Cap. 11 Le guerre napoleoniche (1)

Prof. A. Torresani. 11. 1  La campagna d’Italia (1796-1797) – 11. 2 Napoleone in Egitto (1798-1799) – 11. 3  Il Consolato (1799-1804) – 11. 4 Il primo impero e il blocco continentale

Dal 1792 la rivoluzione francese fu sempre accompagnata dal­la guerra esterna combattuta contro una coalizione europea: in un primo tempo doveva essere una guerra che, facendo crollare i vec­chi regimi monarchici europei, allentasse la pressione sulla Francia consentendole di operare le trasformazioni interne auspi­cate dalla borghesia. Più tardi la guerra esterna divenne un di­versivo per attuare la repressione interna e risollevare l’econo­mia francese dalla sua terribile situazione finanziaria. Infine, la guerra esterna divenne un espediente del Direttorio per tenere lontano da Parigi, e perciò da tentazioni di potere, i generali che si erano messi in luce.
 I generali vittoriosi sono stati sempre un pericolo per i re­gimi deboli, specie per quelli che, come il Direttorio, non avevano alcun seguito popolare. Napoleone Bonaparte rappresentò per la Fran­cia una specie di uscita di sicurezza: da un parte aveva la capacità di battere qualunque esercito avversario; dall’altra sembrava in grado di impedire una restaurazione dell’antico regime che cercasse di disfare l’opera della rivoluzione, il nuovo assetto della proprietà e la raggiunta uguaglianza dei Francesi davanti alla legge.
 Tuttavia, c’è un equivoco nel bonapartismo, quello di poter assicurare anche la pace. Napoleone ereditò dalla rivoluzione la propensione verso piani di riforma estesi a tutto il mondo e fece propri anche i vecchi progetti di egemonia europea del tempo di Luigi XIV, cercando questa volta non una giustificazione religio­sa, bensì ideologica, elaborata dal Robespierre: un governo centrale forte sostenuto dal ceto dinamico per eccellen­za, la borghesia, la cui forza dipende dal successo delle intraprese, dal possesso di una scienza volta alle applicazioni tecnologiche per risolvere i problemi pratici.
 Il genio militare di Napoleone è innegabile: quando c’era lui i suoi soldati vincevano. Non comprese, al contrario, la strategia navale e perciò gli sfuggì la natura del problema po­sto dalla Gran Bretagna e dall’equilibrio europeo: dopo la scon­fitta navale di Trafalgar la storia francese è la storia dell’a­gonia di un impossibile progetto imperiale, costellato di batta­glie vittoriose all’interno di una guerra perduta.

11. 1 La campagna d’Italia (1796-1797)
 Napoleone nacque ad Aiaccio in Corsica nel 1769 in una fami­glia di scarse possibilità economiche, ricca solo di figli.
La carriera di Napoleone Frequentò un’accademia militare in Francia aperta anche ai cadetti di famiglie relativamente povere. Col grado di capitano di artiglieria diresse il bombardamento di Tolone che permise la riconquista di quella città portuale asse­diata dagli Inglesi (1792). Sotto il Terrore, l’amicizia di Augu­stin Robespierre gli fece raggiungere il grado di generale. La reazione termidoriana rischiò di troncare la sua carriera. Fu ripescato dal direttore Barras che gli affidò la repressione del movimento realista del 5 ottobre 1795. L’impiego dei cannoni contro una folla tumultante ma disarmata ebbe successo, visto come tappa per un comando più alto su uno dei fronti di guerra.
Comando dell’armata d’Italia Non ottenne il comando dell’armata del Reno, il fronte principale di guerra, bensì il fronte secondario contro il regno di Sardegna, in una guerra di posizione sulle Alpi. Si è esagerato sull’esiguità del­le truppe francesi, in realtà circa 35.000 uomini, ma è certo che Napoleo­ne seppe infondere nelle truppe un morale di vittoria che le rese irresistibili.
I proclami di Napoleone Napoleone, uscito dalla scuola della ri­voluzione, conosceva l’importanza dell’indottrinamento ideologi­co, l’efficacia della stampa e la necessità di manovrare l’opi­nione pubblica. Sul fronte italiano fece redigere un famoso proclama alle truppe, imperniato sulle “ubertose pia­nure d’Italia” che avevano in abbondanza ciò che mancava ai soldati francesi.
La strategia napoleonica La strategia napoleonica ricalcava quella di Federico II di Prussia: un’estrema mobilità per realizzare la manovra per linee interne presentando tutto l’esercito a massa contro uno solo dei nemici.
Inizia la campagna d’Italia Il 2 marzo 1796 Napoleone assunse il comando dell’Armata d’Italia. Le istruzioni ricevute dal Diretto­rio erano di tenere impegnato il maggior numero di soldati au­striaci e piemontesi, alleggerendo il fronte principale di guerra posto sul Reno. Gli eventuali territori conquistati in Italia dovevano esser saccheggiati per autofinanzia­re la guerra, un pegno per le future tratta­tive di pace. Nel Direttorio in quel momento prevaleva la teoria dei confini naturali: il Reno e il displuviale delle Alpi. Napoleone, in realtà, fin dall’inizio si considerò un proconsole dotato di pieni poteri militari e politici sui territori con­quistati, deciso a seguire una politica personale e conquistare il potere.
I giacobini italiani A Parigi operava un toscano, Filippo Buo­narroti, un giacobino vicino alle posizioni di Gracco Ba­beuf. Aveva creato una rete di agenti giacobini in Piemon­te e in Lombardia. La rivoluzione in Italia, secon­do il Buonarroti, doveva esser condotta secondo un programma mo­derato perché le condizioni politiche e sociali della penisola erano diverse da quelle francesi. Detto in altri termini, in Ita­lia il Direttorio doveva fare una politica di tipo robespierria­no, ossia senza operare requisizioni e dando vita a repubbliche sorelle di quella francese, sull’e­sempio della Repubblica Batava creata in Olanda proprio in quei giorni. Il Buonarroti si riservava di realizzare il proprio programma di tipo comunista, dopo che la borghesia avesse vinto la rivoluzione. Per il resto della sua lunga vita il Buonarroti ripropose lo stesso schema: tenere segreto l’obiettivo finale, facendo intravedere a ciascu­no dei potenziali rivoluzionari la parte di programma che era disposto a condividere. I giacobini italiani, secondo il Buonarroti, avrebbero dovuto sollevarsi e proclamare governi provvisori in Piemonte prima che potesse instaurarsi un governo militare francese.
Napoleone prende l’offensiva Napoleone, su tutti questi proble­mi, aveva altre soluzioni e perciò prese l’offensiva. Tra il 12 e il 21 aprile, con le battaglie di Montenotte, Mille­simo e Dego spezzò il fronte nemico, dividendo i Pie­montesi dagli Austriaci. Poi sconfisse i Piemontesi a Mondovì e li costrinse a chiedere l’armistizio firmato a Cherasco, seguito dalla pace di Parigi, tra regno di Sardegna e Francia.
La pace di Parigi Il re Vittorio Amedeo III cedette la Savoia e Nizza, lasciando che il Piemonte divenisse una base francese per le ulteriori operazioni militari in Italia. A questo punto Napoleone non aveva interesse per i piani dei giacobini italiani, che pure avevano contribuito alla disfatta del regno di Sardegna. La tappa successiva fu la sconfitta degli Au­striaci.
Sconfitta degli Austriaci Il 10 maggio 1796, dopo aver passato il Po presso Piacenza, Napoleone sconfisse un esercito austriaco a Lodi. Il 14 maggio il generale Massena entrava in Milano, se­guito il giorno dopo da Napoleone, accolto trionfalmente. Il 30 maggio Napoleone sconfisse gli Austriaci sul Mincio, occupò Peschiera e Verona nel territorio della neutrale Repubblica di San Marco, e pose l’assedio intorno a Man­tova.
Gli Stati italiani sono costretti alla pace A giugno Napoleone obbligò gli Stati italiani a prendere atto della nuova situazio­ne: ai duchi di Parma e Modena furono imposti contributi in denaro, viveri e opere d’arte che subito presero la via delle Alpi. Il re di Napoli fu costretto a separare la sua flotta da quella inglese, e la sua cavalleria fu posta sotto controllo francese. Più tardi, l’11 ottobre 1796, fu siglata la pace tra Francia e regno di Napoli.
Napoleone occupa la Romagna Tra il 19 e il 23 giugno Napoleone occupò le Legazioni pontificie (Romagna) costringendo il governo del Papa a firmare la tregua di Bologna: Na­poleone riceveva 21 milioni di lire, il possesso di Bologna e Ferrara, 100 opere d’arte e 500 codici antichi. Poi vennero occu­pate Massa e Carrara e infine Livorno.
Nuove sconfitte dell’Austria L’Austria, occupando ancora la fortezza di Mantova, poteva tentare la riscossa e perciò fece affluire soldati dal Trentino fino al febbraio 1797. Napoleone annullò i tentati­vi austriaci con le vittorie di Castiglione delle Stiviere, di Arcole, di Bassano e di Rivoli. Il 2 febbraio 1797 la fortezza di Mantova si ar­rese per fame e tutta l’Italia settentrionale rimase in mano di Napoleone.
Napoleone nell’Italia centrale Risolta la partita con l’Austria, Napoleone riprese il conflitto con lo Stato della Chiesa, costringendo le truppe pontificie a chiedere la pace di To­lentino (19 febbraio 1797): essa prevedeva la cessione della Romagna, l’occupazione di Ancona e un supplemento di 15 milio­ni di lire.
La pace di Campoformio con l’Austria Nel marzo-aprile 1797, Na­poleone affrontò ancora una volta gli austriaci a Tarvi­sio, inseguendoli fino a Leoben dove, il 18 aprile 1797, furono firmati i preliminari di pace: l’Austria ri­nunciava al Belgio e al territorio di Milano, ricevendo in cambio l’Istria, la Dalmazia e gran parte della Terraferma di Venezia che, a sua volta, doveva esser compensata con le legazioni ponti­ficie. Più tardi, il 17 ottobre 1797, col trattato di Campofor­mio, Venezia fu interamente ceduta all’Austria.
La politica finanziaria di Napoleone Napoleone, col suo genio militare, era riuscito a capovolgere la priorità dei fronti di guerra: la fine del lungo conflitto con l’Austria era avve­nuta in Italia e non sul fronte del Reno. Poiché aveva condotto una politica autonoma anche nel momento di stipulare la pace, Napoleone dovette rabbonire il Direttorio accentuando la rapina di ciò che era asportabile dall’Italia: i famosi ca­valli di San Marco a Venezia sono l’episodio più noto, se­guito dalla tele dei pit­tori del Rinascimento, dai tesori di orificeria brutalmente fusi per fa­re economia di spazio. I monti di pietà furono chiusi e il patrimonio confiscato; i monasteri di Sant’Ambrogio di Milano e di San Zeno di Verona furono aboliti e il patrimonio fu posto in vendita per spremere altro denaro. Si calcola che i contributi versati al governo francese abbiano supe­rato la cifra di 57 milioni di franchi nel 1797 e che nei tre an­ni successivi sia stata estorta una somma non molto inferiore: si comprende che le difficoltà finanziarie siano passate dalla Francia all’Italia. Non va taciuto che numerosi episodi di insorgenza delle popolazioni italiane, ostili alla politica religiosa e fiscale di Napoleone, furono repressi brutalmente.
Le insorgenze Studi recenti, pubblicati in occasione del bicentenario della Repubblica Partenopea (1799-1999), hanno rivelato l’ampiezza assunta dai movimenti popolari antigiacobini in Italia. I dati oggettivi sono impressionanti: circa 300 casi di insorgenza, accaduti in tutte le regioni italiane eccettuate le grandi isole, che coinvolsero almeno 300.000 persone, causando la morte di un terzo degli insorti (solo a Napoli i morti furono circa 60.000). Questa strenua difesa delle chiese, delle opere d’arte, dei beni materiali, ossia di tutto ciò che forma la memoria storica di un popolo, dimostra che le idee rivoluzionarie brutalmente imposte da Napoleone, erano condivise solo da un’esigua minoranza degli italiani di allora. In seguito, la storiografia risorgimentale, che idealmente si collegava con i giacobini, offuscò e poi rimosse quegli avvenimenti, come se si fosse trattato di fatti marginali, bollati coi termini “sanfedismo” e “brigantaggio”, trascurando la circostanza che tutte le categorie sociali insorsero, ossia un intero popolo.
Governi provvisori in Italia Dopo l’agosto 1796 Napoleone costi­tuì un’Amministrazione generale della Lombardia, affidata a ele­menti locali: dapprima essa aveva solo il compito di raccogliere il contributo mensile da versare alla Francia, ma un poco alla volta si trasformò in un governo provvisorio, sotto tutela francese. Il 9 ottobre 1797 fu costituita la Legione lombarda che ricevette come bandiera il tricolore verde bianco rosso.
Melchiorre Gioia In quei mesi fiorì a Milano una pubbli­cistica avente per oggetto il futuro assetto d’Italia: fu indetto un concorso pubblico con una giuria presieduta da Pietro Verri. Il vincitore, Melchiorre Gioia, presentò una memoria proponendo la formazione di una repubblica italiana sui terri­tori “liberati” dai Francesi che, col passare del tempo, avrebbe dovuto attirare gli altri Stati della penisola. L’uguaglianza dei cittadini, secondo il Gioia, non andava intesa come uguaglianza della ricchezza, bensì come uguaglianza davanti alla legge. Il modello proposto per la Costituzione della futura repubblica ita­liana doveva essere la Costituzione francese del 1795. È inte­ressante notare come Milano si orienti subito verso soluzioni mo­derate, senza spargimento di sangue, senza rivoluzioni sociali in grado di mettere in pericolo il regime della proprietà terriera che in Lombardia appariva più razionale che in altre parti d’Italia.
La Repubblica Cispadana Non così era avvenuto nei ducati padani di Parma, Modena e Reggio e tantomeno nelle Legazioni di Bologna, Ferrara e Ravenna dove la cultura illuminista era stata attivamen­te scoraggiata. L’Emilia e la Romagna, proprio perché poste a di­retto contatto con la Lombardia, potevano fare un confronto che spingeva le prime ad assumere un deciso atteggiamento eversivo nei confronti dei governi subiti fino a quel momento, ed è qui che sorse per prima una repubblica sorella di quella francese, e non in Piemonte o in Lombardia. I fatti, in breve, si possono co­sì riassumere. Il Bonaparte, dopo aver occupato Bologna e Ferrara tra il 20 e il 21 giugno 1796, trovando gli organismi comunali a lui favorevoli, li prepose a un governo provvisorio. Ben presto le due città inviarono a Parigi rappresentanti per avere la conferma dal Direttorio della loro indipendenza dal mo­mento che si mantenevano fedeli ai Francesi. Nel ducato di Modena e Reggio, la città di Reggio si staccò da Modena, costituì un go­verno provvisorio e chiese la protezione francese. I cittadini di Reggio si segnalarono per una piccola operazione militare inse­guendo e catturando circa 150 soldati austriaci sbandati che cer­cavano rifugio in Toscana. Napoleone lodò l’atteggiamento dei reggini e volle che fosse magnificato: il Foscolo dedicò alla città di Reggio la sua ode “A Bonaparte liberatore”.
Il Congresso di Modena Perciò, a causa di questo precedente, il 16 ottobre 1796, per volontà di Napoleone si riunì a Modena un congresso di rappresentanti delle città di Bologna, Ferrara, Mo­dena e Reggio che deliberò la fondazione di una Confederazione cispadana, una lega militare che doveva organizzare la Legione italica con la stessa bandiera della Legione lombarda, ossia il tricolore.
Il Congresso di Reggio Bologna dimostrò subito mire egemoniche: fu eletta una Giunta che presentò al senato della città un progetto di costituzione. Poi furono eletti 36 membri per partecipare al secondo Congresso cispadano, convocato a Reggio il 27 dicembre. Nel corso di quel congresso fu proclamata la Repubblica Cispadana che auspicava la creazione di una Repubblica Cisalpina comprendente la Lombardia. Il Bonaparte raffreddò gli entusiasmi perché il Direttorio era ostile e perché egli si trovava ancora in guerra con l’Austria. Dieci giorni dopo, il congresso si ri­convocò a Modena, divenuto di fatto un’Assemblea Costituente che elaborò una costituzione simile a quella francese.
La Repubblica Cisalpina L’8 luglio 1797 Napoleone assegnò una Costituzione alla repubblica Ci­salpina (sempre la costituzione francese del 1795) con un Diret­torio e un Corpo legislativo: il 27 luglio la Repubblica Cispada­na fu annessa alla Repubblica Cisalpina. Per volontà di Napoleone e del Direttorio i più accesi rivoluzionari furono sacrificati agli elementi conservatori, che così furono privilegiati purché riuscissero a fornire alla Francia mezzi finanziari e soldati per le future battaglie. Il 17 ottobre 1797 ci fu il trattato di Cam­poformio che confermò la pace con l’Austria e la cessione di Venezia all’Austria. Le Ultime lettere di Ja­copo Ortis del Foscolo testimoniano lo stato d’animo italiano: ormai le requisizioni di denaro e viveri, l’atteggiamento da pa­droni assunto dai Francesi, la delusione per la mancata unifica­zione d’Italia fecero intiepidire gli entusiasmi.
Napoleone torna in Francia Il 17 novembre 1797 Napoleone lasciò Milano per rientrare in Francia: la nuova sistemazione d’Italia vedeva due repubbliche, la Cisalpina e la Ligure (Genova era sta­ta democratizzata il 6 giugno) occupate dai Francesi. Il Piemonte e il ducato di Parma erano sotto controllo francese. La Toscana e lo Stato della Chiesa, senza le Legazioni, non avevano alcuna possibilità di difesa autonoma. Tutti capivano che la situa­zione era fluida e che stavano maturando le condizioni per una seconda coalizione europea contro la Francia, il cui governo rimaneva debole.

11. 2 Napoleone in Egitto (1798-1799)
 La decisione di organizzare e guidare una spedizione militare in Egitto non si dovette a Napoleone, bensì al Direttorio che scorgeva nella Gran Bretagna l’insuperabile ostacolo al trionfo della rivoluzione.
Pitt il Giovane al governo in Gran Bretagna Dal 1793 il governo inglese era guidato da William Pitt il Giovane, figlio dell’omo­nimo grande Premier. Il Direttorio, avuta notizia delle difficoltà delle truppe britanniche in India, concepì il proget­to di occupare l’Egitto estendendo al Vicino Oriente gli ideali rivoluzionari. Il controllo del Vicino Oriente poteva creare difficoltà alla Russia e all’impero britannico in India.
Napoleone salpa per l’Egitto Decisa il 5 marzo 1798 e preparata in gran segreto, la spedizione in Egitto mobilitò una flotta di 16.000 marinai e un esercito di 38.000 soldati. Inol­tre, circa 200 scienziati, cartografi, archeologi, disegnatori ecc. accompagnarono la spedizione per studiare le possibilità di trasformare l’Egitto nella prima pietra di un impero francese. Napoleone accettò quel rischioso comando perché non era disponi­bile un’altra soluzione. Il 19 maggio la flotta lasciò Tolone. Il 6 giugno giunse a Malta dove il Gran Maestro dell’Ordine di San Giovanni consegnò le fortezze ai Francesi che vi lasciarono una piccola guarnigione. Horace Nelson accorse con una flotta britannica, mancando l’intercettazione della flotta francese che poté giungere ad Alessandria e sbarcare l’esercito. Il 21 luglio Napoleone sconfisse con facilità i mercena­ri che occupavano il paese, ed entrò nel Cairo. Allora, per la pri­ma volta dopo molti secoli, l’antico Egitto dei faraoni si aprì all’ammirazione degli occidentali. I duecento scienziati fecero un lavoro stupendo, raccolto in uno dei libri più belli, la Description de l’Egypte. Fu scoperta la famosa pietra nera di Rosetta, importante per decifrare i geroglifici.
Nelson distrugge la flotta francese Se Nelson aveva fallito l’intercettazione, non fallì la successiva ricerca e distruzione della flotta francese, sorpresa nella rada di Abukir e co­lata a picco il 1° agosto 1798. Napoleone continuò a organizzare la conquista come se dovesse risultare permanente, mostrando rispetto per la religione musulmana. Fece installare i primi mulini a vento, progettò un canale tra il Nilo e il Mar Rosso, fece aprire la prima tipografia del Cairo, ma poi dovette fare i conti con la miseria acuta del paese. Per mantenere i suoi uomini dovette requisire viveri, tassare la terra e altre fonti di reddito. L’impero turco si riscosse dall’apatia e accettò l’aiuto di una squadra navale inglese per invadere l’Egitto. Napoleone rispose con l’invasione della Siria, giungendo fino a San Giovanni d’Acri, che non poté conquistare. Il 20 maggio 1799 Napoleone tornò in Egitto, pri­gioniero della sua vittoria.
Napoleone abbandona l’esercito in Egitto In agosto decise di la­sciare il comando delle truppe al generale Kléber e si mise in mare su una nave leggera per raggiungere la Francia: ancora una volta sfuggì al pattugliamento delle navi di Nelson. Infatti aveva saputo che l’avventura egiziana aveva provocato la seconda coalizione europea, sempre sostenuta dalla Gran Bretagna e comprendente Russia, Tur­chia e Austria.
La Repubblica partenopea Gli Inglesi compresero l’importanza di Malta e l’occuparono, mentre Napoli divenne la loro base logisti­ca, favorendo il rapido tracollo della Repubblica partenopea, promossa da un piccolo gruppo di giacobini napoletani, sopraffat­ti dalla reazione popolare guidata dal cardinale Ruffo. Gli avveni­menti di Napoli furono più tardi raccontati dal Cuoco nel suo fa­moso Saggio sulla rivoluzione napoletana del 1799, splendido ma anche fuorviante: il gruppo guidato da Mario Pagano aveva poco seguito a Napoli e meno ancora nel resto del regno. Quando i pa­trioti chiesero asilo politico sulle navi di Nelson, trovarono fredda accoglienza e furono consegnati a Ferdinando IV che li fece impiccare. Il re di Napoli volle compensare il Nelson per quell’azione e gli assegnò in possesso la ducea di Bronte, posta alle falde dell’Etna.
La seconda coalizione antifrancese I coalizzati miravano a stac­care la Francia dalle sue più recenti conquiste, l’Olanda e l’Ita­lia, e la coalizione anglo-russa sembrava in grado di ottenere quel risultato. I Napoletani occuparono Roma e il Direttorio dovette dichiara­re la guerra. Il Piemonte fu subito invaso: il sovrano si trasferì a Cagliari. Il generale Championnet riprese l’offensiva da Civita Castellana, rioccupò Roma e inseguì i Napoletani fin dentro la loro città (23 gennaio 1799) che fu saccheggiata e destinata a merce di scambio per future trattative di pace. I Francesi occuparono anche la Toscana dove si trovava il papa Pio VI, trasferito a Valence dove morì nell’agosto 1799. Il Direttorio dovette ricorrere a tasse e alla coscrizione di 200.000 soldati che gli tolsero del tutto la simpatia dei Francesi.
Il piano di guerra del Direttorio Il piano di guerra francese prevedeva tre armate: sul Reno, in Italia e in Svizzera. Gli Austriaci avevano una certa superiorità numerica che non seppero sfruttare e attesero l’arrivo dell’esercito russo al comando del Suvorov. Costui attaccò in Italia spazzando via la resistenza francese.
I giacobini ritornano al potere In Francia il Direttorio subiva l’attacco congiunto dei moderati, ostili alla guerra, e dei gia­cobini che gli rimproveravano di non saperla vincere: il 18 giu­gno 1799 due Direttori dovettero dimettersi per far posto a due giacobini che si affrettarono a dichiarare la patria in pericolo e a decretare requisizioni e la leva in massa. Ma, come sempre accadeva in Francia, allo slittamento a sinistra seguì la reazione di destra, questa volta impersonata dal Sieyès che si dette a brigare per rovesciare il Direttorio e fon­dare un nuovo regime per bandire il radicali­smo giacobino. In Vandea, nella Garonna e in altri luoghi si ebbe­ro insurrezioni, ma in autunno cominciarono ad arriva­re le notizie di vittorie francesi nella seconda battaglia di Zu­rigo (25-27 settembre 1799). Il 9 ottobre Napoleone sbarcò a Frejus diretto a Parigi: sembrava l’unico in grado di porre fine alla guerra europea, salvando le conquiste della rivoluzione.
Il complotto di Napoleone Arrivato a Parigi il 14 ottobre, gli occhi di tutti erano rivolti all’eroe. Appariva indispensabile la revisione della Costituzione del 1795. Poiché la revisione non era legalmente possibile, si ricorse al colpo di Stato. Infatti, Napoleone non era altro che un generale a disposizione sul quale pesava una denuncia per abbandono non au­torizzato dell’esercito, senza un comando effettivo, ostile al Barras e in pessimi rapporti anche col Sieyès. Talleyrand stabilì una base di accordo tra Sieyès e Napo­leone.
Napoleone comandante di Parigi Per giustificare il colpo di Sta­to fu inventato un complotto di terroristi e perciò le camere furono trasferite a Saint-Cloud. Napoleone fu nominato comandante delle truppe di Parigi, una de­cisione illegale perché tale nomina spettava solo al Di­rettorio e non alla camera degli Anziani. Bonaparte convocò i ge­nerali a casa sua e poi si mise in marcia per Saint-Cloud: Barras si dimise e gli altri Direttori furono arrestati.
Il colpo di Stato a Saint-Cloud A Saint-Cloud i congiurati spe­ravano che le camere dichiarassero spontaneamente la cessazione della Costituzione. Napoleone si presentò dapprima alla Camera degli Anziani dove denunciò il complotto senza fornire le prove. Alla Camera dei Cinquecento si scatenò un tumulto, e Napo­leone fu messo alle strette. Luciano Bonaparte abbandonò la pre­sidenza dell’assemblea, rag­giunse Napoleone e insieme arringarono i soldati, ac­cusando i deputati di essere venduti all’Inghilterra. I soldati entrarono in armi nell’assemblea per disperderla. Tutto ciò accadde il 18 brumaio dell’anno VII (9 novembre 1799): il colpo di Stato di Napoleone rimetteva i rapporti di potere nei termini conce­piti dalla borghesia nel 1789. Ma Napoleone era a capo dell’esercito, l’unica forza capace di operare in Francia.
 
11. 3 Il Consolato (1799-1804)
 Napoleone fu uno di quei personaggi che imprimono dure­volmente alle istituzioni umane l’impronta della loro personali­tà.
Il Consolato All’indomani del colpo di Stato di brumaio toccò ancora una volta al Sieyès di redigere la nuova Costituzione. Immaginò una spe­cie di Senato i cui membri erano nominati dall’alto, e un po­tere esecutivo affidato a tre Consoli che sarebbero durati in ca­rica dieci anni: Bonaparte, Cambacérès e Lebrun. Il regime che risultò era l’opposto di quello voluto dalla rivoluzione. Fu introdotto l’istituto del plebiscito, invocato per ricevere l’investitura popolare. Il nuovo regi­me del Consolato, nel corso del plebiscito subito indetto, otten­ne circa 3 milioni di voti a favore e solo 1500 contrari.
Attivismo di Napoleone Appena arrivato al potere, Napoleone ri­mescolò le carte dei partiti: attirò con cariche, favori, denaro coloro che erano disposti a divenire esecutori della sua volontà, mobilitando ogni energia a favore del suo regime. Napo­leone comunicò alle grandi potenze la sua volontà di pace, ma precisò ai Francesi che la pace doveva venire dopo la vittoria. Napoleone aveva bisogno del successo militare perché era l’unico mezzo per battere gli avversari interni.
Napoleone riconquista l’Italia Agli inizi dell’anno 1800 la si­tuazione militare della Francia era precaria: in Italia, ciò che rimaneva dei successi francesi degli anni precedenti era ridotto a poco. Sul Reno c’era un esercito affidato al Moreau che doveva minacciare la Baviera. Napoleone scelse per sé il teatro d’opera­zioni meglio conosciuto, l’Italia. Riunì a Digione un eser­cito e scese nella penisola. Lo scontro con gli Austriaci avvenne presso Alessandria, a Marengo, in un momento in cui Napoleone aveva le truppe disperse. La battaglia del 14 giugno 1800 fu durissima, vinta solo col sacrificio della guardia, le trup­pe scelte di riserva. Dopo Marengo, la Lombardia fu riconqui­stata senza fatica. Sul fronte del Reno, Moreau era riuscito a occupare Monaco dopo aver sconfitto gli austriaci a Hohenlinden. Questa fu la vittoria determinante, ma Napoleone mise in ombra l’operato del Moreau per non avere rivali al potere.
Il trattato di Lunéville A marce forzate Napoleone tornò a Pa­rigi per fare il suo ingresso trionfale proprio il 14 luglio, l’anniversario della Bastiglia. Con la vittoria militare venne anche la pace: l’Austria col trattato di Lunéville (febbraio 1801) riconobbe alla Francia il possesso della riva sinistra del Reno, dalla Svizzera al Mare del Nord, e l’esistenza delle repub­bliche Cisalpina e Ligure in Italia, Elvetica in Svizzera e Bata­va in Olanda. I principi dell’impero potevano rifarsi a Oriente delle perdite di territorio subite in Occidente, sotto l’alta protezione francese.
Isolamento della Gran Bretagna Rimaneva in armi solo la Gran Bretagna che Napoleone cercò di isolare negoziando con la Russia e con la Spagna. Paolo I di Russia, prima di essere assassinato, aveva promosso la Lega della neutralità armata con­tro gli attacchi navali britannici alle basi continentali, ma ba­stò il bombardamento di Copenaghen da parte inglese per far scio­gliere la Lega. In Egitto l’esercito francese si arrese agli Inglesi.
La pace di Amiens Pitt dovette dimettersi e perciò il nuovo governo britannico poté firmare la pace di Amiens del 1802, che gli Inglesi interpretarono nel senso che la Francia si impegnava a non annettere altri territori in Europa, e che Napo­leone interpretò nel senso di avere mano libera sul continente: erano interpretazioni opposte.
Attentati contro Napoleone Nel 1800 e nel 1803 Napoleone subì due attentati, falliti entrambi. Il primo era un tentativo reali­sta promosso da un insorto vandeano Georges Cadoudal, fuggito in Inghilterra. Il secondo fu ancora una volta organiz­zato dal Cadoudal con l’aiuto inglese e l’assenso di alcuni gene­rali francesi tra cui Moreau e Pichegru. Il Cadoudal fu arrestato e fucilato, Pichegru dopo l’arresto fu strangolato, e Moreau, forse meno implicato, fu esiliato. Bonaparte era un cor­so e riteneva che la vendetta fosse un dovere da parte di un clan offeso: fece arrestare il duca di Enghien, l’ultimo membro della famiglia Condé, in territorio straniero e, senza che fosse riconosciuto responsabile di alcunché, lo fece fucilare sotto accusa di collusione con lo straniero.
Consolato a vita Dopo Amiens, Napoleone, ricorrendo al plebiscito, fece trasformare la sua carica in Consolato a vita. Dopo la cospirazione del Ca­doudal, sempre mediante plebiscito, trasformò il consolato in Im­pero. Questo termine fu scelto per evitare il termine “monar­chia”, squalificato, e il termine “repubblica”, che ricordava il periodo giacobino.
Nuovi rapporti con la Chiesa Napoleone, cogliendo il mutamento dei tempi nei confronti della religione, volle ricevere la conferma religiosa al suo nuovo titolo: alla cerimonia del 2 dicem­bre 1804 a Notre-Dame c’era anche il papa Pio VII, ma Napoleone impose a se stesso la corona e poi alla moglie Giuseppina, per sottolineare che il potere religioso assisteva e prendeva atto che il potere di Napoleone scaturiva da lui stes­so, ed era confermato dal basso mediante plebiscito.
Il regime napoleonico Nel breve periodo di tregua durato circa due anni tra la pace di Amiens e la ripresa dei combattimenti, Napo­leone gettò le basi del suo governo. Conservò un simulacro di Se­nato con funzioni consultive, una Camera legislativa che poteva votare ma non proporre le leggi, e un Tribunato che aveva il po­tere di proporre le leggi, ma non di votarle. Il Tribunato fu ri­dotto di numero, e nel 1807 abolito perché Napoleone non tollera­va limitazioni al suo potere. La Camera legislativa era nomi­nata dal Senato, ma finì per avere come unica funzione quella di registrare la volontà di Napoleone.
Il governo Il potere esecutivo era esercitato da un governo che comprendeva un ministro degli affari esteri, della guerra e della marina, della giustizia, delle finanze, degli interni e della polizia. Napoleone non tollerò mai un primo ministro: consultava i ministri uno alla volta e poi prendeva le sue deci­sioni. Infatti, Napoleone era un generale che sapeva far tesoro degli specialisti, ma le decisioni strategiche toccavano a lui solo.
Il Consiglio di Stato C’era anche un Consiglio di Stato nel qua­le Napoleone ammetteva le persone più competenti. Il Consiglio di Stato divenne la pietra angolare della burocrazia francese che ha fama di essere tra le più efficienti e che ha elaborato la migliore legislazione amministrativa. Se la Francia è sopravvissuta a due Imperi, a due Monarchie e a cinque repubbliche nel corso di circa 200 anni, lo deve alla sua tradi­zione amministrativa. Anche i comuni non ebbero organi di governo elettivi bensì burocratici.
I prefetti Nelle province la massima autorità era il prefetto, nominato a Parigi, assistito da alcuni sottoprefetti che, per non perdere un posto giudicato prestigioso, si facevano premura di non avere altra volontà che quella di Napoleone. Il primo compito dei prefetti fu di contribuire a mettere in sesto l’economia del paese, promuovendo il benessere dei loro dipartimenti e cercando di fornire numerosi voti favorevoli alla tesi governativa nel corso dei plebisciti. Essi dovevano compilare gli elenchi dei co­scritti, ricercare i renitenti alla leva, confiscare cavalli per l’esercito, alloggiare le truppe di passaggio.
Il Codice Civile Dopo aver creato la macchina amministrativa, Napoleone dovette darle una chiara legislazione. Con rapidità fu portato a termine il Codice civile, di 2281 articoli molto brevi tanto da poter stare in un solo volume. Il Codice Civile è carat­terizzato da un certo peggioramento della capacità giuridica del­la donna: essa non poteva acquistare, vendere o cedere le sue proprietà senza l’assenso del marito; le leggi relative al matri­monio e al divorzio furono meno permissive e fu ripristinata la potestà del padre sui figli. Furono conser­vate le principali conquiste rivoluzionarie: parità davanti alla legge, tolleranza religiosa, abolizione dei privilegi e oneri feudali. La proprietà fu tutelata. Il Codice Civile ebbe enorme successo in Europa, adottato dai governi instaurati da Napoleone.
La Banca di Francia Sul piano finanziario il regime napoleonico fallì, perché non riuscì a ricavare la maggior parte delle tasse dai ricchi, bensì ripristinò le tasse indirette tanto odiate dal­la popolazione: le carte da gioco, il tabacco, il sale, il vino ecc. furono gravati da imposte. Ebbe successo, invece, la creazio­ne della Banca di Francia, un istituto di emissione avente carattere semipubblico, formato da azionisti rappresentati da un’assemblea comprendente i 200 maggiori azionisti, i quali eleggevano 15 reggenti e 3 revisori dei conti. La Banca di Fran­cia non emetteva cartelle di debito pubblico perché il regime non godeva ancora la fiducia dei finanzieri privati. Napoleone non aveva idee in fatto di finanza: spesso ricorse a espedienti di dubbia moralità o a estorsioni di denaro nei paesi conquistati, applicando il più primitivo dei mezzi di finanziamento.
Il Concordato con la Chiesa cattolica Napoleone comprese, al contrario, i benefici che il regime poteva ricavare dalla so­luzione del problema religioso. Il Di­rettorio aveva seguito una politica di tolleranza di fatto nei confronti della Chiesa pur tenendo fermi i propositi di laiciz­zazione della vita civile, soprattutto nel campo dell’insegnamen­to. La pacificazione della Normandia e della Vandea avrebbe rica­vato certamente un impulso dalla pace religiosa. La Santa Sede, pur avendo denunciato spesso la rivoluzione, non poteva agire come se essa non fosse avvenuta. Il papa Pio VII, eletto nel 1800 a Venezia, era un monaco benedettino, pa­ziente e semplice, disposto a concedere tutto ciò che non mettes­se in pericolo l’ortodossia. La vittoria francese sull’Austria e la pace di Lunéville fecero entrare nel vivo le trattative avvia­te fin dal 1800. Il Concordato fu annunciato nell’aprile 1802, dopo la pace di Amiens sti­pulata con la Gran Bretagna.
Gli articoli organici Poiché il Concordato era stato osteggiato dagli ex giacobini presenti nel governo, Napo­leone, con una decisione tipica della sua personalità, fece pub­blicare il Concordato con l’aggiunta degli Articoli organici, una serie di disposizioni amministrative che riprendevano ciò che nel Concordato era stato concesso. I punti qualificanti del Concorda­to erano la nomina papale dei vescovi francesi, ammettendo un certo numero di vescovi appartenenti al clero giurato; la confi­sca dei beni ecclesiastici era proclamata definitiva; il clero era finanziato dallo Stato; la fede cattolica era de­finita “religione della maggioranza dei francesi” e le sue ceri­monie dovevano essere libere, sia pure sotto il con­trollo della polizia.
Tensioni tra papa e imperatore Il papa protestò per l’introdu­zione degli Articoli organici e attese due anni prima di consa­crare i vescovi appartenenti al clero giurato scelti da Napoleo­ne, che da parte sua si affrettò a esigere la pubblicazione del Catechismo imperiale che doveva legare la coscienza del popolo alla persona dell’imperatore, con la sanzione dell’autori­tà religiosa. Al governo interessava che i Francesi considerassero un crimine evitare il servizio militare o evadere le tasse e che i preti leggessero durante il sermone do­menicale i bandi imperiali in tutte le chiese. Paradossalmente, l’autorità del papa risultò rafforzata in Francia e il prezzo pa­gato a Napoleone modesto, perché l’impero cadde, ma non caddero alcune sue concessioni.
Riforma dell’istruzione superiore Un altro campo importante in cui si applicò il riformismo napoleonico fu l’istruzione superio­re. La rivoluzione aveva distrutto il sistema di istruzione dell’antico regime, ma non aveva saputo far altro che creare un certo numero di Scuole centrali. Il governo aveva bisogno di speciali­sti e perciò trasformò le Scuole centrali in Licei, mettendo a concorso 6000 borse di studio. Dai Licei si poteva accedere alle scuole di legge, di medicina e far­macia, alla scuola militare speciale e alla Scuola normale che preparava ogni anno 300 nuovi insegnanti. La Scuola poli­tecnica forniva i matematici e gli ingegneri necessari all’esercito. Il sistema scolastico francese faceva capo al Gran Maestro, un ministro della pubblica istruzione, dipen­dente direttamente da Napoleone. La mancanza di professori costrinse il governo ad ammettere anche insegnanti cattolici che atte­nuarono l’anticlericalismo dei vertici statali e lo scientismo che era nei voti del regime.
Controllo della stampa Il regime napoleonico operò energicamente anche nei confronti della stampa e del mondo dello spettacolo: i giornali o erano docili strumenti del regime o chiudevano.

11. 4 Il primo impero e il blocco continentale
 Quando Napoleone, il 2 dicembre 1804, decise di trasformare il consolato a vita in impero proponendosi di fondare una dina­stia, forse aveva già compiuto la parte più duratura della sua opera, la rigorosa organizzazione burocratica fortemente accen­trata descritta sopra.
Liquidazione delle colonie Napoleone liquidò ciò che rimaneva delle colonie in America. Santo Domingo andò perduta a causa dei piantatori francesi che esigevano l’autogoverno per mantenere lo schiavismo, la Luisiana fu ceduta agli USA nel 1803. Nel Mediterra­neo, invece, Napoleone esercitava una presenza sempre crescente: emissari francesi operavano a Costantinopoli, a Tripoli, a Tuni­si. In Italia furono rafforzate le guarnigioni francesi e l’eser­cito piemontese fu unito a quello francese.
Crescente ostilità della Gran Bretagna In Gran Bretagna l’opinione pubblica era sempre più ostile ai Francesi e chiese al governo di non lasciare Malta finché i Francesi non sloggiavano dall’O­landa. Nel maggio 1803 le relazioni diplomatiche furono interrot­te e scoppiò la guerra perché la Gran Bretagna riteneva l’egemonia francese sul continente una minaccia all’in­dipendenza britannica.
La sconfitta di Trafalgar Napoleone si trovò davanti al problema di portare il suo esercito in Inghilterra, e a Boulogne nel 1804 furono concentrati circa 100.000 uomini e 700 navi da tra­sporto. L’ammiraglio francese Villeneuve ricevette l’incarico di attirare la flotta britannica nelle Antille per permettere ai Francesi, almeno per qualche tempo, il controllo della Manica. La manovra non riuscì e Villeneuve fu costretto ad accettare batta­glia al largo delle coste del Portogallo meridionale, spinto dalla critiche di Napoleone. Nel corso della battaglia di Trafalgar avve­nuta il 21 ottobre 1805, la flotta franco-spagnola andò perduta e il Villeneuve fu fatto prigioniero. Morì anche Horace Nelson, il grande ammiraglio britannico, ma i successori riuscirono a mantenere il controllo dei mari, contribuendo alla sconfitta finale di Napoleone.
La terza coalizione antifrancese Alla Gran Bretagna, fulcro del­la terza coalizione europea, si unirono la Russia e l’Austria nel luglio 1805. Alla fine di agosto, la grande armata accorreva in Germania. A Ulm, una settimana prima di Trafalgar, l’esercito austriaco fu sconfitto e furono fatti 30.000 prigionieri. Il 2 dicembre 1805, il giorno fausto di Napoleone, avvenne la grande battaglia di Austerlitz in Boemia, dove Russi e Austriaci furono disfatti. Poco dopo l’Austria firmò la pace di Presburgo (26 dicembre) che sanciva la per­dita del Veneto, dell’Istria, della Dalmazia.
La sconfitta della Prussia La Prussia si riscosse dalla sua am­bigua politica e decise il ricorso alle armi fidando nella sua tradizione militare: tuttavia nel novembre 1806 la Prussia fu sconfitta rovinosamente a Jena. Della terza coalizione rimaneva in armi sul continente solo la Russia: Napoleone inseguì gli eserciti russi nel corso di una campagna invernale, conclusa con le vittorie di Eylau e Friedland nella Prussia orientale (1807).
Il convegno di Tilsit Il 25 giugno 1807, a Tilsit, su una barca ancorata in mezzo al fiume Niemen, Napoleone e Alessandro I si incontrarono in un convegno che aveva il compito di gettare le basi durature del nuovo sistema europeo. Alessandro I era un personaggio impulsivo e impressionabile: il bacio che ri­cevette da Napoleone e il titolo di fratello, indussero lo zar alla spartizione dell’Europa con un Occidente francese e un Oriente russo. La Prussia fu ridotta ai soli territori orientali (Brandeburgo, Pomerania, Meklemburgo); la Russia cedette alla Francia le isole Ionie, impegnandosi ad ac­cettare il Blocco continentale, l’interruzione del commercio con la Gran Bretagna per farla crollare sul piano economico.
Estensione dell’impero napoleonico La Francia annetteva il Pie­monte, Parma, Genova e la Toscana. Intorno ai suoi confini sorge­vano alcuni Stati satelliti: il regno d’Olanda affidato a Luigi Bonaparte; la Confederazione del Reno (Baviera, Württemberg, Ba­den, Sassonia); il regno di Vestfalia (Brunswick, Assia-Cassel, Hannover) affidato a Girolamo Bonaparte; il regno d’Italia (Lom­bardia, Veneto, Emilia-Romagna, Marche, Toscana) affidato, con la carica di viceré al figliastro Eugenio Beauharnais; il regno di Napoli (meno la Sicilia rimasta sotto il controllo della flotta inglese) affidato a Giuseppe Bonaparte fino al suo trasferimento in Spagna, sostituito da Gioacchino Murat, cognato di Na­poleone. Fuori dell’impero francese rimanevano solo Austria e Rus­sia.
Precarietà del sistema napoleonico Questa concentrazione di po­tenza era dovuta in parte al genio militare di Napoleone, in par­te al migliore armamento francese, ma soprattutto al fatto che i soldati france­si erano veterani che avevano assorbito la tradizione patriottica degli eserciti rivoluzionari. Al contrario, gli eserciti scon­fitti da Napoleone fino al 1807 erano eserciti mercenari che non impegnavano nel combattimento tutte le ri­sorse umane di chi combatte per una grande idea. Napoleone impie­gava crescenti masse di uomini gettati allo sbaraglio in battaglie di sfondamento: la retorica imperiale sapeva ammantare di gloria i caduti.
La rivoluzione dall’alto in Austria e Prussia Dopo il 1807 in Prussia e in Austria avvenne una silenziosa rivoluzione promossa dall’alto che impiegò gli stessi metodi utilizzati in Francia. Nell’inverno del 1808, Fichte tenne presso l’università di Berli­no i Discorsi alla nazione tedesca che ebbero il compito di far reagire la nazione tedesca. Il cancelliere prussiano von Stein operò una riforma dell’amministrazione aprendola ai ca­paci e meritevoli anche se non erano nobili. L’esercito fu ristrutturato da Scharnhorst e Gneisenau re­ndendolo un organismo capace di contrapporsi alla pari con l’eser­cito francese, e il Clausewitz studiò un nuovo manuale dell’arte della guerra.
La nuova cultura romantica La nuova cultura romantica, che è in primo luogo una creazione tedesca, ebbe il potere di rendere inattuale la cultura illuminista. Dopo il 1807 Napoleone non sarà più ac­clamato nei paesi invasi come il portatore dei principi dell’89, della libertà dall’oppressione dei vecchi regimi. Un poco alla volta Napoleone finì per apparire un tiranno dispo­tico che teneva prigioniero il papa, nemico dell’indipendenza nazionale dei popoli, affamatore dell’Europa a causa delle requisizioni di viveri, distruttore del commercio internazionale che privava il continente di prodotti come te, cacao, zucchero, cotone ormai entrati nell’uso comune.
Inizia la resistenza popolare I governi europei suscita­rono la resistenza popolare contro i Francesi sotto forma di guer­riglia. I casi più clamorosi avvennero nel Tirolo e in Spagna do­ve la guerriglia infuriò rendendo le comunicazioni difficili e l’occupazione militare costosa e inefficace, col pericolo di an­nientare il morale dei soldati che avevano sempre un nemico invi­sibile: la guerriglia che può contare sull’appoggio della popolazione civile è invincibile, provoca rappresaglie che tolgono credibilità al governo di occupazione.
Tramonta la stella napoleonica Napoleone, sempre più preso da progetti geopolitici grandiosi, perdette di vista i dettagli, non s’accorse del tramonto della sua ideologia, concentrò eserciti sempre più internazionali, ossia sempre meno motivati a combatte­re finché tutte le sue concezioni perdettero il fascino della mo­dernità: erano la Gran Bretagna, la Prussia, l’Austria a com­battere per l’idea nuova, per un futuro di libertà delle nazio­ni dall’oppressione del tiranno.
Fallisce il blocco continentale La Gran Bretagna rimase il fulcro della resistenza a Napoleone. Dopo Trafalgar si poteva pensare alla ricostruzione di una flotta francese, ricor­rendo ai cantieri dei popoli sottomessi. Napoleone scelse, inve­ce, l’arma economica, il Blocco continentale. Questa scelta si comprende meglio se si pensa che Napoleone ideò una specie di mercato comune delle risorse dell’impero: ogni Stato satel­lite doveva commerciare con la Francia, fornendole materie prime e accettando i prodotti lavorati ai prezzi stabiliti dalla Francia. Si pensava che la potenza economica britannica sarebbe crollata con la fine del commercio internazionale, e che l’indu­stria francese avrebbe ricevuto grande impulso. In qualche caso le cose andarono bene, come per il telaio Jacquard per la tessitura della seta e per la produzione di zucchero a partire dalle barbabietole, ma la trasformazione industriale non avvenne in misura tale da fare a meno della produzione britannica. Il Blocco continentale doveva escludere le navi britanniche dai porti controllati dai Francesi. Migliaia di chilometri di costa si stendevano dalla Danimarca al Mediterraneo; ma c’erano varchi: il Portogallo, la Sardegna e la Sicilia erano i più vistosi; poi c’era il Baltico che permetteva alla Gran Bretagna di ricevere materie prime per costruzioni navali dalla Russia. L’adesione di questa nazione al Blocco continentale, do­po Tilsit, durò poco perché l’economia russa aveva bisogno della Gran Bretagna.
Il contrabbando Si sviluppò un colossale contrabbando: le navi britanniche davano appuntamento ai battelli dei contrabbandieri che provvedevano a vendere le merci vietate, senza pagare alcun dazio. Anche alla corte di Napoleone alcune merci arrivavano in quel modo. Alla lunga, gli svantaggi sarebbero ri­caduti sulla Francia, perché il Blocco navale co­stringeva a effettuare i trasporti per via di terra, più costosi dei trasporti per mare.
Cresce l’opposizione interna Dopo il 1807 il Talleyrand fu eso­nerato dal ministero degli esteri e subito si mise a brigare col Fouché, ministro della polizia, per cercare un successore di Napo­leone: costui, venuto a conoscenza delle loro trame li destituì, senza farli condannare a morte, intuendo che la loro esperienza poteva risultare utile in futuro. Nel 1809 Napoleone prese a pre­testo l’inosservanza da parte dello Stato della Chiesa delle nor­me del Blocco continentale per imprigionare il papa Pio VII.
Napoleone occupa la Spagna Le fortune napoleoniche cominciarono a tramontare in Spagna: anche quel paese divenne uno Stato satellite della Francia; nel 1807 un’armata franco-spagnola invase il Portogallo da spartire tra gli aggresso­ri. Non soddisfatto dell’aiuto che riceveva, Napoleone volle im­porre alla Spagna un governo francese per trasformare la peniso­la secondo il modello francese. Nel maggio 1808 il re, la regina e l’erede Ferdinando furono convocati a Bayonne e costretti ad abdicare. Giuseppe Bonaparte fu richia­mato da Napoli e posto sul trono di Spagna.
Rivolta del 2 maggio Prima ancora del suo arrivo a Madrid, scop­piò una grande rivolta che mise in pericolo i 150.000 soldati francesi: a Bailen gli insorti costrinsero alla resa una grande unità militare, e un’altra venne sconfitta da un esercito inglese comandato dal Wellesley, il futuro duca di Wellington. Giuseppe Bonaparte dovette ritirarsi a nord dell’Ebro, rendendo necessaria la presenza dell’esercito stanziato in Germania al comando dello stesso Napoleone: da quel momento la Spagna fu presidiata da 300.000 soldati, creando per Napoleone il doppio fronte, quello occidentale nella penisola iberica e quello orientale verso Austria e Russia.
L’Austria rientra in guerra Nel 1809 l’Austria tentò ancora una volta la riscossa e fu sconfitta di misura a Wagram nel lu­glio di quell’anno: la Prussia e la Russia erano sul punto di in­tervenire, mentre i franco-spagnoli erano stati respinti dal Por­rtogallo.
La dinastia di Napoleone La situazione di Napoleone appariva incerta e per di più non aveva un erede legittimo e perciò nessuna speranza di fondare una dinastia. Giuseppina Beau­harnais non poteva aver figli e di conseguenza Napoleone decise di far annullare il matrimonio religioso celebrato nel 1804. Tra le case regnanti solo quella d’Absburgo si mostrò disponibile a dare a Napoleone una granduchessa, Maria Luisa. Nel 1811 nacque il sospirato erede che subito ri­cevette il titolo di Re di Roma.
Napoleone dichiara guerra alla Russia L’unica potenza continen­tale non piegata da Napoleone era la Russia che, come il resto d’Europa, attraversava una difficile crisi economica. Lo zar Alessandro I tentò di placare il malcontento nell’opinione pubbli­ca imponendo forti tasse sui prodotti francesi e aprendo i porti russi alla navigazione dei paesi neutrali, in pratica alle merci britanniche che fecero fallire il Blocco. Nel maggio 1812 la Rus­sia concluse la pace coi Turchi, un passo necessario per avere le mani libere in Europa. Poiché erano in corso trattative con l’Au­stria e con la Gran Bretagna, Napoleone ritenne che esistessero gli estremi per dichiarare la guerra.