Islam e Cristianesimo (03)

Tratto da: http://digilander.iol.it/liturgiaravenna/differen.htm

In quest’altro capitolo del documento dei Vescovi dell’Emilia-Romagna vengono analizzate le differenze sostanziali tra Islam e Cristianesimo

 

Indice

1.1.    Islam: unità-unicità di Dio/ Cattolicesimo: unità e trinità di Dio

 

Dobbiamo richiamare alla memoria che l’affermazione dell’unicità di Dio e della sua unità è uno dei cardini della fede islamica e che la negazione della trinità, anche se probabilmente è stata fraintesa da Maometto, è chiara e chiaramente espressa nel Corano (Cor 4,17).  Da questo punto di vista dunque il Corano intende essere proprio la correzione di ciò che i nasara (così sono chiamati i cristiani nel Corano) andavano dicendo e credendo di Dio e di Gesù Cristo.  Come credenti in un Dio uno ma anche trino i cristiani vengono considerati mušrikun (cioè «associatori» o «politeisti») e, nella mentalità popolare attuale, sebbene il Corano li associ agli Ebrei chiamandoli ahl al-kitab («gente del libro») prevedendo uno statuto particolare protetto all’interno della comunità islamica in quanto non del tutto politeisti, talvolta i cristiani vengono considerati come kafiruna cioè come «reprobi» e «infedeli».

Non possiamo dimenticare da questo punto di vista la fatica con la quale la Chiesa primitiva è andata custodendo le verità essenziali non solo sull’unità di Dio, ma sulla piena divinità e umanità di Cristo e sulla divinità dello Spirito.  Essendo Dio in se stesso una comunione di persone che chiama alla comunione con sé, appare già la totale divergenza da una visione islamica di Dio che è anche già visione dell’uomo: non chiamato alla comunione con Dio nella figliolanza adottiva nella quale gridiamo «Abba», Padre (Rm 8,15), ma pensato per essergli ‘abd («servo») o al massimo halífah («servitore califfale») che invoca Dio chiamandolo rabb «Signore»), rahman («clemente») e rahím («misericordioso») ma sempre rabb «Signore»)[1].Tra i novantanove nomi di Dio che la tradizione islamica ha assunto o desunto dal Corano, è rigorosamente escluso il nome «Padre» (attributo incompatibile con il Dio coranico e negato dal Corano stesso)[2] che invece è la caratteristica precipua della preghiera insegnata da Gesù stesso ai suoi discepoli.Dobbiamo notare inoltre come le Chiese arabofone abbiano in parte mantenuto i vocaboli coranici per esprimere la propria fede e per pregare Dio nella liturgia e (Alldh «Dio», Masíh «Cristo» o «Messia», Ruh «spirito») ma abbiano cercato anche di distanziarsi dai musulmani con un vocabolario proprio (Ab «Padre», talut «Trinità», rahum «misericordioso», ecc.). Perciò tutta l’economia sacramentale dei misteri «santi e vivificanti» mostrano come la tradizione cristiana, e in particolare quella ortodossa e quella cattolica, abbia vissuto attraverso la pratica sacramentale e in particolare nella celebrazione dell’eucaristia il mistero di un Dio comunione-di-persone che invita l’uomo alla comunione con la vita divina.

I.2.   Islam: inconoscibilità di Dio e verità  del Corano / Cattolicesimo: inconoscibilità e rivelazione di Dio

Ribadendo che Dio è ‘alim (sciente) e che tutto conosce in contrapposizione all’uomo, che la verità viene dal Signore (Cor. 2,148), il Corano suggerisce che Dio non può essere conosciuto e che e che ha voluto rivelare di sé ciò che ha voluto e ribadisce la gratuità della rivelazione che Dio ha fatto della propria volontà nel Corano.  Di fronte alla rivelazione di Dio che si è attuata in modo particolare nella rivelazione dei suoi «libri», termine tremendamente ambiguo nel Corano, tra i quali la legge di Mosè e il Vangelo – che però nella forma attuale sono ritenuti falsificati -, l’unico messaggio sicuro di Dio rimane il Corano, le uniche parole e sicure sono quelle ispirate da Dio a Maometto e da lui dettate e fatte trascrivere, mentre come parte secondaria ma vincolante e autorevole rimane poi la tradizione, la sunna del profeta.

Di fronte a queste posizioni penso che il dato della inconoscibilità di Dio debba essere accolto e recuperato dalla nostra stessa tradizione che, in parte influenzata dalla mentalità illuministica, ha recentemente sopravvalutato la capacità della ragione umana e ha messo in secondo piano alcuni dati propri della stessa tradizione cristiana[3]. Che l’uomo sia in una condizione di distanza da Dio e che non sia per lui agevole conoscerlo in conseguenza del

peccato originale viene affermato fin dalle prime pagine dell’Antico Testamento.  Egli si nasconde al sopraggiungere di Dio e viene da lui esiliato dal giardino dell’Eden (Gen 3).  Si ricorda inoltre che nessuno può vedere Dio e rimanere in vita (Es 33,20).  Poiché l’uomo si trova in questa condizione nella quale rischia di esporre senza discernimento cose troppo superiori a se. stesso (cf.  Gb 42), Dio ha fatto conoscere la sua legge e i suoi decreti a Israele (Sal 147) chiedendo i sacrifici ma soprattutto l’ascolto e l’obbedienza alla sua parola quale sacrificio a lui maggiormente gradito (Gen 22), la conoscenza e l’amore di Dio dal valore più grande degli olocausti (Os 6,6).  Oltre alla manifestazione della propria volontà Dio stesso, per mezzo dei profeti, ha promesso che l’umanità intera sarebbe stata ricolmata della conoscenza di Dio e che la legge esterna all’uomo sarebbe stata trascritta nel suo cuore: tu conoscerei il Signore (Os 2,22); la conoscenza di Dio riempirà il paese come le acque ricoprono il mare (Is 11,9).  Non dovranno più istituirsi gli uni gli altri dicendo: «Riconoscete il Signore», perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore (Ger 31,34).

Nel Nuovo Testamento si riprende il dato della inconoscibilità di Dio e la promessa della sua rivelazione per mostrare che ora è lui che, in Gesù Cristo, da lontano si è fatto vicino, da inconoscibile si è reso conoscibile: Chi intatti ha conosciuto il pensiero del Signore in modo da poterlo dirigere?  Ora noi abbiamo il pensiero di Cristo (1 Cor 2,16).  Nessuno mai ha visto Dio.  Il figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui ce lo ha rivelato (Gv 1, 18).  Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre.   Come puoi dire: Mostraci il Padre? (Gv 14,9).  Anzi di fronte all’uomo incapace di un’osservanza piena e totale della sua volontà manifestata nella Legge, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli   (Gal 4,4).

Solo se recuperiamo questi dati, quali l’inconoscibilità di Dio nella sua essenza, e se ci spogliamo di un’interpretazione illuministica ed esclusivamente razionale del «conoscere» biblico, possiamo vedere appieno la grandezza della rivelazione, cioè che Dio in Gesù Cristo si è voluto far conoscere.  Ciò che gli uomini non potevano vedere rimanendo in vita ora invece lo possono contemplare e adorare: la Vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza (1 Gv 1,2).

La tradizione cristiana perciò ha sempre dovuto mantenere vivi questi due poli opposti, intersecantisi in Gesù Cristo: Dio inconoscibile in Gesù Cristo si è fatto conoscibile, l’Invisibile si è fatto visibile, Colui che i cieli e i cieli dei cieli non possono contenere si è fatto uomo in Gesù, Dio è entrato nel tempo (un momento della storia) e nello spazio (in un luogo, in un popolo, in una cultura … ) diventando così il centro del cosmo e della storia: Dio abbassò i cieli e discese (Sal 18, 1 0).

 

I.3 Islam: l’uomo deve mettere in pratica il Corano / Cattolicesimo: conoscenza e amore di Dio nello Spirito

Nella concezione islamica l’uomo «naturalmente» può riconoscere l’esistenza di Dio – e dal Corano stesso è invitato a questo -, ma in quanto creatura permane in una incapacità di conoscerlo: Sappi che la natura dell’uomo nella sua condizione originaria è stata creata vacua, ingenua, ignara dei mondi di Dio eccelso[4]. L’uomo non è incorso in un peccato originale che abbia «offuscato» questa capacità.  In ogni modo la verità viene partecipata tramite la profezia, di cui quella di Maometto e del Corano è la prima e indubitabile.  Gli sciiti poi credono nella prosecuzione del carisma profetico di Maometto nei suoi successori.  L’uso della razionalità umana nella tradizione islamica non è stata rifiutata ma, quando si tentò di indagare Dio, è stata ritenuta sospetta e pretenziosa.  Il tentativo del movimento mu’tazilita di recuperare anche tramite l’eredità greca il valore della razionalità e delle verità enunciabili razionalmente da comporre con le verità della fede è stato dichiarato eterodosso.  L’esegesi allegorica del Corano viene considerata sospetta e già condannata nel Corano stesso (Cor 3, 1 ss).

Se dunque i musulmani accolgono il Corano come legge di Dio rivelata, l’intelligenza e la razionalità dell’uomo entrano in gioco nel momento in cui si deve applicare questa legge alla vita, non nella comprensione del dato rivelato e tantomeno nella conoscenza di chi lo ha rivelato e della sua intenzione.

Accanto alla verità e alla novità della rivelazione di Dio in Gesù Cristo la Chiesa ha difeso contemporaneamente la concezione dell’uomo che ne consegue: volendo far conoscere se stesso all’uomo, D.io ha creato l’uomo «capace» di conoscerlo e di amarlo.  Scriveva Gregorio di Nissa: Colui che vede Dio, per il fatto stesso che lo vede, ha ottenuto tutti i beni, una vita senza fine, l’incorruttibilità eterna, la beatitudine immortale, un regno senza fine, una gioia perenne, la vera luce () ciò che il Verbo propone alla beatitudine sembra cosa né mai effettuata né effettuabile () Ma le cose non stanno così, perché egli non comanda di diventare uccelli a coloro ai quali non ha fornito le ali, di vivere sott’acqua a coloro per i quali ha stabilito una vita terrestre[5]. Il magistero della Chiesa definisce: Piacque a Dio nella stia bontà e sapienza rivelare se stesso e far conoscere il mistero della sua volontà mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della divina natura (Dei Verbum 2).   L’uomo pertanto è stato creato da Dio e per Dio, è stato creato a immagine di Dio (Gen 1,27), a immagine del Verbo incarnato, perché conoscendo e amando il proprio Creatore e Redentore raggiungesse la felicità in questa vita e lo godesse eternamente nell’altra. Anche se la Chiesa riconosce nel peccato originale un offuscamento e un’attenuazione della capacità dell’uomo di conoscere e corrispondere alla verità, tuttavia questa capacità non è mai tolta all’uomo.

Nel fare la volontà di Dio, il cristiano, poi, non è chiamato a mettere al centro la norma in quanto tale e ad applicarla, ma a penetrare lo spirito della legge per conoscere e amare sempre più colui che ha dato il comandamento e ha manifestato la sua volontà.  Nella visione cristiana questa progressiva conoscenza non solo del comandamento ma anche di chi l’ha dato e del perché l’ha dato è necessaria per una vita autenticamente cristiana.  Per fare ciò sia la capacità conoscitiva dell’uomo sia la sua volontà devono sempre essere sostenute e rese operanti dallo Spirito di Dio.  Le discussioni che si sono agitate nella Chiesa antica e moderna circa la natura dell’uomo e l’opera della grazia e le dispute circa l’esicasmo nella Chiesa orientale hanno mostrato che è per l’opera dello Spirito di Dio operante soprattutto nella liturgia e nella celebrazione dei sacramenti che l’uomo da Dio stesso può essere progressivamente reso capace di conoscere Dio e corrispondere alla sua opera di santificazione.

1.4.    Islam: rivelazione di Dio nel Corano / Cattolicesimo: rivelazione nel Verbo incarnato

La visione islamica di rivelazione è totalmente differente da quella cristiana.  Se la rivelazione per eccellenza per i musulmani è avvenuta per opera di Maometto e si è concretizzata nel libro sacro, il Qur’an, per i cristiani la rivelazione si è andata dispiegando fin dai primordi della storia avendo in Cristo il suo culmine: tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui (Col 1,16).  Perciò non si possono accettare quei comuni modi di associare musulmani, ebrei e cristiani come «religioni monoteiste» o «religioni dei libro» in quanto, oltre al fatto che si servono di un termine ambiguo e tutto da chiarire come quello di «religione», tradiscono già una mentalità coranica e islamica.  Noi cristiani invece crediamo che prima che in un libro, recentemente Dio ci ha parlato per mezzo del Figlio (Eb 1,2).  Non è a caso che le comunità cristiane orientali abbiano venerato le icone della Vergine con il suo Figlio perché in esse veniva rappresentato quello che Ignazio di Antiochia chiamava «il mio archivio»: Il mio archivio è Gesù Cristo, i miei archivi inamovibili la sua croce, la sua morte e risurrezione e la fede che viene da lui (Lettera ai Filadelfesi 8,2).  Se perciò i musulmani credono che il Corano sia venuto per mezzo di Maometto che viene dichiarato «profeta», i cristiani riconoscono in Maria lo stilo, lo strumento materiale libero e consapevole di cui Dio si è servito perché il Verbo di Dio della forma di Dio prendesse la forma del servo (Fil 2,6.7) e si facesse uomo.

La Parola di Dio, il Verbo di Dio, innanzitutto è Gesù Cristo.  Perciò la Chiesa, che è il suo corpo, continua il suo cammino nella storia consapevole di essere il prolungamento storico di quella manifestazione.  Il confronto con la fede islamica che vede la rivelazione avvenuta in un libro non deve portare i cristiani a ridurre la rivelazione di Dio alle sacre Scritture.  Inoltre Cristo, Parola di Dio e Verbo di,Dio, è sempre presente nella sua Chiesa in modo speciale nelle azioni liturgiche. È presente nel sacrificio della messa sia nella persona del ministrosia soprattutto sotto le specie eucaristiche. È presente con la sua virtù nei sacramenti, di modo che, quando uno battezza è Cristo stesso che battezza.  E presente nella sua parola, giacché è lui che parla quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura.  E presente infine quando la Chiesa prega e loda, lui che ha promesso: «Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro» (SC 7).

A questo proposito si deve ricordare che la verità rivelata nella fede cattolica è storica, cioè si è maturata nella storia con la rivelazione di più libri – nel giro di un migliaio di anni e tramite più autori – che di volta in volta sono stati raccolti e che la Chiesa, dopo l’apparire del Verbo di Dio, non ha eliminato ma ha conservato e ha letto come preparazione alla rivelazione di Gesù nella consapevolezza di ciò che Gesù stesso dice: sono proprio esse che rendono te,testimonianza a me (Gv 5,39).

Anche la dottrina dell’ispirazione è diversamente interpretata.   Mentre nella tradizione islamica la partecipazione dell’uomo e della sua razionalità può solo offuscare e ottenebrare la parola rivelata di Dio, nella tradizione cristiana si è mostrato che Dio si serve della capacità veritativa dell’uomo posta da Dio stesso nell’uomo, per parlare agli uomini.  Perciò i musulmani non parlano di ispirazione ma di tanzíl – «discesa» del libro -, e la dottrina tradizionale ha insistito nell’affermare l’incapacità di Maometto nel leggere e scrivere per sostenere la tesi dell’assoluta estraneità di una qualche facoltà di Maometto nella composizione del testo coranico.  Invece, seppure con difficoltà, progressi e regressi, anche nel Vaticano Il si è ribadito ciò che già Pio XII, nella Divino afflante Spiritu, aveva affermato, che cioè Dio scelse degli uomini, di cui vi servì nel possesso delle loro facoltà e capacità (DV 11).

Se dunque nella rivelazione islamica si è cercato di arrivare a unificare i testi coranici e a chiarire come doveva essere letta ogni singola parola, nella rivelazione cristiana è nata la preoccupazione di fissare il -testo ispirato due secoli dopo l’incarnazione – e ancora non si -è smesso – e si è arrivati alla definizione del canone delle scritture ispirate solo con il concilio di Trento sotto la spinta della Riforma.  La preoccupazione preminente della Chiesa pertanto fu non solo-di chiarire quale fosse il testo ispirato (cf. le esapla di Oricene), ma quali libri fossero da leggere nella comunità, cioè quali libri riflettevano la vivente tradizione apostolica.

t per questa visione globale della rivelazione e della antropologia che non è pensabile nella tradizione islamica la formulazione di un «do-ma», cioè di una verità espressa in parole umane’in for&ma diversa dalla verità data da Dio agli uomini nel Corano. t per questa visione cristiana della rivelazione che nella Chiesa subapostolica si cominciarono a fissare le verità fondamentali della fede nelle quali condensare la vivente tradizione apostolica in un simbolo «compendio», in una regula.fidei che fosse il criterio di interpretazione delle scritture.

1.5.     Islam: la comunità difende il singolo / Cattolicesimo: la dignità della persona umana

Altra prospettiva che vede una netta opposizione tra Islam e Cristianesimo riguarda il diritto e la persona umana. Il diritto va inteso come diritto della comunità (ummah), non della persona.   L’Islam non conosce la parola «persona», il suo sinonimo è «fard» (individuo).  Il fard è parte integrante e dipendente della grande società islamica (ummah).  Dentro l’ummah egli ha diritti e doveri.  Se abbandona la religione per ateismo o conversione a un’altra religione, perde tutti i suoi diritti, anzi, è passibile di morte per tradimento[6].Perciò la fonte dei diritti nei paesi a maggioranza islamica è la comunità islamica e, in ultima analisi, essa è garante dei diritti e dei doveri che il Corano e la legge islamica, la šari‘ah, riconoscono, concedono e negano.  Nei paesi che adottato la legge islamica i cristiani sono spesso considerati, alla stregua degli altri non musulmani, dei cittadini di seconda categoria impossibilitati o limitati a una partecipazione attiva nella società e nelle istituzioni.   Così anche le discriminazioni delle donne rispetto agli uomini nel diritto processuale, nel diritto ereditario e in quello matrimoniale hanno il loro fondamento nel Corano stesso e sono più o meno codificate dalle legislazioni di ispirazione islamica.

Non si deve dimenticare invece come nell’esperienza del cristianesimo occidentale si sia fatto strada il diritto legato all’essere umano, alla persona umana.  L’approfondimento che è stato fatto a livello delle dispute ci-istologiche del termine «persona» e l’applicazione nella formulazione della fede un solo Dio ín tre, persone ci richiama quanto il termine persona si sia arricchito di spessore nella cristianità, e come la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo sia frutto di una cultura cresciuta su radici cristiane ed evangeliche.  Pur con titubanze legato per lungo tempo al modernismo, anche la Chiesa cattolica è arrivata a riconoscere la validità della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.  Questo è il motivo fondamentale per cui la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo non è riconosciuta in molti paesi che intendono applicare la legge islamica.  Per questo motivo la Dichiarazione univer-sale dei diritti dell’uomo nell’Islam emanata dal Consiglio islamico d’Europa presso l’UNESCO nel 1981 rimane una dichiarazione che riguarda l’uomo nell’Islam.  Similmente anche la Dichiarazione dei diritti dell’uomo nell’Islam promulgata al Cairo nel 1990 nella XIX Conferenza islamica dei ministri degli esteri, prevede, ad. es. all’art. 2, che: è vietato sottrarre la vita salvo che la šari‘ah lo consenta, e pertanto subordina, in questo come in altri casi, i diritti dell’uomo alla šari‘ah.

Non ci si deve nascondere inoltre che nei paesi a maggioranza islamica non è consentito abbandonare la propria fede islamica per aderire a un’altra. con il rischio anche della sentenza di morte, talvolta commutata in carcere.  Il Corano, in materia di libertà religiosa e di apostasia, è diversamente interpretato e permane tutto il peso della tradizione nell’interpretazione del testo.  Il principio che deve valere per il cattolicesimo – principio recepito nei codici giuridici contemporanei – è la libertà di coscienza della singola persona.  Ciò che viene sottolineato nei paesi islamici è la dimensione collettiva della comunità islamica che non può essere «intaccata» dall’apostasia dei suoi membri senza che la scelta personale vada a detrimento della comunità[7].

I.6. Islam: l’Islam è religione e Stato / Cattolicesimo: la Chiesa non si identifica con lo Stato: la laicità

All’ inizio del XX secolo, sullo sfaldamento dell’impero ottomano si andarono costituendo i vari stati nazionali, adottando ora forme di governo monarchiche, ora socialiste e, in ogni modo, ispirate alla forma parlamentare europea che sembrava la più vicina all’esperienza di Maometto e dei suoi compagni a Medina.   Proprio nel momento in cui sorgevano gli stati nazionali, ciò che è stato recuperato, in particolare dalle correnti radicali, è stato il principio della non scindibilità di religione e Stato. Una delle poche eccezioni fu la Turchia dove, dopo una prima fase in cui si proponeva di liberare le «terre islamiche» e i «popoli islamici» e di respingere e scacciare l’invasore infedele[8],furono aboliti il sultanato e molte prescrizioni islamiche, adottando la domenica come giorno di festa, il calendario occidentale, vietando l’uso del velo, adottando l’alfabeto occidentale ecc. e ciò fu sentito come una de-islamizzazione.  Ma a partire dalla prima metà del XX secolo gli ideologi del fondamentalismo hanno ribadito la non scindibilità di religione e Stato e hanno ribadito che l’Islam è dín wa-dawla cioè religione e Stato.  La grave crisi che stanno correndo gli stati che hanno tentato strade di compromesso con le forme di governo occidentali è la fessura nella quale le idee fondamentaliste cercano di incunearsi, soprattutto nei ceti più poveri, per propagandare il ritorno all’Islam e l’abbandono di ogni compromesso con le forme di governo pqqidentale quale panacea di ogni malcontento e difficoltà.

In maniera opposta il Vaticano Il afferma che la missione propria che Cristo ha affidato alla sua Chiesa non è di ordine politico, economico e sociale: il fine, infatti che le ha prefisso è di ordine religioso (GS 42).  E la convinzione che era propria dell’A Diogneto, quando si dice che i cristiani partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri (A Diogneto 5,5).  Certo la parabola della storia ha presentato varie e numerose eccezioni, ma penso che la prospettiva sia quella che la Chiesa cattolica oggi persegue.  Il concetto della laicità ò della autonomia delle realtà terrene è stato riconosciuto dal concilio (GS 36) ed è stato pure chiarito come questa autonomia debba mantenere un riferimento a Dio: La ricerca metodica di ogni disciplina, se procede in maniera veramente scientifica e secondo le norme morali non sarà mai in reale contrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Dio (GS 36 citando CONC.  VAT. 1, Dei Filius).

Da questo punto di vista perciò si può constatare come l’ingresso di numerosi musulmani in Europa abbia costretto o possa costringere a rivedere un concetto di laicità nel senso laicistico del termine, dove ogni riferimento a Dio o a una norma morale fondata su una visione cristiana dell’uomo viene sentito come aggressione alla legittima autonomia delle istituzioni.  Non ci si deve nascondere tuttavia che, nei paesi islamici, nell’XI secolo della nostra era la separazione del potere religioso e politico non solo esisteva concretamente ma era elaborata e giustificata dottrinalmente[9]. La domanda che si pone tuttavia è la seguente: il «fondamentalismo» o il «radicalismo» islamico al quale abbiamo assistito nel corso del XX secolo è espressione di una deviazione dal vero Islam oppure è l’espressione di una corrente che intende essere «musulmana» nel senso più genuino del termine?

 

NOTE.

[1] Per un confronto del rapporto uomo-Dio nella rivelazione islamica e in quella cristiana rimando a M. BORRMANS, Islam e cristianesimo. Le vie del dialogo, Paoline, Roma 1993, 85-101.

[2] “‘ Cf.  Cor. sura 11 2,3 e i  commentari alla sura

[3] Cf. BORRRIANS, Islam e Cristianesimo,    85- 101.

[4] AL-GHAZALI,La salvezza dalla perdizione, a  cura di L. VECCIAVAGLIERI e R. RUBINACCI, UTET.  Torino 1970, V, 12 I

[5] GREGORIO Di NISSA, Holii. 6, PG 44,1265-1266; in particolare D.

[6] FARHAT, Diritti umani, 20-21.

[7] Rimando per l’argomento a SAMIR KHALIL SAMIR, «Le débát autour du délit d’apostasie dans l’Islam contemporain», in Faith, Power, and Violence, Muslims and Christians  in a Plurality Society, past and present. a cura di J.J. DONOHUE – CH.W. TROLL.  Orientalia christiana analecta 258, Roiììa 1998, 115140.

[8] LEWIS, L’Europa e l’Islam, 70.

[9] CARRT, L’Islam laico, Il Mulino, Bologna 1997, 22.