1,3; C.S.E.L. 2, p. 1209). Tertulliano sottolinea la continuità di questa ” Regola della fede “; essa viene da Cristo, ed ” ha iniziato il suo corso fin dal principio del Vangelo ” (De praescript. haer., 13, 3: C.S.E.L. 1, p. 197).


2) I ” Simboli della fede ” propriamente detti sono sorti un po’ più tardi della ” Regola della fede “. Il concepimento verginale viene ricordato nel Simbolo Apostolico, sia nella forma occidentale (tanto in quella antica che in quella più recente) sia nella forma orientale, nel Simbolo di Epifanie (lo formola più lunga).


La più antica formola di ” Simbolo Apostolico ” può farsi risalire agli ultimi decenni del secolo II, o agli inizi del secolo III. Tale è il Simbolo Apostolico secondo la forma occidentale più antica (detta ” Romana “) in cui si dice: ” Credo… in Gesù Cristo… nato da Maria Vergine per opera dello Spirito Santo ” (cfr. DENZINGER, 2).


Nel Simbolo di Epifania, secondo la forma più lunga (del sec. IV) si dice: ” Crediamo in Gesù Cristo, Figlio di Dio, generato dal Padre, unigenito… il quale per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo e s’incarnò, cioè, perfettamente generato da Maria sempre Vergine per opera dello Spirito Santo, si è fatto uomo ” (Denzinger, 13). Questa formula di Epifanio va più in là del concepimento verginale: enunzia la verginità perfetta. È un’esplicitazione della formula primitiva ” nato dalla Vergine “. Il termine ” la Vergine “, infatti, sembra indicare una verginità senza restrizioni, senza limiti di tempo. Era, evidentemente, una risposta a coloro che, pur ammettendo che Maria era stata vergine nel concepire Gesù (vergine ” prima del parto “) non lo sarebbe poi stata in seguito.


Dalle testimonianze unanimi e costanti della ” Regola della fede ” e dei vari ” Simboli della fede ” si può legittimamente concludere che il concepimento verginale di Cristo da Maria, per opera dello Spirito Santo (non già per opera d’uomo) appartenga alla fede della Chiesa. Si tratta di una verginità fisica, corporale, come fisico, corporale fu il concepimento di Cristo; viene perciò esclusa qualsiasi interpretazione ” morale ” o ” spirituale “, ossia, l’idea di un dono supremo della grazia (di cui il concepimento verginale non sarebbe altro che un rivestimento poetico). Un tale significato non sarebbe ” un’interpretazione “, ma un’aperta negazione di quanto viene asserito dalla ” Regola della Fede ” e dai ” Simboli della Fede “. Non può perciò esser proposta neppure come ipotesi (a fortiori come tesi).


3) I Concili Ecumenici e il concepimento verginale, a) II Concilio Lateranense, del 649, sotto S. Martino I, nel canone terzo parla della verginità di Maria, e dice che Maria ” senza seme umano per opera dello Spirito Santo ha concepito propriamente e veramente lo stesso Verbo di Dio generato dal Padre da tutta l’eternità ” (DENZINGER, 256).


Si tratta – come dimostreremo quando tratteremo della verginità nel parto – di una definizione dogmatica, poiché una tale verità viene imposta sotto pena di scomunica e il Papa S. Martino I intendeva definire la perpetua verginità di Maria.


b) II Concilio Ecumenico Lateranense IV del 1215 definiva: ” II Figlio unico di Dio Gesù Cristo… (fu) concepito da Maria sempre vergine con la cooperazione dello Spirito Santo ” (DENZINGER, 801).


c) Il II Concilio Ecumenico di Lione del 1274, nella professione di fede di Michele Paleologo diceva: ” Noi crediamo al Figlio di Dio, verbo di Dio… nato temporalmente dallo Spirito Santo e da Maria sempre vergine” (DENZINGER, 852).


Si tratta perciò di una verità di fede definita.


4) Le affermazioni dei Papi. Vari Sommi Pontefici hanno insegnato, come verità di fede, il concepimento verginale.


S. LEONE MAGNO (440-461), nella Lettera dogmatica ” Lectis dilectionis tuae ” (del 13 giugno 449) a Flaviano Patriarca di Costantinopoli, insegnava che Cristo ” fu concepito di Spirito Santo nel seno della Madre Vergine ” e che una tale dottrina è contenuta ” nella fonte purissima della fede ” che è il ” Simbolo degli Apostoli ” (” nato da Maria Vergine “). (Epistola ad flavianum, 5, PL 54, 759).


S. ORMISDA (514-529), nella Lettera ” Inter ea ” all’Imperatore Giustino, asseriva che Dio aveva ” operato un concepimento senza seme ” (Epist. 79, PL 63, 513-516).


S. LEONE III (795-816), nell’811, approvava una professione di fede secondo la quale ” la vergine aveva generato in modo soprannaturale ed ineffabile ” (cfr. DENZINGER, 3029).


PAOLO IV, nella Costituzione ” Cum quorundam ” del 1555, condannava coloro i quali credevano che Gesù fosse stato concepito non già ” per opera dello Spirito Santo “, ” ma dal seme di Giuseppe, come gli altri uomini ” (DENZINGER, 993).


5) Le testimonianze della Sacra Liturgia. Nessuna verità, come la verginità di Maria, è attestata con maggiore insistenza nella Sacra Liturgia.


A) Nella Liturgia Romana. I testi che si incontrano su tale argomento nell’arco di tutto l’anno liturgico, nelle Messe e nell’Ufficio divino, sono innumerevoli, tanti da formare un volume (cfr. GARRIDO M., O.S.B., La virginidad de Maria en la Liturgia, in ” Est. Mar. ” 21 [1960] p. 183-208). Ci limiteremo perciò ad alcuni soltanto, ai più espressivi.


Nel Prefazio della prima festa della Madonna che veniva celebrata, nella Liturgia Romana, il primo di gennaio, si diceva: ” non conobbe uomo ed è Madre, e dopo aver avuto un figlio è vergine. Godette infatti di un duplice dono: si meraviglia di aver concepito rimanendo vergine, e si rallegra per aver dato alla luce il Redentore… ” (6). Anche nel Prefazio della Messa della Madonna e nelle nuove ” Preci Eucastistiche ” (nella II e nella IV) si ricorda che il Verbo ” si è fatto uomo per opera dello Spirito Santo “.


Nell’Ufficio divino, in una delle antifone maggiori, ” l’Alma Redemptoris Mater “, la Madonna, viene detta ” vergine sia prima sia dopo ” l’annunzio dell’Angelo; ” Virgo prius ac posterius Gabrielis ab ore “.


Nel responsorio III del II notturno dell’Ufficio dell’Ottava di Natale si dice: ” Benedetta e degna di venerazione sei tu, o Vergine Maria, che senza offesa della tua purezza, sei diventata madre del Salvatore ” (7).


Negli inni poi è frequentissima l’esaltazione della verginità di Maria nel concepimento di Cristo: ” Rimanendo vergine generasti il Dio-uomo ” (8).


B) Nella liturgia bizantina. Presenta innumerevoli perle preziose sul concepimento verginale.


In un ” tropario ” dell’Ufficio della domenica dopo Natale, vi è questo grazioso invito rivolto a San Giuseppe: ” O Giuseppe, annunzia a David che tu hai veduto una vergine incinta… ” (cfr. SALAVILLE S., Maria dans la Liturgie Byzantine ou Greco-slave, in Maria del P.H. du Manoir, vol. I, p. 256), E in un ” tropario ” dell’ “Orthros ” del 1° gennaio, si dice: ” Chi potrà celebrare degnamente il mistero soprannaturale della concezione operata nel vostro seno? ” (ibid.). Nel celebre inno liturgico ” Akathistos “, riferita la domanda della Vergine all’Angelo e la risposta dell’Angelo alla Vergine, si dice: ” La virtù dell’Altissimo – adombrò e rese madre – la Vergine ignara di nozze: – quel seno, fecondo dall’alto, – divenne quel campo ubertoso per tutti, – che voglion coglier salvezza… ” (cfr. TONIOLO E., O.S.M., Akathistos. Inno alla Madre di Dio, Catania, Ediz. Paoline, 1968, p. 14).


Nella nona Ode dell’ “Othros ” del Sabato Santo vengono poste sulle labbra del Figlio queste parole: ” Non vi lamentate su di me, o Madre mia, nel vedere nella tomba il Figlio che voi avete verginalmente concepito nel vostro seno… ” (cfr. Maria del P.H. du Manoir, I, p. 268). In un ” Theotokion ” si dice: ” Dio si è degnato incarnarsi in voi, o Madre di Dio, senza padre umano, onde restaurare, nell’uomo, la sua immagine, che era stata corrotta dal peccato… ” (ibid., p. 299). Viene applicato alla Vergine il simbolo del Mar Rosso:


” Israele attraversò a piede secco l’abisso marino; la Vergine ora ha generato il Cristo per opera dello Spirito Santo ” (ibid., p. 299). In un ” Theotokion “, la Vergine viene praticamente paragonata ad una ” terra divinamente feconda per produrre senza coltura la spiga che assicura la salvezza al mondo”. E conclude: “Rendetemi degno di essere salvato, io che la mangio ” (ibid., p. 322).


C) Nella Liturgia Siro-Maronita (derivata dalla Chiesa Antiochiana), si asserisce che Maria è diventata Madre di Dio per un  ” miracolo ineffabile “, senza opera d’uomo (ibid., p. 337). Ella è la ” lettera sigillata “, la ” porta chiusa “, il ” giardino chiuso ” (p. 337).


D) Nella Liturgia Caldea. In un inno di Giorgio Warda (secolo XIII) si canta: ” Si è mai veduta una figlia vergine – perpetuare il nome di vergine – e avere un figlio, senza unione? – O prodigio che trascende qualsiasi espressione! ” (ibid., p. 345). Ella è “la roccia senza fessura – dalla quale è sgorgata una sorgente ” (ibid., p. 346).


E) Nella Liturgia Armena. In un Inno dell’ “Hymnodium ” (Venezia 1898, p. 99) si afferma la perpetua verginità di Maria in questi termini; ” Tre misteri formidabili si sono manifestati in voi, o Madre di Dio: la concezione verginale, il parto immacolato, la verginità dopo il parto ” (ibid., p. 558). I cantori armeni paragonano il concepimento


verginale alla ” pietra ” staccata dalla roccia del monte senza l’aiuto delle mani dell’uomo, al ” vello di Gedeone ” ecc…


F) Nella Liturgia Etiopica. In un ” saluto ” (Salam) per la natività del Signore, viene così esaltato il concepimento verginale: ” Salve, alla tua natività, o Dio Altissimo – la quale (ebbe luogo) dalla Vergine senza unione carnale, senza seme… La terra produsse l’erba verde, come tu avevi comandato, – senza che la pioggia cadesse e senza che la rugiada l’irrorasse ” (ibid., p. 407).



2. TESTIMONIANZE BIBLICHE


Secondo gli avversari del concepimento verginale di Cristo, alla base della credenza costante e universale della Chiesa, in una tale verità, vi sarebbe una errata interpretazione del dato scritturistico, di modo che questa errata interpretazione iniziale della Sacra Scrittura avrebbe viziato in radice tutta la credenza tradizionale. La Chiesa – si dice – non avrebbe tenuto nel debito conto il genere letterario dei Vangeli dell’Infanzia. Ciò che gli Evangelisti dicono in senso poetico, improprio, la Chiesa – dicono – l’ha inteso in senso proprio. Il falso punto di partenza, perciò, avrebbe fatto camminare la Chiesa su di una via falsa, verso una meta falsa.


Ma questa pretesa opposizione tra la dottrina della Chiesa e la S. Scrittura intorno al verginale concepimento di Cristo appare del tutto chimerica; e ciò in base, precisamente, ai cosiddetti ” Vangeli dell’Infanzia “: Matteo (1, 18-25) e Luca (1, 26-38) (9).


Checché ne sia del ” genere letterario ” dell’annunzio a Giuseppe (riferito da San Matteo) e dell’annunzio a Maria (riferito da Luca), è necessario riconoscere che questi due racconti comportano una chiara affermazione del fatto storico del concepimento verginale di Cristo da parte di Maria, per opera dello Spirito Santo. Nelle due narrazioni, infatti, viene chiaramente escluso un concepimento di Cristo dovuto a relazioni coniugali, e viene chiaramente ammesso un concepimento dovuto all’azione prodigiosa dello Spirito Santo. Si tratta di due racconti diversi (quello di Matteo e quello di Luca), indipendenti l’uno dall’altro, e provenienti da fonti diverse: Giuseppe (per Matteo) e Maria (per Luca).


Si tratta, in primo luogo, di due racconti diversi, poiché descrivono due situazioni del tutto diverse. Il racconto di Matteo infatti ci riferisce l’angoscioso imbarazzo di Giuseppe dinanzi alla evidente gravidanza di Maria, imbarazzo dal quale venne poi liberato dalla rivelazione fattagli dall’Angelo, il quale l’assicurò che il bambino atteso da Maria era stato ” generato per opera dello Spirito Santo “. Il racconto di Luca invece ci riferisce il dialogo svoltosi tra Maria e l’Angelo, ossia, la domanda di Maria: ” Come avverrà ciò (che io avrò un figlio) dal momento che non conosco uomo? “, e la risposta dell’Angelo:


” lo Spirito Santo scenderà sopra di te… “. Si tratta perciò di due situazioni diverse, non già parallele; ciò nonostante vi è in esse un accordo fondamentale sul concepimento verginale di Cristo, ” per opera dello Spirito Santo “. Abbiamo qui semplici narrazioni storiche, non già esposizioni dottrinali.


Si tratta, in secondo luogo, di due racconti indipendenti: descrivendo infatti due situazioni diverse, ne segue che una di esse non abbia potuto influire o riflettersi sull’altra, per cui si hanno qui due testimonianze indipendenti del concepimento verginale, tutte e due di una notevole sobrietà, senza fare alcuna benché minima parte alla fantasia, all’immaginazione. Né è ammissibile, in queste due testimonianze, un influsso di racconti di maternità prodigiose veterotestamentarie sulla maternità verginale di Maria. È necessario infatti tener presente che le suddette maternità prodigiose veterotestamentarie vengono tutte presentate come frutto di relazioni matrimoniali, mentre la verginale maternità di Maria viene presentata come frutto dell’azione dello Spirito Santo. Ne è verosimile che la profezia di Isaia (7, 74) abbia provocato l’idea e il racconto della generazione verginale di Gesù. San Matteo non ha fatto altro che rilevare l’adempimento, in Cristo, della profezia di Isaia (l’adduce perciò a conferma del fatto); S. Luca invece sembra semplicemente alludervi (” Ecco che concepirai e partorirai un figlio… “). La profezia di Isaia non può spiegare il contenuto dell’annunzio dell’Angelo a Giuseppe: non si è potuto trovare alcun testo di rabbino che abbia interpretato Isaia nel senso di annunzio di un concepimento verginale. Inoltre, l’avveramento della profezia oltrepassa la profezia stessa, poiché introduce la venuta e l’opera dello Spirito Santo (non contenute nella profezia di Isaia). Infine, se i racconti di Matteo e di Luca fossero il risultato di una loro riflessione sulla profezia di Isaia, questa profezia, nel racconto, avrebbe dovuto apparire in primo piano, non già in secondo piano (come avveramento di quanto era stato predetto). In conclusione: i due racconti dipendono unicamente dalla realtà dei fatti tramandati dalla primitiva tradizione cristiana.


Ma oltreché diversi ed indipendenti, i due racconti (quello di Matteo e quello di Luca) hanno fonti diverse: la storia dell’infanzia infatti (e la stessa genealogia di Gesù) è ben diversa nel Vangelo di San Matteo e in quello di San Luca; ne segue perciò che essi dovettero servirsi di fonti diverse.


Si può infine rilevare che non si tratta – come vorrebbe il P. Schoonenberg – di una ” nuova interpretazione ” del racconto evangelico fatto da S. Matteo e da S. Luca, ma si tratta, in definitiva, di una ” nuova negazione ” di ciò che è stato narrato da S. Matteo e da S. Luca, di ciò che è stato sempre creduto ed insegnato nella Chiesa (asserire infatti che Cristo è stato concepito per opera d’uomo, equivale a negare che è stato concepito senza opera d’uomo, per opera dello Spirito Santo). Questa ” negazione ” non ha neppure – come ho già rilevato – il pregio della novità, essendo la ripetizione di una negazione (con la conseguente “demitizzazione”) fatta già verso la metà del secolo II dall’ebreo Trifone, per cui anziché di progressismo, si deve parlare, più propriamente, di regressismo.


Riguardo poi al preteso influsso dei ” miti ” pagani delle cosiddette ” vergini-madri ” sulla Vergine-Madre Maria, è necessario rilevare alcune differenze essenziali tra questi miti e la narrazione evangelica sulla “Vergine-Madre “. I pagani, infatti, riconoscevano apertamente un carattere ” mitico ” all’idea della dee-madri ed ai grandi, (agli) eroi da esse generati (espressioni di servilismo e dell’adulazione dei rètori di corte); i cristiani, invece, all’idea di Vergine-Madre riconoscevano un carattere ” storico “: cosa inspiegabile, se avessero desunto l’idea di concepimento verginale dai miti del paganesimo. Nei ” miti ” ellenici, inoltre, le cosiddette ” vergini-madri ” entravano in relazioni sessuali con gli dei sotto forma umana corporea, di modo che gli eroi che ne risultavano erano il frutto di tali relazioni; erano quindi vergini-madri solo di nome, non già di fatto; nella narrazione evangelica, invece, vengono esplicitamente escluse relazioni di tale genere.


È perciò impossibile passare dai suddetti ” miti ” ellenici al concepimento verginale di Cristo narrato dagli evangelisti. Si tratta di un’opera puramente spirituale, attribuita allo Spirito Santo il quale copre Maria con la sua ombra. Tanto più che lo Spirito Santo, nella sua forma primitiva ebraica (la lingua in cui fu redatto il testo originale) è di genere femminile: ruah. Non può perciò essere una specie di principio maschile.


Anche il Genesi (1, 2) riferisce che ” sopra le acque aleggiava il soffio (lo Spirito Santo) di Dio “, per realizzare l’opera meravigliosa della creazione. La formazione del Verbo Incarnato nel seno purissimo di Maria era una nuova creazione, più meravigliosa della prima, poiché con essa Dio riformava in modo ancora più mirabile ciò che aveva formato in modo mirabile: ” humanae sustantiae dignitatem mirabiliter condidisti et mirabilius reformasti “.


Si può davvero ripetere con l’autore del celebre Inno ” Akathistos “: ” per Te vengono meno autori di miti ” (cfr. TONIOLO E., O.S.M.; Akathistos, Inno della Madre di Dio. Catania, ediz. Paoline, 1968, p. 27).


Quello che i demitizzatori chiamavano un ” mito “, è, in realtà, un “mistero ” (un fatto storico pieno di mistero); e il mistero trascende qualsiasi umana esperienza, e sfugge da ogni parte alle normali esigenze della critica storica.


Il mistero del concepimento, essendosi verificato in Maria (attraverso il fatto storico di essersi trovata madre senza opera d’uomo, per opera di Dio) è stato da Lei stessa reso noto alla primitiva comunità cristiana e, attraverso questa, agli Evangelisti (il Vangelo vissuto, che servì di base a quello scritto).


L’origine cristiano-palestinese del Vangelo dell’Infanzia, e perciò del racconto del concepimento verginale, è innegabile; ne è prova abbastanza evidente il Vangelo dell’Infanzia di San Luca: il colorito semitico dei primi due capitoli, lo stile ritmico proprio dei semiti, l’ambiente culturale che sta alla base di tutta la narrazione, rivelano uno scrittore cristiano-palestinese (il quale scrisse in aramaico o in ebraico), e non già un cristiano ellenista (come era San Luca). Ben presto, un tale racconto primitivo dovette essere tradotto in greco, onde facilitargli la diffusione. San Luca poi dovette incorporarlo, con lievi ritocchi, nel suo Vangelo. Ciò posto, viene da chiedersi: quale fonte utilizzò quel cristiano-palestinese nella sua redazione (aramaica o ebraica) del Vangelo dell’Infanzia, ove si parla del concepimento verginale?… La risposta sembra ovvia: l’unico testimonio immediato e autorizzato non poteva essere altri che Maria, nella quale un tale concepimento verginale si era realizzato. La Vergine, forse, rivelò un tale mistero in una cerchia molto intima di pie donne, oppure a San Giovanni, o anche allo stesso Evangelista San Luca. Scrive infatti P. A. Vaccari: ” Luca, oltre l’essersi servito di fonti scritte, ha interrogato anche le fonti orali più accreditate, cioè, i testimoni oculari, specialmente gli Apostoli e la Vergine ” (La Sacra Bibbia tradotta dai testi originali con note a cura del Pont. Ist. Biblico di Roma, Ed. Salani, 1961, p. 1871, note 1-4). S. Efrem, fin dal secolo IV, riferiva questa opinione dicendo: ” Maria ammirava, si dice, la nascita di Lui e il concepimento di Lui, ed Ella raccontava agli altri in che modo aveva concepito o in che modo Ella aveva dato alla luce (Cristo), e l’ammirazione che suscitavano le parole di Lei, rinvigoriva coloro che avevano dubitato “. (cfr. ÉPHREM DE NISIBE, Commentaire de l’Evangile Concordant, ou Diatessaron, traduit du syriaque et de l’arméniem par L. Laloir, Paris, 1966, p. 75).


Si obietta da alcuni (per es. Campenhausen), contro il concepimento verginale di Cristo, il silenzio sul medesimo degli altri due Evangelisti (S. Marco e S. Giovanni). Ma si può rispondere che non manca, anche negli altri due Evangelisti (S. Marco e S. Giovanni) un accenno al concepimento verginale di Cristo. SAN MARCO infatti, evita di appellare Gesù ” figlio di Giuseppe “; mentre l’appella ” figlio di Maria ” (Mc. 6,3); espressione che, in quei tempi, equivaleva, implicitamente, ad un concepimento privo di padre umano. ” II fatto di dover ritenere criticamente ” figlio di Maria ” – dice P. B. Rigaux – e le tradizioni che han dato origine ai Vangeli dell’Infanzia in Mt. e Lc., sono argomenti validi in favore della fede dei cristiani nella nascita verginale ” (Sens et portée de Me 3,31-35 dans la Mafiologie neotestamentaire, in ” Maria in S. Scriptura “, vol. IV, Roma 1967, pp. 534-535).


SAN GIOVANNI è più esplicito di San Marco. Egli parla del concepimento verginale nel versetto 13 del prologo del suo Vangelo (secondo la lettura al singolare – non già al plurale) –  che è, criticamente, la più attendibile): ” lui (Gesù) che non è nato dal sangue, né da voglia di carne, né da volontà d’uomo, ma da Dio ” (cfr. GALOT J., Etre né de Dieu (Ju 1,13), in ” Analecta biblica ” 37 [1969]). Le tre negazioni esprimono con vigore le condizioni di una nascita ordinaria, comune a tutti gli altri uomini, ma non già a Gesù. Maria non è nominata, ma è evidentemente supposta (essendo Gesù nato da Maria).



3. LA TRADIZIONE


Ci limitiamo a tre Padri dei primi due secoli: S. Ignazio, S. Giustino e S. Ireneo. Dopo di loro le testimonianze abbondano.


1) S. IGNAZIO DI ANTIOCHIA, nella sua Lettera agli Efesini (scritta verso l’a. 110), scrivendo contro i Doceti e opponendo loro la ” Regola della fede “, asseriva che Cristo era ” nato da una Vergine ” (SMYRN. 1,1, PG 5,707-708), non già ” da una donna ” qualunque (come avrebbe dovuto dire). E’ perciò falso asserire che il concepimento verginale sia sorto nella Chiesa sotto l’influsso dei Doceti, poiché S. Ignazio (un Padre Apostolico della fine del I secolo) era un antidoceta.


Altrettanto hanno insegnato i Padri greci del secolo II contro gli errori nascenti degli Ebioniti e degli Gnostici (S. Giustino M., S. Ireneo).


2) S. GIUSTINO usava tutti gli argomenti possibili per sostenere energicamente come verità di fede il concepimento verginale (contro gli Ebioniti e gli Gnostici i quali ritenevano che Gesù fosse figlio di Giuseppe) nell’Apologia ad Antonino Pio (dal 150 al 154) e nel Dialogo con Trifone (tra il 155 e il 161). Egli insegna che sono stati i demoni ad inventare il ” mito ” del concepimento verginale presso i pagani, onde fare scacco, scimmiottandolo, al ” mistero ” del concepimento verginale di Cristo (Apol, 5,54, PG 6,407-12). Il concepimento di Cristo si è realizzato ” senza operazione carnale ” o ” senza seme umano ” (Apol, I, 21,32,33, PG 6,359-60, 379-80, 381-82; Dial. 54,63 PG 6, 593-94, 619-20). Anche S. Giustino, come S. Ignazio di Antiochia, considera questo punto di dottrina come una verità intangibile, trasmessa dalla catechesi ufficiale corrente e dalla Tradizione primitiva.


3) S. IRENEO, Vescovo di Lione (t e. 202), sviluppa in modo più ricco il tema del concepimento verginale, ch’egli considera verità di fede (Adv. haer. Ili, 12,7, PG 7, 900-901; I, 10,1, PG 7, 549-52; III, 4,2, PG 7, 855-56). Per lui è un fatto basato sopra un complesso imponente di testi biblici, e sull’insegnamento della Chiesa universale ricevuto dagli Apostoli e dai loro discepoli (Adv. haer. I, 10, 1-2, PG 7, 549-52). Anche se i Libri sacri non ci avessero trasmesso il concepimento verginale, sarebbe stata sufficiente, per ammetterla, la Tradizione Apostolica. Questa conclusione è ammessa anche da alcuni teologi protestanti, per es. da MACHEN J.G., The Virgin Birth of Christ, 3 London (1958), XI, pp. 2-43 e da ED. WARDS D., Thè Virgin Birth in History and Faith, London 1943, pp. 27-44. (cfr. GAUTHIER R., C.S.C., La verginité de Marie ” ante partum ” selon la Tradition primitive, in “Maria in Sacra Scriptura”, vol. IV, Romae 1967, pp. 475-492).





Note alla prima parte


(5) “Ut regula fidei ab omnibus credendo” (S. IRENEO, Adv. haer., 3, 19, 1-8;


21, 10; 22, 4).


(6) O magna clementia deitatis quae virum non cognovit et mater est et post filium virgo est. Duobus enim gavisa est muneribus, miratur quod virgo concepit, laetatur quod edidit redemptorem ” (cfr. CHAVASSE A., Le Sacramentaire Gélasien, Desclée, Belgio, 1957, p.656).


(7) ” Benedicta et venerabilis es, Virgo Maria, quae sine tactu pudoris, inventa es mater salvatoris “.


(8) ” Dum Virgo, Deum et hominem genuisti ” (Respons. del III notturno del mattutino della festa della Purificazione).


(9)   Ha scritto Max Thurian: ” Le chiare precisazioni di S. Matteo (1, 18-25) e di S. Luca (1, 27, 34-35) ed anche la versione (= lezione) apparentemente più coerente di Giovanni (1, 13), obbligano la fede cristiana autentica a confessare la verginità di Maria prima della nascita di Cristo. La negazione di questa verginità di Maria procede il più delle volte da motivi non teologici, ed i teologi protestanti, che talora hanno messo in dubbio la verginità di Maria nel concepimento di Gesù, possono difficilmente invocare la tradizionale fedeltà riformata alla Sacra Scrittura ” (MAX THURIAN, Maria Madre del Signore, Immagine della Chiesa. Trad. di E. Marini, Morcelliana, 1964, p. 41).