LA RELIGIONE (05)

…IL DOVERE DELLA RELIGIONE. CHE COSA INTENDIAMO PER RELIGIONE. Religione in senso largo significa il complesso dei rapporti tra l’uomo e la divinità, rapporti morali di ordine naturale o razionale (religione naturale) e soprannaturale (religione rivelata). NECESSITÀ E UTILITÀ DELLA RELIGIONE….

Trattato di teologia morale 


PARTE I.


L’UOMO DI FRONTE A DIO


LA RELIGIONE



1. IL DOVERE DELLA RELIGIONE


Nei Libri sacri del Vecchio Testamento prima ancora della pienezza della Rivelazione con il Nuovo Testamento, una cosa è soprattutto chiara: Dio supremo unico è Jahvé, che esige dal suo popolo (gli altri popoli hanno deviato verso dei falsi) un culto esclusivo.


Dio allora pronunciò queste parole: “Sono io Jahvé tuo Dio che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla casa di schiavitù”. “Tu non avrai altri dei all’infuori di me” (Es 20, 1-3).


Mosè dunque convocò tutto Israele e disse loro; “Ascolta Israele, gli statuti e i decreti che io oggi annuncio alle tue orecchie. Imparateli e osservateli, mettendoli in pratica”.


Jahvé nostro Dio strinse con noi un’alleanza all’Horeb, Jahvé non strinse questa alleanza con i nostri padri, ma con noi che oggi siamo qui tutti vivi. Sulla montagna in mezzo al fuoco, Jahvé parlò con voi faccia a faccia, mentre io mi tenevo tra Jahvé e voi per riferirvi le parole di Jahvé. Voi, infatti, temendo il fuoco, non eravate saliti sulla montagna.


Egli disse: “Io sono Jahvé tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla casa di schiavitù. Non avrai altri dèi all’infuori di me… Non ti servirai del nome di Jahvé tuo Dio per la menzogna… Osserva il giorno del sabato per santificarlo, come ti ha ordinato Jahvé tuo Dio” (Dt 5, 1-7, 11-12),


E Cristo Gesù ricalca il precetto, generalizzandolo per tutte le creature.


“Vattene, Satana, perché sta scritto; II Signore tuo Dio adorerai, e a lui solo renderai culto” (Mt 4, 3-12).


Questo rapporto tra Dio e la sua creatura, con le implicazioni che importa, ci introduce a parlare di religione.



I. CHE COSA INTENDIAMO PER RELIGIONE.


La voce religione (172) (dal latino religio) ha vari significati secondo le varie voci a cui etimologicamente può essere riallacciata: relegare, relinquere, religare, religere.


Più corretta morfologicamente l’etimologia di Cicerone (173), da relegere (= considerare, trattare con diligenza), seguito da S. Agostino (174), che tuttavia non disprezza (175) anche l’etimologia di Lattanzio (176) da religare (legare, vincolare).


Religione in senso largo significa il complesso dei rapporti tra l’uomo e la divinità, rapporti morali di ordine naturale o razionale (religione naturale) e soprannaturale (religione rivelata). Come scienza è lo studio di questi rapporti teoretici e pratici. In senso meno largo indica il complesso degli atti di culto che l’uomo rende alla divinità e quindi anche l’abito morale che lo inclina a tributare tali atti, sia nell’ordine naturale che nel soprannaturale. Qui la prendiamo in questo senso come virtù cristiana, ossia come abito morale che inclina il cristiano a rendere il culto dovuto a Dio come al primo principio ed ultimo fine dell’ordine naturale e soprannaturale.


S. Tommaso riconosce nella nostra fondamentale deficienza la radice metafisica della religione, concordando in ciò con le conclusioni dell’etnologia e della psicologia. È questa deficienza che fa sentire all’uomo il bisogno di essere aiutato e diretto dall’Essere superiore, che è Dio (177).


Psicologicamente la religione naturale nasce così; l’uomo con la sua ragione risalendo dalle cose che osserva conosce la causa prima, Dio, e conosce che solo Dio può essere di ogni cosa e dell’uomo stesso il principio primo e l’ultimo fine; ne considera l’eccellenza, le perfezioni infinite, la bontà universale, attuale sempre, indefettibile, lo ammira; sente e comprende di esser lui stesso oggetto di questa effusione di divina bontà, e dall’ammirazione passa all’amore, ama Dio e lo cerca in sé e nelle creature; dall’amore vero e sincero nasce il timore reverenziale, l’amante teme di dispiacere alla persona amata, e, se questa è onnipresente, onnisciente, giusta e onnipotente) teme di incorrere nella giusta punizione; ne nasce quel senso misto di conoscenza, riconoscenza, amore, timore, rispetto, venerazione, che è alla base della virtù della religione.


Così intesa la virtù della religione potrebbe essere presa in senso ampio come virtù generalissima, comprendente in sé tutte le virtù teologali e morali; e in questo senso S. Tommaso dichiara che la religione ha preferenza su tutte le altre virtù e si identifica con la santità (178).


Comunemente però la religione, presa in senso più ristretto, come sopra si è detto, in quanto inclina specificamente l’uomo a prestare a Dio l’omaggio a lui dovuto come primo principio di tutte le cose, si suole classificare tra le virtù morali e più particolarmente come parte potenziale della virtù cardinale della giustizia. È dunque una virtù morale, speciale; è virtù, perché abito buono, virtù morale, perché rende l’uomo buono; ma, perché ha come proprio un solo oggetto, il culto divino; speciale, distinta sia dalle virtù teologali, che hanno per oggetto diretto Dio stesso, mentre questa ha il culto di Dio, sia dalle virtù cardinali, che hanno un oggetto proprio diverso. S. Tommaso la connette con la giustizia, che rende a ciascuno il suo (179), ma la religione ha un oggetto così alto, così nobile, cosi tipico ed ha un termine di rapporto infinitamente superiore per la sua stessa natura dell’uomo, che solo una lontana ed assai pallida analogia può ravvicinarla alla giustizia (180).


Possiamo definirla: virtù che inclina l’uomo a rendere a Dio il culto che gli è dovuto come primo principio della creazione e del governo delle cose. Regolando così le relazioni tra uomo e Dio, la virtù della religione occupa il primo posto tra le virtù morali, ma viene dopo le virtù teologali, che hanno per oggetto Dio stesso creduto, sperato, amato; qualche cosa di più evidentemente che non sia ordinare il culto dovuto a Dio. Infatti l’oggetto proprio della religione è di onorare l’unico vero Dio per il motivo che Egli è il primo principio creatore e reggitore delle cose esistenti.



II. NECESSITÀ E UTILITÀ DELLA RELIGIONE.


La necessità della religione è basata sullo stesso diritto naturale, come una esigenza della stessa natura umana e del fine a cui è ordinata. La dipendenza da Dio esige infatti dalla creatura ragionevole un proprio riconoscimento. Se il fine dell’uomo è la gloria di Dio e se dalla gloria di Dio dipende la stessa felicità umana, è necessario che l’uomo si adoperi a procurare questa gloria di Dio (181).


La necessità della religione suppone già la sua utilità, che del resto è constatabile anche a posteriori nell’equilibrio che da all’uomo, permeando tutte le altre virtù morali, tra i due estremi di una superbia esagerata e di un avvilimento che pieghi alla disperazione. Questo equilibrio cresce con la accresciuta conoscenza di Dio e con la più intensa pratica della religione, che di questi valori e si giova insieme e li accresce.


Trattandosi di religione soprannaturale, la virtù di religione, per un esercizio adeguato, dovrà essa pure essere soprannaturale; cioè, supposto nota la distinzione e mutuo rapporto tra virtù morale naturale e soprannaturale, il loro modo di essere e di agire, l’uomo deve avere l’habitus infuso della religione che si accompagna sempre con la grazia santificante; gli atti di religione che allora si compiono sono soprannaturali e meritori per la vita eterna.


Soggetto di questa virtù è ogni creatura spirituale. Gesù stesso, in quanto Uomo; anzi Egli è l’uomo religioso per eccellenza, in unione al quale soltanto possiamo compiere il nostro dovere di religione.


Oggetto materiale della virtù di religione è il culto divino. Culto è l’attestato di reverente sottomissione come riconoscimento della eccellenza di un’altra persona; atti di culto sono quelli con cui si esplica questo attestato. Culto divino è quello diretto a Dio, per onorarlo come primo principio, supremo padrone e signore. Oggetto formale, ossia il motivo per cui rendiamo questo culto, è la speciale onestà e bellezza morale che in esso si contiene.




NOTE


(172)  Per la bibliografia v. in calce al volume, Cfr. soprattutto: F. SUAREZ, De virtute et statu religionis, tr. 1; E. AMANN, Religion (vertu de), in DTC, XIII, 2306-2311; E. IANVIER, La justice envers Dieu, Paris 1908; O. LOTTIN, L’ame du culte, la vertu de religion d’après S. Thomas d’Aquin, Louvain 1920; P. CHALUS, L’homme et la religion, Paris 1963, I. MANCINI, Filosofia della religione, Roma 1968; A, GODIN, II cristiano e la psicologia, in Bilancio della teologia del XX secolo, diretto da R, V, Gucht-M, Vorgrimler, Roma 1972, 191-222; F. HOUTART, Le religioni come realtà sociali, ib., 67-78.


(173) De natura deorum II, 28.


(174) De civitate Dei, X, 3.


(175) Retract. I, 13.


(176) Divin. institut. IV, 28,


(177) S. Theol. 2-2, q. 85, a. 1.


(178) S. Theol. 2-2, q. 81, a. 6-8.


(179) S. Theol. 2-2, q. 80, a. unic.


(180) La virtù cardinale della giustizia ha come legge generale di dare a ciascuno quanto gli è dovuto. La religione quindi, in quanto, specificando, determina quello che l’uomo deve fare nei riguardi di Dio, come termine immediato, evitando le esagerazioni e le deficienze adegua in qualche modo l’oggetto della giustizia.


(181) La legge positivo-divina non ha fatto che ricalcare le esigenze di questa legge naturale: Filius honorat patrem et servus dominum suum, leggiamo in Malachia (1, 6): si ergo Pater ego sum, ubi est honor meus: et si Dominus ego sum, ubi est timor meus; dicit Dominus esercituum, II primo precetto del Decalogo poneva già in primo luogo il debito rispetto, che è poi adorazione, gratitudine, amore, a Dio, l’altissimo (Dt 6, 13) e Cristo nel Nuovo Testamento non fa che richiamarli e inculcarli di nuovo (Mt 4, 10),


(182) F. SUAREZ, De virtute religionis, tr. 1, 1. 2; S. TOMMASO, S. Theol. 2-2, q. 81, 103; F. CABROL, Culte chrétien, in DAFC, I, 832-851; A. J. J. HAINE, De hyperdulia eiusque fundamento, Louvain 1864; F. CATHREIN, Filosofia morale, II, Firenze 1920, p, 42 ss.; A. CHOLLET, Culte en general, in DTC, III, 2404-2427; R. GUARDINI, Lo spirito della liturgia, Brescia 1930; F. TILLMANN, Die Katholische Sittenlehre, Dùsseldorf 1935, 192-203; I. B. UMBERG, De religioso cultu relativo, in Per., 30 (1941) 162-192; A. MONTANARO, II culto del SS.mo Nome di Gesù (teologia, storia, liturgia), Napoli 1958; Concilio Vatic. II, cost. Sacrosanctum Concilium, del 4 dic. 1963: AAS 56 (1964) 97 ss.