Risposta a luogo comune: Che male c’è a cambiar sesso?

  • Categoria dell'articolo:Apologetica

Smascherare l’ideologia favorevole al trasessualismo:

CHE MALE C’È A CAMBIARE SESSO?
di Tommaso Scandroglio
(dal Dizionario dei luoghi comuni, qui)

È un dato di fatto che vi sono alcune persone che si sentono a disagio nel loro corpo e dunque esprimono il desiderio di “cambiare sesso”. Si sente spesso affermare che negare a costoro di diventare transessuali appare una crudeltà ingiustificata.

Infatti, essere maschi o femmine non è una condizione moralmente riprovevole, dunque non si comprende il motivo per cui condannare la transizione da un sesso a un altro.

Analisi

In via preliminare è opportuno fornire qualche definizione. Per identità sessuale si intende l’appartenenza a un sesso biologico, maschile o femminile, appartenenza indicata dai geni maschili o femminili.

Siamo nella sfera biologico-genetica della persona. Accanto all’espressione “identità sessuale”, da un po’ di tempo si è affiancata anche l’espressione “identità di genere” che, almeno limitatamente alla sua genesi, è affetta da una connotazione fortemente ideologica perché sottintende il principio che è lecito “cambiare sesso”. È dunque preferibile usare l’espressione “identità psicologica sessuale” che significa il riconoscimento di sé come appartenente al mondo maschile o a quello femminile al di là dell’identità sessuale, ossia al di là del fatto biologico di essere maschi o femmine. L’identità psicologica sessuale si incardina sugli aspetti relazionali, culturali, psicologici, di costume, cognitivi, etc. che caratterizzano il mondo maschile e quello femminile, intendendo come “mondo maschile e femminile” le infinite modalità attraverso cui il maschio o la femmina generalmente si relazionano, pensano, si comportano, etc. Quando parliamo di “identità psicologica sessuale” o di “identità di genere” ci riferiamo alla sfera psicologica comportamentale della persona. Nel caso in cui identità sessuale e identità psicologica sessuale non coincidano, può accadere che la persona decida di diventare transessuale.

  • Colloquialmente, si usa l’espressione “cambiare sesso” o “cambiamento di sesso” quando ci si sottopone ad alcuni particolari interventi chirurgici (ad esempio, eliminazione del pene, costruzione di una cavità che dovrebbe mimare la vagina, mastoplastica additiva per simulare di avere un seno, etc.) e/o ormonali.

Ma in realtà tali espressioni sono erronee perché la persona, anche dopo tali interventi, rimane uomo o donna, infatti i suoi cromosomi rimarranno XY (maschio) oppure XX (femmina). Dunque tali interventi mascherano, ad esempio, un uomo da donna, lo travestono da donna non usando abiti femminili, ma intervenendo solo sui caratteri sessuali primari (gli organi genitali e riproduttivi) e su quelli secondari (la distribuzione dell’adipe, i peli, il tono della voce, etc.). In altre parole, non basta dal punto di vista fisico avere delle protesi in silicone che mimano il seno femminile per essere biologicamente una donna. Così come non basta tingersi il corpo di nero per diventare una persona di colore.

  • In genere il processo, cosiddetto, di rettificazione sessuale può avvenire tramite interventi chirurgici e farmacologici, ma non sempre viene ritenuto necessario da chi vuole “cambiare sesso”. Infatti, sono sempre più numerosi i casi di persone che già si percepiscono ad esempio donne, pur essendo biologicamente uomini, senza l’intervento chirurgico e senza la somministrazione di ormoni.
  • Ora dobbiamo provare perché non è moralmente lecito “cambiare sesso”, ossia avere una certa identità sessuale, ma desiderare di assumere una identità psicologica sessuale differente dall’identità sessuale (leciti invece sono quegli interventi clinici, sia chirurgici che farmacologici, compiuti non al fine di separare l’identità sessuale da quella psicologica, bensì con finalità terapeutica a motivo di malformazioni genitali, di non congruità dei caratteri sessuali primari con il dato genetico, di scompensi endocrinologici, etc.). Partiamo da un’obiezione: il dato genetico – a cui mi dovrei conformare anche psicologicamente – è un elemento accessorio della mia persona, non essenziale, non identitario. È un po’ come avere i capelli biondi, gli occhi azzurri, essere magro e alto: anche con i capelli neri, gli occhi color nocciola, grasso e basso sarei sempre io. E infatti potrei tingere i capelli, oppure gli stessi con l’andar del tempo potrebbero incanutirsi, potrei aumentare di peso, crescere in altezza (è ciò che avviene nell’età dello sviluppo), mettere delle lenti a contatto colorate, ma rimarrei sempre io. Il sesso genetico maschile, al pari del colore nero dei capelli, non è aspetto identitario della mia persona e dunque – come con la tinta – posso applicare sopra al sesso maschile una tinta rosa, cioè un’appartenenza psicologica al mondo femminile. Questa “tinta femminile” non intaccherebbe l’identità della persona, anzi tale scelta libererebbe la mia vera identità, perché la decisione di “cambiare sesso” potenzierebbe la mia identità personale dal momento che l’appartenenza al mondo femminile mi qualificherebbe maggiormente, essendo tale mondo più consono alla percezione che io ho di me stesso.
  • Veniamo alla risposta a tale obiezione. Il sesso biologico è aspetto identitario della persona nel senso che è elemento necessario per farlo venire a esistenza e, contemporaneamente, è fattore, insieme ad altri, individuante l’essere umano perché lo distingue nella realtà da altri esseri umani. Dunque è fattore essenziale che lo determina necessariamente anche se non in modo sufficiente-esclusivo (noi non siamo solo il nostro sesso). Spieghiamoci meglio. Possiamo dire che il sesso è un aspetto costitutivo dell’essere umano perché è condicio sine qua non per l’esistenza stessa dell’essere umano, è uno degli elementi fisici indispensabili perché l’essere umano possa esistere, al pari di estensione, volume, peso, colore, densità, etc.: tutti aspetti costitutivi della materia. Ciò a voler dire che come non può esistere un essere umano privo ad esempio di volume e colore, così non può esistere un essere umano senza sesso: non si può dare essere umano se non sessuato. Invece, può esistere un essere umano senza occhi o capelli. Questa evidenza filosofica e scientifica in merito al sesso assume un particolare significato se teniamo conto che ogni nostra cellula è marchiata dall’appartenenza sessuale.

Ossia, in ogni nostra cellula – e un corpo umano è formato mediamente da quasi 40mila miliardi di cellule – è impressa la nostra appartenenza sessuale: ogni nostra cellula è maschile o femminile. Questo per dire che l’appartenenza sessuale è strutturalmente parte di noi, innerva e permea totalmente il nostro corpo. Dicevamo che il sesso è anche fattore individuante: infatti, quando l’essere umano viene a esistenza si distingue immediatamente dagli altri: è grazie alla materia – e dunque grazie a una materia (anche) sessuata – la quale viene informata dall’anima razionale che l’essere umano si individua, ossia diventa quell’uomo particolare e irripetibile (identità).

  • Quanto sin qui detto potrebbe essere oggetto della seguente obiezione: il sesso è sicuramente aspetto identitario, ma non il sesso maschile e il sesso femminile.

È innegabile che per aversi un essere umano questo debba essere sessuato, ma chi lo dice che per Marco il suo sesso identitario debba essere necessariamente maschile? In altri termini, è sufficiente che ci sia un sesso perché esista un essere umano e perché si distingua dagli altri, ma non è necessario che quel sesso identitario sia quello genetico. È ciò che accade per il peso: è necessario che l’essere umano abbia un peso, anche infinitesimale, per esistere, ma non è necessario ai fini della sua esistenza che tale essere umano sia magro o grasso.

È il peso a essere elemento identitario della materia umana, non la quantità di peso. E dunque se il sesso maschile e quello femminile non sono aspetti identitari, io potrò lecitamente passare da uno all’altro non negando così la mia identità personale: sia maschio che femmina io rimarrò sempre “io”. Il fattore fondamentale, perché imprescindibile, sta nel fatto che appartenga a un sesso, non a quale sesso io appartenga. Parimenti io posso passare dall’essere magro all’essere grasso e rimarrò sempre “io”. Il fattore fondamentale, perché imprescindibile, sta nel fatto che abbia un peso, non a quale peso io appartenga.

  • Veniamo alla risposta che necessariamente dovrà essere un poco articolata.

Estensione, dimensione, peso, sesso, etc. sono fattori identitari, ma in senso attenuato, perché da una parte, come spiegato sopra, sono condicio sine qua non per l’esistenza dell’ente. E su altro fronte individuano l’ente rispetto agli altri enti (più correttamente questo vale solo per l’estensione, dato che tutte le altre caratteristiche – peso, densità, sesso, etc. – esistono perché esiste un qualcosa di esteso): fanno sì che quel Marco si distingua da quell’altro Marco. Ma la vera nostra identità si trova principalmente nell’anima razionale, è lei a essere soprattutto il nostro vero io, creato così direttamente da Dio: è Lui che informa la nostra materia umana con la nostra irripetibile anima. La persona umana è infatti sinolo di materia e forma, ossia è l’unione strettissima di due principi, uno materiale – il corpo – e uno immateriale – l’anima razionale (cfr. Aristotele [384-322 a.C.], Metafisica, VIII, cap. 1, 1042a 29; Tommaso d’Aquino [1225/1226-1274], De ente et essentia, 2). Il nostro autentico “io”, la nostra identità (il fatto che Marco è Marco e quel “Marco” lì) riposa nell’anima razionale (cfr. T. Scandroglio, Identità, normatività della persona e diritto, in G. Gambino [a cura di], Patologie dell’identità e ipotesi di terapia filosofica, Jus quia iustum Edizioni, Roma 2017, pp. 224-251). Ora secondo il principio di materia adeguata, la materia umana (il corpo umano) è materia adeguata per ricevere l’anima razionale. Dunque, non solo la persona umana è sinolo di materia e forma, ma la materia umana è, potremmo dire così, la “custodia” adatta per ricevere l’anima razionale (si tratta solo di un esempio perché il corpo non contiene l’anima, ma ne è profondamento compenetrato).

Da ciò consegue che quella particolarissima e unica anima (Marco) esige una materia adeguata alla sua unicità, chiede un corpo umano altrettanto unico e irripetibile (e infatti non esiste organismo umano uguale all’altro). La singolarità dell’anima, che con una espressione tecnica si chiama forma predicamentale, esige una materia altrettanto singolare.

In breve, l’aspetto identitario dell’anima (quel Marco lì irripetibile) esige un corpo adeguato a tale identità. Ciò significa che l’anima di Marco – il suo irripetibile modo di avere l’essere (identità) – non poteva che informare quel corpo che ha avuto al momento del concepimento, quella precisissima e irripetibile materia umana, con tutte le sue peculiari e uniche caratteristiche costitutive ed essenziali tra cui il sesso maschile. Se dunque la nostra materia umana è l’unica materia a essere adeguata alla nostra anima, e se l’anima esprime la nostra identità, ciò significa che quel corpo, con tutte le sue caratteristiche costitutive (peso, volume, densità, etc. tra cui il sesso) è l’unica risposta adeguata alla nostra identità. E dunque la particolare consonanza della materia all’anima andrebbe ricercata anche nel sesso genetico. In questo senso, il sesso maschile e quello femminile sono identitari, perché caratteristiche di un corpo che è, potremmo così dire, “copia” materiale della nostra identità (un’anima poi non più cangiante dato che il particolare modo di essere di una persona – la sua identità – non può mutare). Non che l’anima abbia sesso, ma l’anima di Marco ha il suo modo di essere immutabile che, tra gli altri aspetti, è adatto solo a un corpo maschile, a quel corpo maschile: l’identità di Marco espressa dall’anima razionale non può che reclamare un corpo maschile.

La materia maschile è la risposta empirica adeguata a quella particolare forma d’essere, è la precisa traduzione empirica della singolarità di quell’anima.

In altri termini, quell’anima informa maschilmente la materia e la materia ne riceve passivamente il suo modo di essere e la sua ricezione significa in quel caso “sesso maschile”. Ecco perché il sesso maschile e il sesso femminile sono identitari, perché rispecchiano fedelmente nella materia l’identità espressa dall’anima razionale. L’anima di Marco dunque non poteva che incontrare un corpo sessuato maschile, perché la mascolinità, e quella precisa mascolinità così come declinata nel corpo di Marco, è un aspetto fisico che risponde esattamente all’identità dell’anima di Marco. Marco non poteva che essere maschio perché solo nella mascolinità troviamo espressa la sua identità.

  • E dunque, allorché, per pura ipotesi di scuola, in futuro si potranno mutare tutti i cromosomi del nostro corpo e mutarli, ad esempio, da XY (maschio) a XX (femmina), noi modificheremo il corpo in discordanza con l’anima razionale e quindi faremo “coesistere” l’anima in un corpo che ha il sesso sbagliato, in un corpo che dal punto di vista del sesso non è quello adatto all’identità di Marco, non è quello adeguato a quell’anima. Perciò la volontà di “cambiare sesso” non riconosce l’aspetto identitario del sesso maschile e di quello femminile. Si vuole essere diversi dal punto di vista sessuale da chi siamo, si contraddice la propria identità e laddove si viola il principio di non contraddizione si erra. In altri termini, essendo il sesso maschile e quello femminile caratteri non accessori, ma essenziali di noi, identitari, chi volesse “cambiare sesso” andrebbe contro la propria identità, contro la verità riguardante il proprio essere e quindi mentirebbe a se stesso, perché vorrebbe ad esempio essere femmina quando è maschio: entrerebbe in contraddizione con se stesso, non “libererebbe” la propria identità, ma la reprimerebbe, la violerebbe. Sarebbe come credersi Napoleone quando invece si è Mario Rossi: sarebbe un inganno, una illusione menzognera.
  • Dunque, se il sesso maschile è identitario e così anche quello femminile ciò significa che non è lecito passare dall’uno all’altro. E dunque vuol dire che mascolinità e femminilità, ontologicamente, non sono comunicanti, né rappresentano gradi differenti dell’unica appartenenza sessuale, quasi che si potesse transitare dall’azzurro scuro dell’uomo molto virile al rosa pallido di una romantica fanciulla, passando per infinite nuances di gradazioni di colori intermedi (ecco uno dei motivi per cui le realtà gay hanno adottato l’arcobaleno come proprio simbolo distintivo).

La tesi che predica la possibilità di scegliere di diventare uomini o donne o di custodire nella propria persona quote differenti di mascolinità e femminilità, oppure di non essere caratterizzati da nessun sesso, prende il nome di fluidità di genere ed è uno dei tratti peculiari della cosiddetta gender theory (cfr. Famiglia Domani – Mevd, La teoria del gender: per l’uomo o contro l’uomo?, Solfanelli, Chieti 2014; R. de Mattei, Gender diktat. Origini e conseguenze di una ideologia totalitaria, Solfanelli, Chieti 2014; Idem,- Dalla sodomia all’omosessualità. Storia di una normalizzazione, Solfanelli, Chieti 2016, pp. 75-90).

  • Proviamo ora a spiegare in modo più analitico il concetto secondo il quale l’essere maschi e femmine non sono gradi differenti dell’unica appartenenza sessuale. Il peso, come abbiamo visto, è un genus della persona, una proprietà necessaria e individuante, così anche il volume e il colore, etc. Il sesso, prescindendo dal suo essere “sesso maschile” e “sesso femminile”, non è un genus, ma è il sesso maschile a essere genus/proprietà a se stante, e così il sesso femminile è genus/proprietà a se stante proprio perché aspetti identitari della persona. Quindi, il sesso maschile e femminile sono qualità diverse delle persone e non gradi differenti della stessa qualità (sesso), non sono sottoinsiemi dello stesso insieme, ma insiemi distinti.

E così il peso può variare di grado (più o meno grassi), ma non entra in conflitto con l’identità della persona (un Mario grasso e un Mario magro non entrano, in linea generale, in contraddizione con la propria identità: abbiamo scritto “in linea generale” perché ad esempio l’obesità non risponde in nessun modo al perfezionamento, anche fisico, richiesto dalla propria identità → Nessuno è perfetto).

Al contrario, il sesso non può variare di grado (ad esempio, esistono geneticamente femmine con cromosomi XXX, ma non sono iperfemmine, bensì sono femmine con un cromosoma in più. Altrimenti il soggetto affetto da trisomia 21 sarebbe un iperuomo dato che ha un cromosoma in più. Anche l’umanità non è soggetta a gradazioni: o sei persona umana o non lo sei). Mutare sesso quindi non sarebbe come mutare peso, una modifica di grado, ma sarebbe una modifica di genus, di qualità. Esiste perciò un unico insieme (genere) “Peso” in cui posso trovare come sottoinsiemi (specie) sia gli obesi sia gli anoressici. Ma non esiste un insieme “Sesso” in cui posso trovare il sottoinsieme “sesso maschile” e quello “sesso femminile” (esiste logicamente, cioè posso pensarlo, ma non esiste ontologicamente).

Bensì esiste un insieme “Maschio” e un insieme “Femmina” dicotomici.
Maschio e femmina sono tra loro in relazione non di grado, ma di genere.
Ce lo conferma anche la genetica: il sesso maschile e femminile non sono due rami provenienti dal medesimo tronco, ma sono due piante differenti.

  • Questa argomentazione ci porta a concludere che le persone hanno tutte in comune alcune proprietà fondanti la materia: estensione, peso, volume, densità, etc. Ma esiste una proprietà fondante che appartiene solo ad alcuni – il sesso maschile – e un’altra proprietà fondante che appartiene solo ad altre – il sesso femminile. È quindi errato sostenere che come ci sono persone alte e basse, così ci sono persone maschili e femminili. Invece, ci sono persone alte e basse, persone maschili e persone femminili (anzi, sarebbe meglio dire: persone maschi e persone femmine).
  • Quindi, dato che il sesso biologico di appartenenza è elemento identitario, quando ci si trova a disagio nel proprio corpo occorre non cambiare l’aspetto fisico per adattarlo alla psiche, ma cambiare la psiche per adattarlo al corpo. L’errore non sta nel corpo, ma nella mente. Il dato genetico nella sua espressione cromosomica XY o XX non è mai errato: essere maschi o femmine non è mai una malattia del corpo. Essere maschi o femmine è sempre una condizione fisiologica, mai patologica. L’errore invece sta nel giudicare di vivere in un corpo sbagliato: è la mente che può ingannarsi. Nel 2017, il Collegio Americano dei Pediatri pubblicò un documento dal titolo eloquente: L’ideologia di genere danneggia i bambini, in risposta a un fenomeno sempre più crescente che vuole avvallare le (spesso presunte) “disforie di genere” nei minori bloccando con ormoni l’accesso alla pubertà.

In questo documento si afferma che «la sessualità umana è un carattere oggettivo, biologicamente binario: “XY” e “XX” sono indicatori genetici del maschio e della femmina, rispettivamente – non marcatori genetici di un disordine. […] I rari e marginali disordini nello sviluppo sessuale (DSD) […] sono tutte deviazioni, medicalmente identificabili, dalla norma della duplicità sessuale e sono correttamente riconosciuti come disordine rispetto al disegno umano (01). […]

Nessuno nasce con la consapevolezza di essere maschio o femmina: questa consapevolezza si sviluppa nel tempo e come tutti i processi di sviluppo può essere distorto dalle percezioni soggettive del bambino, dalle sue relazioni ed esperienze negative, dall’infanzia in avanti. Le persone che si identificano come se “si sentissero di un sesso opposto” o “tra un sesso e l’altro” non costituiscono un terzo sesso. Esse restano biologicamente maschi o femmine (02). […] Quando un ragazzo altrimenti sano crede di essere una ragazza esiste un problema oggettivo che sta nella testa, non nel corpo, e dovrebbe essere trattato come tale. Questi bambini soffrono di disforia di genere.

La disforia di genere (GD), in passato annoverata quale Disordine dell’Identità di Genere (GID), è un disordine mentale riconosciuto nella più recente edizione del Diagnostic and Statistic Manua of the American Psychiatric Association (DSM-V) (03)» (il documento è rinvenibile sul sito www.acpeds.org).

  • Il giudizio negativo sin qui articolato sulla transessualità non può e non vuole essere automaticamente un giudizio negativo sulla responsabilità della persona transessuale. Come abbiamo spiegato in → Non bisogna giudicare gli altri, solo Dio può giudicare in modo infallibile la responsabilità personale. Se dunque è necessario essere severi sull’errore, è altrettanto necessario essere misericordiosi verso l’errante.

 

In sintesi

  • Per identità sessuale si intende l’appartenenza a un sesso biologico. Per identità psicologica sessuale (cd identità di genere) si intende il riconoscimento di sé come appartenente al mondo maschile o a quello femminile.
  • L’espressione “cambiare sesso” è menzognera perché la persona transessuale continua ad appartenere al sesso di nascita.
  • Il sesso è aspetto identitario dell’essere umano perché, in prima battuta, non può esistere un essere umano senza sesso e perché è la materia, e dunque la materia sessuata, che viene informata dall’anima razionale a individuare il singolo essere umano, ossia a distinguerlo dagli altri esseri umani.
  • L’identità personale risiede soprattutto nell’anima razionale. Per il principio di materia adeguata, l’aspetto identitario dell’anima esige un corpo adeguato a tale identità. Ciò significa che quella particolarissima e singolarissima anima – il suo irripetibile modo di avere l’essere (identità) – non poteva che informare quella particolarissima e singolarissima materia umana con tutte le sue peculiari caratteristiche costitutive ed essenziali tra cui il sesso maschile o femminile.
  • Quindi, la differenza sessuale è aspetto identitario della persona e chi vuole “cambiare sesso” entra in contraddizione con la propria identità, con la verità sul proprio essere, e quindi compie una scelta menzognera.
  • Maschio e femmina non sono due sottoinsiemi dell’unico insieme “sesso”, bensì rappresentano insiemi a se stanti e non comunicanti. Tra il sesso maschile e quello femminile non c’è una differenza di grado, ma di genere, di qualità.
  • Da ciò deriva che esiste una proprietà fondante dell’esistenza che appartiene solo ad alcuni – il sesso maschile – e un’altra proprietà fondante che appartiene solo ad altre – il sesso femminile.
  • Dato che il sesso biologico di appartenenza è elemento identitario, quando ci si trova a disagio nel proprio corpo occorre non cambiare l’aspetto fisico per adattarlo alla psiche, ma cambiare la psiche per adattarla al corpo. Non è mai una malattia del corpo essere maschi o femmine.
  • Se è necessario giudicare severamente la transessualità, è altrettanto necessario essere comprensivi nei confronti della persona transessuale.