Storia greca, cap. III

Alberto Torresani

Storia greca

CAP. 3 – SPARTA E ATENE

 

     Le vicende di Sparta e Atene durante il periodo arcaico, ossia dall’VIII secolo fino alle guerre persiane all’inizio del V secolo a.C., meritano particolare attenzione per l’importanza che ebbero le due poleis più significative nella storia greca e per l’originalità degli sviluppi sociali e politici sperimentati.

     Sorta in Laconia, nella parte meridionale del Peloponneso, Sparta si sviluppò a spese dei popoli vicini, soprattutto i Messeni, e reagì ai mutamenti sociali ed economici dell’VIII-VII secolo praticando una chiusura nei confronti delle altre città e realizzando un modello politico-sociale peculiare, che prefigura alcuni regimi totalitari moderni, fondati su un esasperato militarismo al fine di mantenere immutati i vertici del potere.

     Scrive Plutarco: “Un’innovazione arditissima di Licurgo fu la ripartizione dei campi, poiché in Sparta era grande la diseguaglianza sociale, essendo alcuni mendicanti e privi di terra, altri ricchissimi, Licurgo per bandire ogni causa d’insolenza e d’invidia, d’infelicità e di eccessivo benessere, in una parola, per cacciare la miseria e la ricchezza, cause essenziali delle passate turbolenze persuase tutti i cittadini a mettere in comune tutte le loro terre per farne più tardi un’equa ripartizione, in questo dando la precedenza alla sola virtù”. Sparta raggiunse l’apice della sua potenza nel corso del VI secolo a.C., dando vita a un’alleanza politico-militare con le città confinanti, che gli storici chiamano Lega del Peloponneso.

     Atene, sorta nella regione dell’Attica in seguito a un fenomeno di aggregazione tra i centri agricoli preesistenti, reagì in modo diverso da quello di Sparta di fronte alla crisi economica e sociale del VII secolo. Accettò la sfida che i cambiamenti proponevano e, attraverso una serie di riforme legislative, giunse alla realizzazione del primo regime democratico della storia. Tra i riformatori si ricorda Dracone operante intorno al 621 a.C., poi vi furono le riforme di Solone, approvate nel 594 a.C. e, dopo l’intermezzo della tirannide dei Pisistratidi, la definitiva sistemazione costituzionale realizzata da Clistene nel 508 a.C. Il sistema democratico di Clistene aboliva qualunque privilegio legato alla nascita e consentiva, almeno in linea di principio, l’accesso alle cariche dello Stato a tutti i cittadini, realizzando una salda coesione politica interna che avrebbe fatto di Atene la più importante polis greca nei secoli V e IV a.C.

     Ne cogliamo una vivida eco nelle parole di Tucidide: “Atene è la sola città dalla quale il nemico assalitore non si sdegna di essere vinto; e dalla quale ancora il suddito non si lagna di essere governato. E noi presentiamo, quindi, una potenza avvalorata da insigni prove, senza che si abbia bisogno di un Omero che ci lodi  o di qualsiasi altro poeta i cui versi, se al momento convincono, possono essere distrutti dalla verità dei fatti. Pochi Greci vantano come gli Ateniesi gesta uguali alla fama”. Poco sopra, sempre Tucidide, aveva affermato: “Atene è la scuola dell’Ellade”. (altro…)

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Storia greca, cap. II

Alberto Torresani

Storia greca

CAP. 2 – LA GRECIA ARCAICA

     Il periodo di storia della Grecia precedente lo scontro con i Persiani, dall’VIII al VI secolo a.C., viene definito Età arcaica.

     All’inizio dell’VIII secolo la Grecia fu teatro di importanti cambiamenti sociali ed economici che danno vita a un nuovo modello politico sorto sulle vestigia delle aristocrazie terriere: la polis. Una riforma militare, incentrata sulla falange oplitica, accompagna il sorgere della polis e la rafforza, introducendo nel governo della città-stato, accanto alle famiglie aristocratiche, le classi medie dei commercianti e dei piccoli proprietari.

     Nel corso dei secoli VIII e VII si assiste alla colonizzazione greca del Mediterraneo, portando le navi e i coloni di numerose città greche sulle coste dell’Italia meridionale e della Sicilia, sui litorali africani e del mar Nero. Questa colonizzazione era stata preceduta da una colonizzazione ancora più antica che aveva avuto come teatro principale l’Asia Minore. Scrive Gaetano De Sanctis nella sua celebre Storia dei Greci: “La colonizzazione greca dell’Asia Minore segna un’epoca nella storia dell’umanità. Essa stabilì un contatto strettissimo tra Occidente e Oriente, fra Europa e Asia o, lasciando queste designazioni troppo legate ad ambienti geografici, fra popoli dotati di energie e attitudini diverse, indoeuropei e non-indoeuropei […] I Greci d’Asia nel pieno rigoglio della forza espansiva non perdettero il contatto con il grosso dei loro connazionali stabiliti oltre Egeo, anzi ne furono sempre rincalzati mercé l’apporto permanente di nuove e fresche energie. Orientali e Occidentali si incontravano dunque nella Ionia, si gettavano, può dirsi, gli uni sulla via degli altri, costretti a subire scambievoli influssi, ma senza sopraffarsi né assimilarsi, sicché gli Elleni poterono, serbando integra la propria individualità e originalità, adottare quanto ad essi, specie nella tecnica, era accessibile delle civiltà più progredite che imparavano a conoscere da vicino; e dalla ricchezza d’esperienze che apriva loro il mutato ambiente e dallo sforzo che la lotta per l’esistenza imponeva, trarre il fermento per creare una nuova civiltà superatrice degli elementi orientali e occidentali che vi confluivano”.

     La seconda colonizzazione fu un fenomeno di grandi dimensioni che innescò una serie di modifiche economiche, politiche e sociali nell’universo greco, sfociando nella richiesta, da parte delle nuove categorie emergenti, di leggi scritte, di maggiore partecipazione alla direzione dello Stato e di equità nell’amministrazione della giustizia. Dalle loro richieste si fecero spesso interpreti personalità di rilievo, a cui sarà dato il nome di tiranni e che in molte città, verso il VI secolo, presero il potere, esercitandolo a vantaggio dei nuovi ceti sociali. Così fu preparato l’avvento di regimi timocratici, fondati sul censo, che a loro volta sfociarono nei regimi democratici. (altro…)

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Storia greca, cap. I

Alberto Torresani

Storia greca

CAP. 1 – LE PRIME CIVILTA’ DELL’EGEO

 

Sulle coste e sulle isole bagnate dalle acque del mar Egeo fiorirono, in epoche diverse, la civiltà minoica e quella micenea.

     Le prime ricerche archeologiche sui Micenei risalgono alla fine dell’Ottocento, mentre gli scavi in area minoica sono ancora più recenti. Recente è la decifrazione della scrittura che va sotto il nome di “lineare B”, ad opera  dell’architetto inglese Michael Ventris. Questi, esperto nell’interpretazione di cifrari utilizzati nelle comunicazioni militari nel corso della Seconda guerra mondiale, ebbe l’idea di applicare lo stesso metodo di analisi statistica per decifrare la “lineare B”. Con l’aiuto del filologo John Chadwick, egli giunse effettivamente a capo dell’impresa, ma purtroppo morì prematuramente in un incidente stradale.

     La civiltà minoica, che prende il nome da Minosse, il mitico re di Cnosso, si sviluppa intorno ai centri urbani dell’isola di Creta. Si tratta di una struttura statale peculiare, che fonda il suo predominio politico sull’attività commerciale nel bacino orientale del Mediterraneo. Intorno al 2200 a.C. nelle città di Cnosso e di Festo, e in altri centri minori vengono edificati Palazzi che costituiscono l’espressione più tipica della cultura cretese. Sono edifici dalla planimetria molto complessa fino a meritarsi il nome di “labirinto”. Essi costituiscono il centro politico, religioso e commerciale dell’isola. Ma già a partire dal secolo indicato, i documenti indicano la presenza di popolazione proveniente dalla penisola greca.

     Dopo aver occupato la penisola greca fin dal XVII secolo a.C. e dopo aver subito l’influsso culturale dei Cretesi per tutto il secolo successivo, i Micenei occuparono l’isola di Creta intorno all’anno 1400 a.C. e ne determinarono il declino, seguito dalla scomparsa come entità politica autonoma, forse anche a causa di un terribile terremoto seguito da maremoto.

     Caratterizzata da una cultura aristocratica, fortemente gerarchica e militarizzata, la civiltà micenea si diffuse nel Mediterraneo orientale e venne in contatto con l’impero degli Ittiti. L’eco si conserva nell’Iliade che racconta la caduta di Troia, un’impresa che segna l’apogeo della civiltà micenea, da collocare alla fine del XIII secolo a.C. Tuttavia, poco dopo anche la città di Micene e le sue istituzioni crollano per cause che non conosciamo con precisione.

     Si apre perciò nell’area dell’Egeo una lunga era durata quasi quattro secoli che alcuni hanno chiamato “medioevo ellenico” nel corso del quale andò smarrita la scrittura “lineare B”: di fatto si conservarono solamente i poemi omerici che peraltro erano tramandati oralmente, ossia non erano stati scritti nella complessa scrittura sopra indicata, che per lo più veniva impiegata per scopi pratici, per esempio gli inventari di magazzino. (altro…)

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La civiltà della vita e le leggi che la minacciano

di S.E. Mons. Giampaolo Crepaldi
per Centro Studi Livatino – Milano 19 febbraio 2018

 

La “svolta” nell’attuale legislazione contro la vita

L’Osservatorio Cardinale Van Thuân ha dedicato molta attenzione all’evoluzione negativa del quadro legislativo, nazionale e internazionale, riguardante il tema della vita. Lo ha fatto in particolare dedicando a questo argomento uno dei suoi Rapporti annuali sulla Dottrina sociale della Chiesa nel mondo, precisamente quello dell’anno 2013 dal titolo “La crisi giuridica ovvero l’ingiustizia legale”[1]. Ha poi continuato con la pubblicazione di un fascicolo del “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa” incentrato sulla lotta contro le leggi ingiuste riguardanti appunto la vita e la famiglia[2]. Molti altri interventi sono stati fatti, ma ho voluto qui ricordare questi due in quanto noto una omogeneità di prospettiva con la ricerca del Centro Studi Livatino.

Questa analisi dell’evoluzione (negativa) della recente legislazione sulla vita ci ha condotto ad alcune conclusioni che vorrei qui richiamare sinteticamente, per poi procedere ad un loro approfondimento. (altro…)

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Beato Ludovico Morbioli, bolognese

LUDOVICO MORBIOLI, laico penitente (1433-1485)
(memoria facoltativa – 16 novembre)

Forse non si pensava neanche troppo male di lui, Ludovico, finché fu un giovanotto vistoso e, come tanti altri della sua età, gaudente; certamente peggiorò la sua stima quando sposò Lucia, figlia di Giovanni Tura, e tutti aspettavano, inutilmente, che egli mettesse la testa a posto …

Era nato nel 1433, era uno dei figli (cinque maschi e una sola femmina) di Agnese e di Francesco Antonio Morbioli; fu allevato con tutte le cure di una buona educazione, ma, più cresceva, più il suo modo di vivere dovette spiacere ai genitori.

Neanche quando si trasferì a Venezia, nel 1462, smise di cercare divertimenti sfrenati, come nella città natale. Se non che, là, accadde il fatto che decise davvero della sua vita. Una malattia, certamente una di quelle che non lasciano speranze, lo ridusse a chiedere asilo all’ospizio dei canonici regolari di s. Salvatore: allora, fatti i conti con il dolore, con la morte e con la carità cristiana, Ludovico fu insperabilmente restituito alla vita, guarito nella carne e segnato per sempre nello spirito da un fervente amore per il Crocifisso, immagine dolorosa della pietà divina. (altro…)

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Importanza della Dottrina per l’Azione politica dei Cattolici

di S.E. Mons. Giampaolo Crepaldi,
vescovo di Trieste

La “Dottrina sociale della Chiesa”, come dice la stessa espressione, è una “dottrina”.
Per molto tempo, però, soprattutto negli anni Settanta e Ottanta, molti contestavano questo termine e cercavano di sostituirlo con altri, come per esempio “Insegnamento” sociale della Chiesa, oppure “Discorso” sociale della Chiesa.
La parola dottrina, si diceva, è inadatta ad esprimere bene il concetto. Il principale argomento a sostegno di questa critica era che il termine “dottrina” era ritenuto astratto, teorico, deduttivo, mentre la vita sociale e politica era considerata concreta, sempre nuova, induttiva.
L’uso del termine “dottrina” lasciava intendere ancora il metodo di partire dall’alto anziché dal basso, dai principi di per sé lontani dalla concretezza della realtà, dall’intellettualismo delle formule. Il percorso doveva invece avvenire al contrario, dalle situazioni umane, dai bisogni, dalle condizioni storiche di ingiustizia e di povertà bisognava partire per elaborare nuovi orizzonti dottrinali capaci di far progredire la prassi di giustizia e di pace.
Questo discorso era sostenuto da diverse correnti teologiche secondo le quali il rapporto tra teoria e pratica doveva essere rovesciato, altrimenti – si sosteneva – il messaggio cristiano risulta incomprensibile, appunto perché calato dall’alto dentro una situazione umana ad esso estranea. (altro…)

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I FIGLI SONO DI DIO non dello Stato

I FIGLI SONO DI DIO non dello Stato

di S.E. Mons. Giampaolo Crepaldi
Arcivescovo di Trieste

Da www.iltimone.org n° 167 – novembre 2017

Da Platone allo Stato, si afferma l’ideale utopistico di cittadini orfani della famiglia.
Invece i figli sono di Dio e solo la Chiesa e i genitori possono educarli.

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Di chi sono i figli? I figli non sono di nessuno perché sono di Dio.

C’è stato un tempo in cui l’idea che il figlio fosse un dono era radicata nel cuore e nella mente delle persone, e non solo delle mamme. Un dono che viene da Dio e che bisogna educare perché a Lui ritorni. La procreazione era sentita come appartenente ad un ciclo di senso che toglieva il bimbo dalle mani di ogni potere terreno, perché era “del Signore”. (altro…)

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Caffarra: Il matrimonio smontato pezzo per pezzo

Il matrimonio smontato pezzo per pezzo
e il compito degli sposi cristiani

da Tempi.it 7 settembre 2017
Qui di seguito pubblichiamo gli appunti di un incontro che il cardinale Carlo Caffarra, scomparso ieri, tenne durante una vacanza del gruppo di Comunione e liberazione di Carate Brianza a Corvara (Bz) il 2 agosto 2016. Il testo, inedito, di cui si è voluto mantenere il carattere colloquiale, non fu rivisto dall’autore.

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Grazie per l’invito che fin dall’inverno scorso siete venuti a Bologna a farmi. Ho accettato perché ero sicuro di passare dei giorni belli in mezzo a giornate che spesso per noi sono cupe, un po’ tristi.
 Entro subito nell’argomento tenendo presente queste grandi domande che sono state fatte.

Il primo punto della mia riflessione riguarda la condizione in cui oggi versa l’istituto matrimoniale, non il sacramento del matrimonio, l’istituto matrimoniale e l’emergenza educativa, o se volete il rapporto educativo intergenerazionale.

La prima questione nell’affrontare questo punto è la condizione generale. Se io voglio disfarmi di un edificio ho due possibilità, la prima: metto una mina e lo distruggo; la seconda possibilità è che lo smonto pezzo per pezzo. Il risultato di questi due processi è molto diverso, perché nel primo caso mi trovo solo con delle macerie, nel secondo caso mi trovo con tutti i pezzi, ma non c’è più l’edificio.

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Problemi morali posti dall’Amoris Laetitia

Al Santo Padre Francesco

e per conoscenza a Sua Eminenza il Cardinale Gerhard L. Müller

 

Beatissimo Padre,

a seguito della pubblicazione della Vostra Esortazione Apostolica “Amoris laetitia” sono state proposte da parte di teologi e studiosi interpretazioni non solo divergenti, ma anche contrastanti, soprattutto in merito al cap. VIII. Inoltre i mezzi di comunicazione hanno enfatizzato questa diatriba, provocando in tal modo incertezza, confusione e smarrimento tra molti fedeli.

Per questo, a noi sottoscritti ma anche a molti Vescovi e Presbiteri, sono pervenute numerose richieste da parte di fedeli di vari ceti sociali sulla corretta interpretazione da dare al cap. VIII dell’Esortazione.

Ora, spinti in coscienza dalla nostra responsabilità pastorale e desiderando mettere sempre più in atto quella sinodalità alla quale Vostra Santità ci esorta, con profondo rispetto, ci permettiamo di chiedere a Lei, Santo Padre, quale supremo Maestro della fede chiamato dal Risorto a confermare i suoi fratelli nella fede, di dirimere le incertezze e fare chiarezza, dando benevolmente risposta ai “Dubia” che ci permettiamo allegare alla presente.

Voglia la Santità Vostra benedirci, mentre Le promettiamo un ricordo costante nella preghiera.

Roma, 19 settembre 2016

Card. Walter Brandmüller
Card. Raymond L. Burke
Card. Carlo Caffarra
Card. Joachim Meisner

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Ciò che Dio ha unito. La rivoluzione culturale del cardinale Kasper

Ciò che Dio ha unito. La rivoluzione culturale del cardinale Kasper
(di Roberto de Mattei su Il Foglio del 01-03-2014)

La dottrina non cambia, la novità riguarda solo la prassi pastorale”. Lo slogan, ormai ripetuto da un anno, da una parte tranquillizza quei conservatori che misurano tutto in termini di enunciazioni dottrinali, dall’altra incoraggia quei progressisti che alla dottrina attribuiscono scarso valore e tutto confidano nel primato della prassi. Un clamoroso esempio di rivoluzione culturale proposta in nome della prassi ci viene offerto dalla relazione dedicata a Il Vangelo della famiglia con cui il cardinale Walter Kasper ha aperto il 20 febbraio i lavori del Concistoro straordinario sulla famiglia. Il testo, definito da padre Federico Lombardi come “in grande sintonia” con il pensiero di Papa Francesco, merita anche per questo di essere valutato in tutta la sua portata.

Punto di partenza del cardinale Kasper è la constatazione che “tra la dottrina della Chiesa sul matrimonio e sulla famiglia e le convinzioni vissute di molti cristiani si è creato un abisso”. Il cardinale evita però di formulare un giudizio negativo su queste “convinzioni”, antitetiche alla fede cristiana, eludendo la domanda di fondo: perché esiste questo abisso tra la dottrina della Chiesa e la filosofia di vita dei cristiani contemporanei? Qual è la natura, quali sono le cause del processo di dissoluzione della famiglia? In nessuna parte della sua relazione si dice che la crisi della famiglia è la conseguenza di un attacco programmato alla famiglia, frutto di una concezione del mondo laicista che ad essa si oppone. E questo malgrado il recente documento sugli Standard per l’educazione sessuale dell’“Organizzazione Mondiale della Sanità” (OMS), l’approvazione del “rapporto Lunacek” da parte del Parlamento europeo, la legalizzazione dei matrimoni omosessuali e del reato di omofobia da parte di tanti governi occidentali. Ma ci si chiede ancora: è possibile nel 2014 dedicare 25 pagine al tema della famiglia, ignorando l’oggettiva aggressione che la famiglia, non soltanto cristiana, ma naturale, subisce in tutto il mondo? Quali possono essere le ragioni di questo silenzio se non una subordinazione psicologica e culturale a quei poteri mondani che dell’attacco alla famiglia sono i promotori?

Nella parte fondamentale della sua relazione, dedicata al problema dei divorziati risposati, il cardinale Kasper non esprime una sola parola di condanna sul divorzio e sulle sue disastrose conseguenze sulla società occidentale. Ma non è giunto il momento di dire che gran parte della crisi della famiglia risale proprio all’introduzione del divorzio e che i fatti dimostrano come la Chiesa avesse ragione a combatterlo? Chi dovrebbe dirlo se non un cardinale di Santa Romana Chiesa? Ma al cardinale sembra interessare solo il “cambiamento di paradigma” che la situazione dei divorziati risposati oggi esige.

Quasi a prevenire le immediate obiezioni, il cardinale mette subito le mani avanti: la Chiesa “non può proporre una soluzione diversa o contraria alle parole di Gesù”. L’indissolubilità di un matrimonio sacramentale e l’impossibilità di un nuovo matrimonio durante la vita dell’altro partner “fa parte della tradizione di fede vincolante della Chiesa che non può essere abbandonata o sciolta richiamandosi a una comprensione superficiale della misericordia a basso prezzo”. Ma immediatamente dopo aver proclamato la necessità di rimanere fedeli alla Tradizione, il cardinale Kasper avanza due devastanti proposte per aggirare il perenne Magistero della Chiesa in materia di famiglia e di matrimonio.

Il metodo da adottare, secondo Kasper, è quello seguito dal Concilio Vaticano II sulla questione dell’ecumenismo o della libertà religiosa: cambiare la dottrina, senza mostrare di modificarla. “Il Concilio – afferma – senza violare la tradizione dogmatica vincolante ha aperto delle porte”. Aperto delle porte a che cosa? Alla violazione sistematica, sul piano della prassi, di quella tradizione dogmatica di cui a parole si afferma la cogenza.

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