I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Fine dell’uomo

1. Qual è il fine dell’uomo? 2. Tutto prova che Dio solo è il fine dell’uomo.

1. QUAL È IL FINE DELL’UOMO? – Qual è il fine dell’uomo? Dio. Qual è il suo ultimo fine? Dio solo… Dio ha fatto l’uomo perché lo conoscesse, conoscendolo l’amasse, amandolo lo possedesse e possedendolo fosse sommamente ed eternamente felice.
Come il cavallo è fatto per correre, l’uccello per volare, il bue per arare, il fuoco per riscaldare, il sole per illuminare, l’acqua per dissetare, il pane per nutrire; così l’uomo è nato per conoscere, amare, servire Dio, affinché godendo della visione e del possesso di Dio sia felice per sempre.
Il mondo, dice Lattanzio, è stato creato perché servisse di culla e dimora all’uomo; noi nasciamo per conoscere Iddio, creatore del mondo e nostro; lo conosciamo per servirlo; lo serviamo per ricevere l’immortalità in ricompensa dei nostri servizi; riceviamo poi la mercede dell’immortalità, affinché, divenuti simili agli angeli, noi serviamo per sempre il nostro Padre e Signore supremo, e costituiamo il regno eterno di Dio. Questo è l’ultimo fine delle cose, questo il segreto di Dio, questo il mistero del mondo (Lib. VII, c. 6).
Il fine di ogni discorso, lo scopo di ogni parola, a cui tutti indistintamente dobbiamo porgere attenzione, sta, dice l’Ecclesiaste, nel temere Dio, nell’osservare i suoi comandi; ché in questo consiste tutto l’uomo (XII, 13). A ragione pertanto. esclama S. Bernardo: «È mio debito amare infinitamente colui per il quale io esisto, io vivo, io sento: un essere indegno e ingrato io mi chiamerei, se non l’amassi. Signore Gesù, è veramente meritevole di morte, anzi è già morto, chi rifiuta di vivere per voi; chi non gusta voi, ha il senso depravato; chi vuole fare senza di voi, è come se non fosse, anzi è un nulla. Che cosa è insomma l’uomo, o perché egli è? non certamente per altro, se non perché voi vi siete manifestato a lui e perché vi conosca. Per voi, o Dio, avete creato ogni cosa, e chi vuol essere per se stesso e non per voi, comincia ad essere un nulla in mezzo a tutte le cose. Temi Dio e pratica la sua legge, dice la Scrittura, perché questo è tutto l’uomo. Or dunque, se questo è tutto l’uomo, senza questo ogni uomo è niente (In Eccles)». Temere Dio e osservare i suoi comandamenti è ciò che forma l’uomo, ossia costituisce il fine dell’uomo. E se dimandate chi è l’uomo, Salomone risponde: è colui che teme e obbedisce Dio. Gli uomini che non fanno così, sembrano uomini, ma in realtà sono o leoni alteri, o arpie rapaci, o tigri feroci, o lupi voraci, ecc… Quindi l’uomo che vive da empio non è un uomo, ma un animale che veste le forme dell’uomo. Questo notò pure Epitteto, del quale Laerzio ci riporta questa sentenza: «Degno del nome di uomo non è chi alla virtù non applica l’animo (LAERTIUS)».
Giustamente pertanto il Salmista supplicava Dio che gli facesse conoscere il suo fine, finché sapesse quel che gli mancava e potesse procurarselo (Psalm. XXXVIII, 4). A ragione pensava ai giorni antichi (CXLII, 5), e meditava del continuo gli anni eterni, che sono Dio (LXXVI, 5).
Ci dicono i Proverbi, che «Dio ha fatto tutte le cose per se stesso» (XVI, 4). Sì, Dio ha creato il mondo e quanto nel mondo si contiene, per la sua gloria, perché egli sia il fine ultimo. di tutte le cose, come ne è la causa prima, il principio, come asserì egli medesimo nell’Apocalisse (I, 8). Tutte le creature hanno per fine la glorificazione di Dio, per proclamare e celebrare dappertutto la potenza, la misericordia, la giustizia, la sapienza del loro Creatore. Perciò Dio è il medesimo in tutte le cose, e in ogni cosa simile a se stesso… « Dio, scrive S. Agostino, è ugualmente grande nelle più umili come nelle più nobili cose (De Civit. Dei)».
Si noti che se Dio ha fatto tutti per se stesso, non l’ha però fatto per desiderio o bisogno di gloria, ma perché la natura e l’ordine delle cose così richiede. Difatti la creatura si riferisce al suo creatore e lo riguarda, in virtù della sua intima ed intera essenza, come suo fine e suo sommo bene. Similmente la natura e la dignità del Creatore è di tale dignità e maestà che esige che ogni cosa sia a lui riferita; anzi, appartiene all’essenza della divinità, essere il fine unico di tutto. Non può essere diversamente e sarebbe assurdo il pensarlo… Sì, il sole…, la luna…, le stelle…, la terra…, i mari…, gli elementi… , le stagioni… , gli alberi…, gli animali…, i minerali… , i vegetali…, tutti tendono allo scopo che Dio ha loro assegnato, l’utilità dell’uomo, e per ciò stesso alla glorificazione del loro autore… Se ogni cosa non tendesse a questo fine, sarebbe il caos…
Ma se Dio ha fatto tutto per se medesimo, se ogni creatura irragionevole ed anche inanimata risponde al suo fine, che è di proclamare e magnificare Dio, come ultimo fine della creazione, non sarà giusto e indispensabile che noi ci uniamo a lui in una medesima intenzione, e facciamo ogni opera nostra a sua lode e gloria, ripetendo con S. Ignazio di Lojola: Sia tutto a maggior gloria di Dio – Ad maiorem Dei gloriam?
Però, benché Dio abbia creata ogni cosa per se stesso, come ultimo fine, egli tuttavia ha creato tutto. mediatamente per i giusti che a lui obbediscono; per loro ha formato il sole, la luna, il fuoco, gli alberi, i frutti, gli animali, ecc., affinché sia per se stessi, sia per mezzo delle diverse creature, tutto a lui riferiscano. Difatti, se Dio fa tutto per l’uomo, è naturale che l’uomo a sua volta faccia tutto per Iddio… Dio, dice S. Bernardo, fa tutto per se stesso, in questo senso, che per bontà gratuita fa tutto per i suoi eletti, per loro vantaggio, che è la cagione del sua operare; è questo il fine di Dio, che S. Paolo vedeva negli eventi umani (II Tim. II, 10).
Insegna S. Tommaso che Dio è la prima causa efficiente, esemplare, e finale di tutte le cose, in quanto che Dio producendole valle comunicare loro la sua bontà, ed esse tendano a parteciparvi. Il fine è l’intenzione di colui che opera. Ma Dio non ha fatto le cose per sé come fine di se stesso, perché Dio non ha alcun fine che lo riguardi, ma è il fine di tutte le cose, per il fine e il bene delle creature. In Dio la sapienza, la bontà e l’operare sono una sola e medesima cosa con lui, e per conseguenza egli non può essere loro fine. Il dire adunque che Dio ha creato tutto per se stesso, vuol dire che ha creato tutte le cose con l’intenzione di mostrare e comunicare alle sue creature la sua bontà, la sua sapienza, la sua potenza, la sua magnificenza, la sua gloria, ecc., e questo forma il bene delle creature, non già quello di Dio. Difatti, Dio per questa comunicazione di se stesso non guadagna nulla, poiché niente gli può essere aggiunto, trovandosi in lui ogni cosa essenzialmente. Donde ne viene che la gloria per la quale gli uomini, carne gli angeli e le creature tutte lo glorificano, non gli aggiunga nulla, avendo in se stesso la gloria increata ed infinita; ma egli esige questa gloria esteriore, affinché le creature attingano la loro essenza, le loro proprietà e qualità e ogni bene in Dio.
Platone medesimo, chiedendo perché Dio abbia creato il mondo, risponde: « Dio è la somma bontà, e come tale non è capace d’invidia; valle quindi che le creature partecipassero di lui, in quella misura che ciascuna è capace di beatitudine (Dialog.)». «O Signore santissimo, esclama l’Alvarez, in primo luogo Voi siete il fine ultimo di tutte le cose e le creature non cercano che voi, come loro ultimo fine: Voi avete infatti creato tutto con la vostra potenza, non perché vi mancasse qualche cosa, ma acciocché ogni cosa, secondo la sua natura e capacità, partecipasse alla vostra infinita perfezione. Il loro fine dunque è di tendere a voi, di vestire la vostra somiglianza, per quanto ne sono capaci, e di avvicinarsi a voi loro Creatore. E perfino le creature irragionevoli, spinte dalla loro stessa natura, tendono a voi come a loro fine, poiché cercano il loro proprio bene e questo è una certa qual partecipazione della vostra bontà. Solo l’uomo da voi si separa peccando e si volge all’abiezione della creatura. In secondo luogo, l’universo tutto si riposa nel suo fine e quando n’è distolto, non cessa di essere agitato finché non lo raggiunga di nuovo. Voi siete dunque, o Signore, il nostro riposo; solo la vostra maestà può riempire il nostro cuore, solo la vostra bontà e dolcezza può saziarlo. Né onori, né ricchezze, né piaceri, né beni riempiono il cuore, ma il solo bene infinita, increato, che siete voi, mio Dio, può riempirlo e renderlo beato. Voi sete, a Signore, la città, il porto a cui tendiamo, il letto sul quale possiamo trovare il riposo, il bastone che ci sostiene. In terzo luogo, quando io possederò voi, o Signore, voi che siete l’ultimo e l’unico fine, allora io sarò infinitamente beato» (In Isai.).
Le creature irragionevoli tendono al loro fine glorificando Iddio come l’opera loda l’operaio, la casa rende onore all’architetto, il quadro dà gloria al pittore.
Dio ha creato ogni cosa per la sua gloria increata, che è egli medesimo, cioè per comunicare alle creature la gloria delle sue infinite perfezioni, e non per la gloria creata che da esse a lui deriva. Ora, sebbene dalla gloria increata naturalmente e necessariamente risulti la creata, che è quella per cui le creature lodano il Creatore, perché questa gloria è dovuta in tutta giustizia a Dio da tutte le creature; tuttavia questa gloria creata non poté essere propriamente il fine di Dio, egli non poté desiderarla cosi che per procurarsela, abbia creato il mondo e tutto ciò che nell’universo esiste; sia perché questa gloria è fuori di Dio e, essendo creata, è troppo piccola cosa; sia perché essa non aumenta nulla affatto la gloria increata ed infinita che Dio possiede in se stesso da tutta l’eternità; sia finalmente perché questa gloria o glorificazione si deve dire piuttosto un bene delle creature, che un bene di Dio. Infatti il bene, la felicità delle creature consiste nel conoscere, amare, servire e lodare il Creatore, secondo la sentenza di S. Agostino: «Per voi, o Signore, ci avete creati ed il cuore nostro non ha quiete, fino a che in voi non si riposi (Confess. l. 1, c, I)».
L’uomo, porta in sé la fisionomia di Dio, 1° come il figlio porta quella del padre al quale deve amore, rispetto e obbedienza; 2° come proprietà del suo padrone, che deve riverire e temere; 3° come soldato obbligato a mantenersi fedele e obbediente al suo comandante; 4° come ministro e dispensiere dei beni del suo signore, al quale deve rendere conto esatto dell’uso da lui fatto delle creature che gli furono assegnate in servizio, a perpetua lode e gloria del Signore suo Dio.

2. TUTTO PROVA CHE DIO SOLO È IL FINE DELL’UOMO. – Primieramente, la ragione mi dice che io vengo da Dio; non è dunque giusto che consacri la mia vita tutt’intera a ritornarmene a Dio?… La ragione mi prova che tutto quello che ho, mi viene da Dio: niente dunque è più giusto che, avendo tutto da Dio, tutto a lui riferisca… La ragione mi suggerisce che io tendo a Dio, egli è perciò il mio ultimo fine.
In secondo luogo, il cuore con la sua capacità, con i suoi desideri, con i suoi bisogni immensi, insaziabili, chiaramente mi dice che Dio solo è il mio fine. Il cuore è irresistibilmente portato a bramare la felicità, di questa egli ha bisogno, di questa egli è continuamente in cerca… Ma la vera felicità, la felicità capace di attutire le brame del cuore, non è mai stata, né mai sarà nelle creature… Non si trova in altri che in Dio… Dio solo, adunque, è il mio fine, se in lui solo il mio cuore trova soddisfazione e pace.
In terzo luogo, la coscienza assai chiaramente mi dimostra che Dio solo è il mio fine 1° col rimorso che mi lacera, quando non tendo a Dio; 2° con la pace, con la gioia, con la contentezza che provo quando io mi volgo a lui solo, lo cerco e lo desidero.
Finalmente, la fede m’insegna che Dio solo è il mio fine. 1° La fede, ricordandomi la creazione, mi dice che io sono fatto ad immagine di Dio, che quest’immagine è formata perché goda di Dio; ora l’immagine esiste perché sia la riproduzione del suo modello. 2° La fede mi rivela che l’uomo è caduto appunto perché si volle allontanare da Dio, unico suo fine. 3° La fede mi mette innanzi la redenzione; ora, perché mai Dio mi avrebbe redento, se io non fossi stato fatto per lui, s’egli non fosse il mio ultimo fine? 4° La fede mi offre i sacramenti, le grazie, la legge di Dio, la religione, ecc., come mezzi di tendere a Dio, mio unico fine. Questi grandi mezzi mi provano che Dio solo è il mio fine; altrimenti Dio mi presenterebbe mezzi inutili e ridicoli.