Direttorio su pietà popolare e Liturgia. Principi e orientamenti» (2)

Nell’assicurare l’incremento e la promozione della Liturgia, «culmine a cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, fonte da cui promana tutta la sua virtù », la Congregazione avverte la necessità che non siano trascurate altre forme di pietà del popolo cristiano e il loro fruttuoso apporto per vivere uniti a Cristo, nella Chiesa, secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano II

Direttorio su pietà popolare e Liturgia. Principi e orientamenti»


 


INTRODUZIONE


 


1. Nell’assicurare l’incremento e la promozione della Liturgia, «culmine a cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, fonte da cui promana tutta la sua virtù »,1 questa Congregazione avverte la necessità che non siano trascurate altre forme di pietà del popolo cristiano e il loro fruttuoso apporto per vivere uniti a Cristo, nella Chiesa, secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano II.2


A seguito del rinnovamento conciliare, la situazione della pietà popolare cristiana si presenta variata a seconda dei Paesi e delle tradizioni locali. Si notano atteggiamenti contrastanti, quali: abbandono manifesto e sbrigativo di forme di pietà ereditate dal passato, lasciando vuoti non sempre colmabili; attaccamento a modi imperfetti o errati di devozione, che allontanano dalla genuina rivelazione biblica e sono in concorrenza con l’economia sacramentale; critiche ingiustificate alla pietà del popolo semplice in nome di una presunta «purità» della fede; esigenza di salvaguardare le ricchezze della pietà popolare, espressione del sentire profondo maturato dai credenti in un dato spazio e tempo; bisogno di purificazione da equivoci e da pericoli di sincretismo; rinnovata vitalità della religiosità popolare quale resistenza e reazione a una cultura tecnologico-pragmatica e all’utilitarismo economico; caduta di interesse per la pietà popolare provocato da ideologie secolarizzate e dall’aggressione di «sette» ad essa ostili.


La questione richiama costantemente l’attenzione di Vescovi, presbiteri e diaconi, di operatori pastorali e di studiosi, ai quali stanno a cuore sia la promozione della vita liturgica presso i fedeli, sia la valorizzazione della pietà popolare.


2. Il rapporto tra Liturgia e pii esercizi è stato toccato espressamente dal Concilio Vaticano II nella Costituzione sulla sacra Liturgia.3 In varie circostanze la Sede Apostolica4 e le Conferenze dei Vescovi5 hanno affrontato più ampiamente l’argomento della pietà popolare, riproposta tra i compiti futuri del rinnovamento dallo stesso Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica Vicesimus Quintus Annus: la «pietà popolare non può essere ne ignorata, ne trattata con indifferenza o disprezzo, perché è ricca di valori, e già di per sé esprime l’atteggiamento religioso di fronte a Dio. Ma essa ha bisogno di essere di continuo evangelizzata, affinché la fede, che esprime, divenga un atto sempre più maturo ed autentico. Tanto i pii esercizi del popolo cristiano, quanto altre forme di devozione, sono accolti e raccomandati purché non sostituiscano e non si mescolino alle celebrazioni liturgiche. Un’autentica pastorale liturgica saprà appoggiarsi sulle ricchezze della pietà popolare, purificarle e orientarle verso la Liturgia come offerta dei popoli».6


3. Nell’intento, dunque, di aiutare «i Vescovi perché, oltre al culto liturgico, siano incrementate e tenute in onore le preghiere e le pratiche di pietà del popolo cristiano, che pienamente rispondano alle norme della Chiesa»,7 è sembrato opportuno a questo Dicastero redigere il presente Direttorio, nel quale si cercano di considerare in forma organica i nessi che intercorrono tra Liturgia e pietà popolare, ricordando alcuni principi e dando indicazioni per la loro attuazione pratica.


 


NATURA E STRUTTURA


 4. Il Direttorio è costituito da due parti. La prima, denominata Linee emergenti, fornisce gli elementi per attuare una armonica composizione tra culto liturgico e pietà popolare. Anzitutto viene tratteggiata l’esperienza maturata lungo la storia e la rilevazione della problematica del nostro tempo (cap. I); si ripropongono quindi organicamente gli insegnamenti del Magistero, quale indispensabile premessa di comunione ecclesiale e di azione proficua (cap. II ); infine, sono presentati i principi teologici alla cui luce affrontare e risolvere i problemi relativi al rapporto tra Liturgia e pietà popolare (cap. III). Solo nel sapiente e operoso rispetto di questi presupposti c’è la possibilità di sviluppare una vera e feconda armonizzazione. Per converso, la loro disattenzione si risolve in una reciproca sterile ignoranza, in una dannosa confusione o in una contrapposizione polemica.


La seconda parte, chiamata Orientamenti, presenta un insieme di proposte operative, senza tuttavia presumere di abbracciare tutti gli usi e le pratiche di pietà esistenti in luoghi particolari. Nel menzionare le differenti espressioni di pietà popolare non si vuole sollecitarne l’adozione laddove non esistano. L’esposizione è sviluppata con riferimento alla celebrazione dell’Anno liturgico (cap. IV); alla peculiare venerazione che la Chiesa rende alla Madre del Signore (cap. V); alla devozione verso gli Angeli, i Santi e i Beati (cap. VI); ai suffragi per i fratelli e le sorelle defunti (cap. VII); allo svolgimento dei pellegrinaggi e alle manifestazioni di pietà nei santuari (cap. Vili).


Nel suo insieme, il Direttorio ha lo scopo di orientare e anche se, in alcuni casi, previene possibili abusi e deviazioni, ha un indirizzo costruttivo e un tono positivo. In questo contesto gli Orientamenti forniscono sulle singole devozioni brevi notizie storiche, ricordano i vari pii esercizi in cui esse si esprimono, richiamano le ragioni teologiche che ne sono a fondamento, danno suggerimenti pratici sul tempo, sul luogo, sul linguaggio e su altri elementi per una valida armonizzazione tra le azioni liturgi-che e i pii esercizi.


 


I DESTINATARI


5. Le proposte operative, che riguardano soltanto la Chiesa latina e prevalentemente il Rito Romano, sono indirizzate anzitutto ai Vescovi, a cui spetta il compito di presiedere la comunità di culto diocesana, di incrementare la vita liturgica e di coordinare con essa le altre forme cultuali;8 ne sono desti-natari pure i loro collaboratori diretti, ossia i loro Vicari, i presbiteri e i diaconi, in modo speciale i Rettori di santuari. Sono inoltre rivolte anche ai Superiori maggiori degli istituti di vita consacrata, maschili e femminili, perché non poche manifestazioni della pietà popolare sono sorte e si sono sviluppate in quell’ambito, e perché dalla collaborazione dei religiosi e delle religiose e dei mèmbri degli istituti secolari molto si può attendere per la giusta armonizzazione doverosamente


auspicata.


 


LA TERMINOLOGIA


6. Nel corso dei secoli le Chiese d’Occidente sono state variamente segnate dal fiorire e dal radicarsi nel popolo cristiano, insieme e accanto alle celebrazioni liturgiche, di molteplici e variate modalità di esprimere, con semplicità e trasporto, la fede in Dio, l’amore per Cristo Redentore, l’invocazione dello Spirito Santo, la devozione per la Vergine Maria, la venerazione dei Santi, l’impegno di conversione e la carità fraterna. Poiché la trattazione di questa complessa materia, denominata comunemente «religiosità popolare» o «pietà popolare»,9 non conosce una terminologia univoca, si impone qualche precisazione. Senza pretendere di voler dirimere ogni questione, si descrive il significato usuale delle locuzioni impiegate in questo documento.


 


Pio esercizio


7. Nel Direttorio la locuzione «pio esercizio» designa quelle espressioni pubbliche o private della pietà cristiana che, pur non facendo parte della Liturgia, sono in armonia con essa, rispettandone lo spirito, le norme, i ritmi; inoltre dalla Liturgia traggono in qualche modo ispirazione e ad essa devono condurre il popolo cristiano.10 Alcuni pii esercizi si compiono per mandato della stessa Sede Apostolica, altri per mandato dei Vescovi;11 molti fanno parte delle tradizioni cultuali delle Chiese particolari e delle famiglie religiose. I pii esercizi hanno sempre un riferimento alla rivelazione divina pubblica e uno sfondo ecclesiale: riguardano infatti le realtà di grazia che Dio ha rivelato in Cristo Gesù e, conformi alle «norme e leggi della Chiesa», si svolgono «secondo le consuetudini o i libri legittimamente approvati».12


 


Devozioni


8. Nel nostro ambito, il termine viene usato per designare le diverse pratiche esteriori (ad esempio: testi di preghiera e di canto; osservanza di tempi e visita a luoghi particolari, insegne, medaglie, abiti e consuetudini), che, animate da interiore atteggiamento di fede, manifestano un accento particolare della relazione del fedele con le Divine Persone, o con la beata Vergine nei suoi privilegi di grazia e nei titoli che li esprimono, o con i Santi, considerati nella loro configurazione a Cristo o nel ruolo da loro svolto nella vita della Chiesa.13


 


Pietà popolare


9. La locuzione «pietà popolare» designa qui le diverse manifestazioni cultuali di carattere privato o comunitario che, nell’ambito della fede cristiana, si esprimono prevalentemente non con i moduli della sacra Liturgia, ma nelle forme peculiari derivanti dal genio di un popolo o di una etnia e della sua cultura.


La pietà popolare, ritenuta giustamente un « vero tesoro del popolo di Dio»,14 «manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere; rende capaci di generosità e di sacrificio fino all’eroismo, quando si tratta di manifestare la fede; comporta un senso acuto degli attributi profondi di Dio: la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante; genera atteggiamenti interiori raramente osservati altrove al medesimo grado: pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione».15


 


Religiosità popolare


10. La realtà indicata con la locuzione « religiosità popolare » riguarda un’esperienza universale: nel cuore di ogni persona, come nella cultura di ogni popolo e nelle sue manifestazioni collettive, è sempre presente una dimensione religiosa. Ogni popolo infatti tende ad esprimere la sua visione totalizzante della trascendenza e la sua concezione della natura, della società e della storia attraverso mediazioni cultuali, in una sintesi caratteristica di grande significato umano e spirituale.


La religiosità popolare non si rapporta necessariamente alla rivelazione cristiana. Ma in molte regioni, esprimendosi in una società impregnata in vario modo di elementi cristiani, da luogo ad una sorta di « cattolicesimo popolare», in cui coesistono, più o meno armonicamente, elementi provenienti dal senso religioso della vita, dalla cultura propria di un popolo, dalla rivelazione cristiana.


 


ALCUNI PRINCIPI


Per introdurre ad una visione d’insieme, si richiama qui succintamente quanto viene largamente esposto e spiegato nel presente Direttorio.


 


Il primato della Liturgia


11. La storia insegna che, in certe epoche, la vita di fede è stata sostenuta da forme e pratiche di pietà, spesso sentite dai fedeli come maggiormente incisive e coinvolgenti delle celebrazioni li-turgiche. In verità, « ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo Corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun’altra azione della Chiesa ne uguaglia l’efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado».16 Deve essere, pertanto, superato l’equivoco che la Liturgia non sia « popolare»: il rinnovamento conciliare ha inteso promuovere la partecipazione del popolo nella celebrazione liturgica, favorendo modi e spazi (canti, coinvolgimento attivo, ministeri laicali…) che, in altri tempi, hanno suscitato preghiere alternative o sostitutive all’azione liturgica.


L’eminenza della Liturgia rispetto ad ogni altra possibile e legittima forma di preghiera cristiana deve trovare riscontro nella coscienza dei fedeli: se le azioni sacramentali sono necessario per vivere in Cristo, le forme della pietà popolare appartengono invece all’ambito facoltativo. Prova veneranda è il precetto di partecipare alla Messa domenicale, mentre nessun obbligo ha mai riguardato i pii esercizi, per quanto raccomandati e diffusi, i quali possono tuttavia essere assunti con carattere obbligatorio da comunità o singoli fedeli.


Ciò chiama in causa la formazione dei sacerdoti e dei fedeli, affinchè venga data la preminenza alla preghiera liturgica e all’anno liturgico su ogni altra pratica di devozione. In ogni caso, questa doverosa preminenza non può comprendersi in termini di esclusione, contrapposizione, emarginazione.


 


Valorizzazione e rinnovamento


12. La facoltatività dei pii esercizi non deve quindi significare scarsa considerazione ne disprezzo di essi. La via da seguire è quella di valorizzare correttamente e sapientemente le non poche ricchezze delle pietà popolare, le potenzialità che possiede, l’impegno di vita cristiana che sa suscitare.


Essendo il Vangelo la misura ed il criterio valutativo di ogni forma espressiva — antica e nuova — di pietà cristiana, alla valorizzazione dei pii esercizi e di pratiche di devozione deve coniugarsi l’opera di purificazione, talvolta necessaria per conservare il giusto riferimento al mistero cristiano. Vale per la pietà popolare quanto asserito per la Liturgia cristiana, ossia che «non può assolutamente accogliere riti di magia, di superstizione, di spiritismo, di vendetta o a connotazione sessuale».17


In tale senso, si comprende che il rinnovamento voluto per la Liturgia dal Concilio Vaticano II deve, in qualche modo, ispirare anche la corretta valutazione e il rinnovamento dei pii esercizi e pratiche di devozione. Nella pietà popolare devono percepirsi: l’afflato biblico, essendo improponibile una preghiera cristiana senza riferimento diretto o indiretto alla pagina biblica;


l’afflato liturgico, dal momento che dispone e fa eco ai misteri celebrati nelle azioni liturgiche; l’afflato ecumenico, ossia la considerazione di sensibilità e tradizioni cristiane diverse, senza per questo giungere a inibizioni inopportune; l’afflato antropologico, che si esprime sia nel conservare simboli ed espressioni significative per un dato popolo evitando tuttavia l’arcaismo privo di senso, sia nello sforzo di interloquire con sensibilità odierne. Per risultare fruttuoso, tale rinnovamento deve essere permeato di senso pedagogico e realizzato con gradualità, tenendo conto dei luoghi e delle circostanze.


 


Distinzione e armonia con la Liturgia


13. La differenza oggettiva tra i pii esercizi e le pratiche di devozione rispetto alla Liturgia deve trovare visibilità nell’espressione cultuale. Ciò significa la non commistione delle formule proprie di pii esercizi con le azioni liturgiche; gli atti di pietà e di devozione trovano il loro spazio al di fuori della celebrazione dell’Eucaristia e degli altri sacramenti.


Da una parte, si deve pertanto evitare la sovrapposizione, poiché il linguaggio, il ritmo, l’andamento, gli accenti teologici della pietà popolare si differenziano dai corrispondenti delle azioni liturgiche. Similmente, è da superare, dove è il caso, la concorrenza o la contrapposizione con le azioni liturgiche: va salvaguardata la precedenza da dare alla domenica, alla solennità, ai tempi e giorni liturgici.


Dall’altra parte, si eviti di apportare modalità di «celebrazione liturgica» ai pii esercizi, che debbono conservare il loro stile, la loro semplicità, il proprio linguaggio.


 


IL LINGUAGGIO DELLA PIETÀ POPOLARE


14. Il linguaggio verbale e gestuale della pietà popolare, pur conservando la semplicità e la spontaneità d’espressione, deve sempre risultare curato, in modo da far trasparire in ogni caso, insieme alla verità di fede, la grandezza dei misteri cristiani.



I gesti


15. Una grande varietà e ricchezza di espressioni corporee, gestuali e simboliche caratterizza la pietà popolare. Si pensi esemplarmente all’uso di baciare o toccare con la mano le immagini, i luoghi, le reliquie e gli oggetti sacri; intraprendere pellegrinaggi e fare processioni; compiere tratti di strada o percorsi « speciali» a piedi scalzi o in ginocchio; presentare offerte, ceri e doni votivi; indossare abiti particolari; inginocchiarsi e prostrarsi;


portare medaglie e insegne… Simili espressioni, che si tramandano da secoli di padre in figlio, sono modi diretti e semplici di manifestare esternamente il sentire del cuore e l’impegno di vivere cristianamente. Senza questa componente inferiore c’è il rischio che la gestualità simbolica scada in consuetudini vuote e, nel peggiore dei casi, nella superstizione.



I testi e le formule


16. Pur redatti con linguaggio, per così dire, meno rigoroso rispetto alle preghiere della Liturgia, i testi di preghiere e formule di devozione devono trarre ispirazione dalle pagine della Sacra Scrittura, della Liturgia, dei Padri e del Magistero, concordare con la fede della Chiesa. I testi stabili e pubblici di preghiere e atti di pietà devono recare l’approvazione dell’Ordinario del luogo .18



II canto e la musica


17. Anche il canto, espressione naturale dell’anima di un popolo, occupa una funzione di rilievo nella pietà popolare.19 La cura nel conservare l’eredità di canti ricevuti dalla tradizione deve coniugarsi con il sentire biblico ed ecclesiale, aperta alla necessità di revisioni o di nuove composizioni.


Il canto si associa istintivamente presso alcuni popoli col battito delle mani, il movimento ritmico del corpo e passi di danza. Tali forme di esprimere il sentire inferiore fanno parte delle tradizioni popolari, specie in occasione delle feste dei santi Patroni; è chiaro che devono essere manifestazioni di vera preghiera comune e non semplicemente spettacolo. Il fatto che siano abituali in determinati luoghi non significa che si debba incoraggiare la loro estensione ad altri luoghi, nei quali non sarebbero connaturali.



Le immagini


18. Un’espressione di grande importanza nell’ambito della pietà popolare è l’uso di immagini sacre che, secondo i canoni della cultura e la molteplicità delle arti, aiutano i fedeli a porsi davanti ai misteri della fede cristiana. La venerazione per le immagini sacre appartiene, infatti, alla natura della pietà cattolica: ne è segno il grande patrimonio artistico, rinvenibile in chiese e santuari, alla cui costituzione ha spesso contribuito la devozione popolare.


Vale il principio relativo all’impiego liturgico delle immagini di Cristo, della Vergine e dei Santi, tradizionalmente asserito e difeso dalla Chiesa, consapevole che «l’onore reso all’immagine è diretto alla persona rappresentata».20 Il necessario rigore richiesto per il programma iconografico delle chiese21 — rispetto delle verità della fede e della loro gerarchla, bellezza e qualità — deve potersi incontrare anche in immagini e oggetti destinati alla devozione privata e personale.


Poiché l’iconografia per gli edifici sacri non è lasciata all’iniziativa privata, i responsabili di chiese e oratori tutelino la dignità, la bellezza e la qualità delle immagini esposte alla pubblica venerazione, impedendo che quadri o statue ispirati da devozioni private di singoli siano imposte di fatto alla venerazione comune. 22


I Vescovi, come anche i rettori dei santuari, vigilino affinchè le immagini sacre variamente riprodotte ad uso dei fedeli, per essere esposte nelle case o portate al collo o custodite presso di sé, non scadano mai nella banalità ne inducano in errore.



I luoghi


19. Insieme alla chiesa, la pietà popolare ha uno spazio espressivo di rilievo nel santuario — talvolta non è una chiesa —, spesso contraddistinto da peculiari forme e pratiche di devozione, tra cui la più nota è il pellegrinaggio. Accanto a tali luoghi, manifestamente riservati alla preghiera comunitaria e privata, ne esistono altri, non meno importanti, quali la casa, gli ambienti di vita e di lavoro; in date occasioni, anche le strade e le piazze diventano spazi di manifestazione di fede.



I tempi


20. Il ritmo scandito dall’alternarsi del dì e della notte, dai mesi, dal cambio delle stagioni, è accompagnato da variate espressioni di pietà popolare. Essa è legata ugualmente a giorni particolari, marcati da avvenimenti lieti e tristi della vita personale, familiare, comunitaria. E poi soprattutto la «festa», con i giorni della preparazione, a far risaltare le manifestazioni religiose che hanno contribuito a forgiare la tradizione peculiare di un data comunità.



mso-bidi-font-size:8.0pt’>RESPONSABILITA’ E COMPETENZE


21. Le manifestazioni della pietà popolare sono sotto la responsabilità dell’Ordinario del luogo: a lui compete la loro regolamentazione, di incoraggiarle nella funzione di aiuto ai fedeli per la vita cristiana, di purificarle dove è necessario e di evangelizzarle; di vegliare che non si sostituiscano ne si mescolino con le celebrazioni liturgiche;23 di approvare i testi di preghiere e di formule connesse con atti pubblici di pietà e pratiche di devozione.24 Le disposizioni date da un Ordinario per il proprio territorio di giurisdizione riguardano per sé la Chiesa particolare a lui affidata.


Pertanto, singoli fedeli — chierici e laici — come gruppi particolari eviteranno di proporre pubblicamente testi di preghiere, formule ed iniziative soggettivamente varate, senza il consenso dell’Ordinario.


A norma della citata Costituzione apostolica Pastor Bonus, n. 70, è compito di questa Congregazione aiutare i Vescovi in materia di preghiere e pratiche di pietà del popolo cristiano, come di dare disposizioni al riguardo in casi che oltrepassano i confini di una Chiesa particolare e quando si impone un provvedimento sussidiario.


 


 


NOTE ALL’INTRODUZIONE


1)       Concilio Vaticano II, Sacrosanctum Concilium (da ora in poi SC), 10.


2)       Cfr . SC, 12 e 13.


3)       Cfr . SC 13.


4)       Cfr . S. Congregazione dei riti, Istruzione Eucharisticum mysterium (25-4-1967), 58-67; Paolo VI, Esortazione apostolica Marialis cultus (2-2-1974), 24-58; Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (8-12-1975), 48; Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Catechesi traedendae (16-10-1979), 54; Esortazione apostolca Familiaris Consortio (22-11-1981), 59-62; Congregazione per il clero, Direttorio generale per la catechesi (15-8-1997), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1997, nn. 195-196.


5)       Si veda, ad es., III Conferencia General del Episcopado Latino-Americano, Documento di Puebla, 444-469, 910-915, 935-937, 959-963; Conferenza Episcopal de Espana, Documento pastoral de la Comisiòn episcopal de Liturgia, Evangelizaciòn y renovaciòn de la piedad popular, Madrid 1987; Liturgia y piedad popular, Directorio Litùrgico-Pastoral, Secretariado Nacional de Liturgia, Madrid 1989; Conferencia General del Episcopado Latino-Americano, Documento de Santo Domingo, 36, 39, 53.


6)       Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Vicesimus quintus annus (4-12-1988), 18.


7)       Giovanni Paolo II, Costituzione apostolica Pastor bonus ( 28-6-1988), 70.


8)       Cfr . Concilio Vaticano II, Costituzione Lumen Gentium (da ora in poi LG), 21; Decreto Christus Dominus, 15; S. Congregazione per i vescovi, Directorium de pastorali ministerio Episcoporum, Typis Polyglottis Vaticanis 1973, 75-76, 82, 90-91; Codex Iuris Canonici (da cora in poi CIC), can. 835, par .1 e can. 839, par.2; Giovanni Paolo II, Vicesimus quintus annus, 21.


9)       Si consideri, ad es., che nell’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, al n° 48, trattando di tale materia, dopo averne richiamata la ricchezza di valori, Paolo VI così si esprime: “A motivo di questi aspetti, la chiamiamo volentieri pietà popolare, cioè religione del popolo, piuttosto che religiosità”; l’Esortazione apostolica Catechesi traedendae, al n°54, adotta l’espressione “pietà popolare”; il Codice, can 1234, par .1, usa l’espressione “pietà popolare”; nella lettera apostolica Vicesimus quintus annus, Giovanni Paolo II usa l’espressione “pietà popolare”; il Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1674-1676, usa l’espressione “religiosità popolare”, ma conosce anche “pietà popolare” (n° 1679); la IV istruzione per una corretta applicazione della Costituzione conciliare della sacra liturgia (nn. 37-40) Varietates legitimae, pubblicata dalla Congregazione per il Culto divino e per la disciplina dei Sacramenti (25-1-1994), al n° 45 usa “pietà popolare”.


10)  Cfr. SC, 13.


11)  Ibidem


12)  Ibidem.


13)  Cfr. Concilio di Trento, Decretum de invocatione, veneratione, et reliquiis Sanctorum et sacris imaginibus (3-12-1563), in H. Denzinger – A. Schonmetzer, Enchiridion Symbolorum definitionum et declarationum de rebus fidei et morum (da ora in poi DS), 1821-1825; Pio XII, Lettera enciclica Mediator Dei, in Acta Apostolicae Sedis (da ora in poi AAA), 39 (1947) 581-582; SC 104; LG 50.


14)  Giovanni Paolo II, Omelia pronunziata durante la Celebrazione della Parola a La Serena (Chile), 2, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, X/1, (1987), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1988, p. 1078.


15)  Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 48.


16)  SC 7.


17)  Congregazione per il Culto divino e per la disciplina dei Sacramenti, IV Istruzione per una corretta applicazione della Costituzione conciliare sulla Sacra Liturgia (nn. 37-40), Varietates legitimae, 48.


18)  Cfr. CIC can 826, par. 3.


19)  Cfr. SC 118.


20)  Cfr. Concilio di Nicea II, Definitio de sacris imaginibus (23 oct. 787), in DS 601; Concilio di Trento, Decretum de invocatione, veneratione et reliquis Sanctorum et sacris imaginibus, cit., in DS 1823-1825.


21)  Cfr. SC 124-125.


22)  Cfr. CIC can. 1188.


23)  Cfr. Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Vicesimus quintus annus, 18; Congregazione per il Culto divino, IV Istruzione Varietates legitimae, cit., 45.


24)  Cfr. CIC can 826, par. 3.