Fede ed evoluzione

CARD. GIUSEPPE SIRI, “Fede” e’ il complesso della Rivelazione Divina, che parla anche dell’origine dell’uomo, per dire cio’ che ha fatto Dio. L’evoluzione e’ una teoria sull’origine dell’uomo. Ma e’ solo una teoria 
[Tratto da: http://www.alleanzacattolica.org/indici/mag_episcopale/sirig95.htm ]

La cultura di massa – che in gran parte contagia anche i suoi operatori – accredita la tesi della universale evoluzione della materia, della quale l’uomo sarebbe soltanto una fase o uno stadio di transizione. Sulla base di questa discutibile e discussa ipotesi, tale cultura predispone ad accettare interventi “evolutivi” sull’uomo stesso, previsti dalla sociobiologia e dalla ingegneria genetica. La natura ipotetica, non scientifica ma ideologica, dell’evoluzionismo e la sua funzionalità rispetto al progetto totalitario del comunismo è denunciata – accompagnata da una ferma riproposizione della dottrina cattolica sull’argomento – nella prolusione tenuta dal cardinale Giuseppe Siri ai corsi teologici del Didascaleion, il 31 gennaio 1983, che riportiamo dal settimanale cattolico, anno IX, n. 7, 20-2-1983.


Cristianità n. 95 (1983)


 


Fede ed evoluzione


 


Il tema che debbo trattare equivale ad una spassosissima commedia umana. Giudicherete voi.


Mettiamo subito chiari i termini. Qui “Fede” significa il complesso della Rivelazione Divina fatta agli uomini da Dio, perfezionata e completata in Cristo. Questa Rivelazione parla anche dell’origine del mondo e delle specie viventi nonché dell’uomo. Ma ne parla solo per dire quel che ha fatto Dio.


La evoluzione è una teoria sull’origine del mondo, ma soprattutto sulla origine e mutazione delle specie viventi, compreso l’uomo. È una teoria, solo una teoria; le “Teorie sole” sono ipotesi e le ipotesi concludono niente, possono variare secondo che si vuole, entrando in tal modo nel campo puramente soggettivo, anche nel fantastico. Questo debbo però dimostrarlo a proposito del soggetto in argomento.


Evidentemente la Fede parte da un dato certo storicamente. Per vincere sulla Fede la teoria evoluzionistica dovrebbe partire ugualmente da un dato storicamente certo: è infatti anch’essa, come ipotesi, presentata come un “fatto”. Paragoniamo ora per un momento il fatto certo con la ipotesi. Il fatto certo asserisce che tutto ha origine per creazione ossia per deduzione dal nulla da parte di Dio. La teoria evoluzionistica vorrebbe dire nella sua redazione più assoluta che Dio non c’entra e che la materia si è evoluta da sé producendo tutto quello che geologia, cimiteri, musei conservano e non solo questi, ma l’intero genere umano. Evidentemente questa teoria cruda non si accorda col dato rivelato ossia colla Fede. La Fede afferma con certezza che tutto è stato creato e che Dio è direttamente intervenuto nella creazione dell’uomo. Per sé non esclude la possibilità di mutazioni nelle specie inferiori all’uomo, dimostrare le quali tocca alla scienza e pertanto agli uomini saputi di scienza. Poste così le relative affermazioni, si tratta di vedere che valgono le ipotesi dette scientifiche.


Si vuole onorare Darwin, ma non è lui l’inventore del sistema ipotizzato. Di questo è stato iniziatore Lamarck nel 1800 in aprile col suo discorso alla inaugurazione del Museo di Storia naturale di Parigi. Questi non fu un evoluzionista assoluto colla sua teoria della “evoluzione ascendente ed evoluzione adattiva”; fece un tentativo di sintesi e i tentativi non sono tesi dimostrate. Darwin riprese il retaggio di Lamarck. Nel saggio sull’origine delle specie (1889) non si dimostra ateo, anzi fa un inno al Creatore in chiusura del libro, per quanto la scoperta delle sue Notes segrete (1937) dimostri che era già diventato materialista. Si apprese dalle Notes che era in sostanza diventato un discepolo di Comte.


Concludendo fu ipotizzato un evoluzionismo che si appoggiava su fatti stimolanti la ricerca, ma non ancora probanti. I contorni rimanevano incerti.


A questo punto viene la domanda: l’evoluzionismo nella sua accezione assoluta (esclusione di Dio Creatore e di intervento diretto di Dio nella origine dell’uomo) o nella sua accezione relativa (ammessi i due punti sopra esclusi) ha avuto una dimostrazione scientifica, o è rimasto allo stato di ipotesi (che potrebbe essere anche fantasia?). Occorre qui dare gli elementi per una prudente risposta.


1. Anzitutto va sottolineato lo scopo: dare una sintesi della vita sul nostro pianeta, giustificando i diversi stadi e le diverse forme nonché la loro eventuale elasticità. È possibile una sintesi della vita? Si sa che la volontà delle sintesi dominò la cultura, che può definirsi illuministica, dell’ottocento: Hegel avrebbe abbracciato questa via (sulle orme di costui e sotto un punto vista più ristretto, anche Marx lo seguì, più tardi Spencer con i rispettivi seguaci). Non meraviglia una tale voglia. Ma è giustificata nelle sue pretese quando la umana cognizione della realtà non conosce altro che i corrispettivi dei cinque sensi ed oltre può inoltrarsi soltanto colla intelligenza, ma fino ad un certo punto, che è poi quello dei principi universali? Lascio la risposta a chi ascolta, pregando di ricordarsi che occorre non perdere mai il senso dei limiti.


Non si dimentichi che questa sintesi ha evitato il punto più importante, quello di partenza, ossia l’origine delle cose, del mondo. Evasione troppo grave, tanto più se si prendono in esame i modi tenebrosi e oscillanti coi quali si cerca di nascondere la evasione stessa.


2. In secondo luogo non si può dimenticare che la trasformazione di una specie è un fatto, per noi preterito ossia storico (nessuno ha assistito). E i fatti storici vanno documentati con testimoni pertinenti e concreti. Non possono sostenersi inventando dei princìpi gratuiti e con interpretazioni arbitrarie della fisiologia della materia che ha i suoi cicli, finora mantenuti nel quadro delle leggi immutabili quando esiste la parità delle condizioni. La distribuzione dei milioni d’anni appare piuttosto facilona, se non addirittura allegra ad una mentalità seriamente scientifica.


3. I tentativi di prova sono generalmente partiti da una mentalità materialista negatrice di Dio, dell’anima, della eternità e capace solo di condannare l’insaziabile spirito intelligente e conscio di sé alla tenebrosa avventura del “nulla”. Qui abbiamo veramente l’anima della avventura evoluzionistica.


Essa fa più avventura filosofica che scientifica, anche se il primo inventore della ipotesi evoluzionista non la pensava così. Ci pensarono gli altri. Questo è in via teorica il punto supremo della distruttrice critica che si possa muovere all’evoluzionismo di qualunque specie. È facile inventare filosofie, è difficile provare dei fatti con altrettanti fatti.


4. Si è tentata per la documentazione la via scientifica. C’erano due vie principali, non escludendo apporti secondari da altre discipline. Quella biologica e quella paleontologica. La prima cominciò con una disavventura quando Haeckel nei mari di Giava credette aver trovato la dimostrazione della generazione spontanea nel “bathybius haechelii” del quale si seppe poi che era un semplice precipitato senza vita alcuna. La seconda mise insieme una grande quantità di ossa trovate qua e là, non dovendosi dimenticare qui l’altra disavventura dell’uomo sinensis degli anni trenta, che non era né uomo, né sinensis ossia cinese.


Tutte queste ossa (nelle quali il grande naturalista Cuvier non volle mai riconoscere dei dati favorevoli all’evoluzionismo), supposto che con esse e con oneste illazioni si possa arrivare a costruire lo scheletro di un vertebrato di poco dissimile dall'”homo sapiens”, dimostreranno che nella scala degli esseri esiste un numero di più, ma non è affatto dimostrato che, essendoci un A, A sia diventato B. Che si deve dimostrare è il passaggio, nessuna grande rassomiglianza autorizza ad affermare la trasformazione. Qui si tratta di logica. Qui abbiamo l’altro grande punto critico dell’evoluzionismo, che ha fondato la sua dimostrazione sedicente scientifica proprio su questo salto di natura illogica. La logica va applicata egualmente in tutte le scienze in modo che un non qualificato in una determinata scienza, non può aprire bocca nelle affermazioni che la riguardano, ma può accorgersi, se è istruito in logica, quando una determinata premessa è o non è in grado di generare quella conseguenza o conclusione. La prima regola di qualunque ragionamento resta sempre: “Latius hos quam praemissae conclusio non vult”.


La via biologica è stata tentata cercando di ottenere artificialmente delle variazioni attraverso trattamenti particolari e persino vessatori di laboratorio; ma a parte che i discendenti sono ritornati alla perfetta normalità, è divertente pensare o sognare che in epoche anteriori all’uomo la terra fosse piena di laboratori per ottenere le trasformazioni care alla ipotesi evoluzionistica. Le mutazioni ottenute artificialmente possono provare la possibilità delle mutazioni alle debite condizioni, ma non provano affatto le trasformazioni spontanee. È sempre questione di logica. E qui non appartiene a me, non affatto scienziato, il parlare di quelle ragioni che tanto in istologia, quanto in genetica possono addursi a rilevare lo stacco netto tra l’uomo e gli animali.


Quello che emerge chiaramente è nei fautori dell’evoluzionismo il voler spiegare materialisticamente i fatti spirituali di intelligenza e di libertà e che sono nell’uomo: il dissidio attesta sulle due posizioni: negazione dell’anima umana e affermazione della sua spiritualità, o, se si vuole, Dio e non-dio. Forse è vera la affermazione che la questione sta qui.


Posso fare una conclusione?


Nel 1959 fu celebrato l’anno Darwiniano. Nelle due università, più di tutte impegnate alla celebrazione, Oxford e Cambridge, fu posta la domanda se l’ipotesi Darwiniana era diventata tesi ossia se era dimostrata. Al termine venne pubblicato dalle due Università un volume colla risposta. Essa era: no!


Alcuni anni or sono il direttore della Facoltà di lettere e scienze umane della Università di Montpellier pubblicò un notevole volume dal titolo L’uomo e l’invisibile. Anche qui la risposta era: no! Negli ultimi anni comparve un volume di Sermonti che con un collega dà, direi sonoramente, la risposta: no!


Preferisco dare la risposta di competenti scienziati piuttosto che con le mie parole. L’11 aprile dello scorso anno uno dei più illustri scienziati francesi trattò l’argomento in una celebre conferenza tenuta a Nótre Dame di Parigi. Pose la stessa mia domanda. Concluse la lunga argomentazione, riportata per intero su l’Homme Nouveau (numero del 19 dicembre 1982). Ecco le sue parole “qui io vi debbo un parere, carico di conseguenze che i teorici non fanno punto volentieri: noi ne sappiamo niente!”.


A questo punto occorre tirare le fila. La Rivelazione cristiana è precisa su due punti: la creazione di tutto da parte di Dio e il Suo diretto intervento nella creazione dell’uomo. Salvi questi due punti non è contro la Fede chi volesse sostenere un evoluzionismo mitigato. Ma la scienza lo sostiene? Nessuno può provare seriamente che i dati a nostra disposizione lo sostengano con certezza. Resta una ipotesi.


E tuttavia si tratta di una ipotesi delicata. Infatti ha avuto per sé uno schieramento ottocentesco, sotto la spinta positivistica emergente in quel secolo.


È l’anima materialistica di quello schieramento che deve mettere in guardia. Il concetto materialista spoglia l’uomo di tutto. Senza anima l’uomo non ha né intelligenza, né diritto, né libertà e può essere trattato logicamente come si trattano gli animali. Il che è avvenuto in modo completo e fino alle ultime conseguenze in qualche parte del mondo e sta avvenendo in forma attenuata, per la prudenza che incute un grande Paese civile, sotto i nostri occhi. Si guarda ben oltre l’evoluzionismo.


Il quale ha una caratteristica: viene dato per provato e documentato, mentre non lo è. Perché questo?


Si tratta di una delle tessere colle quali si tenta comporre la fallace fisionomia di un secolo che sta morendo e di un altro secolo che si vorrebbe fin dagli avamposti accaparrare. L’uomo con ascendenza scimmiesca è di più facile conquista. Forse qui c’è il sugo di tutto il discorso.


+ card. Giuseppe Siri
arcivescovo di Genova