Ven. Prof. Giuseppe Toniolo: I veri riformatori sociali.

La grande missione sociale della religione cattolica e della Chiesa: come questa sola è capace di recar rimedio radicale al disordine sociale, perché essa sola penetra fino alla causa prima di esso, nel fondo delle anime, e vi opera colla virtù della grazia, così la Chiesa sola è fattore intrinseco dell\’ordine stesso della società nel suo assetto normale … Lo Stato per converso né genera primamente la società, né la rigenera ulteriormente se guasta e languente; e se questa pertanto si sottrae alla benefica atmosfera della Chiesa, si predispone di necessità e irreparabilmente a corrompersi in forma di morbo o crisi sociale.

I veri riformatori sociali
in: Movimento cattolico, a. VII, 1886, pp. 165-173

Perché non si fa una storia del socialismo a rovescio?
Questo quesito sorgeva e martellava nel capo a chi scrive questo articolo, all\’occasione di certe predicazioni che di recente, con fenomeno invero straordinario, commossero le popolazioni, in talune delle nostre più antiche e colte città. (1)
Ma per chiarire il contenuto dell\’inchiesta e non parere vaghi di formule enigmatiche o paradossali, domandiamo tosto a qualunque onesto e indipendente pensatore, se, ad una compiuta indagine ed estimazione delle vicende del socialismo, non fosse necessario rendersi ragione del perché codeste manifestazioni patologiche della società, che hanno radice perenne nella natura viziata dell\’uomo, non si appalesino punto, o appena con fenomeni attenuati e passeggeri, in certi momenti storici e talora per un lungo corso di secoli.
Tale fu precisamente il medio evo. I moti invero, anche violenti, che in quest\’epoca si manifestarono in parecchi paesi d\’Europa da parte delle plebi rurali, erano conati con cui queste aspiravano ad affrettare lo alleggerimento o l\’abolizione della servitù, che altrove (per esempio in Italia) effettuavasi in modo graduale e spontaneo; senza che quelli rivestissero que\’ caratteri di rivolta comunistica che presentarono dappoi la guerra dei contadini e le selvagge devastazioni degli anabattisti, ai tempi della riforma luterana in Germania. – Le rivoluzioni momentanee delle moltitudini operaie nei nostri comuni civici, compresa quella dei Ciompi (la più accentuata forse di ogni altra) hanno carattere di scioperi di artigiani inferiori contro ai superiori, mirano al condono dei debiti privati o pubblici, di cui quelle trovavansi gravate, soprattutto alla partecipazione di privilegi che altri ceti godeano nel governo della cosa pubblica; ma erano ben lungi dal comprendere nel loro programma, come parte principalissima di esso, l\’abolizione della proprietà e della famiglia o la trasformazione dell\’ordine sociale in tutta la sua ampiezza.
Eppure conviene concedere che le occasioni e gli incentivi di convulsioni di questo genere non difettavano allora. Non l\’impero prepotente e diuturno della forza; non le profonde sproporzioni economiche, civili, politiche fra i ceti; non la diffusa miseria delle popolazioni, e talora non i pericoli stessi della ricchezza, la quale porge cotanto alimento all\’ire socialistiche odierne nelle nostre doviziose società. Perocchè nelle italiche repubbliche, in que\’ centri in cui nell\’età medioevale la ricchezza venne primamente e rapidamente ad accumularsi mediante il lavoro ed il traffico fra mezzo alla povertà perdurante di tutta Europa, non v\’ha forma di usura, di frode, di prepotenza del capitale, di cui si accusa l\’età nostra egoista e banchiera, che ivi non trovasse il proprio germe, il proprio insidioso meccanismo e un campo fertilissimo di esercizio. Anzi bisogna dire, che in quella gioventù della civiltà cristiana, come può chiamarsi il medio evo, le popolazioni nel loro complesso partecipavano ai caratteri di esuberante fantasia, di subitaneo e vivacissimo sentimento, di facile predominio de\’ sensi, che son propri dell\’esistenza individuale nell\’età giovanile; e che pertanto, all\’infuori di forti rattenti e compensi, esse erano proclivi, ben più delle riflessive società moderne, alle riottose passioni.
Proposta, pertanto, l\’interrogazione del perché il socialismo pratico non apparisca generale, profondo, persistente nel medio evo, in un ambiente così gravido di cagioni deleterie, il quesito non può risultare né leggero per se stesso, né di ammaestramento nella sua trattazione.
Certo è, che per una soluzione conveniente di esso converrebbe risalire a cause molteplici, imparzialmente e ponderatamente estimate nella loro azione e confluenza, e così, p. e. – a quell\’ordine sociale cristiano, colla sua costituzione gerarchica alla base e col principio del dovere al vertice – al concetto e all\’ordinamento della proprietà, ben diversi dagli odierni – alla saldezza del nucleo familiare – alla vitalità potente degli organismi intermedi fra l\’individuo e lo Stato – a quei dogmi di fede, a quella virtù di abnegazione trapassata nelle generali abitudini, a quei precetti di giustizia e di carità, talora violati in pratica, raramente disconosciuti nel loro principio – a tutto insomma quel mondo soprasensibile di sereni ideali, di inconcusse verità, di consolanti speranze, di affetti inesauribili, che derivavano dalla cristiana religione, e che, fra le miserie della natura umana e le asprezze di un periodo di transizione, tenevano alte le ragioni dello spirito su quelle della materia, e porgevano compenso e tregua alle sofferenze e delusioni di una vita di lotta e di contrasti.
Ma c\’era ancora una particolare cagione di codesto benefico risultamento; sopra della quale soltanto, e per cenni, vogliamo richiamare l\’attenzione.
Quando il malore sociale, pur sempre latente, si rivelava improvviso con generali e paurose manifestazioni, assumeva forma acuta, minacciava di prorompere, non mancavano opportunamente i riformatori sociali.
Alcune grandi individualità del clero sorgevano allora di mezzo alle popolazioni ad additare e flagellare ad alta e libera voce i disordini privati e pubblici, a disvelarne le riposte cagioni, a flagellarne le perverse conseguenze, a proporvi rimedi dalla radice, a propugnare la necessità ed urgenza di essi, a tradurli spesso in ispeciali istituti sociali, a farsene iniziatrici e divulgatrici; e così colla parola semplice e forse rozza, ma efficacissima per ardore di fede, di giustizia e di carità, affascinavano, trascinavano, soggiogavano le moltitudini; – e la società, testè pericolante per intima dissoluzione, al corto termine del loro apostolato lasciavano rigenerata e rinvigorita.
Tali sono (almeno come preparatori di coloro che nelle pubbliche predicazioni brillarono dappoi) parecchi dei santi Padri i quali, col ministero della parola insieme agli scritti, dinanzi alla romana società condannata a perire nell\’ozio, nell\’egoismo, nel lusso e sotto gli odi delle schiave moltitudini, sostengono con un linguaggio di fuoco la morale dignità del servo, fan risonare le terribili minacce del cielo di fronte al ricco che succhia il sangue del povero, propugnano la santità del lavoro, bandiscono l\’incompreso verbo della carità. – Tale un s. Agostino, fervente anima d\’africano, dal cui labbro e dalla cui penna non v\’ha errore, vizio, corruttela di mente e di cuore dell\’età sua, che non abbiano ricevuto confutazione e condanna. Il quale non pago di essersi costituito prototipo dei polemisti di tutti i tempi, in pro della verità e della giustizia, dispiega, nella sua Città di Dio, alle menti dei suoi contemporanei lo spettacolo di una società di santi, che trova bensì la sua perfezione nella vita ultramondana, ma che frattanto si inizia e matura progressivamente quaggiù, sotto il governo di Dio, e per la virtù civilizzatrice del cristianesimo. Società ideale e reale ad un tempo, nella quale, ben altrimenti che nella Repubblica di Platone, venivano invitate a specchiarsi e a riprender lena tutte le generazioni venture, sconfortate alla vista e al quotidiano cimento degli imperfetti ordini sociali.
Tale un s. Francesco, vero iniziatore della popolare predicazione. Quando la ricchezza, precocemente accumulatasi nelle città trafficanti, in contrasto colla generale miseria dei volghi campagnoli, minacciava colla passione dei sensibili godimenti, da un canto di esaurire la virtù del lavoro e materializzare la incipiente cultura dello spirito, e dall\’altro di inasprire il conflitto fra le classi doviziose e le moltitudini bisognevoli, egli, in veste di mendicante, percorre Umbria, Toscana, Lombardia, trapassa a Francia e Spagna; e alle genti attonite sul suo passaggio predica le lodi della sua sposa, la povertà, che ai ricchi impone il distacco dai beni terreni, ai diseredati il rassegnato accontentamento, e le sublimi armonie della carità, che nelle sua immense braccia comprende non pur le umane, ma le insensate creature. Dietro a lui si accalcano le turbe; e i ricchi vendono le loro sostanze per distribuirle ai miseri; e questi presentono il regno di una inopinata fratellanza universale, che, senza offendere diritti e gerarchia sociale, s\’inizia nella comunanza del sacrificio e si compie colla comunione della carità. E in nome di queste virtù unificatrici egli riamica le fazioni nelle nostre repubbliche, soggioga la scienza fastosa in Bologna, segue gli eserciti crociati in Asia ed a loro rinfaccia i dissidi anticristiani e pericolosi; e, dopo la sconfitta, affronta la presenza del sultano, ripetendo a lui pure parole di pace cristiana, per contenere le vendette dell\’ebbro vincitore. E alla fine di sua vita lascia dietro di sé numerosissime famiglie religiose a perpetuare nel mondo l\’esempio e l\’apostolato di una novella democrazia cristiana.
E così veramente sul fondamento del sacrificio e dell\’amore, restaurato il vacillante edifizio sociale, egli prelude alla democrazia civile dei nostri comuni, ai trionfi del lavoro delle libere classi artigiane, e, fra le ricchezze fatte stromento di alti fini, e fra gli animi ingentiliti dalla virtù, inaugura l\’aurora della nostra cultura medioevale.
Tale un s. Antonio portoghese, che l\’entusiasmo popolare fra noi ribattezzò italiano; a cui non bastano i templi e le piazze, e predica all\’aperta campagna, salito sopra un noce, fra una moltitudine di trentamila ascoltatori convenuta da ogni parte, composta di ogni ceto. Al suo appressarsi si chiudono le officine, le botteghe, i fondachi; le genti, a turbe, viaggiano le lunghe notti per trovarsi all\’alba al sito del convegno. Ed egli, con semplicità attraente, per via di parabole e similitudini, ma con ardita franchezza che non distingue persona, fra la generale commozione, si fa propugnatore delle ragioni del povero di contro a\’ ricchi ed ai potenti; e alle moltitudini, atterrite dalla efferata tirannia di Ezzelino, intima la forte pazienza cristiana; mentre egli parla di giustizia e di santa libertà civile dinanzi al piccolo Attila, caduto a\’ suoi piedi in ginocchio.
Così un s. Bernardino. Allorquando i nomi di guelfo e ghibellino, più che differenze politiche celavano un intrinseco dissidio di classi, egli dalla bella piazza del Campo della sua Siena, dinanzi al popolo assembrato, a tutti gli ordini civici e ai magistrati solennemente sedenti, con profonda conoscenza del cuore umano e dei suoi tempi, e con libera parola (che farebbe arrossire noi schifiltosi) denuda le piaghe della vita privata e pubblica, dalle quali piglia origine e vigore il fermento delle parti; anatemizza per sempre i titoli di guelfo e ghibellino in nome della carità unificatrice del Cristo e della unità morale del popolo italico; e, proseguendo codesta missione sociale nelle chiese, per le vie, nelle famiglie, nei collegi d\’artefici, nei convegni aristocratici, nelle civiche adunanze, per quaranta anni in tutta Italia va riformando, insieme ai costumi, gli statuti delle nostre città, dall\’alpestre Belluno, che ne serba tuttora scolpita la memoria, ad Aquila, ove morì; – e frattanto sostenta il precipitare della società italiana, sotto l\’influenza del rinascimento classico, verso la corruttela di un nuovo paganesimo e l\’assolutismo dei principati.
Non altrimenti un s. Bernardino da Feltre, che rendendo ricambio al missionario di Toscana, dall\’alpi scende a questa regione, quando le usure esacerbate faceano testimonianza della decadente prosperità economica; dai pulpiti di Firenze, di Lucca, di Siena predica contro quel flagello, e volendo francare le plebi dalla nuova servitù dei debiti, si fa propugnatore, fondatore, divulgatore nella penisola dei Monti di pietà, che un altro confratello suo avea poc\’anzi escogitato; – e così tempera le popolari sofferenze per la peggiore fra le crisi economiche, quella diuturna del decadimento.
Questi non sono che pochi esempi di uomini che si elevarono ad esercitare col magistero della parola una estesa e profonda influenza sul nostro popolo: ma non v\’ha nazione europea, entro ogni secolo della cultura medioevale, che non conti parecchie di queste eminenti personalità, si chiamino esse un Pietro l\’Eremita, un s. Bernardo, un s. Pier Damiano od altri, le quali tutte non sieno state ministre di una grande missione sociale riformatrice.
È impossibile non supporre anco a priori che codesti riformatori non dovessero esercitare una straordinaria azione sui popoli.
Eminentemente sapienti, predicano la riforma esteriore dei rapporti sociali-civili, ma cominciano dalla riforma interiore delle anime; e così non sconvolgono l\’ordine sociale nelle sue basi, ma, col rinnovamento dapprima dell\’individuo e della famiglia, riconducono la società ai suoi principi.
Eminentemente pratici, si fanno principali difensori e proteggitori delle moltitudini povere e sofferenti; ma imparzialmente il loro apostolato estendono alle classi superiori e lo innalzano fino ai principi; e se a questi intimano giustizia e carità, a quelli ispirano rassegnazione ed obbedienza; e nell\’ufficio stesso di agitatori sociali, essi medesimi si profferiscono modello di soggezione ad ogni legge divina ed umana. Così il loro apostolato non costa una delusione, una lagrima, una goccia di sangue: non provoca, ma sopisce il germe della rivoluzione.
Eminentemente autorevoli, si presentano alle genti, non nel nome proprio o di alcuno umano potere, ma in nome di Dio, e colle promesse e minacce oltremondane predicano la generale riforma, ma cominciano a riformare se stessi, nell\’abnegazione, nelle austerità, nella preghiera; predicano colla virtù taumaturgica della parola, ma questa rinfrancano coll\’esempio e colle opere di sociale vantaggio; e dove non giunge la loro voce, arrivano le loro istituzioni e i loro benefici, arriva la fama generale che li proclama i messi del Signore.

La scienza pertanto dee tenere adeguato conto di questi uomini e della loro azione riformatrice. Senza di ciò, essa trascurerebbe l\’analisi integrante di importantissimi fattori dell\’ordine sociale, per mezzo dei quali la consistenza di questo viene, a quando a quando, avvalorata, la sua vitalità rinvigorita. E senza di ciò ancora, essa non potrebbe, per ragione dei contrari, estimare al giusto l\’azione, ben altrimenti diversa, di quei riformatori sociali che dai sopraddetti si dilungano nel carattere, nello spirito e negl\’intendimenti, né porgere spiegazione adeguata delle esperienze storiche del socialismo pratico, da questi tutt\’altro che trattenuto, ma piuttosto provocato, diretto, precipitato.
E comunque la scienza oggi dolorosamente rifiuti di ammettere il soprannaturale nella storia, si può confidare almeno che, colla scorta di una critica imparziale dei fatti, come si trovò già condotta a riconoscere nei santi almeno dei sommi filosofi e dei generosi filantropi, perverrà ad additare in essi ancora dei grandi riformatori sociali.
Ma perché queste conclusioni non sembrino dirette ad intenti dottrinali destituiti di interesse per l\’età nostra, sia lecito farne qui una concreta applicazione.
Anco in mezzo alla società moderna, ai cui piedi ribollono spaventosamente le più perverse passioni socialistiche, minacciando di annichilire gli stessi meravigliosi prodotti materiali di quella civiltà di cui essa tanto inorgoglisce, Iddio, sempre misericordioso e sapiente, suscitò degli uomini straordinari a studiarne e a rivelarne colla profonda osservazione illuminata dalla fede, gli aspiri, i bisogni, i malori. E questi uomini, col ministero degli scritti scientifici, come si addice ad età sommamente colta, o con quello della parola predicata, seguendo un indirizzo che lo spirito dei tempi suggeriva, si applicarono a comprovare coi dettami stessi della esperienza, non esservi integrità d\’ordini sociali né possibilità di durevole perfezionamento per essi fuor delle verità e degli influssi della Chiesa cattolica.
Per non entrare in accenni particolari di nomi e vicende intorno a questo, che i nostri posteri chiameranno un grande e meraviglioso movimento religioso e scientifico ad un tempo, additerò soltanto ad un esempio, che attrae e colpisce oggi le menti dei più indifferenti. Nell\’Italia nostra, e proprio in questi dì, noi assistemmo allo spettacolo di un umile frate, che dal pergamo di illustri città riuscì a scuotere e trascinare la moltitudine degli ascoltatori, in modo (fatta ragione di tempi) poco dissimile da quegli esempi del lontano medioevo. (2) Dinanzi ad una società scettica per eccellenza, la quale tuttavolta nutre sconfinato orgoglio, anzi frenesia di progresso e civiltà, quest\’uomo, rivestito delle lane, ma ancor della virtù e del santo ardore di que\’ medioevali riformatori, senza alcun lenocinio di frase, senza alcuno studio di retorica, ma colla potenza dell\’ingegno che sa intuire mirabilmente lo spirito del tempo e munirsi di tutti i presidi scientifici di esso, e colla genesi subitanea del pensiero, cui tien dietro fulminea la parola, sospirata dalla carità che traspare da tutta la persona, – quest\’uomo (ripetiamo) in una serie di conferenze affascinanti, disegna, scolpisce, erige gigante questa suprema idea: «Non v\’ha salute per le anime, ma ancora non v\’ha altezza di sapere, non rettitudine e vigore di sentire, non onestà e gentilezza di costumi, non libertà legittima de\’ popoli, non appagamento di materiale benessere, non progresso e civiltà, senza il cattolicesismo; e all\’infuori di esso non può essere e non è, fra ingannevoli e transitorie parvenze, che degradamento intellettuale, pervertimento morale, decadimento economico, servitù civile, e al fondo novella barbarie».
E le persone d\’ogni classe, d\’ogni condizione, di ogni educazione accorrono da ogni parte, si accalcano al suo pergamo, si tolgono da remote città per ascoltarlo; i professori sospendono le lezioni, gli studenti disertano le scuole, il popolo abbandona le officine; e tutti ammutoliscono intorno a lui, si immedesimano coi suoi pensieri, con lui si commuovono e infine prorompono in applausi che la maestà del tempio non, basta a trattenere e che la stampa d\’ogni colore ripercuote coi suoi articoli entusiastici e traduce con riflessioni inconsciamente ispirate ad insolito ascetismo.

Che cosa significa codesto avvenimento? Non indaghiamo le misteriose azioni della grazia soprannaturale; ma nell\’ordine puramente naturale e storico, non sarebbe questa per avventura l\’espressione della coscienza pubblica, la quale testimonia in suo linguaggio che la virtù riformatrice della Chiesa non vien meno anco in mezzo alle scettiche e materializzate popolazioni moderne? E non è un indistinto presentimento delle genti che forse è prossimo il momento in cui essa colle sue incruente vittorie salva una volta di più la società pericolante?
Frattanto attendendo umilmente e fiduciosamente il compimento dei misericordiosi disegni della Provvidenza, facciamo di trarre qui alcune inferenze dalle premesse osservazioni.
Queste ci abilitano primamente a rilevare la grande missione sociale della religione cattolica e della Chiesa. Come questa sola è capace di recar rimedio radicale al disordine sociale, perché essa sola penetra fino alla causa prima di esso, nel fondo delle anime, e vi opera colla virtù della grazia, così la Chiesa sola è fattore intrinseco dell\’ordine stesso della società nel suo assetto normale; ed anzi ne è fattore tanto più essenziale, quanto più riposto e inavvertito; come l\’atmosfera che respiriamo, la quale esercita i suoi influssi sopra di noi, non solo allorché ci scuote coi suoi nodi tempestosi, ma altrettanto e più, quando col suo volume immenso tranquillamente ci avvolge e ci avviva. Lo Stato per converso né genera primamente la società, né la rigenera ulteriormente se guasta e languente; e se questa pertanto si sottrae alla benefica atmosfera della Chiesa, si predispone di necessità e irreparabilmente a corrompersi in forma di morbo o crisi sociale.
Da quelle premesse risulta inoltre delineata la speciale e importantissima missione che spetta al clero, come corpo insegnante di questa grande istituzione divina che è la Chiesa, in ordine alla conservazione e al restauro degli ordini sociali. Rendesi cioè manifesto, come il clero possa oggi stesso e sempre esercitare una azione estesa e profonda anco esteriore sulle moltitudini, qualora (a modo di que\’ santi riformatori) dalle più alte regioni del dogma e della morale scenda ad applicazioni concrete sociali, dimostrando l\’efficacia pratica della religione nei rapporti civili e sullo stesso benessere temporale; e come pertanto (se ci è lecito questo richiamo) giovi agli ecclesiastici lo studio degli odierni problemi sociali, civili, economici, per dare codesti indirizzi all\’apologetica cattolica, conformemente allo spirito dell\’attuale momento storico, e alle raccomandazioni ed esempi dello stesso sommo gerarca.
Né per questo al laicato, e allo Stato stesso nella sua matura organizzazione odierna, mancherà un compito di riforma sociale che prevenga o rimedi le agitazioni e conati socialistici. Ma poiché (è questa pure una deduzione importante) il fondamento e la forza prima conservativa e restauratrice dell\’ordine sociale è la religione, tale azione dei privati o delle istituzioni civili non riuscirà in alcuna guisa efficace, se non si appoggi a quella recondita della fede e della morale evangelica, se si scinda dall\’azione del clero, o peggio l\’osteggi. Essa tornerà profittevole solo allora che laicato e governi procedano in questo supremo intento, in armonia e alla dipendenza della Chiesa, adoprandosi a tradurre in forme di istituti sociali concreti e all\’uopo pel magistero e colla sanzione delle leggi, le verità e gli intendimenti caritatevoli della Chiesa medesima. Gli esempi non mancano: basta, per quanto riguarda il laicato, pensare ad O\’ Connel, il cui apostolato da lui cristianamente iniziato in pro dell\’Irlanda sta forse prossimamente per conseguire il pieno suo adempimento.
E si può finalmente da quelle stesse premesse, nella generale preoccupazione di un buio e tempestoso indomani, dedurre una qualche previsione per il futuro?
Non vogliamo antivenire le vie e i disegni della Provvidenza, ma piuttosto prepariamole e affrettiamole coll\’umile sommissione e colla preghiera. Ma ci sembra tuttavolta lecito, a ragion di logica, istituire due ipotesi.
Quando questa verità, ripetuta pei mille organi di quella madre sapiente e sempre sollecita che è la Chiesa, non essere, cioè, salute né per i singoli né per la società, né darsi verace e duratura civiltà fuori del cattolicesimo, risplenderà in tutto il suo fulgore dinanzi alle menti dei popoli e alle loro coscienze sgomentate dalle più sinistre previsioni, allora il momento sarà decisivo.
Od essi informeranno a questa verità i lor pensamenti, le loro dottrine scientifiche, le loro abitudini sociali, le loro istituzioni civili; e colla salute ultramondana delle anime, gli ideali del nostro tempo verso l\’incivilimento conseguiranno una ben elevata e durevole attuazione, a beneficio e decoro universale; e la società ricostruita su quella pietra fondamentale che è Cristo potrà con più ragione intonare il suo excelsius.
Ovvero, contenti di una sterile ammirazione, lasceranno passare, inefficace, la voce d\’uomini che in certi momenti supremi la Provvidenza suscita fra loro; e allora converrà che eglino necessariamente facciano posto fra essi a quegli altri riformatori sociali, che si chiamano Proudhon, Blanc, Lassalle, Marx, Bebel, Bakunin; – e dopo l\’effimero impero di questi, dalla cui fronte e dalle cui mani le moltitudini inebriate si affretteranno a strappare l\’aureola di dottrinari e lo scettro di moderatori del socialismo, non rimarrà che di aprire il campo ai corifei senza nome delle selvagge devastazioni di Londra, di Decazeville, di Charleroi, di Chicago, e di quelle più vastamente organizzate del nichilismo.
Quale delle due previsioni si avvererà? Tutti gli uomini di senno convengono che la società moderna non perverrà ormai a ricostituirsi normalmente se non attraverso straordinarie prove.
Noi cattolici, memori che il tempo di Cristo è quello dell\’amore, preferiamo sperare (come dettò un valente scrittore francese) che non sarà una eccezionale effusione di sangue, bensì una novella inondazione di misericordia e carità, che recherà a salvamento la civiltà moderna.
Ma pur sperando e invocandolo umilmente, sappiamo però con certezza che ciò non seguirà senza una docile cooperazione alla grazia divina per virtù di forti voleri e di azione concorde.
La quale condizione non dee estimarsi meno di quello che essa importi. Può ritenersi invero per le nazioni ciò che vale per l\’uomo interiore: che cioè Iddio ci vuol salvi, ma non senza di noi. Occorre quindi imprendere la lotta contro il male, per difendere gli interessi della fede e della morale di Cristo in tutte le applicazioni non solo individuali e private ma sociali e civili propriamente dette; lotta generosa, nobile, caritatevole, che colpisce i principi e vuol salve le persone, che mira al ravvedimento dei nemici e non alla morte loro, che è pronta sempre ad abbassare le armi per abbracciare l\’avversario caduto che si dà per vinto; ma pur sempre lotta aperta e compatta. Occorre inoltre suscitare la lotta pel bene (senza di cui la prima oggi poco approderebbe) per cui si faccia ardita e molteplice concorrenza all\’operosità dei malvagi, nell\’ambito stesso esteriore della società; e così si contrapponga la propaganda scientifica e popolare della verità a quella dell\’errore, l\’apologia del sovrannaturale e del cattolicesimo nelle stesse indefettibili loro virtù sociali di fronte alle sistematiche calunnie contro la Chiesa e alla deificazione del razionalismo nel governo de\’ popoli, le istituzioni pubbliche informate alla fede e alla carità, di rimpetto a quelle ispirate all\’indifferentismo e all\’odio; battaglie (aggiungeremo qui pure) condotte colla modestia di chi conta meno sulle posse umane che sulla azione divina, colla semplicità che rifugge dal rumore e mira al risultato, col disinteresse che a null\’altro intende che al bene altrui e alla gloria di Dio; ma pur sempre battaglie di benefica operosità.
Lotte e battaglie contro il male e in pro del bene (ci si perdoni l\’insistenza) non da avventurieri, in forma parziale, accidentale, irregolare; ma (come più volte ci additò il regnante pontefice e la stessa dignità nostra di soldati di Cristo e le circostanze dei tempi esigono) da condursi in forma generale, sistematica, concorde, perdurante e per ciò stesso efficace.
A queste condizioni del sacrifizio e dell\’azione, informate a carità, rimangono nell\’ordinaria economia della Provvidenza subordinati gli stessi trionfi della divina misericordia e dell\’amore nel risanamento delle nazioni. Non conviene dimenticarlo; ma fa d\’uopo anzi rammentare ancora che è scritto: guai all\’uomo che dissipa gli inviti della grazia nel tempo opportuno; ciò che fa riscontro all\’altra sentenza, suffragata da terribili esempi storici: guai al popolo che nel momento supremo chiude l\’orecchio ai profeti di Dio.
Che se quel primo pensiero con cui si cominciò il presente articolo era un quesito teorico, questa conchiusione ci sembra molto pratica.

Note

1 Questo articolo fece parte di un volume, ormai abbastanza noto, che vide la luce in Pisa in onore del p. Agostino da Montefeltro. Opportunamente svolto e modificato, per meglio accomodarsi al programma de Il movimento cattolico, venne comunicato dal suo autore alla Sezione d\’economia cristiana dell\’Opera dei congressi e dei comitati permanenti cattolici, che ne curò la pubblicazione. Il fatto del resto dell\’accoglienza insolita e favorevolissima che le predicazioni quadragesimali, non di un pulpito soltanto ma di molti fra i più cospicui d\’Italia, ottennero quest\’anno fra noi, è tale da destare nell\’anima dei credenti un sentimento di grata e consolante aspettazione; e dovrebbe anche allo sguardo degli scettici comporre (per usare il loro linguaggio) un fenomeno di psicologia sociale, degno di osservazione.

2 Si allude qui in modo speciale al p. Agostino da Montefeltro.