Compendio di Teologia Ascetica e Mistica (643-663)

Di Adolfo Tanquerey. Parte seconda. Le Tre Vie. LIBRO I. La purificazione dell’anima o la via purgativa. CAPITOLO I. La preghiera degl’incipienti. Art. I. Necessità e condizioni della preghiera. § I. Necessità della preghiera. § II. Condizioni essenziali della preghiera. Le condizioni richieste dalla preghiera: 1° da parte dell’oggetto; 2° da parte di chi prega. Art. II. Degli esercizi di pietà degli incipienti.

La preghiera degl’incipienti 643-1.

643.   Abbiamo già esposto (n. 499-521)
la natura e l’efficacia della preghiera. Richiamate coteste
nozioni agli incipienti, converrà: 1° inculcar loro la necessità e
le condizioni della preghiera; 2° formarli a poco a poco agli
esercizi spirituali che fanno per loro; 3° insegnar loro a
meditare.


  • Art. I.
    — Della preghiera in generale


    • Necessità.

    • Condizioni.



  • Art. II.
    — Dei principali esercizi spirituali.

  • Art. III.
    — Della meditazione


    • Nozioni
      generali.

    • Vantaggi
      e necessità.

    • Della
      meditazione degl’incipienti.

    • Metodi
      principali.




ART. I. NECESSITÀ E
CONDIZIONI DELLA PREGHIERA.

§ I. Necessità della preghiera.

644.   Quanto dicemmo del doppio fine
della preghiera, adorazione e domanda (n. 503-509),
ce ne mostra molto bene la necessità. È infatti evidente che, come creature e
come cristiani, siamo obbligati a glorificar Dio con l’adorazione, la
riconoscenza e l’amore; e che, come peccatori, dobbiamo offrirgli i nostri
doveri di riparazione (n. 506).
Qui però si tratta principalmente della preghiera come domanda, e della
sua necessità assoluta come mezzo di salute e di perfezione.

645.   La necessità della preghiera è
fondata sulla necessità della grazia attuale. È di fede che, senza questa
grazia, siamo nell’impotenza assoluta di salvarci, tanto più poi di giungere
alla perfezione, n. 126.
Da per noi, per quanto buon uso facciamo della libertà, non possiamo nè
positivamente disporci alla conversione, nè perseverare nel bene per un tempo
notevole, specialmente poi perseverare sino alla morte: “Senza di me, dice Gesù
ai suoi discepoli, voi non potete far nulla; non potete avere neppure un buon
pensiero, aggiunge S. Paolo, perchè è Dio che opera in noi il volere e il
fare: “Sine me nihil potestis facere… non quod sufficientis simus cogitare
aliquid a nobis quasi ex nobis… operatur in vobis et velle et
perficere”
 645-1.

Ora, lasciando la prima grazia che ci è largita gratuitamente senza preghiera
come quella che è il principio stesso della preghiera, è inconcussa verità che
la preghiera è il mezzo normale, efficace e universale per
cui Dio vuole che otteniamo tutte le grazie attuali. Ecco perchè Nostro Signore
inculca sì spesso la necessità della preghiera per ottenere la grazie:
“Chiedete, egli dice, e otterrete, cercate e troverete, picchiate e vi sarà
aperto; perchè chi chiede riceve, chi cerca trova, e si apre a chi
bussa 645-2. È come se dicesse, aggiungono quasi
tutti i commentatori: se non chiedete non riceverete nulla, se non cercate non
troverete nulla. Questa necessità della preghiera Gesù la richiama sopratutto
quando si tratta di resistere alla tentazione: “vigilate et orate ut non
intretis in tentationem: spiritus quidem promptus est, caro autem
infirma”
 645-3. S. Tommaso ne conchiude che ogni
fiducia non fondata sulla preghiera è presuntuosa, perchè Dio, il quale non è
per giustizia obbligato a darci la sua grazia, non ha promesso di darcela se non
dipendentemente dalla preghiera. Egli conosce certamente i nostri bisogni
spirituali senza che noi glieli esponiamo; ma pure vuole che le nostre preghiere
siano la molla che muove la sua misericordia, affinchè lo riconosciamo come
autore dei beni che ci concede 645-4.

646.   Così l’intese la
Tradizione. Il concilio di Trento, facendo sua la dottrina di
S. Agostino, dice che Dio nulla comanda d’impossibile, perchè comanda di
fare ciò che possiamo e di chiedere ciò che non possiamo e con la grazia sua ci
aiuta a chiederlo 646-1; suppone quindi chiaramente che vi sono
cose impossibili senza la preghiera; ed è appunto la conclusione che ne trae il
Catechismo romano: “la preghiera ci fu data come strumento necessario per
ottenere ciò che desideriamo; vi sono infatti cose che possiamo ottenere solo
col suo aiuto 646-2.

647.   Avviso al direttore. È
cosa assai importante insistere su questa verità per gl’incipienti; perchè
molti, imbevuti senza pur saperlo di pelagianismo o di semipelagianismo,
s’immaginano di potere con la volontà e con l’energia arrivare a tutto. È vero
che l’esperienza viene presto a convincerli che le migliori risoluzioni restano
spesso inadempiute nonostante i loro sforzi; ma il direttore se ne gioverà per
ripetere, senza mai stancarsi, che solo con la grazia e con la preghiera possono
riuscire ad osservarle; e questa dimostrazione sperimentale tornerà di singolar
conferma alle loro convinzioni sulla necessità della preghiera; esporrà pure le
condizioni della sua efficacia.

§ II. Condizioni essenziali della
preghiera.


648.   Avendo già provata la necessità
della grazia attuale per tutti gli atti necessari alla salute, n. 126,
ne possiamo conchiudere che questa grazia è pur necessaria a pregar bene.
S. Paolo lo dichiara nettamente: “Lo Spirito porge la mano alla fiacchezza
nostra; perchè quello che s’ha da chiedere, come conviene, non sappiamo; ma lo
Spirito stesso l’implora per noi con gemiti inenarrabili: quid oremus sicut
oportet, nescimus, sed ipse Spiritus postulat pro nobis gemitibus
inenarrabilibus
 648-1. Aggiungiamo che questa grazia è offerta
a tutti, anche ai peccatori, e che quindi tutti possono pregare.

Benchè lo stato di grazia non sia necessario per pregare, pure aumenta
singolarmente il valore delle nostre preghiere, perchè fa di noi gli amici di
Dio e le membra viventi di Gesù Cristo.

Esamineremo le condizioni richieste dalla preghiera:


  • 1° da
    parte dell’oggetto;

  • 2° da
    parte di chi prega.



I. Da parte dell’oggetto.

649.   La condizione più importante,
da parte dell’oggetto, è di chiedere soltanto i beni che ci conducono alla vita
eterna, prima di tutto le grazie soprannaturali, e secondariamente, in
quanto saranno utili alla eterna nostra salute, i beni d’ordine
temporale
. Tale è la regola fissata da Nostro Signore stesso: “Cercate in
primo luogo il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno
date di giunta. Quærite primum regnum Dei et justitiam ejus, et hæc omnia
adjicientur vobis
 649-1. Come infatti abbiamo detto, n. 307-308,
la felicità, come la perfezione dell’uomo, consiste nel possesso di Dio e quindi
nelle grazie necessarie a questo fine. Onde non dobbiamo chiedere nulla che non
sia in relazione con questo fine.

1° I beni temporali in se stessi sono troppo al disotto di noi, troppo
incapaci di soddisfare le aspirazioni del nostro cuore e di renderci felici,
onde non possono essere l’oggetto principale delle nostre preghiere. Ma,
avendo noi fino a un certo punto bisogno di questi beni per vivere e assicurar
la nostra salute, ci è lecito chiedere il pane quotidiano, tanto quello del
corpo come quello dell’anima, subordinando però il primo al secondo. Può darsi
infatti che un bene particolare che ci pare desiderabile, poniamo la ricchezza,
ci diventi poi pericoloso per l’eterna salute; onde non si può chiederlo che
subordinatamente ai beni eterni.

650.   2° Anche quando si tratta di
questa o quella grazia particolare, non conviene chiederla che conforme
alla divina volontà, Nella infinita sua sapienza Dio sa meglio di noi ciò che a
ogni anima, secondo la sua condizione e il suo grado di perfezione, si conviene.
Come bene osserva S. Francesco di Sales, noi dobbiamo voler la nostra
salute come la vuol Dio, quindi risolutamente volere e abbracciare le grazie che
ci distribuisce, perchè è necessario che la nostra volontà sia conforme alla
sua 650-1; ma quando si tratta di grazie
particolari, come sarebbe questa o quella forma di orazione, di consolazione, di
aridità ecc., non bisogna chiedere nulla in modo assoluto ma subordinar tutto
alla volontà di Dio 650-2. Dio distribuisce le grazie di
consolazione o di aridità, di riposo o di lotta, secondo i disegni della
infinita sua sapienza e i bisogni dell’anima nostra. Non ci resta quindi che
rimetterci a lui per la scelta delle grazie che ci sono più utili. Possiamo
certo esprimere un desiderio, ma con umile sommessione alla volontà del Padre
Celeste: egli ci esaudirà sempre se preghiamo come si conviene; ci concederà
talora anche più e meglio di quel che domandiamo, onde noi, non solo non ce ne
dobbiamo lamentare, ma dobbiamo anzi benedirnelo 650-3.

II. Condizioni da parte del soggetto.

Le condizioni più essenziali per rendere efficaci le nostre preghiere, sono:
l’umiltà, la confidenza e l’attenzione, o almeno lo sforzo
serio per stare attenti.

651.   1° L’umiltà nasce dalla
natura stessa della preghiera. Essendo la grazia essenzialmente gratuita e non
avendovi noi alcun diritti, siamo, dice S. Agostino, rispetto a Dio, dei
mendicanti, e dobbiamo implorare dalla sua misericordia ciò che per
giustizia non possiamo ottenere. Così pregava Abramo il quale, al cospetto della
maestà divina, si riguardava come polvere e cenere: “Loquar ad Dominum Deum,
cum sim pulvis et cinis
 651-1; così pregava Daniele, quando chiedeva la
liberazione del popolo ebreo, appoggiandosi non sui meriti suoi e sulle sue
virtù, ma sulla ricchezza delle divine misericordie: “Neque enim in
justificationibus nostris prosternimus preces ante faciem tuam; sed in
miserationibus tuis multis”
 651-2; così pregava il pubblicano che fu
esaudito: “Deus, propitius esto mihi peccatori” 651-3, mentre il superbo fariseo vide respinta
la sua preghiera. Gesù stesso ce ne dà la ragione: “Chiunque si esalta sarà
umiliato e chi si umilia sarà esaltato: quia omnis qui se exaltat
humiliabitur, et qui se humiliat exaltabitur”
. Ben lo intesero i suoi
discepoli, e S. Giacomo ripete con insistenza: “Dio resiste ai superbi e dà
le sue grazie agli umili: Deus superbis resistit, humilibus autem dat
gratiam”
 651-4. Ed è giustizia questa: perchè il superbo
attribuisce a sè l’efficacia della sua preghiera mentre l’umile l’attribuisce a
Dio. Or vorremmo noi che Dio ci esaudisse a spese della sua gloria, per nutrire
e fomentare la nostra vanità? L’umile invece confessa che tutto gli proviene da
Dio; quindi Dio, esaudendolo, lavora per la gloria sua e insieme per il bene del
supplicante.

652.   2° Quindi la vera umiltà genera
la confidenza, quella confidenza che non si fonda sui meriti nostri ma
sull’infinita bontà di Dio e sui meriti di Gesù Cristo.

a) La fede c’insegna che Dio è misericordia, e che quindi si
piega con tanto maggior amore verso di noi quanto più noi riconosciamo le nostre
miserie; perchè la miseria chiama la misericordia. Invocarlo con fiducia, è in
sostanza un onorarlo, è proclamare che egli è la fonte di tutti i beni e nulla
tanto desidera quanto di largirceli. Ci dichiara quindi le tante volte nella
S. Scrittura che esaudisce coloro che sperano in lui: “Quiniam in me
speravit, liberabo eum: clamabit ad me et ego exaudiam
eum
 652-1. Nostro Signore c’invita a pregare con
confidenza e per insinuarci questa disposizione ricorse non solo alle
esortazioni più premurose ma anche alle più tenere parabole. Dopo avere
affermato che chi chiede riceve, aggiunge: “Chi è mai tra voi che, chiedendogli
il figlio del pane, gli porgerà un sasso?… Se dunque voi, cattivi come siete,
sapete dare cose buone ai vostri figliuoli, quanto più il Padre vostro che è nei
cieli concederà ciò che è buono a coloro che lo pregano” 652-2. Ritorna su questo punto nell’ultima
Cena: “In verità, in verità vi dico… tutto ciò che chiederete al Padre nel
nome mio, io lo farò, affinchè il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi
chiederete qualche cosa in mio nome, la farò 652-3… In quel giorno chiederete nel nome
mio, e non vi dico 652-4 che pregherò io pure il Padre per voi.
Perchè anche il Padre vi ama avendo voi amato me”. Sarebbe quindi un diffidare
di Dio e delle sue promesse, sarebbe un far poca stima dei meriti infiniti di
Gesù e dell’onnipotente sua mediazione, il non avere assoluta fiducia nella
preghiera.

653.   b) Pare talvolta, è
vero, che Dio faccia il sordo alle nostre preghiere, perchè vuole che la nostra
confidenza sia perseverante, a fine di farci meglio sentire la profondità
della nostra miseria e il pregio della grazia; ma ci mostra pure, coll’esempio
della Cananea 653-1, che anche quando pare che ci respinga,
gode poi di lasciarsi fare dolce violenza. Una donna Cananea viene a supplicar
Gesù di guarirle la figlia tormentata dal demonio. Il Maestro non le risponde;
essa allora si rivolge ai discepoli, importunandoli con le grida, tanto che essi
pregano Gesù d’intervenire. Gesù risponde di essere venuto pei soli figli
d’Israele. Senza punto disanimarsi, la povera donna gli si prostra ai piedi,
dicendo: “Signore, aiutatemi. Gesù replica con apparente durezza che non è bene
prendere il pane dei figli per gettarlo ai cani. — E lei: È vero, Signore; ma
anche i cagnolini mangiano almeno le briciole che cadono dalla tavola del
padrone. — Vinto da così constante [sic] e umile confidenza, Gesù le concede
finalmente il favore domandato e le guarisce sull’istante la figlia. Poteva
farci intendere meglio che se, nonostante il poco buon esito delle nostre
preghiere, perseveriamo nell’umile fiducia, siamo sicuri d’essere esauditi?

654.   3° Ma a questa perseverante
fiducia è necessario aggiungere l’attenzione o almeno il serio sforzo per
pensare a ciò che diciamo a Dio. Le distrazioni involontarie, quando
cerchiamo di respingerle e diminuirne il numero, non sono ostacolo alla
preghiera, perchè l’anima, appunto per questi sforzi che facciamo, resta
orientata verso Dio. Ma le distrazioni volontarie, che deliberatamente
accettiamo o che solo fiaccamente respingiamo o di cui non vogliamo sopprimere
le cause, nelle preghiere di precetto sono peccati veniali, e nelle altre
sono negligenze e mancanze di rispetto verso Dio, che non lo dispongono molto ad
esaudirci. La preghiera è un’udienza che il nostro Creatore si degna di
concederci, una conversazione col Padre celeste in cui lo supplichiamo che si
degni d’ascoltar le nostre parole e badare alle nostre suppliche: “Verba mea
auribus percipe Domine… intende voci orationis meæ
 654-1; e nel momento stesso che gli chiediamo
di ascoltarci e di parlarci, non faremmo serio sforzo per capir ciò che diciamo
e per stare attenti alle divine ispirazioni? Non sarebbe un’incoerenza e una
mancanza di religione? Non meriteremo il rimprovero che Nostro Signore faceva ai
Farisei? “Questo popolo mi onora con la punta delle labbra ma il suo cuore è
lontano da me: Populus hic labiis me honorat, cor autem eorum longe est a
me”
 654-2.

655.   Bisogna quindi seriamente
sforzarsi
di cacciar prontamente ed energicamente le
distrazioni che si presentano, sapercene umiliare e giovarcene per rinnovar
l’unione con Gesù e pregare con lui. È pur necessario diminuire il numero delle
distrazioni, combattendo vigorosamente le cause, l’abituale dissipazione della
mente, la libertà della fantasia, i pensieri e gli affetti che sopraffanno la
mente e il cuore, e abituarsi a poco a poco al pensiero, spesso rinnovato, della
presenza di Dio con l’offerta delle proprie azioni e colle giaculatorie.
Adoprando questi mezzi, non c’è ragione d’inquietarci delle distrazioni
involontarie che ci passano per la mente o ci turbano la fantasia: sono prove e
non colpe, e, sapendo fare, ci accrescono i meriti e il valore delle preghiere.

656.   Triplice è l’attenzione che
possiamo porre nelle preghiere: 1) quando badiamo a pronunziar bene le
parole, si ha l’attenzione verbale, che suppone già un certo sforzo per
pensare a ciò che si dice; 2) se badiamo di preferenza a ben comprendere il
senso delle parole, si ha l’attenzione letterale o
intellettuale; 3) se, lasciando da parte il senso letterale, l’anima
si inalza a Dio per adorarlo, benedirlo, unirsi a lui, o per addentrarsi nel
mistero che si onora, o per chiedere a Dio tutto ciò che gli chiede la Chiesa e
tutto ciò che gli chiede Gesù, si ha l’attenzione spirituale o
mistica. Più che agl’incipienti, quest’ultima conviene alle anime
proficienti. A coloro che cominciano a gustar la preghiera, bisognerà
raccomandare l’una o l’altra delle due prime specie d’attenzione, secondo il
carattere e le inclinazioni di ciascuno e le circostanze in cui si trova.

ART. II. DEGLI ESERCIZI DI
PIETÀ DEGLI INCIPIENTI.

657.   Essendo la preghiera uno dei
grandi mezzi per salvarsi, il direttore inizierà a poco a poco gl’incipienti
alla pratica di quegli esercizi spirituali che costituiscono la trama d’una vita
seriamente cristiana, tenendo conto dell’età, della vocazione, dei doveri del
loro stato, del carattere, delle inclinazioni soprannaturali e dei progressi
loro.

658.   1° Lo scopo a cui si ha
da mirare è di giungere adagio adagio ad abituar le anime alla preghiera, in
modo che la loro vita sia fino a un certo punto una vita di preghiera (n. 522).
Ma è chiaro che occorre tempo notevole e sforzi diuturni per accostarsi a questo
ideale, che non è alla portata degl’incipienti ma che il direttore deve
conoscere per meglio guidarvi i penitenti.

659.   2° I principali esercizi
che servono a convertir la vita in abituale preghiera, oltre la preghiera del
mattino e della sera che i buoni cristiani non mancano mai di fare, sono:

A) La meditazione del mattino, su cui torneremo presto, e la
santa messa con la santa comunione che ci mostrano l’ideale a cui
dobbiamo tendere e ci aiutano a conseguirlo (n. 524).
Vi sono però persone che, per i doveri del loro stato, non possono assistere
tutti i giorni alla messa; vi potranno supplire con la comunione spirituale da
farsi alla fine della meditazione o anche mentre attendono alle occupazioni
manuali. In ogni caso bisognerà ammaestrarle del come trar profitto dalla messa
e dalla comunione, quando vi potranno assistere, adattando alla loro capacità
quanto abbiamo detto al n. 271-289;
e soprattutto poi del come seguire con intelligenza gli uffici liturgici delle
domeniche e delle feste, perchè la sacra liturgia ben compresa è una delle
migliori scuole di perfezione.

660.   B) Nel corso della
giornata, bisognerà consigliare, oltre l’offerta spesso rinnovata delle
azioni principali,
alcune giaculatorie, alcune buone letture
adattate allo stato dell’anima sulle verità fondamentali, sul fine dell’uomo,
sul peccato, sulla mortificazione, sulla confessione e sugli esami di coscienza,
aggiungendovi alcune vite di Santi celebri per la pratica della penitenza; il
che sarà luce per l’intelletto, stimolo per la volontà e ottimo mezzo per
facilitar la meditazione. La recita di alcune diecine del Rosario
meditandone i misteri, accrescerà la devozione alla SS. Vergine e
l’abitudine di unirsi a Nostro Signore. La visita al SS. Sacramento,
la cui durata varierà con le occupazioni, verrà a rianimar lo spirito di pietà;
e ognuno potrà vantaggiosamente servirsi dell’Imitazione, specialmente
del libro quarto, e delle Visite al SS. Sacramento di Sant’Alfonso
de’ Liguori.

661.   C) La sera, un buon
esame di coscienza integrato dall’esame particolare aiuterà
gl’incipienti a rilevar le mancanze, a prevedere i rimedi, a rimettere la
volontà nella ferma risoluzione di far meglio, non permettendo così che cadano
nel rilassamento e nella tiepidezza. Sarà necessario richiamare anche qui quanto
abbiamo detto sugli esami, n. 460-476,
e sulla confessione, n. 262-269,
ricordando che gl’incipienti devono esaminarsi principalmente sui peccati
veniali deliberati, essendo questa vigilanza il mezzo migliore per evitare o per
immediatamente riparare i peccati mortali in cui si avesse la disgrazia di
cadere in un momento di sorpresa.

662.   3° Consigli al direttore.
A
) Il direttore vigilerà perchè i penitenti non si carichino di
esercizi di pietà troppo numerosi, che verrebbero poi a nuocere
all’adempimento dei doveri del loro stato, o che sarebbero di ostacolo alla vera
devozione. Vale certamente meglio recitar qualche preghiera di meno ma mettervi
maggior attenzione e pietà. Ce lo dice il Signore stesso: “Nelle preghiere non
moltiplicate le parole come fanno i pagani, che pensano d’essere esauditi a
furia di parlare. Non li imitate dunque, perchè il Padre vostro sa di che avete
bisogno prima ancora che glielo domandate 662-1. E appunto allora insegnò quella breve e
sostanziale preghiera del Pater, che contiene tutto ciò che possiamo
chiedere, n. 515-516.
Ora ci sono incipienti che facilmente pensano di essere tanto più pii quante più
preghiere vocali fanno; si rammenti loro la parola del Maestro e si mostri che
una preghiera attenta di dieci minuti vale più di un’altra di venti seminata di
distrazioni più o meno volontarie, e sarà un grande servizio. Per aiutarli a
fissar l’attenzione, si rammenti che pochi secondi impiegati a mettersi alla
presenza di Dio e ad unirsi a Nostro Signore, assicureranno in modo singolare
l’efficacia della preghiera.

663.   B) Per le preghiere che
si debbono ripetere di frequente, è utile, a schivar l’abitudine, insegnare un
metodo semplice e facile onde fissar l’attenzione. Così, per esempio,
quanto al Rosario, se si bada a meditarne i misteri con la doppia intenzione di
onorare la SS. Vergine e di attirare in noi la virtù speciale che
corrisponde al mistero, se ne trae maggior vantaggio e la recita diventa una
piccola meditazione. Ma sarà anche bene far notare che non si può,
ordinariamente almeno, attendere nello stesso tempo al senso letterale
dell’Ave Maria e allo spirito del mistero, e che basta fissarsi o
sull’uno o sull’altro.

NOTE
643-1 S. Tommaso, IIª
IIæ, q. 83 e i suoi Commentatori; Suarez, De
religione,
Tr. IV, l. I. De oratione; Alvarez de Paz, t. III,
l. I; Th. de Vallgornera, q. 2, disp. V; Ph. a
SS. Trinitate,
Summa theologiæ mysticæ, P. I, Tr. I, disc. III;
L. di Granata, Tr. della Preghiera e della Meditazione; S. Alfonso de Liguori,
Il gran mezzo della preghiera; P. Monsabré, La Prière;
P. Ramière, L’apostolato della preghiera (Tipographia Arcivescovile, Modena).

645-1 Joann., XV, 5; II
Cor.,
III, 5; Phil., II, 13.

645-2 Matth., VII, 7-8.

645-3 Matth., XXVI, 41.

645-4 Sum. Theol., IIª
IIæ, q. 83, a. I, ad 3.

646-1 Sess. VI, c. II.

646-2 “Quas preces tamquam
instrumentum necessarium nobis dedit ad id quod optaremus consequendum;
præsertim cum quædam esse constet quæ nisi ejus adjumento non liceat impetrare”.
(Cat. Trident., P. IV, c. I, 3).

648-1 Rom., VIII, 26.

649-1 Matth., VI, 33.

650-1 Amor di Dio, l. VIII, c.
IV.

650-2 Ciò che fa, dice
Bourdaloue (Quaresimale, giovedì della prima settimana, sulla
preghiera) che noi non siamo esauditi, è che ci serviamo della preghiera “per
domandare grazie chimeriche, grazie superflue, grazie di nostro gusto e secondo
le nostre false idee… Noi preghiamo e domandiamo grazie di penitenza, grazie
di santificazione, ma grazie per l’avvenire e non pel presente; grazie che
tolgano tutte le difficoltà, e che non ci lascino sforzi da fare ed ostacoli da
vincere; grazie miracolose che ci trascinino come S. Paolo, e non grazie
che ci dispongano a poco a poco, e con le quali noi siamo obbligati a
camminare… grazie insomma che cambino tutto l’ordine della Provvidenza, e che
rovescino tutta l’economia della salute.

650-3 Nel “Saint Abandon” di
Dom V. Lehodey, P. III, si troveranno osservazioni particolari molto
savie su questo soggetto.

651-1 Gen., XVIII, 27.

651-2 Dan., IX, 18.

651-3 Luc., XVIII, 13.

651-4 Jac., IV, 6.

652-1 Ps. XC, 14-15. Chi
recita l’ufficio divino sa che il sentimento che predomina nei Salmi è la
fiducia in Dio.

652-2 Matth., VII, 7-11.

652-3 Joan., XIV, 13-14.

652-4 Joan., XVI, 26-27.

653-1 Matth., XV, 24-28.

654-1 Ps. V, 2-3.

654-2 Matth. XV, 8.

662-1 Matth. VI, 7-8.

Quest’edizione digitale preparata da Martin Guy <martinwguy@yahoo.it>.

Ultima revisione: 28 gennaio 2006.