Il laicismo

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Lettera dell’Episcopato italiano al Clero
IL LAICISMO
(Tratto da “Litterae communionis”, supplemento al n. 5, 1988 )

Presentazione

Carissimi sacerdoti,
Durante la Quaresima avete letto e spiegato ai fedeli le lettere pastorali che ognuno degli ecc.mi vescovi ha indirizzato al proprio gregge secondo i bisogni particolari della sua diocesi.
Nell’avvicinarsi della santa Pasqua, abbiamo ritenuto opportuno, secondo una deliberazione presa nell’ultima assemblea generale della Cei tenutasi lo scorso mese di ottobre, rivolgere alcune paterne parole di esortazione e di orientamento a voi, carissimi confratelli nel sacerdozio, che più validamente collaborate al nostro lavoro pastorale e partecipate alle nostre sollecitudini.

L’errore: un umanesimo senza Cristo

Vogliamo che questa lettera collettiva vi giunga per una delle date più solenni del calendario liturgico, quella che la Chiesa esorta a ricordare tre volte ogni giorno: l’Annunciazione della Vergine e l’Incarnazione del Figlio di Dio.
Troverete, nelle pagine che seguono, la nostra preoccupazione per un errore e per un costume di vita che sono in estremo contrasto con l’incarnazione e con la vita soprannaturale che l’Incarnazione ha restaurato nel mondo.
V’è un umanesimo che proclama di voler prendere in considerazione tutti i problemi umani e che pretende di capirli e di poterli risolvere con le forze ed i valori puramente umani, ma si ostina ad ignorare o a combattere Gesù Cristo.
E’ l’incarnazione che ha dato al mondo Gesù Cristo, il quale ha posto nella vera luce i problemi umani, ha insegnato i principi per la loro valutazione, ha offerto i mezzi per la loro soluzione.
Con incomprensibile illogicità coloro che annunciano il supremo valore dell’uomo non vogliono saperne di lui, della sua opera, di coloro che, uomini essi pure, in lui credendo e seguendo i suoi comandi, sanno che, non solo l’uomo ha avuto da Dio un fine che supera la sua natura, ma che questa stessa natura non può esplicarsi ed affermarsi nella sua pienezza, nella sua armoniosa completezza, se dimentica la soprannatura, se rigetta la grazia, se esclude le istituzioni ed i mezzi da Dio voluti perché la grazia giungesse alle anime.
Le nostre parole vogliono soprattutto ravvivare in voi il senso della dignità che vi è stata conferita come lievito, come sale, come luce della terra.

La Chiesa affronta la situazione

1. La nostra prima parola è di profondo compiacimento.
In questi travagliati anni del dopoguerra, in cui la vita e l’opera sacerdotale sono state sottoposte a durissime prove, voi avete ben meritato della Chiesa. Nei posti più umili come in quelli di maggiore responsabilità, avete dato testimonianze luminose di vita esemplare, di ardente zelo apostolico, di fervore instancabile di iniziative. Conosciamo i vostri quotidiani sacrifici, le vostre indicibili trepidazioni, le vostre silenziose sofferenze, i vostri nascosti martiri Mai forse, come in questi anni, l’opera sacerdotale ha dovuto affrontare difficoltà e problemi di portata così vasta e complessa, da sgomentare anche le anime più salde.
Voi avete retto dignitosamente alla prova e i vostri vescovi, che da vicino hanno condiviso le vostre gioie e i vostri dolori, desiderano dare pubblica testimonianza all’esemplarità della vostra vita e all’impegno generoso del vostro ministero.

2. Realtà consolanti hanno preso sviluppo in seno alla vita religiosa della nazione: maggiore apertura ai problemi dello spirito; più alta e approfondita cultura religiosa; intenso sforzo di elaborazione di una dottrina sociale cristiana inserita nel tessuto vivo della realtà attuale; più consapevole adesione, di larghi strati del nostro popolo alla propria fede, con partecipazione più viva alla vita liturgica e sacramentale; organizzazioni cattoliche, aventi finalità sociali ed assistenziali; risveglio del laicato cattolico per estendere il raggio apostolico della gerarchia e lievitare in senso cristiano dal di dentro i diversi campi dell’attività umana.
Tra i fenomeni del nostro tempo, uno dei più rilevanti è l’irrompere nel circuito delle forze vive della nazione di masse fino a ieri rimaste fuori o ai margini della vita associata.
E’ un fenomeno di evoluzione sociale del quale dobbiamo rallegrarci e che spinge a metterci amorosamente al fianco dell’umanità in cammino, come la storia dice che ha fatto sempre la Chiesa. Non possiamo però chiudere gli occhi alle deviazioni di pensiero e di costume che accompagnano questo fremito di rinnovamento.
E’ concessione a un edonismo sempre più esasperato; è sopravvalutazione esclusiva dei valori economici; è contagioso relativismo morale che affascina specialmente le giovani generazioni; è esteriorizzazione della vita così sbandata, che quasi spegne nell’anima la possibilità della riflessione sulle realtà più serie e decreta un assurdo trionfo alle realtà più effimere e banali.
Noi abbiamo fede nel valore del messaggio cristiano, ma questa stessa fede ci impone di veder chiaramente nel mondo di oggi, per assumere la posizione cristiana e sacerdotale conseguente.

Laicismo: la mentalità dominante…

3. Alla base delle diverse deviazioni dottrinali e pratiche del mondo attuale si può scoprire come un denominatore comune, che quasi esprima l’anima di tutto e rappresenti il principio ispiratore della complessa gamma degli atteggiamenti errati nel campo religioso e morale?
Noi pensiamo di sì e crediamo di individuare questo atteggiamento di fondo in quella diffusa mentalità attuale che va sotto il nome di “laicismo”. Non temiamo di affermare che questo è l’errore fondamentale, in cui sono contenuti in radice tutti gli altri, in una infinità di derivazioni e di sfumature.

4. E’ difficile dare una definizione del laicismo, poiché esso esprime uno stato d’animo complesso e presenta una multiforme varietà di posizioni. Tuttavia in esso è possibile identificare una linea costante, che potrebbe essere così definita: una tendenza o, meglio ancora, una mentalità di opposizione sistematica ed allarmistica verso ogni influsso che possa esercitare la religione in genere e la gerarchia cattolica in particolare sugli uomini, sulle loro attività ed istituzioni.
Ci troviamo, cioè, di fronte ad una concezione puramente naturalistica della vita dove i valori religiosi o sono esplicitamente rifiutati o vengono relegati nel chiuso recinto delle coscienze e nella mistica penombra dei templi, senza alcun diritto a penetrare ed influenzare la vita pubblica dell’uomo (la sua attività filosofica, giuridica, scientifica, artistica, economica, sociale, politica, ecc.).

… che riduce la fede a fatto privato

5. Abbiamo, così, innanzitutto un laicismo che si identifica in pratica con l’ateismo. Esso nega Dio, si oppone apertamente ad ogni forma di religione, vanifica tutto nella sfera dell’immanenza umana. Il marxismo è precisamente su questa posizione né è il caso che ci diffondiamo ad illustrarlo.
Abbiamo, poi, un’espressione meno radicale, ma più comune, di laicismo, che ammette Dio e il fatto religioso, ma rifiuta di accettare l’ordine soprannaturale come realtà viva ed operante nella storia umana. Nell’edificazione della città terrestre intende prescindere completamente dai dettami della rivelazione cristiana, nega alla Chiesa una superiore missione spirituale orientatrice, illuminatrice, vivificatrice nell’ordine temporale.

6. Le credenze religiose sono, secondo questo laicismo, un fatto di natura esclusivamente privata; per la vita pubblica non esisterebbe che l’uomo nella sua condizione puramente naturale, totalmente disancorato da un qualsiasi rapporto con un ordine soprannaturale di verità e di moralità. Il credente è perciò libero di professare nella sua vita privata le idee che crede. Se, però, la sua fede religiosa, uscendo dall’ambito della pratica individuale, tenta di tradursi in azione concreta e coerente per informare ai dettami del Vangelo anche la sua vita pubblica e sociale, allora si grida allo scandalo come se ciò costituisse una inammissibile pretesa.
Alla Chiesa si riconosce, tutt’al più, un potere indipendente e sovrano nello svolgimento della sua attività specificamente religiosa avente uno scopo immediatamente soprannaturale (atti di culto, amministrazione dei sacramenti, predicazione della dottrina rivelata, ecc.). Ma si contesta ad essa ogni diritto di intervenire nella vita pubblica dell’uomo poiché questa goderebbe di una piena autonomia giuridica e morale, né potrebbe accettare dipendenza alcuna o anche solo ispirazione da esterne dottrine religiose.

Agli antipodi del pensiero cattolico

7. Non ci fermiamo a confutare tali affermazioni, che sono in nettissimo contrasto con la dottrina cattolica. Vogliamo soltanto sottolineare la portata gravissima di esse. Praticamente si nega o si prescinde dal fatto storico della rivelazione; si misconosce la natura e la missione salvifica della Chiesa; si tenta di frantumare l’unità di vita del cristiano, nel quale è assurdo voler scindere la vita privata da quella pubblica; si abbandona la determinazione della verità e dell’errore, del bene e del male all’arbitrio del singolo o delle collettività, aprendo così la strada a tutte le aberrazioni individuali e sociali, di cui – purtroppo – i nostri ultimi decenni hanno offerto testimonianze atroci.
Come si vede, il fenomeno laicista affonda le sue radici in un contrasto sostanziale di principi. Non si esaurisce nel fatto politico contingente, anche se preferisce sviluppare soprattutto su questo terreno la sua quotidiana polemica contro la Chiesa. Nella sua accezione più conseguente, esso è una concezione della vita che è agli antipodi di quella cristiana.

Una sottile corrosione dell’anima cattolica del paese

8. Il pericolo insito in questo errore è oggi accentuato da due fatti. Innanzi tutto il laicismo, nell’odierna situazione italiana, evita generalmente gli atteggiamenti plateali e massicci del vecchio anticlericalismo ottocentesco. IL più scaltrito, più duttile, più lucido ed aggiornato alle tecniche del tempo. Più che aggredire direttamente preferisce l’insinuazione perfida e la critica sottile, più che la discussione diretta preferisce la battuta di spirito e lo scherno, più che l’attacco alle idee preferisce l’utilizzazione delle debolezze degli uomini, più che le spettacolari chiassate di piazza preferisce l’orpello d’una certa severità culturale.
Anche quando attacca la Chiesa si sforza di ammantarsi di nobili motivi: vorrebbe svincolarla da ogni “compromissione” temporale, purificarla da ogni “contaminazione” mondana e politica, metterla al passo dei tempi e svecchiare le sue interne strutture, affinché, libera e ringiovanita, possa tornare ad esercitare il suo sovrano ministero spirituale sulle anime.

9. A questo s’aggiunge un altro fattore importante: il laicismo sfugge a posizioni dottrinali precise. Come tutti gli errori di oggi preferisce l’indeterminatezza e la vaporosità degli atteggiamenti. Fa leva soprattutto su impressioni, su sentimenti e risentimenti, su stati d’animo. Ciò è dovuto a volte alla superficialità delle sue idee, ma spesso obbedisce ad un preciso calcolo. Ama giocare sull’equivoco per raggiungere i propri scopi senza suscitare eccessive reazioni, soprattutto in quella parte dell’opinione pubblica ancora legata – in qualche modo – alla religione e alla morale cristiana. Si mimetizza per operare indisturbato in modo da creare gradualmente un clima di pensiero e di vita disancorato da ogni riferimento soprannaturale ed aperto a tutte le avventure intellettuali e morali.
Questi fatti rendono l’insidia molto più grave, perché, sotto l’apparente rispetto per la fede religiosa del popolo, può essere gradualmente e insensibilmente consumata un’opera di sistematica corrosione dell’anima cattolica del paese.

Le manifestazioni più ricorrenti

10. Che alla base dell’odierno atteggiamento laicista vi sia un profondo contrasto di natura religiosa, lo dimostra anche uno sguardo – sia pure sommario – dato alle più recenti manifestazioni di esso, le quali possono essere così sommariamente delineate:
a) critiche astiose, anche se talvolta espresse in forma di apparente rispetto, per ogni intervento del magistero ecclesiastico, ogni qualvolta esso, dal piano dei principi, scende alle applicazioni pratiche; allarme e rifiuto dell’intervento della Chiesa e della sua gerarchia perfino in fatto di pubblica moralità;
b)insofferenza e diffidenza, se non aperta ostilità, verso tutto ciò che è espressione del pensiero e della vita dei cattolici nel paese, verso tutto ciò che indica una loro presenza ed influenza nei diversi settori della vita pubblica;
c) compiaciuta pubblicità data ad episodi di immancabili deficienze e di presunti scandali nel clero e nel laicato cattolico organizzato; travisamento sistematico delle finalità che animano opere cattoliche di assistenza, di carità, di educazione, ecc.;
d) compiacente appoggio dato ad ogni tentativo tendente ad introdurre nella legislazione italiana il divorzio e ad attenuare le vigenti disposizioni a tutela delle leggi della vita;
e) isolati, ma chiari sforzi per rimettere in discussione il Concordato che pure fu accettato con quasi unanime riconoscimento nell’immediato dopoguerra ed inserito nella stessa Costituzione;
f) aspri attacchi contro la vera libertà della scuola non statale e continue accuse ai cattolici di voler sabotare la scuola statale; opposizione tenace ad ogni richiesta di contributi, da parte dello Stato, alla scuola non statale e taccia alla stessa di mancare di libertà e di non educare alla libertà, in quanto al cattolico sarebbe preclusa la libertà d’indagine necessaria per il progresso e la cultura;
g) scandalo e proteste per ogni partecipazione delle pubbliche autorità a manifestazioni religiose o ad atti di omaggio al vicario di Cristo, nel quale si vuol vedere soltanto il sovrano della Città del Vaticano, con cui trattare da pari a pari, pena l’umiliazione e l’abdicazione dello Stato alla sua dignità sovrana;
h) incapacità a comprendere nel loro pieno significato religioso gli interventi della Chiesa e della sua gerarchia, intesi ad orientare i cattolici nella vita pubblica, a richiamarli – nel momento attuale – al dovere dell’unità, e a metterli in guardia contro ideologie che, prima di essere aberrazioni politiche e sociali, sono autentiche eresie religiose. Gioverà ricordare le parole di Pio XI: “Ci sono dei momenti in cui noi, l’episcopato, il clero, i laici cattolici, sembra si occupino di politica. Ma, in realtà, non ci si occupa che della religione e degli interessi religiosi, finché si combatte per la libertà religiosa, per la santità della famiglia, per la santità della scuola, e per la santificazione dei giorni consacrati al Signore. Non è questo fare della politica… Allora è la politica che ha toccato la religione, che ha toccato l’altare. E noi difendiamo l’altare” (Pio XI, Discorso del 19 settembre 1925).
Da questi brevi cenni risulta evidente la gravità degli errori diffusi sotto l’etichetta del laicismo.
La Chiesa non ha alcun interesse a riaprire antichi dissidi, né desidera che i cattolici si lascino trascinare su un campo di sterili polemiche, le quali servirebbero soltanto a disgregare la spirituale compagine delle nazioni e a distrarli dal duro, positivo impegno quotidiano di edificazione di una società più giusta e più capace di risolvere i problemi concreti ed urgenti della vita del nostro popolo.
Tuttavia non può restare indifferente di fronte a questi attacchi, che investono la sostanza della sua dottrina. Tradirebbe la sua missione e aprirebbe la strada a facili disorientamenti nelle anime ad essa affidate.

Il laicismo nel mondo cattolico

11. Ma le nostre considerazioni non possono fermarsi qui. Non sarebbe sufficientemente illuminato il quadro, se non venisse chiarito un altro problema: il pericolo che l’idea laicista s’infiltri insensibilmente anche tra le file del clero e del laicato cattolico. L’errore è così radicato nel clima culturale e sociale, che noi continuamente respiriamo, da rappresentare un’insidia non irreale anche per queste anime che dovrebbero esserne immuni.
Nel laicato cattolico la mentalità laicista può dar luogo a facili tentazioni, di cui enumeriamo le principali:
a) tendenza, in nome di una ormai raggiunta maggiore età, a sottrarsi all’influenza ed alla guida della gerarchia e del clero, nella persuasione che solo così il laicato possa acquistare piena consapevolezza e completa cittadinanza nella società religiosa, come in quella civile;
b) la tendenza a rivendicare una totale indipendenza dalla Chiesa nella sfera del “profano”, non rendendosi conto come, dietro gli aspetti tecnici e contingenti dei problemi temporali, tante volte si agitano questioni di principio, su cui la dottrina cattolica non può rifiutare di pronunziarsi;
c) la tendenza a sottovalutare o a mettere in dubbio la capacità del messaggio cristiano a risolvere i problemi sociali del mondo d’oggi, perché la Chiesa avrebbe una visione troppo trascendente dei problemi umani; perché la sua attività magisteriale si fermerebbe solo alla enunciazione di principi generici; perché essa, nella necessità di mediare fra le forze destinate al declino e quelle che si affacciano all’orizzonte, mancherebbe di coraggio e di audacia nell’affrontare la ruvida realtà di questo mondo in drammatica evoluzione;
d) la tendenza a scivolare sul piano inclinato di un sottile naturalismo, svalutando l’azione magisteriale e sacramentale della Chiesa in ordine all’umano progresso e dando la precedenza, se non l’esclusività, a mezzi terreni; accettando – in forma più o meno palese – i metodi e lo stile degli avversari, puntando l’attenzione sul successo immediato, dando eccessivo peso alle manifestazioni di massa e al plauso dell’opinione pubblica;
e) la tendenza a indulgere a forme di amara polemica interna e a preoccuparsi più dell’apertura verso il mondo esterno che della fraterna carità e dell’unità di spirito con coloro che – nonostante inevitabili deficienze e lacune lavorano e soffrono al proprio fianco;
f) la tendenza ad opporre la Chiesa carismatica alla Chiesa gerarchica, le interiori ispirazioni del cuore all’ordine esterno della disciplina, nella persuasione che sia doveroso scindere le espressioni visibili del cristianesimo da quella che è la sua sostanza profonda soprannaturale; che basti per tutto la carità, fuori di ogni impalcatura giuridica;
g) la tendenza ad equiparare il laico al sacerdote, affermando una insostituibile complementarità e parallelismo di funzioni e di poteri, e attenuando, fino quasi a distruggerla, la differenza che esiste fra il sacerdozio generico che possiede ogni cristiano – in quanto membro del corpo mistico di Cristo sommo sacerdote – e il sacerdozio propriamente detto, fondato sul carattere sacramentale ricevuto nell’ordinazione.

Influssi protestantici e altre cause

12. Le cause di queste facili tentazioni, in cui può cadere il laicato cattolico, sono diverse e i canali di derivazione molteplici. Accenniamo alle principali di queste cause:
a)la carenza di cultura teologica, soprattutto circa il mistero della Chiesa, la natura di essa, i suoi poteri, i suoi rapporti esterni e interni. Per molti nostri laici le conoscenze teologiche sono scarse, disorganiche e confuse, sommerse in una cultura profana a tinta laicista (purtroppo l’istruzione scolastica, nel nostro paese, si svolge ancora in un clima prevalentemente laicista);
b) l’influsso della stampa, il cui orientamento è decisamente o almeno tendenzialmente laicista. In questa chiave la stampa interpreta abitualmente, pur se conserva l’ossequio formale alla religione, la presenza della Chiesa nel mondo d’oggi, il modo di porsi dei rapporti fra Chiesa e Stato, l’azione dei cattolici, la complessità dei problemi morali che emergono all’attenzione dell’opinione pubblica o magari con la buona intenzione di voler conoscere la critica avversaria per combatterla più efficacemente. Di fatto però finiscono per assorbirne lentamente il veleno;
c) l’influsso d’una certa letteratura religiosa d’avanguardia, soprattutto d’oltralpe, in cui un’inquietudine costituzionale s’accompagna alle più spericolate audacie di pensiero e si plaude senza riserve ad ogni esperimento d’apostolato che esca fuori dagli schemi tradizionali, nella convinzione che soltanto così si apra la strada a metodi validi per riprendere i contatti perduti col mondo;
d) l’influsso del protestantesimo, sia nella propaganda ripresa con vigore in non poche città e regioni, sia nella diffusione attraverso riviste delle nuove dottrine teologiche, sia nei movimenti a carattere spiritualista (ad esempio, il Movimento di Craux), sia nella letteratura e nella produzione cinematografica e teatrale;
e) l’influsso della concezione democratica, che porta qualcuno a voler applicare indebitamente alla Chiesa gli schemi della sociologia umana, quasi che la determinazione della verità religiosa e l’esercizio dei poteri sacri dovessero essere sottoposti al consenso del laicato e al gioco delle maggioranze e delle minoranze;
f) la sopravvalutazione dell’azione del laicato, quasi in contrasto con l’opera forse non sempre altrettanto brillante sul piano esteriore, del sacerdote; la facilità ad interpretare – soprattutto in ambienti giovanili – semplici e schiette parole di approvazione da parte della gerarchia come una specie d’investitura suprema per ritenersi i salvatori della situazione, i detentori di carismi speciali, fino a giungere talvolta, sotto la spinta dell’orgoglio, dell’adulazione degli amici, degli applausi della folla, dei consensi taciti di qualche incauto maestro, ad assumere atteggiamenti d’insofferenza per ogni disciplina;
g) le carenze di qualche membro del clero, il cui atteggiamento – di esasperato autoritarismo e di sfiducia nei riguardi del laicato, di chiusura mentale e grettezza di fronte ai problemi odierni dell’apostolato e della vita sociale, di non saggia prudenza e di poca misura nel proprio doveroso intervento sul piano politico – può determinare dolorose situazioni d’incomprensione reciproca, di critiche scambievoli, di diffidenze e contrasti;
h) la carenza di soda formazione spirituale, la quale se aggiunta all’aspro quotidiano confronto con un mondo che crede poco alle virtù cristiane profonde (umiltà,azienza, veridicità, carità, giustizia, disinteresse, ecc.) può determinare anche nel laicato cattolico uno stile mentale e pratico in contrasto col messaggio cristiano o da esso alieno, e portare a confondere la decisione con la violenza, l’intelligenza con l’astuzia e il calcolo, l’urgenza delle trasformazioni sociali con la rivoluzione, lo slancio ardente con l’impazienza ribelle, il regno di Dio col dominio della terra, il servizio della Chiesa con la pretesa di porre la Chiesa a servizio delle proprie idee ed interessi.
Qui parliamo di tentazioni possibili, di tendenze che possono affiorare, non di uno stato di fatto che abbia una portata estesa. Questi richiami alla vigilanza non vogliono affatto negare o mettere in dubbio l’apporto imponente e meraviglioso che il laicato cattolico ha offerto alla Chiesa nel nostro paese, in questi ultimi anni. È un capitolo di storia fulgidissima, che nessuna nube può minimamente offuscare.

Il laicismo nel clero

13. Ma la mentalità laicista può infiltrarsi anche tra le nostre file, carissimi sacerdoti, soprattutto nelle generazioni più giovani, e portare insensibilmente a posizioni dottrinali e soprattutto a pratiche rovinose sia per la nostra vita spirituale come per l’impostazione del nostro apostolato.
Il laicismo è negazione o misconoscimento del soprannaturale e di tutti i suoi segni sulla terra, è accento posto sui valori umani e noncuranza di quelli sacri e divini. L’infiltrazione di questa mentalità, anche se inconsapevole, nel sacerdote può portare a deviazioni gravissime. Ne sottolineiamo alcune, fra le più facili a verificarsi, nella situazione presente:
a) la tendenza verso un umanesimo seducente nelle sue prospettive, ma ambiguo nelle sue articolazioni profonde, in cui il senso dei valori umani e la conseguente ricerca di essi – nella propria vita personale come nel proprio lavoro apostolico -assumono un posto così assorbente e preponderante da far dimenticare o relegare ai margini del proprio pensiero e del proprio operare la grazia e i mezzi autentici della grazia;
b) la tendenza a ricercare, con esasperata sensibilità, i valori della propria personalità umana, della propria indipendenza ed autonomia di pensiero e di azione, a scapito dei valori insostituibili dell’obbedienza e dell’umiltà, dimenticando che il proprio sacerdozio è valido ed efficace nella misura in cui è saldato a Cristo, tramite la mediazione visibile della Chiesa e della sua gerarchia;
c) la tendenza ad anteporre, nell’impostazione del proprio apostolato, l’opera di redenzione umana a quella religiosa e morale nella convinzione che – nel mondo di oggi – l’azione più urgente sia, anche per un sacerdote, quella di riforma sociale o culturale o economica o politica, dimenticando che le riforme esterne di struttura sono dovere dei laici e che, d’altra parte, esse rischiano di finire nel più pauroso fallimento se non sono precedute e accompagnate dalla trasformazione interiore delle coscienze, compito questo che spetta specificamente al sacerdote;
d) la tendenza a diminuire le distanze fra sé e il mondo, non soltanto nella giusta linea d’uno sforzo teso a comprendere e penetrare i diversi ambienti, a portare a tutti il beneficio della propria parola e della propria presenza sacerdotale; ma, per la smania di assimilarsi agli altri, ad attenuare il vigore del proprio messaggio, ad attutire il distacco tagliente espresso dalla propria veste, a dar posto ad un irenismo che vorrebbe presentarsi come amore del quieto vivere, che dimentica il solenne ammonimento: “Nolite conformari huic saeculo” (Rm 12,2);
e) la conseguente tendenza a confondere il necessario aggiornamento – sul piano culturale e apostolico, nelle idee, nei metodi, negli strumenti – in bramosia fatua di cose nuove, in vana ricerca di modernità ad ogni costo, di soluzioni audaci e spericolate, assumendo di fronte agli uomini e alle idee del passato atteggiamenti di amara polemica, di sistematica e indiscriminata denigrazione, di fastidiosa sufficienza;
f) la tendenza a far propri modi secolareschi nel comportamento e nel sentire, ad assumere di fronte ai laici una disinvoltura acerba e artificiosa che a volte rasenta la spregiudicatezza, a far trapelare un senso di insofferenza del costume ecclesiastico, delle funzioni proprie sacerdotali nel desiderio di evadere dal clima di nascondimento e di riserbo proprio della vita sacerdotale;
g) la tendenza a mettere il silenziatore sull’importanza insostituibile che hanno, nella vita sacerdotale, la mortificazione e la rinunzia, fino a pensare che ormai l’ascetica cattolica tradizionale avrebbe fatto il suo tempo e sarebbe incapace di fornire oggi veri orientamenti di vita, per cui si sarebbe costretti a mandarla in frantumi al primo contatto con l’esperienza concreta dell’esistenza;
h) la tendenza a preferire l’affannosa ricerca della problematica culturale attuale, invece che ancorarsi ai sicuri ormeggi della parola di Cristo e dell’insegnamento della Chiesa, anteponendo lo studio delle realtà profane a quello sacro, l’amore dei libri degli uomini a quello del libro di Dio, una vaga letteratura teologica alla teologia sistematica, la bramosia della vana curiosità alla fame e sete di verità evangelica;
i) la tendenza a falsare nella vita sacerdotale, sotto la spinta di tutte queste deviazioni, la giusta gerarchia dei valori: al primato della grazia sostituire quello degli strumenti e delle tecniche umane, al primato della preghiera quello dell’azione esterna, al primato della formazione interiore delle anime quello delle opere e dell’organizzazione esteriore, al primato della qualità quello della quantità, al primato della sostanza quello delle apparenze, al primato della fede quello della furbizia e del calcolo umano, al primato dell’umiltà e della semplicità quello della potenza e della spavalderia superba.
A nessuno può sfuggire la portata attuale di queste tentazioni. Forse a parecchi si nascondono gli strettissimi legami che intercorrono tra esse e la mentalità laicista odierna. Eppure tali legami sono evidentissimi ad un esame non superficiale della situazione. Il cedere a tali tentazioni significherebbe, per il nostro sacerdozio, perdere la propria fisionomia soprannaturale e condannarsi alla sterilità e alla morte.

Indicazioni:

a) recuperare una fede capace di giudizio
Ci siamo sforzati, carissimi sacerdoti, di stabilire una diagnosi di questa eresia odierna che si chiama laicismo, cercando di cogliere alcune linee essenziali delle sue articolazioni interne e delle sue possibili infiltrazioni nel campo cattolico e sacerdotale. Ora desideriamo presentare alcune indicazioni pratiche di orientamento, affinché la nostra azione sacerdotale risulti illuminata e tempestiva nei rapporti col mondo esterno laico, nei rapporti col nostro laicato cattolico, nell’impostazione della nostra vita personale, memori di quanto afferma il regnante sommo pontefice: “Oggi i cristiani ferventi attendono molto dal sacerdote. Essi vogliono vedere in lui, in un mondo dove trionfano il potere del denaro, la seduzione dei sensi, il prestigio della tecnica, un testimonio del Dio invisibile, un uomo di fede dimentico di se stesso e pieno di carità” (Giovanni XXIII, Sacerdoti nostri primordia).
14. Innanzitutto procuriamo di acquistare una concreta e precisa conoscenza del fenomeno laicista. E’ la prima premessa per un’azione pastorale illuminata ed efficace. Purtroppo, non tutte le anime sacerdotali posseggono questa chiarezza di idee. Alcuni si fermano ad una conoscenza superficiale e sommaria del fenomeno, su un piano di polemica puramente marginale. Il fenomeno – lo abbiamo visto – è estremamente complesso nelle sue articolazioni interiori e proteiforme nelle sue manifestazioni esterne. Urge, perciò, avere un’informazione sicura e una comprensione adeguata.
Conoscere significa afferrare le radici filosofiche, storiche, ambientali, psicologiche del fenomeno, vedendone chiaramente i rapporti di parentela con le diverse eresie ed aberrazioni di ieri e di oggi.
Conoscere significa penetrare lucidamente i motivi per cui tante anime fanno proprio l’atteggiamento laicista. Questi motivi sono diversissimi e quasi variano da anima ad anima (superficialità, ignoranza religiosa, passione politica, risentimenti per fatti marginali e spesso banali, prigionia entro pregiudizi ereditati dall’ambiente, posizione ideologica, ecc.).
Conoscere significa penetrare con chiarezza quel complesso di idee e di tendenze che il laicismo sviluppa nei diversi settori della vita (cultura, famiglia, scuola, Stato, assistenza, pubblico costume, ecc.).
A questo scopo, esortiamo gli insegnanti nei seminari, gli scrittori di riviste e giornali cattolici, gli organizzatori di convegni di studio e di altre iniziative analoghe, a porre il più assiduo impegno per fornire a sacerdoti e a laici un orientamento sicuro, sereno, tempestivo su questo argomento.
a) Assumiamo una chiarezza di atteggiamento e una fermezza di vigilanza contro gli errori. Le posizioni equivoche non servono a nulla, aumentano soltanto il disorientamento in mezzo alla comunità cristiana. Nessun compromesso è possibile sul piano dei principi, nessuno spirito di acquiescente irenismo deve penetrare fra le nostre file, in un tempo in cui tutti i nemici della Chiesa sanno chiaramente cosa vogliono e perseguono senza debolezze e titubanze i loro fini.
Mai deve attutirsi il vigore della nostra vigilanza. Abbiamo già accennato, all’inizio, ai diversi settori della vita nazionale dove il laicismo sta attualmente conducendo le sue maggiori battaglie. Vogliamo richiamare l’attenzione soprattutto sui problemi della famiglia, della scuola e della pubblica moralità (stampa, spettacolo, ecc.), sui quali più duramente si sta oggi impegnando la lotta.
b) Avviciniamo e illuminiamo in spirito di profonda carità gli erranti. L’opera di vigilanza e di difesa non basta. Ogni sacerdote deve sentire inestinguibile, nella sua anima, il bisogno di ricercare ogni possibilità di contatto e di azione illuminatrice verso le anime di questi fratelli smarriti. Non possiamo rassegnarci alla loro lontananza ed ostilità. Sono figli di Dio anch’essi, hanno un’anima da salvare anch’essi. L’apostolato è tensione amorosa soprattutto verso i lontani, verso i giudei e i greci che chiedono i miracoli e cercano la sapienza. A tutti dobbiamo predicare Cristo crocifisso (1 Cor 1,21ss).
Qui il cuore di ogni sacerdote deve moltiplicarsi nelle iniziative inesauribili della carità, tentare di aprirsi ogni varco possibile nella muraglia delle diffidenze e delle prevenzioni, sfruttare ogni occasione utile per mettere queste anime a contatto della realtà materna della Chiesa, evitare accuratamente tutto ciò che può fornire pretesto di ostilità o di disprezzo verso le cose sacre, eliminando dalla pietà cristiana ogni espressione non degna di fede e di culto, sforzandosi di comprendere le difficoltà e i dubbi altrui, riconoscendo lealmente e accettando i valori autentici e le legittime aspirazioni che possono nascondersi anche dietro l’inquietudine e la violenza di posizioni polemiche esasperate.

b) formare un laicato cristiano maturo

15. Ai laici nel senso deteriore del termine dobbiamo contrapporre i laici nel senso cristiano, interiormente formati, pienamente consapevoli del loro posto e delle loro responsabilità nell’ambito della Chiesa, collaboratori fervidi della gerarchia nelle organizzazioni di Azione cattolica, testimoni fedeli del Vangelo nelle diverse realtà della vita, con il loro esempio e con la loro parola. Ad essi è affidata, come missione propria, l’edificazione della città terrena, con l’assunzione di precisi impegni temporali, mentre al sacerdote resta il compito di formarli, di dirigerli spiritualmente, di fornir loro i mezzi della grazia.
a) In questi laici curiamo innanzitutto una profonda formazione interiore, diamo ad essi una soda educazione ascetica che li porti al rispetto e alla pratica delle virtù cristiane fondamentali della fraterna carità, dell’umiltà, della docilità, dell’obbedienza, dell’abnegazione. L’esperienza insegna che troppo spesso gli atteggiamenti errati dei nostri laici sono collegati ad una carenza di educazione ascetica oppure a deformazioni ascetiche che coinvolgono responsabilità di sacerdoti, di religiosi, di direttori spirituali. Promuoviamo, perciò, con ogni mezzo, tra le file dei militanti di Azione cattolica soprattutto, quelle iniziative che più risultano adatte allo scopo (esercizi spirituali, ritiri mensili, incontri di spiritualità, ecc.). Né insisteremo mai abbastanza sulla pratica frequente dei sacramenti, sorgente prima di ogni vera formazione interiore.
b) Educhiamo i nostri laici al “senso della Chiesa”, nella luce delle grandi encicliche Mistici corposi e Mediatore Dei, del sommo pontefice Pio XII. In questa prospettiva comprenderanno, al di là degli aspetti esterni e giuridici della Chiesa, il suo profondo mistero di mediazione insostituibile tra Dio e le anime, il valore della sua missione spirituale nella storia, e si renderanno conto dell’errore grave in cui cade chi pensa di lavorare per il regno di Dio sottraendosi alla comunione con la Chiesa e con la gerarchia visibile che la governa.
Ed allora, per questi laici formati, il “senso della Chiesa” significherà filiale amore e stretta partecipazione alla vita della Chiesa, alle sue lotte e sofferenze, alle sue persecuzioni e conquiste; significherà attento e amoroso accoglimento dell’insegnamento dottrinale e delle direttive pratiche di essa, vedendo nella gerarchia e nelle sue disposizioni una presenza di amore e di sollecitudine per il bene delle anime; significherà cosciente partecipazione alla vita liturgica, attraverso cui si approfondiscono i legami spirituali di ogni anima con la comunità dei fratelli; significherà, infine, fervida operosità per dilatare il regno di Dio sulla terra, secondo le possibilità e le responsabilità di ognuno.
c) Curiamo – insieme con la formazione ascetica un approfondita cultura religiosa, in modo che i nostri laici – soprattutto se membri di Azione cattolica o investiti di pubbliche responsabilità – abbiano una chiara e sistematica conoscenza dei termini teologici dei problemi attuali, con particolare riferimento alle difficoltà di ordine teorico e pratico poste dal laicismo. Tale chiarezza di idee si richiede, in modo particolarissimo, sulla dottrina sociale della Chiesa, ad evitare atteggiamenti e posizioni che si possano prestare ad equivoci ed incertezze.
d) Curiamo di evitare, nei nostri rapporti col laicato, ogni forma di esagerato autoritarismo. Lavoriamo con profondo spirito di amore e di rispetto, comprendendo e disciplinando amorevolmente impazienze e imprudenze, fornendo l’ispirazione religiosa e morale ma spronando ognuno all’iniziativa e al senso di responsabilità personale, accogliendo di buon grado tutte le proposte utili che ci possono venire da esso, sforzandoci al massimo di tenera conto delle sue giuste esigenze, mostrando in tutto una superiore larghezza di vedute, usando della sua collaborazione “nel modo come il Creatore e Signore usa le creature ragionevoli come strumento, come cause seconde, con una dolcezza piena di riguardo” (Pio XII), non interferendo in campi dove non abbiamo alcun diritto di fornire direttive, poiché il giudizio e la scelta sono affidati alla libertà di ognuno.
e) Rendiamo, infine, consapevoli i nostri laici del grave dovere che hanno di rendere, in tutte le attività della vita, piena testimonianza alla fede professata. Molti lontani non vengono a contatto con la Chiesa che attraverso la loro persona. Spesso certe forme di anticlericalismo non sono originate da rifiuti consapevoli della dottrina cattolica, ma da cattivi esempi ricevuti da cristiani.
Il modo di agire incoerente di questi, la mediocrità del loro spirito, la mancanza di apertura piena ai problemi del mondo, il declassamento della religione a semplice esteriorità abitudinaria, la professione della fede usata soltanto come vessillo esteriore per farsi strada nella vita e raggiungere terreni interessi, tutti questi fatti contingenti danno spesso motivo e alimento – più che profonde ragioni speculative – a forme di laicismo quasi insuperabili. 1 cristiani, se non vigilano, invece di essere via a Cristo, possono diventare ostacolo che impedisce di arrivare a lui.

c) riscoprire l’identità sacerdotale

16. L’ultima parola non può essere che per noi e non può essere che un invito alla santità. Tutto quanto abbiamo detto finora non servirebbe a nulla, se non partisse da un presupposto essenziale: la santità della vita sacerdotale.
Il laicismo, più che con la nostra dialettica, lo vinceremo con la pratica coerente della nostra vita. Esso è la negazione del soprannaturale sulla terra, il rifiuto della presenza di Dio e di Cristo nel mondo, e la nostra vita sacerdotale è chiamata ad essere precisamente una testimonianza visibile, concreta, vivente del soprannaturale, di Dio e di Cristo nel mondo.
Sappiamo vedere, dietro l’acerbità di certe critiche e la violenza di certi attacchi, una inconsapevole nostalgia d’un sacerdozio santo e immacolato, a volte forse un’amara delusione per spettacoli di mediocrità e di incoerenza offerti da qualcuno di noi, spesso un illegittimo e ruvido passaggio dalla constatazione di nostre isolate debolezze alla incriminazione generale della religione e della Chiesa.
Approfittiamo, perciò, di questa dura stagione spirituale, nella quale siamo chiamati a vivere e ad operare, per riesaminare ciascuno il nostro sacerdozio e riportarlo, ove fosse necessario, a quella statura piena che Cristo e il mondo esigono da noi. Per tempi eccezionali si richiedono uomini e apostoli d’eccezione.
Contro le facili tentazioni di un naturalismo invadente, poggiamo il nostro sacerdozio sulle grandi realtà della grazia, della preghiera, dell’unione intima con Dio, della mortificazione, dell’umiltà, del nascondimento, del dono disinteressato di noi stessi agli altri.
Emerga vigorosa e indiscussa, dovunque e sempre, la soprannaturalità dei nostri fini, dei nostri mezzi, dei nostri metodi. Tutti devono sentire che nelle nostre opere si respira il soprannaturale, si serve Dio e si perseguono solo gli interessi spirituali delle anime, ogni visuale umana è bandita, non ci sospinge la brama di terreni guadagni, non la compiacenza di facili popolarità, non la sete di dominio e di umana potenza. Il volto sacro del nostro sacerdozio deve presentarsi, oggi soprattutto, in tutto il suo immacolato nitore.
Anche quando siamo obbligati, per stretto dovere del nostro ministero, a interessarci del mondo esterno (problemi sociali, politici, di costume ecc.), facciamolo da ministri di Dio, non smarrendo mai la compostezza sacra del nostro stile sacerdotale, in maniera che tutti intendano che il nostro intervento è dettato unicamente da motivi superiori – gli interessi di Dio e delle anime – e non da passioni e interessi terreni. Ed in questi casi a volte drammatici per la nostra anima di sacerdoti, quale sforzo di delicata carità, quale ricerca affannosa dei modi più opportuni, quale superiore serenità e saggezza, quale profonda ispirazione interiore devono vibrare dietro ogni nostra parola! E’ sempre ardua la nostra missione, ma lo diventa soprattutto in queste circostanze, in cui la nostra parola deve affrontare problemi della vita temporale e nulla perdere della sua dimensione sacra, deve risolvere questioni contingenti e rimanere voce dell’eterno.
Restiamo, dunque, uomini di Dio, dispensatori dei misteri di Cristo, testimoni viventi della realtà soprannaturale, amministratori instancabili della grazia, anime indissolubilmente radicate nella preghiera e nel sacrificio.
Solo così le nostre opere esterne non saranno costruite sulla sabbia, ma poggeranno sulla roccia e raggiungeranno l’intimo delle coscienze, aprendo a questo mondo malato di oggi la strada del regno di Dio.

Cari sacerdoti nostri!
Quanto vi abbiamo scritto ha un significato semplice e che può essere riassunto in queste poche parole.
Rendetevi conto che pericoli gravi di confusione mentale sono entrati in circolo e attentano, innanzitutto, ai migliori dei nostri fedeli, ma anche a voi.
Siate voi stessi e non imitatori incauti di altri, che stanno fuori delle porte del tempio.
Uno è il Maestro vostro: Gesù Cristo, e una sola è l’autentica continuatrice della parola di Gesù Cristo: la Chiesa.
Siate consci del male, non accettate il compromesso sul giudizio del male; siate fedeli fino in fondo alla vostra vocazione.
La grazia, la pace e consolazione dello Spirito Santo siano in tutti voi.

Roma, 25 marzo 1960,
festa dell’Annunciazione


Nota di edizione

La redazione ufficiale e definitiva di questa “Lettera collettiva”, decisa nella sesta riunione della Cei, è avvenuta dopo che tutti i vescovi italiani erano stati personalmente sollecitati a inviare la propria adesione al documento: “Il maggior frutto della lettera stessa e gli autorevoli suggerimenti che sono giunti a questa presidenza – scriveva il 19 marzo il cardinal Giuseppe Siri, presidente della Cei, inviando il documento ai vescovi italiani – fanno desiderare che tale lettera esprima il pensiero di tutti i vescovi, recando di tutti la sottoscrizione. Si ha motivo di credere che il corredamento della lettera con tutte le firme risponda anzi ad una necessità” (Dei agricultura, marzo 1960, p. 1).