11) L’intelligenza umana e il sensismo

L’uomo e’ intelligente. Intelligenza ed immaginazione sono diverse. La conferma del linguaggio


LEZIONE XI


L’INTELLIGENZA DELL’UOMO E IL SENSISMO



Abbiamo provato che l’anima è una sostanza, benché incompleta, in quanto destinata – come vedremo – a formare col corpo una sostanza completa che è l’uomo.

Ora vogliamo esaminare la natura dell’anima per vedere se è materiale e mortale come quella delle piante e degli animali o se invece è spirituale e immortale. Ma poiché l’anima non la vediamo, non la tocchiamo, insomma non la percepiamo coi sensi, ne segue che non la possiamo conoscere direttamente (vedi lez. VI) ma solo indirettamente, mediante le sue manifestazioni, cioè le sue operazioni. Esaminando le operazioni dell’uomo, vedremo che alcune di esse sono non materiali, bensì spirituali, e ne dedurremo la natura spirituale dell’anima dalla quale poi segue la sua immortalità.

Per procedere gradatamente, dimostreremo in questa lezione che l’uomo compie delle operazioni intellettive essenzialmente distinte dalle immagini sensitive, e nella lezione seguente dimostreremo che tali operazioni sono spirituali arrivando così alla prima conclusione: che l’anima, capace di intendere, è necessariamente spirituale.

1. L’uomo è intelligente.


Nessuno ne dubita; che l’uomo abbia pensieri in qualche modo distinti dalle immagini e dalle sensazioni, tutti lo ammettono; e la cosa è ancor più evidente se si considera la diversità degli oggetti che corrispondono alle idee e alle immagini.

Le immagini sensitive non ci presentano altro che oggetti concreti e materiali dotati di una certa mole, che occupano una certa posizione nel ed estensione nel tempo e nello spazio, e che sono capaci di impressionare gli organi dei nostri sensi. Le idee, invece, spesso ci presentano oggetti astratti e immateriali, non localizzati nel tempo e nello spazio, senza mole ed estensione. Queste idee si possono ridurre ad alcuni gruppi principali: idee di cose spirituali (di Dio, degli angeli, dell’anima, giacché anche chi nega la loro esistenza ne ha pur semprel’idea); idee di cose astratte (virtù, bontà, ecc.); idee universali (uomo, corpo, ente); idee di relazioni (causalità, priorità, uguaglianza, distinzione); infine i giudizi e i raziocini.

Tutto questo è nell’uomo e solamente nell’uomo. Per questo l’uomo si distingue dal bruto, che ha sensazioni e immagini talora in modo più perfetto dell’uomo, ma manca assolutamente di idee.

2. Intelligenza e immaginazione sono essenzialmente diverse.


Finora ci ha guidati l’esperienza comune da tutti ammessa. Ora comincia la questione: le idee sono essenzialmente diverse dalle immagini? Essenzialmente e specificamente diverse, cioè irriducibili fra loro, in modo che né per l’analisi di un’idea si possa arrivare a decomporla in elementi puramente sensitivi, né per pura combinazione o sintesi di questi si possa arrivare a formare un’idea?

A questo problema sono state date due soluzioni diametralmente opposte:

1) Il sensismo, che afferma l’idea della associazione delle immagini. Così Locke, Condillac e, tra i più recenti, Taine, Ribot, Ardigò, ecc.

2) L’intellettualismo, che afferma la distinzione specifica tra immagine e idea. Così Platone ed Aristotele, S. Agostino e S. Tommaso, gli scolastici e molti psicologi moderni, come Binet, Kulpe, ecc., che hanno abbandonato il sensismo, mossi unicamente dai risultati ottenuti nelle loro esperienze scientifiche.

3) Dimostrazione.


La conoscenza intellettiva semplice, per mezzo della quale la mente rappresenta a sé medesima un oggetto senza nulla affermare o negare di esso, ha indubbiamente una certa somiglianza con la conoscenza sensitiva. Nell’una e nell’altra si ha l’unione intenzionale del soggetto conoscente con l’oggetto conosciuto, per cui l’oggetto è rappresentativamente nel soggetto e il soggetto diviene così conoscente l’oggetto. Ma se fra conoscenza intellettiva e sensitiva, tra idea e immagine, vi è qualche somiglianza, vi è al tempo stesso una tale profonda differenza che le rende irriducibili fra loro. Lo dimostreremo considerando prima le idee di cose immateriali, poi le idee universali di cose materiali.

1. Le idee di cose immateriali non si possono ridurre alle immagini che le accompagnano. Èvero che ad ogni idea si accompagna sempre un’immagine, la quale può essere:

a) simbolica, cioè rappresentare qualche cosa di analogo: per es., all’idea di angelo corrisponde spesso l’immagine di un giovane alato, ecc.:

b) puramente verbale, cioè l’immagine della parola scritta, udita o pronunciata e nulla più, come suole avvenire a chi ha l’abitudine di pensare; le immagini simboliche a poco a poco svaniscono.

Orbene, diciamo che l’idea si distingue essenzial­mente:

a) dall’immagine simbolica. Quando, per es., par­liamo di estrarre la radice di un numero, o di cer­care la radice di una parola, chi non vede che l’idea è essenzialmente distinta dall’immagine che ci rappresenta la fantasia, come l’azione materiale di estrarre o cercare la radice di una pianta? Così quando parliamo di angeli tutti distinguono l’idea di angelo dall’immagine – che può formarsi nella loro fantasia – di un giovane alato;

b) dall’immagine verbale. Le immagini verbali variano secondo le parole, le parole variano secondo le diverse lingue, eppure le idee restano esattamente le stesse. La nozione di un teorema di geometria sarà esattamente la stessa, qualunque sia la lingua in cui lo esprimo, l’alfabeto in cui lo scrivo.

2. Le idee universali di cose materiali non si possono ridurre alle immagini che le accompagnano. Riflettiamo:

a) l’immagine presenta sempre certe qualità sensibili e concrete (per es. un tavolo con tre o quattro piedi, rotondo o quadrato, ecc.);

b) l’idea universale (per es. di tavolo) prescinde da tutto questo;


a) l’immagine presenta sempre l’oggetto in modo frammentario (per es. un lato del tavolo);

b) l’idea universale mi presenta l’essenza della cosa intera e completa;


a) le immagini sono variabili e fluttuanti secon­do i tempi, le circostanze, le persone, i tipi di immagi­nazione;

b) l’idea universale è sempre la stessa nei diversi tempi e nelle diverse persone.


3. Le idee universali di cose materiali non si possono ridurre alle immagini che le precedono, contrariamente a quanto affermato da certi autori (in particolare Taine).

Infatti dalle immagini precedenti potrebbe risultare l’idea universale;

a) per addizione o associazione, come l’immagine di un cavallo alato, o di una montagna d’oro;

b) per sottrazione o precisione, come l’immagine di uomo senza testa;

c) per addizione e sottrazione al contempo di diversi elementi, come l’immagine di un ippogrifo.

Ma il risultato di tutte queste operazioni (addizioni, sottrazioni, ecc.) sarà sempre un’immagine che presenta qualità sensibili e concrete, che presenta l’oggetto in modo frammentario, o che varia secondo i tempi e le persone. Mai, però, un’idea universale.

Né può dirsi che l’idea universale sia una «sfumatura di sensazioni» (Ardigò) per cui l’immagine nella sua oscurità ed indeterminatezza acquista una parvenza di universalità. Ma, per quanto oscura e indeterminata, l’immagine rappresenta sempre qualcosa di concreto e singolare, come abbiamo spiegato; ed inoltre avvalora la nostra tesi il fatto che l’immagine, quanto più è chiara, tanto più ci appare singolare, mentre l’idea, quanto più è chiara, tanto più ci appare universale: esse non sono dunque la stessa cosa.

La forza di questo argomento viene avvertita anche dai sensisti, alcuni dei quali, non potendo spiegare l’idea universale secondo le loro teorie, negano che esistano idee universali propriamente dette, perché se queste esistessero, non si potrebbe spiegarne la formazione. Argomento troppo debole e palesemente contrario all’esperienza.

Parecchi psicologi moderni hanno invece lealmente riconosciuto la forza dell’argomento comprovato dall’esperienza, fino ad ammettere (e questo è forse troppo) l’esistenza di idee non accompagnate da immagini. Scrive il Binet: « Si può comprendere il senso di una parola senza nulla rappresentarsi, cioè senza avere alcuna immagine. L’immagine è molto meno ricca del pensiero: il pensiero da una parte interpreta l’immagine che è spesso informe e indefinita; dall’altra è spesso in contraddizione con l’immagine. Infine, ed è questo il fatto capitale e fecondo di conseguenze per i filosofi, tutta la logica del pensiero sfugge all’immaginazione» (1). Il Woodworth, a sua volta, così si esprime sul contrasti tra l’immagine e il pensiero: ««L’immagine è spesso vaga quando il pensiero è preciso; marginale quando il pensiero è locale; inapplicabile esattamente al pensiero» (2). E il Bovet, riassumendo i risultati delle esperienze di Buhler, afferma senza alcuna esitazione: «L’esistenza del pensiero distinto dall’immagine è ormai riconosciuta» (3).

Dunque le idee sono essenzialmente e specificamente distinte dalle immagini; l’intelligenza che produce le idee è perciò una facoltà della nostra anima essenzialmente e specificamente distinta e superiore all’immaginazione.

4. Nella dimostrazione ci siamo limitati ad un confronto fra le idee e le immagini. Ma, come osserva il Binet nel testo citato, l’essenziale differenza fra conoscenza intellettiva e sensitiva appare ancora più evidente se dalle idee si passa a considerare i giudizi e i ragionamenti. I quali implicano, oltre alle idee universali, la percezione e l’affermazione di rapporti fra le idee e i giudizi che non trovano corrispondenza nelle immagini, e hanno spesso caratteri di universalità, necessità, immutabilità, che contrastano con il contenuto della conoscenza sensitiva, la quale è invece sempre singolare, contingente e mutabile.

Inoltre, in virtù dell’intelligenza, noi abbiamo il potere di riflettere, cioè di ripiegarci completamente su noi stessi e sui nostri atti, il che non è possibile alla facoltà sensitiva. Per questo motivo l’animale, se pur è capace di una parziale riflessione che gli permette di agire per mezzo di una facoltà sull’altra e di percepire confusamente le proprie sensazioni, manca di quella riflessione totale che implica la percezione distinta e perfetta di ciò che avviene nella sfera della coscienza. Questa vita intellettiva per cui l’uomo pensa, giudica, ragiona, riflette ed ha coscienza di sé, costituisce la sua grandezza nell’ordine naturale che lo eleva e sublima al di sopra di tutto l’universo materiale e sensibile. Diceva bene Pascal:«L’uomo non è che una canna; ma una canna pensante (…) e quand’anche l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe sempre più nobile di chi lo uccide, perchè sa di morire, mentre l’universo ignora totalmente il vantaggio che ha sopra di lui» (Pensées).

4. La conferma del linguaggio.


L’uomo e solo l’uomo parla. L’animale geme, gioisce, grida, schiamazza, ma non parla. Perchè?

Non perchè manchi l’organo della fonazione, giacché anzi in qualche animale si riscontra l’apparato fonetico richiesto per la voce articolata. «Insigni anatomisti hanno dimostrato che la conformazione anatomica degli organi vocali dell’uomo non presenta, riguardo a quella degli antropoidi, particolarità notabili; e vi sono nella fonetica dello scimpanzé, tanti elementi del linguaggio umano che non si può attribuire a difetto dello strumento l’assenza della funzione verbale» (4).

L’animale non parla perché non ha nulla da dire e non ha nulla da dire perché gli mancano le idee da esprimere, mancano i giudizi che colleghino e confrontino le idee, mancano i ragionamenti che deducano i giudizi gli uni dagli altri e le conclusioni dalle premesse. Così, mentre il bimbo, anche primitivo, anche selvaggio, anche lontano dall’educazione civile, in pochi anni impara a manifestare ai suoi simili le proprie idee, i più evoluti scimpanzé dopo millenni di esistenza sul globo, non hanno ancora trovato il modo di pronunciare la prima parola. Si dice che Michelangelo, giunto al termine dei suo capolavoro, trasecolato egli stesso dinanzi all’opera delle sue mani, quasi non credendo ai propri occhi, in un impeto di passione artistica gli abbia lanciato contro il martello col quale l’aveva rifinito, gridando:«Parla!».

Il grido del sommo scultore è pienamente giustificato: la maestosità della persona, l’esattezza anatomica delle membra, l’espressione del volto e soprattutto il lampeggiare degli occhi; tutto nel Mosé fa dimenticare la vera realtà. Quello non può essere un freddo marmo, quello è un uomo! E se è un uomo egli deve parlare!

È vero: la parola è l’espressione genuina, caratteristica e inconfondibile della vita intellettuale dell’essere umano e ci attesta l’essenziale diversità di questa dalla vita sensitiva comune del bruto.