Compendio di Teologia Ascetica e Mistica (277-294).

Di Adolfo Tanquerey CAPITOLO II. Natura della vita cristiana. Della Comunione come mezzo di santificazione. Sintesi del secondo capitolo.

277. A)
Gli effetti. L’Eucaristia, come sacramento, produce direttamente in noi per sua propria virtù,
ex opere operato, un aumento di grazia santificante. Infatti è stata istituita per essere
cibo dell’anima nostra: “Caro mea vere est cibus et sanguis meus vere est potus” 277-2; i suoi effetti sono dunque simili a quelli del nutrimento materiale: sostiene, aumenta e ripara le forze spirituali, causandoci una letizia che, se non è sempre sensibile, è per altro reale. Gesù stesso è il nostro alimento, l’intiero Gesù, il suo corpo, il suo sangue, la sua anima, la sua divinità. Si unisce a noi per trasformarci in lui; questa unione è insieme
fisica e morale, trasformante e di sua natura permanente. Tal è la dottrina di S. Giovanni che il
P. Lebreton 277-3 compendia così: “Nell’Eucaristia si compie l’unione di Cristo e del fedele e la vivificante
trasformazione che ne è il frutto; non si tratta solo più dell’adesione a Cristo per mezzo della fede, nè dell’incorporazione a Cristo per mezzo del battesimo; è una muova unione realissima insieme e spiritualissima: si può per lei dire che chi aderisce al Signore non solo è con lui un solo spirito, ma anche una sola carne. È unione così intima che Gesù non teme di dire: “Come io vivo per il Padre, così colui che si ciba di me vivrà per me”; abbiamo certamente qui solo un’analogia; ma resta sempre vero che, per mantenerla, bisogna intendervi non solo un’unione morale fondata sopra una comunanza di sentimenti ma una vera unione fisica, che importa la fusione di due vite, o meglio la partecipazione del cristiano alla vita stessa di Cristo”.

Studiamoci di spiegare cotesta unione.

278. a) È un’unione fisica. È di fede, secondo il Concilio di Trento, che l’Eucaristia contiene veramente, realmente e sostanzialmente il corpo e il sangue di Gesù Cristo, con la sua anima e la sua divinità, e quindi tutto quanto Cristo 278-1. Siamo quindi non solo
tabernacoli ma anche pissidi ove Gesù abita e vive, ove gli angeli vengono ad adorarlo, e dove noi dobbiamo aggiungere le adorazioni nostre alle loro. Anzi c’è tra Gesù e noi una unione simile a quella che esiste tra il cibo e colui che se l’assimila; con questa differenza però che non siamo noi che trasformiamo Gesù nella nostra sostanza ma è Gesù che noi trasforma in lui: è infatti l’essere superiore che si assimila l’inferiore 278-2. È un’unione che tende a rendere la nostra carne più sottomessa allo spirito e più casta, e depone in lei un germe d’immortalità: “Et ego resuscitabo eum” 278-3.

279. b) Su questa unione fisica viene ad innestarsi un’unione
spirituale intimissima e trasformatrice. 1) È unione intimissima e
santificantissima. L’anima di Gesù s’unisce alla nostra per non fare con lei che un cuore solo e un’anima sola: “cor unum et anima una“. La sua
immaginazione e la sua memoria, così ben regolate e così sante, s’uniscono alla immaginazione nostra e alla nostra memoria per disciplinarle e orientarle verso Dio e le cose divine, volgendone l’attività verso il ricordo dei benefici di Dio, verso l’incantevole sua bellezza e l’inesauribile sua bontà. La sua
intelligenza, vero sole delle anime, ci illumina la mente con gli splendori della fede e ci fa veder tutto e tutto giudicare alla luce di Dio; tocchiamo allora con mano la vanità dei beni della terra, la follia delle massime del mondo, assaporiamo le massime evangeliche prima così oscure per noi perchè tanto contrarie ai naturali nostri istinti. La sua
volontà così forte, così costante, così generosa, viene a correggere le nostre debolezze, la nostra incostanza, il nostro egoismo, comunicandoci le divine sue energie, tanto da poter dire con S. Paolo: “Io posso tutto in colui che mi fortifica: “omnia possum in eo qui me confortat” 279-1. Ci pare. Ci pare allora che gli sforzi non ci costeranno più, che le tentazioni ci troveranno incrollabili, che la perseveranza nel bene non ci spaventi più, perchè non siamo più soli ma aderiamo a Cristo come l’edera alla quercia e ne partecipiamo quindi la fortezza. Il suo
cuore, così ardente d’amore per Dio e per le anime, viene a infiammare il nostro cos freddo per Dio, così tenero per le creature; come i discepoli d’Emmaus ripetiamo: “Non ci ardeva forse il cuore in petto mentre ei ci parlava?
Nonne cor nostrum ardens erat in nobis, dum loqueretur in via?” 279-2. Sotto l’azione di questo fuoco divino, sentiamo allora
slanci quasi irresistibili verso il bene e una volontà guardinga ma ferma di far tutto, di tutto soffrire per Dio e di non rifiutargli nulla.

280. 2) È chiaro che una cosiffatta unione è veramente trasformatrice. 1° A poco a poco i nostri
pensieri, le nostre idee, le nostre convinzioni, i nostri giudizi si modificano: invece di giudicare le cose secondo le massime del mondo, facciamo nostri i pensieri e i giudizi di Gesù, amorosamente abbracciamo le massime evangeliche, e costantemente co domandiamo: Che farebbe Gesù se fosse al mio posto? 2° Lo stesso è dei nostri
desideri e dei nostri voleri; persuasi che il mondo e il nostro
io hanno torto, che solo Gesù, Sapienza eterna, è nella verità, non desideriamo più che ciò che desidera lui, la gloria di Dio, la salvezza nostra e quella dei nostri fratelli; non vogliamo che ciò che vuol lui “non mea voluntas, sed tua fiat; e anche quando questa volontà è dura per noi, l’accettiamo di gran cuore, sicuri che non mira se non al bene spirituale nostro e a quello del prossimo.

3° Il nostro cuore si libera egli pure a poco a opco del suo egoismo più o meno cosciente, delle sue affezioni naturali e sensibili per amare ardentemente, generosamente, appassionatamente Dio e le anime guardate in Dio: non amiamo più le consolazioni divine, per quanto dolci elle siano, ma Dio stesso; non si mira più al piacere di trovarsi con quelli che si amano, ma al bene che si può lor fare. Viviamo quindi una vita più intensa e sopra tutto più soprannaturale e più divina che pel passato; non è più l’io, l’uomo vecchio che vive, pensa ed opera: è Gesù stesso, è il suo spirito che vive in noi e vivifica il nostro: “Vivo autem jam non ego, vivit vero in me Christus” 280-1.

281. c) Questa unione spirituale si prolunga quanto vogliamo, affermando Gesù stesso: “Qui manducat meam carnem et bibit meum sanguinem, in me manet et ego in eo” 281-1. Quanto a lui altro non brama che di restare eternamente in noi; da noi quindi dipende con la sua grazia di restargli costantemente uniti.

Ma in che modo si perpetua quest’unione?

Alcuni autori pensarono, col P. Schram 281-2, che l’anima di Gesù si
raccolga, a così dire, nel centro dell’anima nostra, per stabilmente rimanervi. — Sarebbe questo un
miracolo assolutamente straordinario, perchè l’anima di Gesù resta costantemente unita al suo corpo e il suo corpo sparisce con le specie sacramentali. Non possiamo quindi ammettere quest’opinione, perchè Dio non moltiplica i miracoli di tal genere senza necessità.

Ma se la sua anima umana si ritira da noi nello stesso tempo che il suo corpo, la sua
divinità resta in noi finchè siamo in stato di grazia. Anzi, la sua santa umanità, unita alla sua divinità, conserva con l’anima nostra un’unione speciale. Il che può teologicamente spiegarsi nel modo seguente. Lo Spirito di Gesù o, in altri termini, lo
Spirito Santo che vive nell’anima umana di Gesù, resta in noi in virtù dell’affinità speciale contratta nella comunione sacramentale con Gesù vi opera delle disposizioni interne simili a quelle di Nostro Signore; a richiesta di Gesù, che prega continuamente per noi, ci largisce grazie attuali più copiose e più efficaci, ci preserva con cura speciale dalle tentazioni, produce in noi privilegiate impressioni, dirige l’anima nostra e le sue facoltà, ci parla al cuore, fortifica la nostra volontà, rinfiamma il nostro amore, e ci continua così nell’anima gli effetti della comunione sacramentale. Ma per godere di questi privilegi, è chiaro che bisogna vivere nel raccoglimento interiore, ascoltare attentamente la voce di Dio, ed essere pronti ad eseguirne i minimi desideri. A questo modo la comunione
sacramentale si perfeziona con la comunione spirituale che ne perpetua i santi effetti.

282. d) Questa comunione trae seco un’unione speciale con le tre persone divine della SS. Trinità 282-1; perchè, in virtù della circumincessione (che è l’abitazione delle divine persone l’una nell’altra), il Verbo non viene solo nell’anima nostra; ci viene col Padre che continuamente lo genera nel suo seno, ci viene con lo Spirito Santo che continuamente procede dal mutuo amplesso del Padre e del Figlio: “Chi ama me, anche il Padre mio amerà lui, e verremo a lui e in lui faremo dimora” 282-2. È vero che le tre divine persone sono già in noi per la grazia, ma, nel momento della comunione, vi sono per un titolo speciale: essendo noi fisicamente uniti al Verbo Incarnato, in lui e per lui esse sono unite a noi e ci amano come un prolungamento del Verbo Incarnato di cui siamo le membra. Portando Gesù nel nostro cuore, vi portiamo pure il Padre e lo Spirito Santo; la comunione è quindi un anticipato paradiso e, se avessimo viva fede, proveremmo a verità di quella parola dell’Imitazione, che essere con Gesù è il paradiso in terra: “Esse cum Jesu dulcis paradisus” 282-3.

283. B) Disposizioni per trar profitto dalla comunione. Avendo l’Eucaristia per fine d’unirci a Gesù e a Dio in modo intimo, trasformante e permanente, tutto ciò che fomenterà quest’unione, nella
preparazione o nel ringraziamento, ne intensificherà i lieti effetti.

a) La preparazione sarà quindi una specie d’unione anticipata a Nostro Signore. Si suppone che l’anima sia già unita a Dio con la grazia santificante, altrimenti la comunione sarebbe un sacrilegio 283-1. Ciò posto, la preparazione abbraccerà almeno queste tre cose:

1) Anzitutto l’adempimento più perfetto di tutti i doveri del nostro stato in unione con Gesù e per piacere a Lui. Non è forse questo infatti il mezzo migliore per attirare in noi Colui la cui vita si compendia nell’ubbedienza filiale al padre a fine di piacergli? “Quæ placita sunt ei facio semper” 283-2. Abbiamo già spiegato questa pratica al n. 229.

2) Una sincera umiltà, fondata da un lato sulla grandezza e sulla santità di Nostro Signore e dall’altro sulla nostra bassezza e indegnità: “Domine, non sum dignus…” Questa disposizione fa, per così dire, il vuoto nell’anima nostra, sgombrandola dall’egoismo, dall’orgoglio, dalla presunzione; ora è proprio nel vuoto di sè che si opera l’unione con Dio; quanto più ci vuotiamo di noi stessi, tanto meglio prepariamo l’anima a lasciarsi prendere e possedere da Dio.

3) A questa umiltà terrà dietro un desiderio ardente d’unirsi al Dio dell’Eucaristia: sentendo vivamente la nostra impotenza e la nostra povertà, sospireremo a Colui che solo può fortificare la nostra debolezza, arricchirci dei suoi tesori e riempire il vuoto del nostro cuore. Or questo desiderio, dilatandoci l’anima, la spalancherà a Colui che
desidera dare tutto se stesso a noi: “Desiderio desideravi hoc pascha manducare vobiscum” 283-3.

284. b) Il migliore ringraziamento sarà quello che prolungherà la nostra unione con Gesù.

1) Principierà dunque con un atto di silenziosa adorazione, d’annientamento, e di
intiera donazione di noi stessi a Colui che, essendo Dio, si dà interamente a noi 284-1: “Adoro te devote, latens deitas… Tibi se cor meum totum subjicit” 284-2. In unione con Maria, la più perfetta adoratrice di Gesù, ci annienteremo davanti alla Mæstà divina, per benedirla, lodarla, ringraziarla, prima il Verbo Incarnato e poi, con Lui e per Lui, la SS. Trinità. “Magnificat anima mea Dominum… fecit mihi magna qui optens est, et sanctum nomen ejus” 284-3. Nulla fa meglio penetrar Gesù nel più intimo dell’anima nostra quanto quest’atto di annientamento di noi stessi; povere creature, è questo per noi il modo di darci a Colui che è tutto. Gli daremo tutto ciò che v’è di buono in noi, e sarà una
restituzione perchè tutto viene da lui e non cessa d’appartenergli; offriremo pure le nostre miserie, perchè le consumi nel fuoco dell’amor suo e vi sostituisca le sue così perfette disposizioni. Quale mirabile cambio!

285. 2) Vengono allora i dolci colloqui tra l’anima e l’ospite divino: “Loquere, Domine, quia audit servus tuus… Da mihi intellectum ut sciam testimonia tua. Inclina cor meum in verba oris tui” 285-1… Si ascolta attentamente il Maestro, l’Amico; gli si parla rispettosamente, semplicemente, affettuosamente. Si apre l’anima alle comunicazioni divine; perchè è questo il momento in cui Gesù fa passare in noi le sue disposizioni interiori e le sue virtù; bisogna non solo riceverle ma attirarle, assaporarle, assimilarsele: “Os meum aperui et attraxi spiritum” 285-2. Onde poi questi colloqui non degenerino in abitudine, è bene variare, se non ogni giorno almeno ogni tanto,
l’argomento della conversazione, prendendo ora una virtù ora un’altra, meditando adagino qualche parole del Vangelo, e supplicando Nostro Signore di volercela far ben capire, gustare e praticare.

286. 3) Non dimentichiamo di ringraziarlo dei lumi che si degna, per grazia sua, di comunicarci, dei pii affetti, come pure delle oscurità e delle aridità in cui ci lascia ogni tanto; cogliamo anzi l’occasione da quest’ultime per umiliarci, per riconoscerci indegni dei divini favori, e per aderire più frequentemente con la volontà a Colui che, anche nelle aridità, non cessa di far passare in noi, in modo segreto e misterioso, la sua vita e le sue virtù. Supplichiamolo di prolungare in noi la sua azione e la sua vita: “O Jesu, vivens in Mariâ, veni et vive in famulis tuis” 286-1; di ricevere, per trasfornarlo, quel poco di bene che è in noi: “Sume, Domine, et suscipe omnem meam libertam…” 286-2.

287. 4) Offriamoci pronti a fare i sacrifici necessari per riformare e trasformare la nostra vita, specialmente su quel tal
punto particolare; consapevoli della nostra debolezza, chiediamo istantemente la grazia di compiere uesto sacrifizi 287-1. È questo un punto capitale, dovendo ogni comunione esser fatta allo scopo di progredire in una speciale virtù.

288. 5) È questo pure il momento di pregare per tutte le persone che ci sono care, per tutti i grandi interessi della Chiesa, secondo le intenzioni del Sommo Pontefice, per i Vescovi, i sacerdoti. Non temiamo di rendere la nostra preghiera universale quanto più è opssibile: è questo in sostanza il miglior mezzo d’essere esauditi.

Infine si termina chiedendo a Nostro Signore, con una formola o con un’altra, la grazia di restare in lui come egli resta in noi e di fare tutte e ciascuna delle nostre azioni in unione con lui, in spirito di ringraziamento. Si affida a Maria quel Gesù da lei così ben custodito, perchè ci aiuti a farlo crescere nel nostro cuore; e così, riconfortati dalla preghiera, si passa al lavoro.

CONCLUSIONE.

289. Abbiamo dunque a nostra disposizione tre grandi mezzi per conservare e aumentare in noi la vita cristiana che Dio ci largisce con tanta liberalità ,e per darci generosamente a lui come egli si dà a noi.

1) Lottando, senza posa e senza scoraggiamento, con l’aiuto di Dio e di tutti i protettori datici da lui, contro i nostri nemici spirituali, siamo sicuri di vincere e di rassodare in noi la vita spirituale.

2) Santificando, con spesso rinnovata offerta, tutte le nostre azioni anche le più comuni, acquistiamo copiosi meriti, aumentiamo considerevolmente ogni giorno il nostro capitale di grazia e i nostri diritti al paradiso, pur riparando ed espiando le nostre colpe.

3) I sacramenti, ricevuti cno buone e fervorose disposizioni, aggiungono ai personali nostri meriti una copia eccezionale di grazie che vengono dai meriti stessi di Gesù Cristo; e poichè spesso ci confessiamo e, se vogliamo, quotidianamente ci comunichiamo, non dipende che da noi di essere santi. Gesù è venuto e viene ancora in noi per comunicarci abbondantemente la sua vita: “Ego veni ut vitam habeant et abundantius habeant” 289-1. Sta a noi l’aprire, il dilatar l’anima, per riceverla, coltivarla, aumentarla, partecipando continuamente alle disposizioni, alle virtù, ai sacrifici di Gesù. Verrà così il momento in cui, trasformati in lui, non avendo altri pensieri, altri affetti, altre intenzioni che le sue, potremo ripetere la parole di S. Paolo: “Vivo, jam non ego, vivit vero in me Christus“.

SINTESI DEL SECONDO CAPITOLO.

290. Giunti alla fine di questo capitolo, che è il più importante di questa prima parte, possiamo intender meglio la natura della vita cristiana.

1) È veramente una partecipazione della vita di Dio, perchè Dio vive in noi e noi viviamo in lui. Dio
vive realmente in noi nell’unità della sua natura e nella trinità delle sue persone; e non vi resta inoperoso: produce nell’anima nostra un organismo soprannaturale che ci fa vivere una vita, non uguale ma simile alla sua, una vita deiforme. Colla grazia attuale, Dio mette questa vita in movimento, ci aiuta a fare atti emritori, e ricompensa questi atti producendo in noi una nuova infusione di grazia abituale. Ma
noi viviamo in lui e per lui, perchè ne siamo i collaboratori: aiutati dalla sua grazia, riceviamo liberamente l’impulso divino, vi cooperiamo, e così trionfiamo dei nostri nemici, acquistiamo dei meriti, e ci prepariamo a quella ricca effusione di grazia dataci dai sacramenti. Non dimentichiamo però che lo stesso nostro consenso è opera della sua grazia, onde gli attribuiamo il merito delle nostre opere buone, vivendo
per lui, perchè da lui e in lui viviamo.

291. 2) Questa vita è anche ina partecipazione della vita di Gesù, perchè Gesù vive in noi e noi viviamo in lui.
Vive in noi non solo come Dio, allo stesso titolo del Padre, ma anche come
Uomo-Dio. Gesù è infatti il capo d’un corpo mistico di cui noi siamo le membra e da lui riceviamo il movimento e la vita. Vive in noi in un modo anche più misterioso, perchè, con i suoi meriti e con le sue preghiere, fa sì che lo Spirito Santo operi in noi disposizioni simili a quelle che questo divino Spirito operava nell’anima sua. Viva in noi realmente e fisicamente nel momento della santa comunione, e, per mezzo del divino suo Spirito, fa passare in noi i suoi sentimenti e le sue virtù. Ma anche
noi viviamo in lui: incorporati a lui, liberamente riceviamo il movimento ch’egli c’imprime; liberamente ci studiamo d’imitarne le virtù senza però dimenticare che non vi riusciamo se nno per mezzo della grazia meritataci da lui; liberamente aderiamo a lui come il tralcio al ceppo, e apriamo l’anima alla linfa divina che con tanta liberalità egli ci comunica. E, tutto ricevendo da lui,
per lui e a lui viviamo, ben lieti di darci a lui come egli si dà a noi, dolenti solo di farlo in modo così imperfetto.

292. 3) Questa vita è pure, in una certa misura, una partecipazione della vita di Maria, o, come dice l’Olier,
della vita di Gesù vivente in Maria. Volendo infatti che la santa sua Madre sia la vivente sua immagine, Gesù le comunica, per mezzo dei suoi meriti e delle sue preghiere, il divino suo Spirito, che la fa partecipare, in un grado sovreminente, alle sue disposizioni e alle sue virtù. Così Gesù
vive in Maria, e poichè vuole che la madre sua sia madre nostra, vuole pure che spiritualmente ci generi. Ora, generandoci alla vita spirituale (come causa
secondaria, ben inteso), Maria ci fa partecipare non solo alla vita di Gesù o, in altre parole, alla vita di Gesù vivente in Maria. È il pensiero così bene espresso nella bella preghiera del P. Condren perfezionata dall’Olier: “O Jesu vivens in Maria, veni et vive in famulis tuis“.

293. 4) Questa vita è infine una partecipazione della vita dei Santi del cielo e della terra. Abbiamo infatti visto che il corpo mistico di Cristo comprende tutti coloro che gli sono incorporati col batesimo, e specialmente tutti quelli che godono della grazia e della gloria. Ora tutti i membri di questo corpo mistico partecipano alla stessa vita, alla vita che ricevono dal capo e che è difuca nell’anima loro dallo stesso divino Spirito. Siamo dunque tutti veramente fratelli, ricevendo dallo stesso Padre, che è Dio, per i meriti dello stesso Rdentore, una partecipazione della stessa vita spirituale, la cui pienezza è in Gesù Cristo, “de cuius plenitudine nos omnes accepimus“. Perciò i Santi del cielo e della terra s’interessano del nostro progresso spirituale e ci aiutano nella lotta contro la carne, il mondo e il demonio.

294. Come son consolanti queste verità! Quaggiù la vita spirituale è certamente una lotta; ma se l’inferno combatte contro di noi e trova alleati nel mondo e sopra tutto nella triplice concupiscenza, combatte per noi il Cielo; e il Cielo non è soltanto l’esercito degli Angeli e dei Santi, è Cristo, vincitore di Satana, è la SS. Trinità che vive e regna nell’anima nostra. Dobbiamo quindi esser pieni di speranza e sicuri di riportar vittoria, a patto che, diffidenti di noi, facciamo innanzi tutto assegnamento su Dio: “omnia possum in eo qui me confortat 294-1 “.

NOTE
277-1 S. Thomas, q. 76; Tanquerey, Syn. theol. dogm., t. III, n. 619-628;
Dalgairns, Holy Communion, p. 154 sq., trad. in ital. sotto il titolo:
La Santa Comunione; Moureau, Dic. de Théol. (Mangenot) alla parola
Communione; P. Hugon, La Sainte Eucharistie, p. 240 ss.

277-2 Joan., VI, 55.

277-3 Les origines du dogme de la Trinité, 1910, p. 403.

278-1 Sess XIII, can. 1.

278-2 È quanto nota S. Agostino (Confess., lib. VII, c. 10, n. 16,
P. L., XXXII, 742), che fa dire a Nostro Signore queste parole: “Io sono il cibo dei grandi, cresci e mi mangerai; ma non sarai tu che trasformerai me in te, come il cibo corporale: sarai to trasformati in me”.

278-3 Joan., VI, 35.

279-1 Philip., IV, 13.

279-2 Luc., XXIV, 32.

280-1 Galat., II, 20.

281-1 Joan., VI, 56.

281-2 Instit. theol. mysticæ, § 155.

282-1 Cfr. Bernadot, De l’Eucharistie à la Trinité.

282-2 Joan., XIV, 23.

282-3 De Imit. Christi, l. II, c.8.

283-1 Se si avesse quindi coscienza d’essere in stato di peccato mortale, bisognerebbe anzitutto andarsi a confessare con cuore contrito ed umiliato, e non contentarsi della contrizione anche perfetta. Si veda la nostra
Syn. theol. dogm, t. III, n. 652-654.

283-2 Joan., VIII, 29.

283-3 Luc., XXII, 15.

284-1 Molte persone dimenticano questo primo dovere e si mettono subito a domandare favori, senza pensare che le nostre domande saranno tanto meglio accolte quanto più fin da principio avremo presentato i nostri ossequi a Colui che ci fa l’onore di visitarci.

284-2 Inno di S. Tommaso.

284-3 Luc., I, 46 e sg.

285-1 Imitazione, l. III, c. 2.

285-2 Ps., CXVIII, 131.

286-1 Preghiera del P. di Condren, perfezionata sal Sig. Olier.

286-2 Preghiera di S. Ignazio nella Contemplazione sull’amor di Dio.

287-1 Sullo spirito di vittima si veda L. Capelle, S. J. Les âmes généreuses.

289-1 Joan., X, 10.

294-1 Phil., IV, 13.

Quest’edizione digitale preparata da Martin Guy <martinwguy@yahoo.it>.

Ultima revisione del testo: 30 dicembre 2005.

Ultima revisione dell’HTML: 28 dicembre 2005.