Breve storia delle eresie (5/10)

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CAPITOLO V. LE ERESIE MEDIOEVALI. Caratteri generali. Eresie individuali. I Petrobrussiani. I Valdesi. Gli Albigesi. L’eresia di Wycleff. Giovanni Huss e gli Hussiti

CAPITOLO  V


LE ERESIE MEDIOEVALI


 


CARATTERI GENERALI


Si è avuta per molto tempo l’abitudine di considerare i lunghi secoli del ” medioevo “, come secoli di ristagno intellettuale. Il presente capitolo ci mostrerà come non siano tuttavia mancate le eresie: eresie individuali o eresie collettive. E tutte hanno rivestito caratteri comuni. Esse furono non soltanto manifestazioni dello straordinario fermento intellettuale e sociale che ha segnato quel periodo, ma anche proteste incessantemente rinnovate contro il regime feudale e clericale del tempo. Le eresie, senza dubbio, pretendono di collocarsi unicamente e principalmente sul piano teologico o religioso. Ma in realtà esse rientrano nell’antifeudalesimo, nell’anticlericalismo, nelle aspirazioni verso la libertà dei borghesi delle città. Esistevano già allora gli stessi problemi sociali che si pongono ai nostri giorni, ma si traducevano nel linguaggio del tempo, che era il linguaggio teologico. L’emancipazione comunale, in specie, fu in stretta relazione con le eresie medioevali. I conflitti sociali fornirono in ogni caso alle eresie un ” ambiente ” favorevole per il loro sviluppo. E questo è un fatto che non si deve mai perdere di vista.



ERESIE INDIVIDUALI


Tra le eresie medioevali, in Occidente, se ne distinguono alcune che furono soprattutto individuali, mentre altre nacquero e si costituirono in gruppi dissidenti.


Ricorderemo solo sommariamente le prime.


Nel secolo XI, un certo Berengario, già canonico di Tours, e quindi arcidiacono di Angers, fu il primo avversario, a noi noto, della presenza reale nell’eucaristia.


Secondo lui, la consacrazione del pane e del vino aveva lo scopo di santificare gli elementi, sottraendoli all’uso profano e dando loro un certo potere santificante. In sostanza, l’ostia consacrata era, secondo lui, solo pane  benedetto, e solo per una pia convenzione la si poteva chiamare Corpo di Gesù Cristo.


Berengario fu immediatamente confutato da Adelmanno di Liegi, da Ugo di Langres e da Lanfranco di Bee, che erano fra i più illustri teologi del tempo. La dottrina dell’innovatore fu condannata nel concilio di Vercelli del 1051, in quello di Parigi dello stesso anno, in quel di Tours del 1054, ed in altri dieci sinodi. Egli finì per ritrattarsi, ma ricadde nell’errore, si ritrattò nuovamente e morì nel 1088, dopo una sincera conversione.


Al contrario di Berengario, che fu una specie di razionalista, altri eretici del medioevo caddero in falsi misticismi. Cosi, ad esempio, Amalrico di Bena, verso la fine del secolo XII. Egli parve ispirarsi alle opere del filosofo Scoto Eringena, un platonico abbastanza arrischiato, ma di grande ingegno. Amalrico ricavò dalla sua dottrina una specie di panteismo. Secondo lui, Dio e l’essenza intima di tutto ciò che esiste. I suoi discepoli giunsero alla conclusione che ” tutto è divino “, che ” tutto è buono “, che non vi è più differenza tra il bene e il male. Gli amalriciani giungevano a considerarsi come gli strumenti dello Spirito Santo, preconizzavano il libero amore, si irritavano delle condanne della Chiesa e finivano per trattare il papa come Anticristo. Gli errori di Amalrico furono condannati poco dopo la sua morte, avvenuta fra il 1205 e il 1207, da un sinodo di Parigi del 1210, che ordinò di dissotterrare il suo corpo perché indegno di riposare in terreno consacrato. Il concilio lateranense del 1215 condannò nuovamente la dottrina amalriciana, dichiarandola ” più assurda che eretica “. Idee abbastanza simili si ritrovano comunque per tutto il medioevo, specialmente nei beguardi e nei fraticelli. Ma questi ultimi hanno potuto ispirarsi ancor di più ad un personaggio misterioso come Gioacchino da Fiore, di cui si è potuto supporre l’influsso sulla maggior parte dei gruppi sedicenti mistici dell’Italia e di altri paesi cristiani.


Questo Gioacchino, di origine italiana, morì mentre era abate dell’abbazia di Fiore, in Calabria, il 20 marzo 1202. La sua dottrina, strana quanto la sua persona, si riassume nei seguenti punti: 1. come vi sono tre persone in Dio, così vi sono tre ere del mondo: l’era della Legge, l’era di Cristo e l’era dello Spirito Santo; 2. l’era del Padre o della Legge fu quella dell’Antico Testamento, era di servitù e di timore, epoca della gente sposata e dei laici; 3. l’era di Cristo è quella del Nuovo Testamento,  era mista di gente sposata e di chierici non sposati, ma che vivono nel mondo; 4. la Pienezza dei tempi che deve cominciare intorno al 1260, sarà l’era dei monaci, l’era dell’avvento dello Spirito Santo, l’era della Libertà, nella quale dominerà il Vangelo eterno. Questo Vangelo non sarà scritto, ma sarà una interpretazione tutta spirituale dell’Antico e del Nuovo Testamento.


Queste idee non impedivano a Gioacchino da Fiore, dolce sognatore, di rimanere un fedele figlio della Chiesa. Solo dopo la sua morte alcuni francescani esaltati, alla testa dei quali si è soliti porre il famoso Gerardo da Borgo san Donnino, riprenderanno i suoi scritti, ne faranno l’espressione del Vangelo eterno e si crederanno chiamati a riformare la Chiesa da cima a fondo. Pretenderanno di imporre a tutti la povertà apostolica cosi bene imitata dal loro maestro Francesco d’Assisi. Ma, cadendo nella ribellione, e rifiutando di sottomettersi all’autorità della Chiesa, saranno infine condannati come eretici durante il secolo XIV.


Tutto ciò non era altro che falso misticismo.



I PETROBRUSSIANI


Ecco ora alcune eresie che hanno la forma di sette dissidenti. In primo luogo, i petrobrussiani. Sono così chiamati dal nome del loro fondatore, un certo Pietro di Bruys, prete deposto e ribelle. A partire dal 1104, egli avrebbe cominciato a predicare nella Linguadoca e in Provenza. Che cosa insegnava? Che non si devono battezzare i bambini, i quali non capiscono nulla; che è inutile pregare nelle chiese, poiché Dio è dovunque, che si deve sopprimere l’uso del crocifisso, come pure le preghiere per i defunti, la fede nella presenza reale e soprattutto l’obbedienza al clero. Incitava le popolazioni contro i parroci e i monaci. Ma una forte reazione si scaleno contro di lui; nel Venerdì Santo del 1124 pretese di far cuocere della carne su un fuoco di crocifissi accatastati, ma fu assalito dalla folla scandalizzata e ucciso. Dopo di lui prese la direzione della setta un benedettino apostata, Enrico di Losanna. Fu condannato nel concilio di Pisa del 1135 e pare sia morto in carcere verso il 1145.


Il grande avversario di questa setta anticlericale fu san Bernardo di Chiaravalle, che predicò spesso negli ambienti dove si era propagato il male.


Una setta di tendenze analoghe si propagò nel Brabante, nella zona di Anversa, capeggiata da una specie di avventuriero di nome Tanchelmo di Brabante, che si spacciava per Figlio di Dio; egli riuscì a trascinare al suo seguito una folla di ignoranti fanatici. Fu confutato da un emulo di san Bernardo, il grande oratore san Norberto, fondatore dei Premostratensi. Tanchelmo morì verso il 1115, per un colpo infertogli al capo durante un viaggio in barca.



I VALDESI


Le piccole sette precedenti non furono mai molto pericolose. Non si può dire altrettanto di quella dei Valdesi.  Essa ebbe come autore un mercante di Lione di nome Pietro Valdo o Valdes. Desideroso di camminare nella via della perfezione, Valdo si immerse nello studio della Bibbia. Distribuì tutte le sue ricchezze ai poveri e si mise a predicare la penitenza. Si unirono a lui alcuni discepoli, in piena buona fede. Furono chiamati dapprima i “poveri di Lione”. Si credettero autorizzati a predicare il Vangelo al popolo, ma, impreparati come erano, misero presto in allarme l’autorità ecclesiastica e il vescovo di Lione proibì loro di predicare. Valdo si recò a Roma, al tempo del Concilio lateranense, nel 1179. Il papa Alessandro III approvò il loro modo di vivere, ma li sottopose, per quanto riguardava la predicazione, alle autorità episcopali del luogo. La stessa linea di condotta fu imposta agli Umiliati o “poveri lombardi”, che erano una formazione analoga. Se i “poveri di Lione” e i “poveri lombardi” avessero osservato la regola loro imposta, come farà più tardi Francesco d’Assisi con i suoi autentici “poveri”, non vi sarebbe stato lo scisma. Ma Valdo e i suoi ricominciarono a predicare senza alcuna autorizzazione, dandosi quindi alla rapina, al saccheggio, alle stragi di cattolici, a violenze gratuite di ogni genere. Invano il vescovo Bellesmaius li richiamò all’ordine. Il papa Lucio III (finì per condannarli, insieme agli Umiliati, nel concilio di Verona e nella Bolla Ad abolendam, del 4 novembre 1184. In seguito i valdesi si divisero dagli Umiliati della Lombardia, e si organizzarono come setta separata dalla Chiesa. Dallo scisma passarono presto all’eresia. Adottarono una dottrina abbastanza analoga a quella dei donatisti del IV secolo, facendo dipendere la validità dei sacramenti dalla santità di colui che li conferisce. Ma andando ancora oltre, attribuirono a se stessi, a motivo della loro santità derivante dalla povertà, il diritto di conferire i sacramenti del battesimo, della cresima e dell’eucarestia, senza aver ricevuto l’ordine. Valdo pretese di esercitare tutti i poteri del sacerdote e perfino del vescovo, senza essere stato né ordinato né consacrato.


Per sottrarsi alla repressione da parte delle autorità ecclesiastiche e civili, i valdesi rinunciarono alla violenza e si stabilirono nelle vallate delle Alpi Cozie, nella zona  di Frassinere, nella Valle Argentera, nella Val Luisa, nella Valle della Dora Riparia e nell’Angrona; il loro centro preferito fu la città di Pinerolo e la zona di Torre Pellice. Alcuni gruppi sorsero anche nelle Puglie e nella Calabria. Molto più tardi, verso il 1533, adottarono le principali dottrine della Riforma protestante: giustificazione mediante la sola fede, riduzione dei sacramenti a due, interpretazione dell’eucaristia in senso calvinista, dottrina della predestinazione. Il movimento valdese finì per non essere altro che un’appendice del calvinismo. Fu questo ad attirare su di essi le repressioni legali sotto Francesco I. Essi furono allora, per ordine del Parlamento di Aix-en-Provence, le vittime di una tremenda spedizione punitiva, durante la quale vi furono migliaia di morti (le cifre variano fra 800 e 4.000 per 22 villaggi distrutti). Liberati dalle leggi piemontesi di tolleranza religiosa, nel 1848, i valdesi, dietro la spinta del generale inglese John-Charles Meckwith, si credettero chiamati a rigenerare l’Italia, distruggendo il cattolicesimo. Ma la loro “evangelizzazione dell’Italia” non ottenne il successo sperato. Attualmente, i valdesi si dividono il mondo in cinque settori: Valli Alpine; Piemonte – Lombardia – Veneto; Nizza – Liguria – Toscana – Roma; Italia del sud e Sicilia; Rio de la Plata e zone circostanti. Ma il loro numero non supera i 30.000 adepti. Molti di essi, liberatisi dai pregiudizi nei confronti della Chiesa di Roma, aderiscono fervidamente al movimento ecumenico dell’unità delle Chiese.



GLI ALBIGESI


Molto meno duratura, ma assai più pericolosa fu l’eresia degli albigesi, che prende il nome della città di Albi dove ebbe il centro più importante.


Sono anche detti catari, da una parola greca che significa ” i puri “. Questo solo nome suggerisce un’origine orientale. E così, procedendo secondo il metodo usato in paleontologia per stabilire una filiazione tra i fossili di età diverse, si è pensato di poter ricollegare l’eresia dei catari dell’Italia e della Francia al manicheismo, passando per i bogomili bulgari del IX secolo e i pauliciani asiatici del VII. E’ quindi il caso di parlare di quel manicheismo al quale rimase più o meno legato Agostino per nove anni della sua gioventù.


Il manicheismo prende il nome dal fondatore, Mani, oriundo di Babilonia e appartenente per via del padre, Patck, alla famiglia reale degli Arsacidi della Persia. Mani era nato il 14 aprile del 216. Si crede che il padre appartenesse ad una setta eucratica i cui membri già si chiamavano ” i puri ” e portavano vesti bianche. Non c’è dubbio che Mani, fin dalla giovinezza, sia stato educato nelle idee di una ansiosa ricerca della purezza, mediante la fuga della materia ritenuta la fonte di ogni male o di ogni impurità. Ma presto Mani si credette chiamato a una missione profetica. La sua dottrina si basa sul concetto di un continuo profetismo divino. Egli si identifica quindi al Paraclito e si pone per ciò stesso in una atmosfera cristiana, ma al margine del cristianesimo ortodosso. Ha attinto la propria dottrina a quattro fonti diverse: l’antica religione naturistica di Babilonia; la religione di Zarathustra o persismo; il buddismo per quanto riguarda la morale e l’ascetismo; il cristianesimo per quanto riguarda il profetismo e la teoria della salvezza, ma un cristianesimo alimentato più dagli Apocrifi che dai Vangeli autentici. In sostanza, Mani è una specie di Maometto ante litteram, un Maometto non riuscito.


Al punto di partenza: il dualismo, cioè un duplice principio eterno, quello del bene e quello del male.


Tra l’uomo primitivo che Dio aveva creato buono, e Satana principe delle tenebre, si è impegnata la lotta. E l’uomo porta le tracce della propria sconfitta; la donna ancora di più. Il dualismo è in noi, è la lotta della carne e dello spirito. Gesù rivestì un corpo apparente (docetismo) per salvare l’uomo. La salvezza consiste nel liberare le particelle di luce che sono in noi smarrite nelle tenebre del corpo. Non tutti giungono in modo uguale a questa liberazione. I discepoli perfetti di Mani sono quelli che osservano i tre sigilli; il sigillo della bocca (astinenza perpetua dal vino, dalla carne e da ogni pensiero impuro); il sigillo della mano (avversione per qualunque lavoro servile); il sigillo del ventre (continenza assoluta). Quelli che applicano tale programma sono gli eletti. I discepoli di grado inferiore sono chiamati auditori. Agostino, in gioventù, appartenne a questa categoria e non superò mai tale grado.


Si trovano idee simili sia nei priscillianisti spagnoli del V e VI secolo, sia nei vari raggruppamenti che abbiamo ricordati sopra. In Francia, il catarismo si manifesta nel XII secolo, tanto nello Champagne come nella Linguadoca e nella Provenza. Il nome di albigesi fu dato un po’ dappertutto a gruppi molto distanti da Albi. In questi eretici rimane visibile il manicheismo iniziale. Strada facendo, tuttavia, il manicheismo si è arricchito di elementi nuovi: anticlericalismo, antimilitarismo, anarchia, comunismo. La distinzione fra eletti o perfetti e semplici credenti o auditori restava alla base dell’organizzazione della setta. I perfetti praticavano un rigoroso ascetismo, che faceva profonda impressione sul basso popolo. Una nobildonna della Linguadoca raccontava di essere andata a far visita a uno di questi perfetti: ” Egli le apparve – diceva – come la più strana delle meraviglie. Da molto tempo era seduto su una sedia, immobile come un tronco d’albero e insensibile a tutto ciò che lo circondava “. Ai nostri giorni diremmo: come un fakiro indiano. I perfetti avevano orrore del matrimonio che perpetua la vita terrena, questa illusione satanica. Praticavano la continenza assoluta ed incoraggiavano i credenti a non far uso de1 matrimonio. Condannavano il giuramento e il servizio militarem ma in numerose occasioni venivano esortati allo sterminio dei cattolici. Consideravano il suicidio volontario come l’ideale della santità. Alcuni si facevano tagliare le vene per morire in un bagno, o prendevano il veleno. Ma la maniera di suicidio più diffusa consisteva nel mettersi in endura, cioè nel lasciarsi morire di fame.


Per entrare nello stato di perfezione, gli eletti ricevevano una specie di battesimo tutto spirituale – poiché l’acqua è maledetta come ogni altra materia – chiamato consolamentum. I semplici credenti non avevano altro obbligo che quello di adorare gli eletti e di nutrirli, cosicché potessero condurre, senza preoccupazioni materiali, la loro vita. Ricevevano tuttavia anch’essi il consolamentum, ma sul letto di morte, quando non vi era più alcuna possibilità di guarigione, e per evitare qualunque pericolo che riacquistassero la salute, venivano messi o si mettevano essi stessi in endura, facendo cioè lo sciopero della fame, per non perdere il frutto della loro rigenerazione.


Una simile dottrina si opponeva in modo così manifesto alla religione cristiana e all’intera società fondata su questa religione, come pure alla civiltà che il cristianesimo aveva portato, che non è da stupire se si impegnò una accesa lotta contro di essa. Da parte cattolica questa lotta fu condotta con una carità e uno zelo veramente apostolici. San Bernardo aveva predicato ripetutamente contro i catari. Il papa Innocenzo III. cinquant’anni dopo, fu spaventato per i progressi dell’eresia e sollecitò i prelati e i nobili del mezzogiorno della Francia ad unire i propri sforzi per combatterli. Mandò legati, per dirigere l’evangelizzazione dei paesi contaminati e prescrisse formalmente l’uso di mezzi pacifici: “Vi ordiniamo – scriveva ai legati. il 19-11-1206, – di scegliere nomini di provata virtù… Prendendo a modello la povertà di Cristo, vestiti dimessamente, essi andranno a trovare gli eretici e con l’esempio della loro vita come con l’insegnamento, cercheranno con la grazia di Dio, di strapparli all’errore”. Fra i più ardenti di questi apostoli cattolici troviamo, a partire dal 1206, un vescovo spagnolo, Diego de Azevedo, e uno dei suoi canonici di Osma, Domenico di Guzman che, per meglio combattere l’eresia , fonderà l’Ordine dei frati predicatori dei domenicani.


Purtroppo, nella contesa fece subito apparizione la violenza. Numerosissimi legati – ma anche semplici cattolici – erano già stati massacrati quando, il 15 gennaio 1208, il legato del papa, Pietro di Castelnau, veniva assassinato da alcuni fanatici. Il papa Innocenzo III invitò allora i nobili cristiani a una crociata contro i dissidenti. Ma era più facile scatenare i rozzi guerrieri feudali di quel tempo che mantenerli nella moderazione cristiana. Vi furono, da una parte e dall’altra, eccessi deplorevoli. La crociata fu diretta dal conte Simone di Montfort. Fra i nobili del Nord e quelli del Sud vi erano inconscie animosità, che esercitarono un notevole influsso. I crociati non desideravano che una cosa: privare gli eretici dei loro beni, per impadronirsene! La conquista di Beziers fu segnata da una sanguinosa carneficina. La battaglia di Muret del 12 settembre 1213, fu decisiva. In fin dei conti fu il regno francese a trarre vantaggio dallo sconvolgimento della proprietà feudale causato dalla tremenda guerra degli albigesi. Si deve ricollegare in gran parte alle dolorose esperienze di questa guerra l’aggravarsi della repressione dell’eresia per mezzo del tribunale della Inquisizione, creato nel 1184, nel concilio di Verona, affidato dapprima ai vescovi, fin quasi al 1233, e quindi ai delegati della Santa Sede, che furono il più delle volte domenicani. A partire dal 1224, la legge civile prescrisse la pena di morte contro gli eretici ostinati.



L’ERESIA DI WYCLEFF


Sotto forme anarchiche, le eresie dei valdesi e dei catari potevano essere considerate già come tentativi di riforma della Chiesa contaminata da tanti abusi.


Questo stesso carattere si riscontrerà in Wyclef e in Giovanni Huss, prima di rivelarsi in Lutero e negli innovatori del secolo XVI. Ma, invece di pressioni oscure venute dalle profondità del popolo, è la scienza universitaria che tenterà di procedere al rifacimento dei dogmi e alla repressione di disordini morali in seno alla Chiesa.


Wyclef o innanzitutto “un uomo di Oxford”, nasce nel castello di Wycliffe-on-Tees, nel Yorkshire, tra il 1324 e il 1328. Giunge ad Oxford nel 1345. La peste nera interrompe i suoi studi dal 1349 al 1353. Diventa allora maestro al collegio di Balliol e parroco di Fillingham, e infine dottore in teologia nel 1372. Come tanti altri, egli accumula benefici, abuso questo tra i più spiacevoli del tempo. A partire dal 1374, scrive tutta una serie di opere, che gli procurano il favore della Corona. Sarà d’ora in poi l’avvocato dei diritti dello Stato contro il Papato. Le sue opere principali sono: II Dominio divino (1375), il Dominio civile (1375), La Verità della Scrittura (1378), La Chiesa (1378), (largamente sfruttata più tardi da Giovanni Huss), L’Ordine cristiano (1379), L’Apostasia (1379), L’Eucaristia (1379), il Trialogus (autunno 1382) la più importante di tutte. Accanto a queste e ad alcune altre opere meno importanti in lingua Ialina, Wyclef pubblica anche dei tracts riformisti in inglese e favorisce una traduzione della Bibbia nella lingua nazionale. Quindi raduna dei predicatori popolari e, con il nome di ” poveri preti “, li lancia per il paese.


L’opinione pubblica soprannominò questi predicatori lollardi, che sembra significhi cantori di cantici.


Fin dal febbraio 1377 egli era stato messo sotto accusa dal vescovo Guglielmo di Courtenay, ma la Corte. l’aveva difeso. Il papa Grcgorio X invece lo condannò intimandogli di comparire dinanzi al tribunale ecclesiastico. Egli protestò contro la citazione, in nome delle libertà anglicane, e paragonò il papa all’Anticristo II nome di Wyclef e da questo punto legato a tutte le agitazioni sociali: i contadini invocano la sua autorità contro le esazioni di cui sono vittime.


Il vescovo Guglielmo di Courtenay, appoggiato questa volta dalla Corte, mise nuovamente mano alla repressione. Il Sinodo dei Blackfriars (17-21 maggio 1382 riunito a Cantorbery, condannò tutte le dottrine di Wyclef ed epurò i suoi partigiani dall’Università di Oxford. Egli si ritirò nella sua parrocchia, a Lutterworth, a sud di Leicester, dove continuò a scrivere molto fino alla morte, avvenuta il 31 dicembre 1384. Ricevette funerali religiosi, poiché non era mai stato scomunicato formalmente. Ma dopo la condanna delle sue dottrine al Concilio di Costanza, il 4 maggio 1415 il vescovo di Lincoln da cui dipendeva Lutterworth ricevette l’ordine di esumare i resti, di farli bruciare e di gettare le ceneri nel fiume. L’ordine venne eseguito solo nel 1428.


La dottrina di Wyclef e condensata nelle 45 proposizioni, tratte dai suoi scritti, che furono condannate nel concilio di Costanza, condanna ribadita da due Bolle di Martino V nel 1418. Il suo sistema è una specie di panteismo fatalista. Secondo lui, Dio è Tutto e tutto è Dio. Tutto ciò che avviene è necessario. Dio predestina gli uni al cielo, gli altri all’inferno. La Chiesa non è altro che una società invisibile dei predestinati. Non vi è altra autorità divina al di fuori di quella della Bibbia. La Chiesa romana è la sinagoga di Satana. Gli ordini religiosi sono istituzioni diaboliche. Il dogma della transustanziazione è un’eresia. Cristo è sì presente nell’eucaristia, ma insieme con il pane e il vino, che non vengono trasformati.


Una delle teorie più antisociali di Wyelcf era quella della Sovranità o del Dominio divino e civile. Questo era appunto il titolo dei suoi due primi libri. .Secondo lui Dio solo è Sovrano. Egli solo ha il dominio su tute le cose. Il re non presiede il proprio stato se non sotto l’autorità di Dio, e può esercitare il proprio potere solo se è sottomesso a Dio, vale a dire se e in stato di grazia. L’uomo in stato di peccato mortale non può esercitare né la sovranità, né il diritto di proprietà. Al contrario, l’uomo in stato di grazia è realmente in Dio sovrano di tutto l’universo. Il papato non ha alcun potere nel campo civile, né diretto né indiretto.


Tuttavia, siccome soltanto Dio conosce quelli che sono in stato di grazia, Wyclef era costretto a negare ogni efficacia pratica alle idee rivoluzionarie da lui professate in teoria. Vi era comunque in esse una forza esplosiva che spiega la ribellione dei Lollardi, duramente repressa da Enrico IV di Lancastcr a partire dal 1400, tanto che i wycleffiti, braccati senza pietà, scomparvero completamente.



GIOVANNI HUSS E GLI  HUSSITI


Uno stretto legame unisce l’eresia di Giovanni Huss a quella di Wyclef. Giovanni Huss era nato verso il 1369 a Husinecz. da famiglia contadina. Compì gli studi a Praga, e vi divenne predicatore nella cappella di Bethleem, di cui fece un centro di riformismo ecclesiastico e di patriottismo ceko.


Era un asceta: la sua eloquenza ardente, la sua vita esemplare, il suo volto grave, emaciato, pallido e austero entusiasmavano gli uditori. L’odio per lo straniero, lo zelo per la Riforma, il sincero culto del Vangelo, erano altrettanti aspetti che gli procuravano una crescente popolarità. Uno dei suoi ultimi biografi, Ernest Denis, ha potuto parlare della sua ” inflessibile umiltà”. Una umiltà che celava forse un orgoglio indomabile. La coscienza del suo zelo riformista e della sua missione politica sostituiva in lui la teologia, la filosofia e l’ortodossia. Egli non era affatto un pensatore originale. Ma le dottrine di Wyclef, importate da Oxford, attraverso alcuni studenti ceki, erano vivacemente discusse a Praga. Uno dei più accesi wycleffiti boemi era un giovane di nome Gerolamo da Praga. A cuasa del mancato appoggio alla causa nazionalista da parte della Chiesa, Giovanni Huss si lanciò con entusiasmo su questa strada. Al pari di Wyclef, ammise che la Scrittura è la sola fonte di ogni verità divina, che Cristo è il solo capo della Chiesa, che il papato non è se non una istituzione di fatto nella quale Cristo non ha avuto parte alcuna, che qualunque superiore perde la propria autorità cadendo nel peccalo mortale, che la Chiesa è formata di soli predestinati, e che ogni predestinato è infallibile. Parecchie di queste idee si riscontreranno in Lutero, il quale tuttavia non fu influenzato da Giovanni Huss nella rivoluzione religiosa che operò un secolo dopo.


Alle controversie suscitate da quanto andava predicando, venne a mischiarsi una questione di razze. Huss ottenne dal re Venceslao che la nazione ceka beneficiasse di tre voti nell’Università di Praga, mentre le altre tre nazioni – Baviera, Sassonia e Polonia – avrebbero avuto un solo voto. Si dice che 2.000 studenti e professori lasciarono immediatamente Praga e andarono a fondare l’Università di Lipsia (1409). Ma Giovanni Huss, vittorioso su questo punto, fu combattuto dal suo vescovo per le dottrine wycleffite da lui professate. Come in ogni eresia, da tempo avevano avuto inizio le violenze: i seguaci di Huss si diedero alla rapina, allo stupro, alla strage di cattolici. Pare che lo stesso Huss vi fosse implicato.


Nell’estate del 1412 una bolla pontificia lo scomunicò e lanciò l’interdetto sulla cappella in cui predicava. Huss si appellò da una parte a Cristo, ma d’altra parte – come avrebbe fallo un secolo più tardi Lutero – anche alla nobiltà e al popolo. Ritenendosi basato sulla Scrittura, poteva mettere al sicuro la sua “inflessibile umiltà” dietro la coscienza della sua infallibilità biblica. Tutti gli eresiarchi del resto avevano fatto altrettanto, e continuano a farlo tuttora. In queste condizioni, fu una vera incongruenza da parte sua il presentarsi dinanzi al concilio di Costanza. Forse sperava di convincere il Concilio! Munito d’un salvacondotto dell’imperatore Sigismondo, comparve a Costanza il 28 novembre 1414. Si dichiarò pronto a morire piuttosto che ammettere l’errore. E si può credere che fosse sincero. L’esame delle sue dottrine mostrò come esse fossero connesse con quelle di Wyclef, ch’egli aveva ricopiato talvolta alla lettera. Orbene, come abbiamo accennato sopra, le 45 proposizioni estratte dalle opere di Wyclef furono condannate, il 4 maggio 1415, come notoriamente eretiche, o erronee, sediziose e infine scandalose.


Le discussioni erano dirette da un prelato francese, Pietro d’Ailly. Giovanni Huss pretese di passare all’opposizione difendendo quelle idee di Wyclef che aveva fatte proprie. Ma la facoltà e l’ardore della parola non potevano sostituire in alcun modo l’ortodossia. I Padri furono irremovibili con Huss che si limitò infine ad appellarsi a Cristo, protestando che non si sarebbe mai riusciti a farlo cedere. I suoi scritti furono condannati alle fiamme il 24 giugno 1415. Il 6 luglio gli fu rivolta una ultima esortazione. Non gli si poté strappare una sola parola di ritrattazione. Allora fu pronunciata la sentenza: “II santo Concilio ha la prova che Giovanni rimane ostinato e incorreggibile… L’assemblea decreta quindi che il colpevole sia deposto e degradato, e che dopo essere stato scacciato dalla Chiesa sia consegnato al braccio secolare”.


E così fu fatto. Lo stesso giorno, l’infelice Giovanni fu mandato al rogo, senza che consentisse ad abiurare. Si è accusato a questo proposito l’imperatore Sigismondo di aver violato il salvacondotto che aveva concesso a Huss. L’accusa sembra si possa contestare, poiché il salvacondotto non aveva lo scopo di sottrarlo alla giustizia legale del tempo, ma di proteggerlo lungo la strada. L’amico di Giovanni Huss, Gerolamo da Praga, incolpato a sua volta, fuggì, ma fu ripreso; acconsentì dapprima a sottomettersi, poi ritrattò la sua abiura e fu condannato a morte il 30 maggio 1416, in qualità di recidivo.


Questo non bastò a placare la causa nazionalista, ormai confusa con la setta hussita: non si calcola quante stragi e assassinii l’esercito nato da Huss abbia compiuto nei decenni in cui operò.