Compendio di Teologia Ascetica e Mistica (796-817)

Di Adolfo Tanquerey. Parte seconda. Le Tre Vie. LIBRO I. La purificazione dell’anima o la via purgativa. CAPITOLO III. La Mortificazione. III. Del buon uso delle passioni. 1° Principii psicologici da applicare. 2° In che modo combattere le passioni sregolate. 3° In che modo volgere la passioni al bene. 4° In che modo moderar le passioni. § IV. Della mortificazione delle facoltà superiori. I. Mortificazione o disciplina dell’intelletto. II. Mortificazione o educazione della volontà.

III. Del buon uso delle passioni.

Richiamati i
principii psicologici utili al nostro intento, indicheremo il
modo di resistere alle passioni cattive, il
modo di volgere le passioni al bene, e il
modo di regolarle.


PRINCIPII PSICOLOGICI DA APPLICARE 796-1.

796.   A padroneggiar le passioni, è
necessario prima di tutto fare assegnamento sulla grazia di Dio e quindi sulla
preghiera e sui sacramenti, ma bisogna adoprar pure una tattica speciale,
fondata sulla psicologia.

a) Ogni idea tende a provocar l’atto che le corrisponde, massime se è
accompagnata da vive emozioni e da forti convinzioni.

Così il pensare al diletto sensibile, rappresentandoselo vivamente con la
fantasia, eccita un desidero e spesso un atto sensuale; il pensare invece a
nobili azioni, rappresentandosi i lieti effetti che producono, eccita il
desiderio di fare atti simili. Il che è specialmente vero dell’idea che non
resta astratta, fredda, incolore, ma che, essendo accompagnata da immagini
sensibili, diventa concreta, vivente e quindi efficace; in questo senso si può
dir che l’idea è forza, è avviamento iniziale, è principio d’azione. Chi
dunque voglia padroneggiar le passioni cattive, deve premurosamente allontanare
ogni pensiero, ogni immaginazione che rappresenti il cattivo diletto come
attraente; chi poi vuole coltivar le passioni buone o i buoni sentimenti, deve
fomentare in sè pensieri e immagini che mostrino il lato bello del dovere e
della virtù, rendendo coteste riflessioni più concrete e più vive che sia
possibile.

797.   b)
L’influsso d’una idea dura finchè non sia cancellato da un’idea più forte che la
soppianti; così un desiderio sensuale continua a farsi sentire finchè non sia
cacciato da più nobile pensiero che s’impadronisca dell’anima. Chi dunque se ne
voglia liberare, deve, con lettura o studio interessante, darsi a pensieri
totalmente diversi od opposti; chi invece voglia intensificare un buon
desiderio, lo continui meditando su ciò che può alimentarlo.

c) Cresce l’influsso d’un idea se le si associano altre idee connesse
che l’arricchiscono e l’amplificano; così il pensiero e il desiderio di salvarsi
l’anima diventa più intenso e più efficace associandolo all’idea di lavorare a
salvare l’anima dei fratelli, come ne è esempio S. Francesco Saverio.

798.   d) Finalmente l’idea
tocca la massima sua potenza, quando diventa abituale, predominante, una
specie di idea fissa che ispira tutti i pensieri e tutte le azioni. È
quello che avviene, nel campo naturale, in coloro che non hanno che un’idea, per
esempio quella di fare la tale o tal altra scoperta; e nel campo soprannaturale,
in coloro che si compenetrano talmente di una massima evangelica da farne la
regola della vita, per esempio: Vendi tutto e dallo ai poveri; oppure: Che giova
all’uomo guadagnar anche l’universo, se poi perde l’anima? O ancora: La mia vita
è Cristo.

Bisogna quindi mirare a piantarsi profondamente nell’anima alcune idee
direttrici,
attraenti, predominanti, poi ridurle a unità con un
motto, una massima che le incarni e le tenga continuamente presenti alla
mente, per esempio: Deus meus et omnia! Ad majorem Dei gloriam! Dio solo
basta! Chi ha Gesù ha tutto! Esse cum Jesù dulcis paradisus!
Con motti
simili sarà più facile trionfar delle cattive passioni e trar partito dalle
buone.

2° IN
CHE MODO COMBATTERE LE PASSIONI SREGOLATE.

799.   Appena ci accorgiamo che sorge
nell’anima un moto disordinato, bisogna porre in opera tutti i mezzi naturali e
soprannaturali per infrenarlo e dominarlo.

a) Bisogna subito servirsi del potere d’inibizione della
volontà, aiutata dalla grazia, per infrenar questo moto.

Schivar quindi gli atti o i gesti
esterni che non fanno che stimolare o intensificar la passione: se uno si
sente assalito dalla collera, si evitano i gesti disordinati, gli scoppi di
voce, e si tace finchè non sia tornata la calma; se si tratta di affetto troppo
vivo, si scansa la persona amata, si evita di parlarle e soprattutto di
esprimerle anche in modo indiretto l’affetto che le si porta. Così a poco a poco
la passione si smorza.

800.   b) Anzi, trattandosi
specialmente di passione di godimento, bisogna sforzarsi di dimenticare
l’oggetto di questa passione.

Per riuscirvi: 1) si applica fortemente la fantasia e la mente a
qualsiasi occupazione onesta che possa distrarci dall’oggetto amato: si cerca di
immergersi nello studio, nella soluzione d’un problema, nel giuoco, in
passeggiate con compagni, in conversazioni, ecc. 2) Quando si comincia a
sentire un poco di calma, si ricorre a considerazioni d’ordine morale che armino
la volontà contro gli allettamenti del piacere: considerazioni naturali,
come gl’inconvenienti, pel presente e per l’avvenire, di una pericolosa
intimità, d’un’amicizia troppo sensibile (n. 603);
ma principalmente a considerazioni d’ordine soprannaturale, come l’impossibilità
di avanzar nella perfezione finchè si serbino attacchi, le catene che uno si
fabbrica, il pericolo di dannarsi, lo scandalo che si può dare, ecc.

Se si tratta di passioni combattive, come la collera, l’odio, si fugge
un momento per diminuire la passione, ma poi si può spesso prendere l’offensiva,
porsi di fronte alla difficoltà, convincersi con la ragione e specialmente con
la fede che l’abbandonarsi alla collera e all’odio è indegno d’un uomo e d’un
cristiano; che il restar calmi e padroni di sè è la più nobile e la più
onorevole cosa e la più conforme al Vangelo.

801.   c) Finalmente si
cercherà di fare atti positivi contrarii alla passione.

Chi prova antipatia per una persona, la tratterà come se ne volesse guadagnar
la simpatia, si studierà di renderle servizio, di essere gentile con lei, e
soprattutto di pregar per lei; nulla addolcisce il cuore quanto la sincera
preghiera pel nemico. Chi sente invece eccessiva affezione per una persona, ne
schivi la compagnia, o, se non può, le dimostri quella fredda cortesia, quella
specie d’indifferenza che si ha per lo comune degli uomini. Questi atti
contrarii finiscono con l’affievolire e dileguar la passione, massime se si
sanno coltivar le passioni buone.

3° IN
CHE MODO VOLGERE LE PASSIONI AL BENE.

802.   Abbiamo detto che le passioni
non sono in sè cattive; onde possono essere volte al bene, tutte senza
eccezione.

a) L’amore e la gioia si possono volgere ai puri e
legittimi affetti della famiglia, a buone e soprannaturali amicizie, ma
soprattutto a Nostro Signore che è il più tenero, il più generoso, il più devoto
degli amici. A lui dunque convien volgere il cuore, leggendo, meditando e
mettendo in pratica quei due bei capitoli dell’Imitazione, che rapirono e
rapiscono ancora tante anime, De amore Jesu super omnia, De familiari
amicitiâ Jesu
 802-1.

b) L’odio e l’avversione si volgono al peccato, al vizio
e a tutto ciò che vi conduce, per detestarlo e fuggirlo:
“Iniquitatem odio habui” 802-2.

c) Il desiderio si trasforma in legittima ambizione, nella
naturale ambizione d’onorar la famiglia e la patria, nell’ambizione
soprannaturale di diventar santo ed apostolo.

d) La tristezza, in cambio di degenerare in malinconia, passa
in dolce rassegnazione dinnanzi alle prove che sono per il cristiano seme
di gloria; oppure in tenera compassione a Gesù paziente ed offeso o alle
anime afflitte.

e) L’umana speranza diventa speranza cristiana, incrollabile
confidenza in Dio, che ci moltiplica le forze per il bene.

f) La disperazione si trasforma in giusta diffidenza di sè,
fondata sulla propria impotenza e sui propri peccati ma temperata dalla
confidenza in Dio.

g) Il timore, invece di essere deprimente sentimenti che fiacca
l’anima, è pel cristiano fonte di energia: teme il peccato e l’inferno, santo
timore che lo arma di coraggio contro il male; teme soprattutto Dio, premuroso
di non offenderlo, e sprezza l’umano rispetto.

h) La collera, in cambio di toglierci la padronanza di noi
stessi, si fa giusto e santo sdegno che ci rende più forti contro il
male.

i) L’audacia diventa intrepidezza di fronte alle
difficoltà e ai pericoli: quanto più una cosa è difficile tanto più ci par degna
dei nostri sforzi.

803.   Per giungere a tanto non c’è di
meglio della meditazione, accompagnata da pii affetti e da generose
risoluzioni. Colla meditazione uno si forma un ideale e profonde
convinzioni per accostarvisi ogni giorno più. Si tratta infatti di
eccitare e nutrir nell’anima idee e sentimenti conformi alle virtù
che si vogliono praticare, e allontanare invece immagini e impressioni conformi
ai vizi che si vogliono evitare. Ora nulla di meglio a questo santo fine che
meditare ogni giorno nel modo da noi indicato al n. 679
e ss; in questo intimo colloquio con Dio, bontà infinita e infinita verità,
la virtù diventa ogni giorno più amabile, il vizio ogni giorno più odioso, e la
volontà, invigorita da queste convinzioni, volge al bene le passioni in cambio
di lascarsene trascinare al male.

4° IN
CHE MODO MODERAR LE PASSIONI.

804.   a) Anche quando le
passioni sono volte al bene, bisogna saperle moderare, assoggettandole
alla direzione della ragione e della volontà guidate dalla fede e dalla grazia.
Altrimenti andrebbero talora ad eccessi essendo per natura troppo
impetuose.

Così il desiderio di pregar con fervore può diventare tensione di mente,
l’amore a Gesù può riuscire a sforzi di sensibilità che logorano l’anima e il
corpo: lo zelo intempestivo diviene strapazzo, lo sdegno passa in collera, e
l’allegrezza degenera in dissipazione. A questi eccessi siamo esposti oggi
specialmente che la febbrile attività diviene contagiosa. Ora questi moti
ardenti, anche quando sono rivolti al bene, stancano e logorano l’anima e il
corpo; e poi non possono durare a lungo, nil violentum durat; eppure ciò
chè più giova è la continuità nello sforzo.

805.   b) Bisogna quindi
sottoporsi a un savio direttore che regoli la nostra operosità e seguirne i
consigli.

1) Abitualmente nel coltivare i desideri e passioni conviene usare una
certa moderazione, una dolce tranquillità, schivando la costante tensione; si
ricordi il proverbio: chi va piano va sano e va lontano, e si bandisca quindi
l’eccessiva premura che logora le forze; la povera macchina umana non può stare
costantemente sotto pressione, altrimenti scoppia.

2) Prima di un grande sforzo, o dopo un considerevole dispendio di energia,
prudenza vuole che si interponga una certa calma, un certo riposo alle ambizioni
anche più legittime, allo zelo anche più ardente e più puro. Ce ne diè esempio
Nostro Signore stesso, con l’invitare di tanto in tanto i discepoli al riposo:
“Venite seorsum in desertum locum et requiescite
pusillum”
 805-1.

Dirette così e moderate, le passioni non solo non saranno
ostacolo alla perfezione, ma riusciranno anzi mezzi efficaci per accostarvici
ogni giorno più, e la vittoria riportatane ci aiuterà a disciplinar meglio le
facoltà superiori.

§ IV. Della mortificazione delle facoltà
superiori.


Le facoltà superiori, che costituiscono l’uomo in quanto uomo, sono
l’intelletto e la volontà, le quali hanno anch’esse bisogno di
essere disciplinate, perchè furono anch’esse intaccate dal peccato originale, n. 75.

I. Mortificazione o disciplina
dell’intelletto.


806.   L’intelletto ci fu dato per
conoscere la verità e soprattutto Dio e le cose divine. Dio è il vero sole della
mente, che c’illumina con doppia luce, la luce della ragione e quella
della fede. Nello stato presente non possiamo pervenire all’intiera
verità senza il concorso di questi due lumi, e chi l’uno o l’altro rifiuti,
volontariamente si accieca. E tanto più importante è la disciplina
dell’intelletto in quanto che è lui che illumina la volontà e le rende possibile
il volgersi al bene; lui che, sotto nome di coscienza, è regola della
vita morale e soprannaturale. Ma perchè ciò avvenga, bisogna mortificarne le
principali tendenze difettose, che sono: l’ignoranza, la curiosità, la
precipitazione, l’orgoglio e l’ostinazione.

807.   1° L’ignoranza si
combatte con l’applicazione metodica e costante allo studio, e specialmente allo
studio di tutto ciò che si riferisce a Dio, ultimo nostro fine, e ai mezzi di
conseguirlo. Sarebbe infatti irragionevole occuparsi di tutte le scienze
trascurando quella dell’eterna salute.

Ognuno deve certamente studiar fra le umane scienze quelle che si riferiscono
ai doveri del suo stato; ma dovere primordiale essendo quello di conoscere Dio
per amarlo, il trascurar questo studio sarebbe cosa inescusabile. Eppure quanti
cristiani, istruitissimi in questo o quel ramo di scienza, non hanno poi che una
rudimentale conoscenza delle verità cristiane, dei dommi, della morale e
dell’ascetica! Oggi vi è un certo risveglio nelle persone colte, vi sono circoli
di cultura in cui si studiano col più vivo interesse tutte le questioni
religiose, compresa la spiritualità 807-1. Ne sia benedetto Dio, e che un tal
movimento si allarghi sempre più!

808.   2° La
curiosità è una malattia della mente che non fa che accrescerne
l’ignoranza: ci porta infatti con eccessivo ardore alle cognizioni che ci
piacciono anzichè a quelle che ci sono utili, facendoci così perdere un tempo
prezioso. Ed è spesso accompagnata dalla fretta e dalla
precipitazione, che c’ingolfano in studi che sollecitano la curiosità, a
detrimento di altri assai più importanti.

Per trionfarne, è necessario: 1) studiare in primo luogo non ciò che
piace ma ciò che è utile, massime poi ciò che è necessario: “id prius quod
est magis necessarium”,
dice San Bernardo, non occupandosi del resto che a
modo di ricreazione. Non si deve quindi leggere che parcamente ciò che
alimenta più la fantasia che l’intelletto, come la maggior parte dei romanzi, o
ciò che riguarda le notizie e i rumori del mondo, come i giornali e certe
riviste. 2) Nelle letture bisogna schivare la fretta eccessiva, non voler
divorare in pochi momenti un volume intero. Anche quando si tratti di
buone letture, convien farle lentamente, per meglio capire e gustare ciò che si
legge (n. 582).
3) Or ciò riuscirà anche più facile, chi studi non per curiosità, non per
compiacersi della propria scienza, ma per motivo soprannaturale, per edificare
sè ed il prossimo: “ut ædificent, et caritas est… ut aedificentur, et
prudentia est”
 808-1. Perchè, come giustamente dice
S. Agostino 808-2, la scienza dev’essere messa a servizio
della carità: “Sic adhibeatur scientia tanquam machina quædam per quam
structura caritatis assurgat”
. Il che è vero anche nello studio delle
questioni di spiritualità; ci sono infatti di quelli che, in questi studi,
mirano piuttosto ad appagar la curiosità e la superbia anzichè a purificare il
cuore e a praticar la mortificazione 808-3.

809.   3° L’orgoglio dev’essere
dunque evitato, quell’orgoglio della mente che è più pericoloso e più
difficile a guarire dell’orgoglio della volontà, come dice lo
Scupoli 809-1.

È quest’orgoglio che rende difficile la fede e l’obbedienza ai superiori: si
vorrebbe bastare a sè stessi, tanta è la fiducia che si ha nella propria
ragione, e si stenta a ricevere gli insegnamenti della fede, o almeno si vuole
sottoporli alla critica e all’interpretazione della ragione; così pure si ha
tanta fiducia nel proprio giudizio, che rincresce consultare gli altri e
specialmente i superiori. Ne nascono dolorose imprudenze; ne viene
un’ostinazione nelle proprie idee che ci fa recisamente condannar le opinioni
non conformi alle nostre. Ecco una delle cause più frequenti di quelle discordie
che si notano tra cristiani, e talora pure tra autori cattolici. Già fin dai
suoi tempo S. Agostino 809-2 rilevava queste sciagurate divisioni che
distruggono la pace, la concordia e la carità: “sunt unitatis divisores,
inimici pacis, caritatis expertes, vanitate tumentes, placentes sibi et magni in
oculis suis”
.

810.   Per guarir
quest’orgoglio della mente: 1) bisogna innanzi tutto sottomettere, con
docilità di fanciullo, agl’insegnamenti della fede: è lecito certo il cercar
quell’intelligenza dei dommi che si acquista con la paziente e laboriosa
indagine, giovandosi degli studi dei Padri e dei Dottori, principalmente di
S. Agostino e di S. Tommaso; ma bisogna, come dice il Concilio
Vaticano 810-1, farlo con pietà e sobrietà, ispirandosi
alla massima di S. Anselmo: fides quærens intellectum. Si schiva
allora quello spirito d’ipercritica che col pretesto di spiegarli attenua
e riduce al minimo i dommi; allora si sottomette il giudizio non solo alle
verità di fede ma anche alle direzioni pontificie; allora, nelle questioni
liberamente discusse, si lascia agli altri la libertà che si desidera per sè, e
non si trattano con altura e disdegno le opinioni altrui. Così entra la pace
negli animi.

2) Nelle discussioni non bisogna cercar la soddisfazione dell’orgoglio e il
trionfo delle proprie idee, ma la verità. È raro che nelle opinioni degli
avversari non ci sia una parte di verità che ci era fin allora sfuggita:
l’ascoltar con attenzione e imparzialità le ragioni degli avversari e concedere
quanto è di giusto nelle loro osservazioni, è pur sempre il mezzo migliore per
accostarsi alla verità, e serbare le leggi dell’umiltà e della carità.

Diremo dunque riepilogando che per disciplinare
l’intelligenza bisogna studiare ciò che è più necessario, e farlo con metodo,
costanza e spirito soprannaturale, vale a dire col desiderio di conoscere, amare
e praticar la verità.

II. Mortificazione o educazione della
volontà.


811.   1° Necessità. La volontà
è nell’uomo la facoltà sovrana, la regina di tutte le facoltà, quella che le
governa; è lei che, essendo libera, dà non solo agli atti propri (o
eliciti) ma anche agli atti delle altre facoltà da lei comandati (atti
imperati), la loro libertà, il merito o il demerito. Chi dunque regola la
volontà regola tutto l’uomo. Ora la volontà è ben regolata quando è così
forte da comandare alle facoltà inferiori e così docile da
ubbidire a Dio: tal è il doppio suo ufficio.

Difficile l’uno e l’altro; perchè spesso le facoltà inferiori si rivoltano
contro le volontà e non ne accettano l’impero se non quando sa alla fermezza
associare riguardosa destrezza: la volontà infatti non ha potere assoluto
sulle facoltà sensibili, ma una specie di potere morale, potere di
persuasione per indurle a sottomettersi (n. 56).

Quindi solo con difficoltà e con sforzi spesso ripetuti si
giunge a sottomettere alla volontà le facoltà sensibili e la passioni. Costa
pure la perfetta sottomissione della volontà propria a quella di Dio: aspiriamo
a una certa autonomia, e poichè la divina volontà non può santificarci senza
chiederci sacrifici, noi spesso indietreggiamo dinanzi allo sforzo, e preferiamo
i nostri gusti e i nostri capricci alla santa volontà di Dio. Anche qui dunque è
uopo di mortificazione.

812.   2° Mezzi pratici. Per
ben educar la volontà, bisogna renderla così docile da obbedire a Dio in
ogni cosa, e così forte da comandare al corpo e alla sensibilità. Per
ottener questo scopo è necessario allontanare gli ostacoli e adoprare
mezzi positivi.

A) I principali ostacoli: ainterni sono:
1) l’irriflessione: non si riflette prima di operare e si segue
l’impulso del momento, la passione, l’abitudine, il capriccio; quindi
riflettere prima di operare, chiedendoci che cosa vuole Dio da noi;
2) la premura febbrile che, producendo una tensione troppo forte e
mal diretta, logora il corpo e l’anima senza alcun pro, e spesso ci fa deviare
verso il male; quindi calma e moderazione anche nel bene, se si
vuol fuoco che duri e non fuoco di paglia; 3) la noncuranza o
l’irresolutezza, la pigrizia, il difetto di energia morale che intorpidisce o
rende inerti le forze della volontà; quindi fortificare le proprie convinzioni e
le proprie energie, come diremo; 4) la paura della cattiva riuscita
o il difetto di confidenza, che scema in modo singolare le forze; bisogna invece
rammentare che con l’aiuto di Dio si è sicuri di riuscire a buon fine.

813.   b) Agli ostacoli interni
se ne vengono ad aggiungere altri esterni: 1) il rispetto
umano,
che ci rende schiavi degli altri, facendocene paventar le critiche o
gli scherni; si combatte pensando che è il sempre sapiente giudizio di Dio
quello che conta e non quello degli uomini sempre fallibile: 2) i
cattivi esempi, che ci trascinano tanto più facilmente in quanto che
corrispondono a una propensione dell’umana natura; ricordarsi allora che il solo
modello da imitare è Gesù, nostro Maestro e Capo nostro, n. 136 ss.,
e che il cristiano deve far tutto il contrario di ciò che fa il mondo, n. 214.

814.   B) I
mezzi positivi
consistono nel saper armonicamente conciliare il lavoro
dell’intelligenza, della volontà e della grazia.

a) All’intelligenza spetta il fornire quelle profonde
convinzioni che saranno insieme guida e stimolo per la volontà.

Sono le convinzioni atte a muovere la volontà onde scegla ciò che è conforme
alla volontà di Dio. Si possono compendiare così: il mio fine è Dio e Gesù è la
via che devo seguire per giungere a lui; devo quindi far tutto per Dio in unione
con Gesù Cristo; un solo ostacolo si oppone al mio fine ed è il peccato; devo
quindi fuggirlo; e se ebbi la disgrazia di commetterlo, devo ripararlo subito;
un solo mezzo è necessario e basta a schivare il peccato: far sempre la volontà
di Dio; devo quindi continuamente mirare a conoscerla e a conformarvi la mia
condotta. Per riuscirvi, ripeterò spesso la parola di S. Paolo nel momento
della conversione, Domine, quid me vis facere? 814-1 E la sera nell’esame deplorerò le minime
mie mancanze.

815.   b) Tali convinzioni
opereranno potentemente sulla volontà, che da parte sua dovrà agire con
risolutezza, fermezza e costanza. 1) Ci vuole
risolutezza: quando si è riflettuto e pregato secondo l’importanza
dell’azione che si sta per fare, bisogna immediatamente risolversi non ostante
le esitazioni che potrebbero persistere: è troppo breve la vita da perdere un
tempo notevole a fare troppo lunghe deliberazioni: bisogna risolversi per ciò
che pare più conforme alla divina volontà, e Dio, che vede la buona
disposizione, benedirà la nostra azione. 2) La risoluzione dev’essere
ferma; non basta dire: vorrei, desidero; queste sono
velleità. Bisogna dire: voglio e voglio ad ogni costo; e
mettersi subito all’opera, senza aspettare il domani, senza aspettare le grandi
occasioni: la fermezza nelle piccole azioni assicura la fedeltà nelle grandi.
3) Fermezza, non però violenza: fermezza calma perchè vuole durare,
e a renderla costante si rinnoveranno spesso gli sforzi senza lasciarsi
mai scoraggiare dalla cattiva riuscita: si è infatti vinti solo quando si
abbandona la lotta: non ostante qualche debolezza e anche qualche ferita, uno
deve considerarsi vittorioso, perchè, appoggiati su Dio, si è veramente
invincibili. Chi avesse avuto la disgrazia di soccombere un istante, si rialzi
subito: col divin medico delle anime non c’è ferita, non c’è malattia che non si
possa curare.

816.   c) Sulla grazia di Dio
bisogna dunque in fin dei conti saper fare assegnamento; chiedendola con umiltà
e confidenza, non ci sarà mai negata, e con lei siamo invincibili. Dobbiamo
quindi rinnovar di frequente le nostre convinzioni sulla assoluta necessità
della grazia, massime al principio di ogni azione importante; chiederla con
insistenza in unione con Nostro Signore, per essere sicuri di ogni azione
importante; chiederla con insistenza in unione con Nostro Signore, per essere
sicuri di ottenerla; rammentarci che Gesù non è soltanto il nostro
modello ma anche il nostro collaboratore, e appoggiarci con
fiducia su lui, sicuri che in lui possiamo intraprendere tutto e tutto
effettuare nel campo dell’eterna salute: “Omnia possum in eo qui me
confortat”
 816-1. Così la nostra volontà sarà forte,
perchè parteciperà alla forza stessa di Dio: Dominus fortitudo mea; sarà
libera, perchè la vera libertà non consiste nell’abbandonarsi alle passioni che
ci tiranneggiano ma nell’assicurare il trionfo della ragione e della volontà
sull’istinto e sulla sensualità.

817.   Conclusione. Così si
otterrà lo scopo che abbiamo assegnato alla mortificazione: assoggettare i sensi
e le facoltà inferiori alla volontà e questa a Dio.

Onde potremo più agevolmente combattere ed estirpare i sette vizi o
peccati capitali.

NOTE

796-1 A. Eymieu: Il Governo
di sè,
t. I, 3° Principio.

802-1 Lib. II, c. VII, VIII.

802-2 Ps. CXVIII, 163.

805-1 Marc., VI, 31.

807-1 Additiamo in particolare le
riunioni degli studenti delle Scuole Superiori, in cui si studia la Teologia; il
movimento della Revue des Jeunes, e i circoli di studi fondati dalla
rivista L’Evangile dans la vie, per studiare la spiritualità. Anche in
Italia possiamo rilevare questo consolante risveglio nelle numerose Scuole di
religione
fondate in quasi tutte le città; fra le Riviste di questo genere,
merita particolare raccomandazione la Rivista dei Giovani diretta dal
Salesiano Professor Dott. Don Antonio Coiazzi, Torino. Pietà Cristana,
periodico mensile di cultura e pratica religiosa, edito dalla Libreria del
S. Cuore, Torino; e le varie Riviste della Società Editrice “Vita e
Pensiero”, Milano.

808-1 S. Bernardo, In
Cant., sermo
XXXVI, n. 3.

808-2 Epist. LV., C. 22, n.
39, P. L., XXXIII, 223.

808-3 Scupoli, Combat.
spirit.,
c. IX, n. 8.

809-1 Loc. cit., n. 10.

809-2 Sermo III Paschæ, n. 4.

810-1 Denzing., n. 1796.

814-1 Atti, IX, 6.

816-1 Philip. IV, 13.

Quest’edizione digitale preparata da Martin Guy <martinwguy@yahoo.it>.

Ultima revisione: 31 gennaio 2006.