Costantinopoli baluardo dell’Europa

Dopo la morte di Teodora, Giustiniano mostrò i segni dell’affaticamento senile, sempre meno attento agli affari di Stato e sempre più incline a far trionfare dispoticamente le sue vedute teologiche. Non si rendeva conto che il prelievo fiscale sui cittadini ne paralizzava la capacità produttiva, affrettando il declino dell’impero. Pochi anni dopo la morte di Giustiniano gran parte delle conquiste compiute in Occidente furono perdute, mentre a nord si affacciavano minacciose le tribù slave e a Oriente ricominciava l’interminabile guerra con la Persia che solo l’imperatore Eraclio, nel corso di un’epica lotta, riuscì a concludere vittoriosamente.

Quando ancora l’impero non si era ripreso, dal sud eruppe impetuosa l’espansione degli Arabi che strappò all’impero d’Oriente le preziose regioni di Siria ed Egitto. Con tutto ciò all’inizio del secolo VIII dalle fiere popolazioni dell’Isauria arrivò alla porpora imperiale un tenace guerriero, Leone III che allontanò definitivamente il pericolo arabo da Costantinopoli, sia pure a prezzo di una nuova crisi religiosa che mise in pericolo l’ortodossia.

Alla fine del secolo VIII in Occidente avvenne il fatto nuovo della ricostituzione dell’impero romano, in una situazione di totale autonomia dall’impero d’Oriente che, perciò, finì per estraniarsi dall’Occidente accentuando anche l’autonomia del patriarcato di Costantinopoli dal papato.

Costantinopoli rimaneva una splendida città, ma la sua cultura perdette i caratteri della tradizione romana, assumendo quelli propriamente bizantini sempre meno compresi in Occidente. Dopo la caduta dell’esarcato di Ravenna, avvenuta al tempo di Carlo Magno, solo Venezia mantenne rapporti stabili con l’impero d’Oriente, assumendone in qualche modo la rappresentanza politica e culturale in Occidente. Il mondo bizantino risulta di difficile comprensione, ma la funzione svolta nei confronti di slavi e arabi risultò impagabile da parte dell’Europa che, al riparo del baluardo bizantino, operò al tempo di Carlo Magno la prima composizione delle sue forze.

 

7. 1 L’impero bizantino e le guerre persiane


Quando nel novembre 565 Giustiniano morì, il nipote Giustino non ebbe difficoltà ad assicurarsi la successione.

Giustino II Giustino II disdegnò l’appoggio delle forze popolari, volgendosi verso l’aristocrazia, ma senza accorgersi che essa era profondamente corrotta, intenta alla difesa dei propri privilegi. Nei confronti dei barbari che premevano alle frontiere Giustino II ritenne di dover operare più con la spada che con l’oro, ma non comprese che le spade erano insufficienti e che consumavano tutto l’oro dello Stato senza portare la pace.

Guerra su tutti i fronti  La conclusione del regno di Giustino II fu tragica: sul Danubio le truppe bizantine furono sconfitte dagli Avari; in Oriente il rifiuto di pagare alla Persia il tributo annuo concordato con la pace del 561 provocò il riaccendersi dei combattimenti: la Siria fu invasa, Antiochia fu occupata e quasi 300.000 prigionieri furono condotti in territorio persiano. La notizia di questi tremendi disastri sconvolse del tutto la mente di Giustino II che precipitò nella follia. Nel 574 il generale Tiberio fu adottato come figlio, e subito cominciò a prendere provvedimenti per arginare la difficile situazione.

Tiberio II Tiberio II aveva compreso i limiti della politica intransigente di Giustino II e perciò ammise all’interno dell’impero gli Avari che non si riusciva a respingere con la forza. Inoltre comprese che la Persia rappresentava il nemico più potente dell’impero bizantino e che perciò bisognava proteggere le province greche dell’Oriente senza consumare le forze in Occidente. I frutti di questa politica furono colti nel 576, quando furono sconfitti i Persiani che avevano invaso Armenia e Iberia giungendo fino in Cappadocia.

Avari e Slavi nei Balcani  Sul fronte del Danubio gli Avari ruppero la tregua e assediarono Sirmio non più presidiata in misura sufficiente: la resa di Sirmio avvenne nel 582 e comportò il pagamento di una grande somma. Gli Slavi, divenuti incontenibili, devastarono la Tracia e la Tessaglia. Poco dopo la caduta di Sirmio, Tiberio II morì, nominando imperatore il generale Maurizio al quale dette in moglie la figlia.

Maurizio  La guerra in Armenia e Persia durò a lungo con alterne vicende. Nel 589 scoppiarono dissidi interni tra il re persiano Ormazd e il figlio maggiore Cosroe. Ormazd fu deposto e ucciso, ma Cosroe non riuscì a mantenersi al potere, trovando rifugio presso i Bizantini ai quali promise la restituzione delle province armene, se gli veniva fornito aiuto per riprendere il potere. Maurizio acconsentì a fornire l’aiuto richiesto, un gesto coraggioso che permise a Cosroe di sconfiggere i suoi nemici e all’impero romano di porre fine alla guerra d’Oriente.

Morte di Maurizio e successione di Foca  Nel 592 Maurizio poté trasferire l’esercito d’Oriente sul settore del Danubio dove la situazione rimase difficile per una decina d’anni: solo nel 602 le prospettive sembrarono migliori. Maurizio, per sfruttare l’occasione propizia, dette ordine alle truppe di svernare in territorio nemico. I soldati si ammutinarono e sollevarono sugli scudi Foca, un rozzo centurione che aveva sostenuto le pretese dei soldati. L’imperatore Maurizio, mentre Foca era incoronato, fu catturato e decapitato.

Ripresa della guerra contro i persiani  L’uccisione dell’imperatore Maurizio dette a Cosroe il pretesto per interrompere la tregua con l’impero bizantino. Nella primavera del 604 Cosroe guidò l’attacco contro Edessa. Foca dovette ritirare le sue forze dalla Tracia aumentando il tributo agli Avari per tenerli tranquilli. Le truppe così raccolte furono inviate in Persia, ma esse furono sconfitte da Cosroe che fece numerosi prigionieri (605).

I Persiani dilagano nell’impero  L’Armenia fu devastata dalla guerra civile e dall’invasione persiana che raggiunse anche la Mesopotamia, la Siria, la Palestina e la Cappadocia. Tutto l’impero bizantino fu scosso da una furia anarchica. A Costantinopoli furono orditi due complotti ai danni di Foca, mentre la capitale era preda della peste e della carestia. Foca giocò anche la carta dell’ortodossia per avere alleati: decretò l’espulsione del patriarca monofisita di Alessandria e ordinò che nessun prelato in Siria e in Egitto fosse nominato senza il consenso imperiale, senza rendersi conto del vespaio che stava sollevando. Alla fine del 609 l’Egitto risultò perduto per Foca, mentre l’usurpatore Eraclio riuscì a raggiungere Tessalonica donde partì l’attacco contro la capitale dell’impero. Foca fu tradito anche dai “verdi”, la rumorosa fazione popolare che fin allora l’aveva sostenuto. Nel 610, Foca fu trascinato davanti al vincitore e ucciso.

Eraclio Eraclio si affrettò ad annunciare a Cosroe che l’uccisione di Maurizio era stata vendicata e che perciò la pace tra gli imperi bizantino e persiano poteva venir ripristinata secondo i patti precedenti, ma i Persiani avevano sperimentato la debolezza dell’impero bizantino progettando di assestare il colpo finale. Solo la straordinaria energia di Eraclio riuscì a far superare all’impero bizantino la sua ora più buia.

Inizi del regno di Eraclio Eraclio nel 613 iniziò la guerra contro la Persia condotta lungo due direttrici, in Armenia e in Siria. Cosroe evidentemente mirava a raggiungere il Mediterraneo attraverso la Siria: nei pressi di Antiochia avvenne una grande battaglia, vinta da Cosroe che occupò anche Damasco. In seguito l’impero bizantino perdette anche la Cilicia e la sua capitale Tarso. Anche in Armenia le operazioni militari andarono male.

I Persiani si impadroniscono di Gerusalemme Ma il peggio doveva ancora venire. Nel 614 Gerusalemme fu conquistata dopo un assedio di venti giorni, e per tre giorni Persiani ed Ebrei compirono un orribile massacro. Le chiese furono incendiate e la Croce di Cristo fu portata a Ctesifonte dai vincitori. Dopo la conquista di Gerusalemme, Cosroe si mostrò disposto a stipulare la pace: bandì gli Ebrei da Gerusalemme e permise la ricostruzione della chiese distrutte.

Difficoltà finanziarie  Nel 615 ricominciarono le incursioni in Asia Minore, ma i Persiani si resero conto che la resistenza diveniva più ferma di quanto era accaduto in Siria. Eraclio operò un supremo sforzo per fare economie, riducendo a metà l’oro presente nelle monete, ossia attuò la svalutazione che gli permise di diminuire i debiti dello Stato. Nel 617 gli Avari chiesero un incontro con l’imperatore: la diplomazia bizantina organizzò uno splendido ricevimento fuori delle mura. Gli Avari però non miravano tanto all’aumento del tributo quanto all’occupazione della città. Durante il ricevimento, al cenno del khagan un’orda di Avari si gettò sui bizantini. Eraclio riuscì a montare a cavallo per dare l’allarme in città le cui porte furono sbarrate sebbene i sobborghi fossero devastati: le cronache parlano di quasi 300.000 prigionieri trascinati oltre il Danubio senza che Eraclio potesse fare qualcosa per loro.

Cresce la pressione militare persiana Nel 619 i Persiani effettuarono il tentativo di occupare l’Egitto. Il loro esercito avanzò lungo la costa, occupò Pelusio dopo aver distrutto chiese e monasteri, prendendo d’assalto Babilonia d’Egitto, mentre una flotta si dirigeva alla volta di Alessandria bloccandola. Eraclio era a corto di soldati perché il suo territorio di reclutamento, l’Armenia, era totalmente controllato dai Persiani, e non aveva grano perché le esportazioni dall’Egitto erano bloccate.

Campagna di Eraclio  Mettendo da parte il suo orgoglio, Eraclio decise di chiudere la partita con gli Avari, comperando la loro neutralità per avere mano libera contro i Persiani in Asia. Eraclio studiò a fondo i piani militari per una grande spedizione contro i Persiani. Nel 622 l’imperatore comunicò le proprie decisioni al senato e al patriarca Sergio, al quale affidò la capitale e la vita dell’erede. L’esercito si inoltrò in Galazia e in Cappadocia per raccogliere altre truppe e per liberare la regione dalle bande di predatori persiani. I Persiani occuparono le montagne per minacciare a loro volta i Bizantini, ma Eraclio riuscì a compiere un’audace incursione in Armenia, inseguito dall’esercito persiano. Quando ritenne la situazione favorevole Eraclio accettò il combattimento, uscendone vittorioso.

Campagna in Armenia  L’anno dopo, il 623, Cosroe inviò una lettera minacciosa a Eraclio, subito letta in pubblico. Eraclio rispose con proposte di pace: in caso di rifiuto avrebbe condotto una nuova campagna militare. In seguito alla risposta sprezzante di Cosroe, Eraclio riprese il comando dell’esercito e raggiunse l’Armenia, costringendo i Persiani a sospendere l’incursione ai danni dell’impero bizantino. Cosroe fu sconfitto e dovette fuggire. Eraclio sconfisse ancora una volta i generali di Cosroe e poi si ritirò in Armenia dove catturò la città di Van (624).

Assedio di Costantinopoli  Il 626 rimase famoso negli annali per il grande assedio di Costantinopoli da parte degli Avari aiutati da Gepidi, Slavi e Persiani. Eraclio dovette dividere il suo esercito per difendere Costantinopoli e per tenere impegnati gli eserciti persiani lontano dalla capitale. La salvezza di Costantinopoli, ancora una volta si dovette alla flotta bizantina che riuscì a impedire il collegamento dei nemici per terra e per mare. Nel corso di quegli anni gli Slavi occuparono stabilmente tutta la regione dei Balcani dove ogni influenza romana fu sostituita dagli usi slavi.

L’ultima campagna contro i Persiani  Mentre Costantinopoli resisteva all’assedio, Eraclio metteva a punto i preparativi per la campagna dell’anno seguente, cercando ancora una volta alleati tra le popolazioni del Caucaso: nel 627 iniziò l’ultima campagna della lunga guerra. Eraclio raggiunse l’Arasse e poi attraversò la catena montuosa che separa l’Armenia dalla Media. A dicembre Eraclio raggiunse il Grande Zab prendendo posizione nei pressi di Ninive dove riportò una grande vittoria sui Persiani. Ormai non rimaneva altro che dirigersi alla volta di Ctesifonte. Ancora una volta Cosroe rifiutò trattative di pace, ma Eraclio non aveva forze sufficienti per attaccare la città del Tigri.

Morte di Cosroe  Con la primavera del 628 giunse una delegazione persiana recante la notizia che Cosroe era stato ucciso e che era salito al trono il figlio Kavad II il quale offriva la pace. Eraclio si affrettò ad accettare le proposte persiane, pacificando tutta la regione: tra le condizioni bizantine c’era anche la restituzione della Croce di Cristo. Dopo aver trascorso l’inverno ad Amido, Eraclio fece condurre a Gerusalemme l’insigne reliquia tra scene di commozione (630).

Conquista di Ctesifonte Nel 629, Ctesifonte fu conquistata. Finalmente Eraclio fece ritorno a Costantinopoli dopo una gloriosa campagna che restituì all’impero bizantino l’alone del suo splendore.

Declino di Eraclio  Gli ultimi anni di Eraclio non furono felici. Da Costantinopoli assistette alla distruzione della sua opera da parte delle incontenibili schiere di cavalieri del deserto che irrompevano in continuazione dall’Arabia, senza dare all’impero bizantino il tempo necessario per restaurare la sua situazione economica e politica. La personalità di Eraclio è affascinante, certamente uno dei più grandi imperatori, un uomo d’azione che sapeva comunicare alle folle l’entusiasmo per una grande causa.

 

7. 2 Il tramonto del latifondo e l’ascesa dei contadini-soldati


Le clamorose vittorie di Eraclio non si possono spiegare solo con la sua superiore visione strategica o con le sue doti di trascinatore di uomini, fatti che ebbero certamente grande peso.

La riforma agraria e la creazione dei temi È certo che l’esercito risentì i benefici influssi della riforma agraria divenuta molto importante anche sul piano militare, ossia la creazione dei temi dell’Asia Minore. L’impero bizantino confiscò numerosi latifondi non coltivati o mal coltivati suddividendoli in poderi di dimensione adatta a una famiglia. Concessionarie di quei poderi erano famiglie che si impegnavano a fornire all’esercito un cavaliere sempre pronto ad accorrere sotto i vessilli in caso di pericolo. Quegli eserciti tematici risultarono molto più affidabili dei mercenari barbari e finché lo Stato bizantino mantenne fede alla promessa di non gravare di tasse i contadini-soldati, ebbe valorosi combattenti motivati alla difesa della loro terra. La penisola anatolica sperimentò per prima il nuovo ordinamento e da quel momento i contadini anatolici divennero il nerbo dell’esercito bizantino. Le città della costa fornivano equipaggi per temi navali; più tardi furono creati altri temi nella penisola balcanica. Di fronte alle incursioni arabe, slave e persiane, la presenza di milizie stanziali sempre in stato di allerta permise una difesa più efficace dell’impero. Non essendo gravati di tasse, quei contadini-soldati potevano vendere al mercato le eccedenze agricole a prezzi inferiori a quelli praticati dai grandi latifondisti. A loro volta i prezzi agricoli bassi permisero lo sviluppo dell’artigianato nelle città, alimentando una notevole esportazione verso Europa Asia Africa, facendo rifluire molto oro nell’impero bizantino che perciò non si ruralizzò nella misura dell’Europa occidentale.

Ripresa dell’economia di mercato  Per alcuni secoli i latifondisti bizantini non furono la categoria sociale più importante, perché le proprietà dei monasteri e dei piccoli contadini erano protette dallo Stato e gli artigiani delle città potevano associarsi difendendo i loro interessi commerciali. Con l’abbondanza di denaro circolante il sistema fiscale bizantino apparve meno oppressivo e lo Stato poté riorganizzare una burocrazia e una diplomazia efficienti. Sotto i successori di Eraclio il monachesimo orientale conobbe la sua massima espansione, raccogliendo ricchezze enormi sotto forma di doni alle immagini religiose più venerate. Quelle ricchezze finirono per attirare l’attenzione di alcuni imperatori nei momenti di crisi finanziaria. Il problema religioso rappresentato dal conflitto tra monofisiti e ortodossi da una parte, tra papato e patriarcato di Costantinopoli dall’altra, continuò a sussistere alimentato da interferenze politiche.

 

7. 3 La crisi iconoclastica


Come si è visto, l’ostinata opposizione di Siria ed Egitto ai canoni del concilio di Calcedonia era pericolosa per l’impero bizantino. L’imperatore Zenone aveva tentato la conciliazione mediante l’Henotikon che provocò lo scisma di Acacio, durato fino al tempo dell’imperatore Giustino. Giustiniano, al culmine della sua potenza aveva cercato di imporre la condanna dei Tre Capitoli, provocando in Occidente uno scisma durato alcuni decenni nelle diocesi di Milano e Aquileia.

Rinascono i conflitti religiosi  Le troppo rapide conquiste persiane in Siria ed Egitto convinsero l’imperatore Eraclio a ritentare la pacificazione tra ortodossi e monofisiti per togliere ai nemici dell’impero la possibilità di far leva sulle divisioni religiose tra cristiani. Eraclio dette l’incarico al patriarca Sergio, anch’egli siriano, di trovare una formula in grado di ristabilire l’unità. Sergio ritenne che i monofisiti avrebbero accolto la dottrina di Calcedonia affermante la sussistenza in Cristo delle due nature, umana e divina, se gli ortodossi avessero ammesso che ciò non comportava l’affermazione di due volontà distinte, una umana e una divina, bensì un’unica volontà (monotelismo). Eraclio rimase convinto da questa formulazione e nel corso delle sue campagne militari in Armenia e in Siria ne parlò con i vescovi monofisiti. Dopo la riconquista dell’Oriente, terminata nel 628, Eraclio accentuò i suoi sforzi, anche per dare maggiore solidità alle recenti conquiste. Quando i contatti sembravano bene avviati, sorse improvvisa l’opposizione del monaco palestinese Sofronio che il patriarca Sergio ritenne di superare mediante un compromesso, ossia di non impiegare alcuna espressione che indicasse l’unicità o meno delle operazioni della volontà di Cristo.

Ekthesis Sergio fece redigere nel 636 l’Ekthesis, una professione di fede che doveva esser accettata sia da chi professava un’unica operazione sia da chi ne professava due, sempre per quanto riguardava la volontà di Cristo. Poco dopo Sergio morì. Gli Arabi, nel frattempo, avevano occupato la Siria e l’Egitto dove si trovava la maggior parte dei monofisiti, ma la disputa rimase pietra d’inciampo tra le due maggiori sedi patriarcali della cristianità, Roma e Costantinopoli. Massimo, vescovo di Crisopoli, divenne il più tenace oppositore dell’Ekthesis recandosi prima in Africa e poi a Roma, dove fu ricevuto con ogni onore, mettendo in guardia gli ortodossi circa i nuovi pericoli per la fede. Poiché l’Ekthesis non aveva ricevuto consensi, il nuovo patriarca di Costantinopoli Paolo propose all’imperatore di emanare un editto imperiale chiamato Typos (648), subito respinto dai rappresentanti del papa Teodoro.

Condanna papale di Ekthesis e Typos Al papa Teodoro nel 649 successe Martino: questi, senza attendere la conferma imperiale, convocò un sinodo in Laterano, denunciando senza ambiguità la dottrina dell’unica volontà, condannando Ekthesis, Typos e coloro che sostenevano il monotelismo. L’imperatore Costante giudicò l’iniziativa papale lesiva della dignità imperiale e perciò inviò in Italia Olimpio col compito di deporre il papa Martino se la situazione locale lo permetteva. Olimpio preferì accordarsi col pontefice e poco dopo morì in Sicilia dove si era recato per respingere un’incursione araba. Il nuovo esarca insediato in Italia entrò in Roma nel 653, arrestò il papa Martino sotto accusa di nestorianesimo e di aver aiutato gli Arabi. Martino fu imbarcato su una nave diretta a Costantinopoli dove fu processato davanti al senato. Papa Martino resistette a tutte le pressioni: da ultimo fu trasportato a Cherson in Crimea dove morì nel 655. Il nuovo papa Eugenio rifiutò di accettare il Typos. Anche Massimo di Crisopoli fu sottoposto a persecuzioni, culminate col taglio della mano destra e della lingua, ma seppe resistere e morì in esilio.

Il concilio Trullano  Il nuovo imperatore Costantino Pogonato comprese che il dissidio, dopo la perdita definitiva delle province orientali, non aveva più giustificazioni. Il papa Agatone convocò a Roma un sinodo nel 680 ribadendo la dottrina di Calcedonia, che indicava due volontà e quindi due operazioni in Cristo. L’imperatore convocò i vescovi dell’Oriente nel palazzo imperiale, in un’aula dal soffitto a cupola o trullo: il concilio definito “trullano” durò fino al 681 e condannò i monoteliti.

Problemi di successione Questa fase positiva dei rapporti tra Roma e Costantinopoli fu suggerita anche dalla guerra tra l’impero e gli Arabi, cui seguì una guerra contro i Bulgari, rovinosa per i Bizantini. La vita a corte verso la fine del VII secolo assunse caratteri di estrema crudeltà a causa del problema legato alla successione imperiale. L’imperatore Costante aveva concesso a tutti i figli il titolo imperiale, ma poiché solo Costantino aveva esercitato il potere, si profilava il pericolo che alla sua morte il trono andasse al maggiore dei fratelli in luogo che al figlio di Costantino, Giustiniano. Nel 681 Costantino privò i fratelli Eraclio e Tiberio dei loro titoli, ordinando il taglio del naso perché quella mutilazione era ritenuta inabilitante per fare l’imperatore. A partire da quel momento a Costantinopoli si affermò l’uso di escludere dal matrimonio e da ogni titolo i figli cadetti dell’imperatore regnante per salvaguardare i diritti del primogenito.

Giustiniano II Nel 685 Costantino IV Pogonato morì, lasciando l’impero al figlio Giustiniano II, vera incarnazione del dispotismo asiatico nei suoi peggiori aspetti, anche se lucido nel valutare la situazione politica. La morte del califfo Yazid, avvenuta nel 683, permise all’impero bizantino di inviare truppe in Armenia, in Siria e nelle regioni del Caucaso, riuscendo a conquistare Antiochia tenuta per alcuni anni. Il nuovo califfo Abd al-Malik, non essendo in grado di impegnarsi in guerra, si piegò a firmare una tregua di dieci anni che prevedeva la cessione dell’Armenia, dell’Iberia e di metà del tributo riscosso a Cipro.

Guerra contro i Bulgari Giustiniano II approfittò della tregua con gli Arabi per provvedere alla guerra contro i Bulgari che lo avevano sconfitto nel 689: in quell’anno insediò un tema di Slavi nel nord-ovest dell’Asia Minore che gli forniva 30.000 soldati. Forte di queste nuove truppe, nel 691 ruppe la tregua con gli Arabi, ma gli Slavi del nuovo tema tradirono Giustiniano che fu sconfitto: in seguito a tale sconfitta l’Armenia andò perduta.

Giustiniano II è spodestato Giustiniano II aveva la passione per le costruzioni. Per far posto a un nuovo edificio fece demolire anche una chiesa, inimicandosi sia il clero sia la popolazione della città. Sul finire del 695 tre dignitari di corte con l’assenso del patriarca tentarono un colpo di Stato. Gli “azzurri” proclamarono uno di loro, Leonzio, imperatore e il patriarca lo incoronò. All’ex imperatore furono tagliati il naso e la lingua e poi fu esiliato a Cherson in Crimea.

Leonzio Durante il regno di Leonzio l’esarcato di Cartagine cadde in mano agli Arabi (697). Leonzio spedì il patrizio Giovanni con una flotta che fu in grado di riprendere Cartagine, perduta peraltro l’anno dopo: Giovanni dovette riparare a Creta per rafforzarsi, ma qui giunto il tema dei cibirreoti proclamò imperatore il viceammiraglio Apsimaro che mutò il suo nome in quello di Tiberio III. Il nuovo imperatore riuscì col tradimento a entrare in Costantinopoli: a Leonzio fu tagliato il naso e poi fu relegato in convento.

Giustiniano II recupera il trono Nel frattempo Giustiniano II brigava a Cherson per riprendere il potere. Entrò in contatto con il khan dei Chazari stipulando un’alleanza matrimoniale. Tiberio III si allarmò di fronte a questi maneggi e fece chiedere segretamente al khan la testa del rivale. Giustiniano II fu avvertito e poté fuggire presso il re dei Bulgari, al quale promise in moglie la figlia se avesse ripreso il potere a Costantinopoli, e ciò avvenne nel 705 quando i partigiani di Giustiniano II riuscirono a entrare in città. Tiberio III cercò scampo nella fuga ma fu catturato e poi decapitato insieme con Leonzio.

Tentativo di accordo con Roma Dopo esser tornato al potere in modo così fortunoso, Giustiniano II decise di ristabilire cordiali rapporti col papa di Roma: nel 711 invitò a Costantinopoli il papa Costantino per discutere di comune accordo i canoni ecclesiastici. Durante una spedizione punitiva ai danni di Cherson, voluta dal terribile imperatore per vendicarsi dei maltrattamenti subiti, il comandante Vartan fu proclamato imperatore dalle truppe. Subito fu allestita una nuova flotta per catturare Vartan che nel frattempo aveva grecizzato il suo nome armeno mutandolo in quello di Filippico. Per maggiore sicurezza Giustiniano II aveva abbandonato Costantinopoli accompagnato da un forte contingente di truppe, permettendo al neoimperatore Filippico di entrare in città dove fu ucciso l’erede al trono. Giustiniano II, abbandonato dai soldati, fu decapitato (710).

Filippico  Filippico si rivelò un incapace proprio quando gli Arabi divenivano sempre più attivi. Per di più l’imperatore era monotelita: fece bruciare gli atti del concilio trullano e depose alcuni vescovi ortodossi. I “verdi” organizzarono un complotto ai danni di Filippico che fu accecato, ma non avendo un candidato proprio all’impero subirono la nomina di un segretario imperiale che assunse il nome di Anastasio II.

Anastasio II Anastasio II rimise in onore le decisioni del concilio trullano e poiché era un vero statista, cominciò col provvedere alle difese dell’impero. Avendo conosciuto che gli Arabi progettavano una grande spedizione ai danni di Costantinopoli, ordinò alla popolazione di ammassare viveri per almeno tre anni. Fece costruire navi, riempì i granai statali e riparò le mura in attesa degli eventi. Il tema di Opsikion, inviato in Licia per ostacolare gli Arabi che tagliavano legname, si ribellò nominando imperatore Teodosio: Anastasio II dovette abdicare ritirandosi in convento (716).

Gli Arabi assediano Costantinopoli Gli Arabi proseguirono indisturbati i loro preparativi mentre a Costantinopoli si andava alla ricerca della personalità in grado di arrestare gli Arabi. Al comando del più grande tema d’Asia, quello degli Anatolici, si trovava Leone, un rude soldato originario dell’Isauria, segnalatosi nei combattimenti contro gli Arabi. Teodosio ritenne prudente abdicare a favore di Leone.

Leone III Isaurico  Leone III Isaurico fu salvatore dell’impero bizantino nella stessa misura di Eraclio. Quando iniziò il suo regno gli Arabi erano sicuri della propria vittoria. Il loro generale Maslam, nella primavera del 717 aveva occupato Sardi e Pergamo in Asia Minore, poi era passato in Tracia distruggendone le fortificazioni e infine si era accampato davanti alle mura di Costantinopoli. Nel settembre 717 Maslam fu raggiunto da una grande flotta araba che i Bizantini riuscirono a decimare con il loro famoso fuoco greco. L’esercito di Maslam soffrì gravi perdite per freddo e fame durante l’inverno, ma a primavera giunsero i rinforzi. I Bulgari chiamati da Leone III sconfissero un esercito arabo in Tracia; un altro esercito fu sconfitto in Bitinia e per finire anche la flotta egiziana fu distrutta dal fuoco greco. Nel 718 il blocco navale arabo appariva fallito obbligando gli attaccanti a ritirarsi. L’offensiva araba del 717-718 fu l’ultima condotta ai danni della capitale bizantina, ma non cessarono le scorrerie negli altri territori costringendo Leone III per tutta la vita a condurre operazioni di rappresaglia nelle regioni del Caucaso e in Armenia, sostenute dal costante appoggio dei Chazari: così si spiega il matrimonio del figlio Costantino con una principessa chazara.

Sconfitte arabe sul mare Leone III morì nel 741. Verso quell’epoca la pericolosità degli Arabi appariva diminuita perché gli Omayyadi di Damasco erano in piena decadenza. Leone III fece condurre anche grandi spedizioni navali contro l’Egitto la cui flotta fu distrutta un poco più tardi (747) al largo di Cipro: dopo quella data e per quasi un secolo l’attività araba sul mare risultò ridotta.

Il problema delle immagini sacre  Sul piano religioso, i continui rapporti con gli Arabi avevano convinto Leone III che nella Chiesa cristiana si fossero introdotti usi e costumi opposti ai precetti della Bibbia. Mentre le Chiese scismatiche dei monofisiti e dei nestoriani avevano conservato una notevole semplicità di culto, la Chiesa bizantina dispiegava una ricchezza di ornamentazione che appariva fastosa. Chiese come Santa Sofia erano letteralmente incrostate di mosaici scintillanti d’oro. Nei monasteri i pittori di icone avevano elaborato una tecnica raffinatissima. Giovanni di Damasco definiva le immagini “Bibbia dei poveri” perché anche gli analfabeti riconoscevano dalle figure gli episodi tante volte ascoltati nelle prediche. Arabi ed Ebrei, tuttavia, accusavano i cristiani di idolatria, perché intorno ai santuari più venerati c’erano folle di pellegrini le cui manifestazioni di devozione potevano apparire pagane. Ebrei e Arabi opponevano ai cristiani il divieto di raffigurare la divinità, ritenendolo superiore all’uso cristiano, un’affermazione pericolosa perché presentava il saccheggio delle chiese cristiane come meritevole in quanto inflitto a pratiche pagane.

Il decreto iconoclastico  Nel 726 Leone III emanò un editto che proibiva il culto delle immagini. Alcuni storici pensano che Leone III volesse impadronirsi delle ricchezze immobilizzate accanto alle immagini e che perciò il movimento iconoclastico avesse solo una motivazione economica. È un’affermazione semplicistica: gli imperatori bizantini si sentivano davvero difensori della fede, responsabili davanti a Dio della retta dottrina. Essi ritenevano d’aver ricevuto direttamente da Dio il loro potere col compito di portare a Dio tutti i cristiani sui quali avevano potestà. Il patriarca doveva rimanere subordinato all’imperatore come custode della tradizione: non era facile svolgere la funzione di patriarca di Costantinopoli accanto a un imperatore che si riteneva supremo custode della fede (cesaropapismo).

Aspetto politico delle questioni religiose  Le questioni politiche, divenute sempre più gravi, finirono per apparire preponderanti rispetto a quelle religiose e perciò gli imperatori furono sempre più spesso inclini a fare concessioni ai monofisiti quando la loro politica aveva di mira la salvaguardia dell’Oriente; si accostavano all’ortodossia romana quando avevano bisogno dell’Occidente. I monaci ortodossi e quelli monofisiti assunsero atteggiamenti rigidi, obbligando i patriarchi a un difficile compito di mediazione tra l’una e l’altra tendenza, con la prospettiva di esser destituiti quando la loro azione appariva inefficace.

Il papa Gregorio II respinge l’iconoclastia L’editto iconoclasta del 726 fu seguito dalla rimozione dell’immagine di Cristo posta sopra la porta bronzea del palazzo imperiale. Il papa Gregorio II (715-731) respinse l’editto imperiale, asserendo che da tempo immemorabile le immagini sacre erano state oggetto di culto: la presenza di qualche abuso, dovuto all’ignoranza di alcuni fedeli, non toglieva legittimità all’uso di venerare le immagini soprattutto a beneficio degli illetterati. Un’ampia pubblicistica si incaricò di approfondire il problema. Il lavoro più originale fu compiuto da Giovanni di Damasco, operante in una città divenuta musulmana, dove il culto delle immagini era maggiormente osteggiato: egli affermò che le immagini hanno una funzione pedagogica, ossia di rendere sensibile ciò che è invisibile. Quanto più la raffigurazione artistica è adeguata, tanto più efficace è il rinnovamento interiore del fedele. Infine, il culto cristiano non è diretto alla cosa in cui si concreta la raffigurazione, bensì al significato, reso evidente mediante la cosa materiale (il significante).

Condanna papale dell’iconoclastia  Le conseguenze del conflitto iconoclastico non tardarono a manifestarsi: in Italia Liutprando re dei Longobardi approfittò della crisi per occupare Sutri appartenente ai Bizantini, peraltro ceduta dopo qualche mese al papa che temeva quella vicinanza. Nel 730 fallirono in Oriente i tentativi di accordo tra sostenitori e avversari delle immagini: il patriarca Germano fu deposto e per rappresaglia il patrimonio papale esistente in Sicilia e in Calabria fu confiscato dallo Stato bizantino; le diocesi esistenti in quelle due regioni furono subordinate al patriarcato di Costantinopoli. Nel 731 un sinodo romano convocato dal nuovo papa Gregorio III (731-741) scomunicò Leone III e gli iconoclasti.   

Costantino V Dopo la morte di Leone III avvenuta nel 741 la lotta iconoclastica proseguì sotto il figlio Costantino V (741-775) che fu  favorito dal trasferimento della capitale araba da Damasco a Baghdad, avvenuto nel 750, perché il fatto comportava un declino della presenza araba in Occidente.

Sconfitta dei Bulgari  Dopo aver rafforzato l’Asia Minore e l’Egeo Costantino V si volse contro i Bulgari prontamente sconfitti. L’imperatore sistemò in Bitinia circa 200.000 Slavi prelevati in Tracia e in Bulgaria per rafforzare il confine orientale dell’impero e impedire che potessero aiutare i Bulgari arruolandosi nel loro esercito. Il khan dei Bulgari invase la Tracia nel 763, ma fu sconfitto e l’anno dopo rimase ucciso: i confini settentrionali dell’impero risultarono più sicuri, anche se la pace non era definitiva.

Fine dell’esarcato di Ravenna In Italia, invece, Costantino V perdette definitivamente Ravenna nel 751, conservando solo Venezia, la Sicilia, la Calabria e parte della Campania. Venuta meno la protezione bizantina nei confronti del papato contro i tentativi longobardi, il papa Stefano II dovette rivolgersi a Pipino il Breve, recandosi di persona in Francia. Nel 754 a Reims Stefano II consacrò re Pipino con i figli Carlomanno e Carlo, prendendo una decisione capitale per il futuro.

 

7. 4 Venezia periferia di Bisanzio


Venetia era il nome di una regione molto estesa prima di diventare il nome di una città: infatti al tempo di Augusto la regio XI si chiamava Venetia et Histria e comprendeva tutto il territorio nordorientale  della penisola.

Insediamento sulla laguna  L’invasione dei Longobardi, iniziata nel 568, trasformò in Langobardia tutta la parte continentale della regione, mentre una parte degli antichi abitanti si trasferirono sui cordoni sabbiosi (i lidi) e sulle isole della laguna veneta, non disturbati dai Longobardi. A est rimaneva la penisola dell’Istria, mentre a ovest resistevano alcune città come Padova, Oderzo e Altino conquistate dai Longobardi solo molti anni dopo l’invasione.

Dipendenza di Venezia dall’esarcato bizantino  Gli abitanti della laguna perciò non furono mai dominati dai Longobardi, rimanendo sotto il dominio bizantino che aveva sede nella vicina Ravenna. A capo dell’amministrazione delle isole c’era un dux (doge) o un magister militum bizantino, dipendente dall’esarca di Ravenna.

Il patriarca di Aquileia si rifugia a Grado Tra i fuggiaschi di Aquileia c’era anche il vescovo di quella città, una sede patriarcale molto estesa, che trovò rifugio a Grado, rimanendovi anche quando la situazione di Aquileia migliorò. Tale divisione ecclesiastica ebbe notevoli ripercussioni sul futuro religioso di Venezia dato lo stretto rapporto tra religione e politica che caratterizzò la sua storia.

Inizio del dogato veneziano  Un potente impulso all’autogoverno venne dai tribuni eletti dalla popolazione, anche se soggetti all’autorità bizantina. Nel secolo VIII, al tempo della crisi iconoclastica, Venezia insorse contro Costantinopoli, ma la ribellione fu domata. Quella rivolta non fu inutile perché, a partire dal 741, Venezia ebbe il diritto di scegliersi il proprio dux purché riconoscesse la sovranità di Bisanzio.

Fedeltà di Venezia nei confronti di Costantinopoli  Dopo la scomparsa del governo dell’esarca di Ravenna, avvenuta nel 751, le comunicazioni tra Costantinopoli e ciò che rimaneva del dominio in Italia divennero più difficili, ma Venezia rimase suddita fedele di Costantinopoli.

Rinasce l’impero romano d’Occidente Quando nella notte di Natale dell’anno 800 Carlo Magno fu incoronato imperatore del rinato Impero Romano d’Occidente, Venezia continuò a ritenersi dipendente da Costantinopoli. In seguito al mancato riconoscimento della nuova dignità di Carlo Magno da parte dell’imperatore bizantino, nell’810 il figlio di Carlo Magno, Pipino, fu inviato a conquistare Venezia. Costui prese d’assalto Malamocco, ma non riuscì a catturare il doge che si rifugiò nell’isola di Rivoalto (Rialto). I Franchi dovettero ritirarsi dalla laguna, e l’anno dopo l’imperatore bizantino inviò una flotta nell’alto Adriatico per riaffermare la propria sovranità. Poco dopo tra impero d’Occidente e impero d’Oriente si arrivò alla pace col ducato veneziano, che rimase assegnato a Costantinopoli, ma di fatto indipendente.

Lenta crescita di Venezia  Fino all’anno 1000, tuttavia, era difficile prevedere la splendida fioritura di Venezia: fino a quell’epoca essa rimase una comunità di barcaioli intenti al traffico locale in laguna. Torcello era un emporio bizantino, punto di rifornimento e di smistamento delle merci bizantine. I veneziani, infatti, non avevano ancora la forza sufficiente per impegnarsi in pericolose traversate del Mediterraneo infestato dai pirati arabi. Perciò essi si erano specializzati nel trasporto di merci lungo i fiumi dell’Italia settentrionale -Piave, Adige, Po- in aggiunta alle merci prodotte dai veneziani stessi, sale e pesce secco. Poiché Aquileia e Ravenna avevano perso importanza come porti di transito, Venezia dovette competere solo con Comacchio che ancora impediva il monopolio veneziano del traffico locale. Nel 866 Comacchio fu assalita e saccheggiata. Nella valle del Po i battellieri veneziani arrivavano fino a Pavia trasportando incenso, seta, spezie, sale, pesce secco ceduti in cambio di grano e vino.

Crescono i commerci veneziani Col progressivo stabilizzarsi della situazione politica nella valle del Po, con la crescita della popolazione e la conseguente maggiore richiesta di prodotti orientali, i veneziani si rivolsero sempre più spesso dai fiumi al mare allargando l’offerta di merci al legname per costruzioni navali e agli schiavi: questi ultimi venivano subito dopo il sale e il pesce secco per importanza. È noto che il termine “schiavo” deriva da “slavo”: infatti la maggior parte di quegli infelici proveniva dalle popolazioni ancora semiselvagge stanziate nei Balcani. I veneziani, come più tardi gli inglesi, indulgevano volentieri a quel tipo di commercio anche se evitavano di parlarne, cercando poi, specie in punto di morte, di sistemare i problemi di coscienza con donazioni a opere pie, intese come tarde, ma non inutili riparazioni di irregolarità compiute nell’esercizio della mercatura. L’espressione di cortesia “schiavo suo” molto usata a Venezia, che di schiavi veri si intendeva, divenne più tardi il nostro “ciao”.

 

7. 5 Cronologia essenziale


565 Giustiniano muore: gli succede il nipote Giustino II.

578 Morte di Giustino II e inizio del breve regno di Tiberio II.

582 A Tiberio II succede l’imperatore Maurizio.

602 Ammutinamento militare e nomina a imperatore di Foca.

610 Foca è fatto uccidere da Eraclio il Giovane.

614 I Persiani occupano Gerusalemme: la Croce di Cristo viene condotta a Ctesifonte.

628 Eraclio riesce a sconfiggere i Persiani recuperando la Croce.

641 Muore Eraclio: gli Arabi conquistano negli anni seguenti Mesopotamia, Siria ed Egitto.

685 Muore l’imperatore Costantino Pogonato.

695 Giustiniano II è deposto ed esiliato a Cherson in Crimea.

705 Giustiniano II riprende il potere a Costantinopoli.

717 Leone III Isaurico è imperatore; gli Arabi assediano Costantinopoli.

726 Leone III pubblica un decreto che vieta il culto delle immagini sacre.

741 Muore Leone III: il figlio Costantino V prosegue la lotta iconoclasta.

751 Cessa il potere dell’esarca bizantino a Ravenna.

775 Muore Costantino V dopo aver mantenuto viva la lotta iconoclasta.

 

7. 6 Il documento storico


Riportiamo qui di seguito i canoni del concilio di Nicea II celebrato nell’anno 787, relativi alla proclamazione della liceità del culto delle immagini. È da notare l’importante distinzione tra il significante e il significato, ossia tra l’immagine e la persona cui l’immagine fa riferimento: il culto va tributato solo al significato, mentre l’immagine conserva un importante compito pedagogico, quello di rendere sensibile ciò che è inesprimibile, Dio.

 

     “I. Seguendo dunque la via maestra, e rispettosi del magistero dei Santi Padri ispirati da Dio, nonché della tradizione universale della Chiesa (infatti sappiamo che essa è frutto dello Spirito Santo che sicuramente vi inabita) stabiliamo con ogni certezza che come avviene per la Croce, preziosa e salvifica, così si debbano esporre le sacre e venerabili immagini, sia dipinte che a mosaico o in altra materia adatta allo scopo; e ciò tanto nelle sante chiese di Dio, quanto sulle vesti e arredi sacri, sulle pareti e in quadri, nelle case e nelle strade: e cioè, l’immagine del Salvatore e Signore nostro Gesù Cristo; della Madonna, la Santa Madre di Dio; degli Angeli degni di ogni onore; di tutti i Santi ed anche degli uomini pii.

     Infatti, quante più verità possono essere ammirate attraverso una raffigurazione, tanto più efficacemente coloro che le osservano saranno portati al ricordo e al desiderio dei loro modelli, per  attribuire loro una venerazione rispettosa e sincera, e baci, non una vera adorazione che, secondo la fede, si conviene solo a Dio; così, a queste immagini sia tributato l’onore di incenso e lumi, come alla Croce santa e salvifica, come ci insegna l’antica tradizione.

     L’immagine, infatti, è veicolo d’onore per il soggetto rappresentato, e chi venera l’immagine, venera la realtà di ciò che viene rappresentato.

     II. Tutto ciò riceve conferma dalla dottrina dei nostri Santi Padri, cioè dalla tradizione della Santa Chiesa universale che ha portato il Vangelo da un capo all’altro della terra.

     Così seguiamo Paolo, che ha parlato in Cristo (2 Cor 2,17) e tutti gli Apostoli e la santità dei Padri, “conservando la tradizione” (2 Tes 2, 14) che abbiamo ricevuto. Così cantiamo profeticamente gli inni trionfali della Chiesa: “Gioisci, figlia di Sion, esulta figlia di Gerusalemme: gioisci e rallegrati con tutto il tuo cuore. Il Signore ti ha liberato dalle ingiustizie di chi ti avversava: ti ha liberato dalle mani dei tuoi nemici. Il Signore è re e siede in te, non vedrai più il male” (Sir 3, 14) e la pace regnerà in eterno.

     III. Dunque chi osi insegnare o credere altrimenti, o disprezzare le tradizioni della Chiesa seguendo l’eretica pravità, o osi inventare qualche novità o gettare qualche immagine tra quelle che sono già nelle chiese, o Vangelo, o croci, o dipinti, o sante reliquie; o osi escogitare con malvagia astuzia qualche cosa per sovvertire la legittima tradizione cattolica; o osi usare come se fossero comuni  recipienti i vasi sacri o arredi venerabili: ordiniamo che tutti costoro siano sospesi dall’ufficio se vescovi o sacerdoti; o siano scomunicati se monaci o laici”.

 

Fonte: H. DENZINGER, Enchiridion Symbolorum definitionum et declarationum de  rebus fidei et morum, Herder, Friburgo 1942, pp. 146-149.

     

7.  7 In biblioteca


Per la storia veneziana importante il libro di F.C. LANE, Storia di Venezia, Einaudi, Torino 1978.

Per la storia religiosa dell’Oriente si esamini di G. FEDALTO, La Chiesa d’Oriente, Jaca Book, Milano 1984. Classica l’opera di R. CESSI, Storia della repubblica di Venezia, Giunti-Martello, Firenze 1981.

Per i rapporti di Venezia con l’impero d’Occidente si legga di G. ROSCH, Venezia e l’Impero (962-1250). I rapporti politici, commerciali e di traffico nel periodo imperaile germanico, Il Veltro, Roma 1985. Ancora di F.C. LANE, I mercanti di Venezia, Einaudi, Torino 1982.