SANT’IGNAZIO di LOYOLA (1491-1556)

Nacque ad Azpeitia, un paese basco, nel 1491. Avviato alla vita del cavaliere, durante una convalescenza, si trovò a leggere dei libri cristiani, per cui si spogliò degli abiti cavallereschi e fece voto di castità perpetua. In seguito decise di fondare una Compagnia di consacrati. Da solo in una grotta prese a scrivere una serie di meditazioni e di norme, che rielaborate formarono i celebri Esercizi Spirituali. Il 27 settembre 1540 papa Paolo III approvò la Compagnia di Gesù. Il 31 luglio 1556 Ignazio di Loyola morì. Fu proclamato santo il 12 marzo 1622 da papa Gregorio XV.

Il fondatore della Compagnia di Gesù appartiene alla gloriosa schiera dei santi spagnuoli del secolo XVI insieme a Francesco Saverio (11552), Tommaso da Villanova (+1555), Pietro di Alcantara (+1562), Francesco Borgia (+1572), Teresa di Gesù (+1582), Giovanni della Croce (+1591) e Pasquale Baylón (+1592). Inigo nacque, ultimo dei 13 figli di Beltrame Yànez de Onaz y Loyola, nel castello avito presso Azpeitia nella Guipùzcoa (Province Basche) nel 1491, un anno prima cioè che Cristoforo Colombo (+1506) scoprisse l\’America, e Ferdinando il Cattolico sottraesse ai mori Granada, ultimo baluardo della Spagna rimasto nelle loro mani.
Ignazio – così si chiamò in seguito – sapeva solo leggere e scrivere quando Giovanni Velàsquez de Cuellar, gran tesoriere e fiduciario della regina Isabella di Castiglia (+1504), amico della cultura e militare, lo prese con sé come paggio e lo fece educare accuratamente. Nonostante la formazione religiosa ricevuta, residendo con la corte ad Arévalo e Vallodolid, il cuore del giovane si guastò e prese ad ardere per la regina Giovanna de Foix, seconda moglie di Ferdinando il Cattolico (+1516). Nel 1515 fu persino citato ad Azpeitia dinanzi al giudice per "delitti qualificati e molto enormi" dei quali si era reso colpevole con il fratello Pietro Lopez. Appartengono a questi anni il suo amore per la musica, per i libri di cavalleria e anche per le canzoni sacre.
Quando il Velàsquez cadde in disgrazia (1517), Ignazio lasciò la corte per entrare come "cavaliere" nella guardia del corpo di Antonio Manriquez, duca di Nàjera, suo parente, e viceré di Navarra dal 1521 per volere di Carlo V (+1558). Pur adempiendo i doveri essenziali del cristiano, egli più tardi confesserà di aver seguito fino ai 26 anni le vanità mondane e di avere cercato gloria e onori in fatti d\’arme. Alto m. 1,58, era forte, muscoloso, agile. In lui si scorgeva il "basco dalla testa dura", il cavaliere smanioso di apparire elegante, con le armi sempre lucide e gli stivali ben aggiustati alle gambe, il soldato bramoso di primeggiare ad ogni costo. A prostrare il suo orgoglio fu sufficiente una cannonata sparata dai francesi nell\’assedio di Pamplona (20-5-1521), che gli spezzò lo stinco destro e gli ferì il piede sinistro.
Nel castello di Loyola i medici dovettero rompergli di nuovo la gamba malamente rimessa a posto, segargli un osso che sporgeva dal ginocchio e provvedere, dal momento che il ferito non intendeva rinunciare alla carriera delle armi, alla trazione di un arto che si ostinava a rimanere più corto. Con la convalescenza diminuì il dolore, ma sopraggiunse la noia.
Per distrarsi, Ignazio chiese da leggere romanzi cavallereschi, invece non gli furono portati che libri spirituali tra cui un leggendario di santi e la vita di Gesù scritta dal certosino Ludolfo di Sassonia (+1377). Quelle letture lo indussero a riflettere. Domenico di Guzmàn e Francesco d\’Assisi gli apparvero come eroici paladini le cui prove di coraggio paragonava alle sue per vedere se mai anch\’egli potesse fare altrettanto; Gesù Cristo gli balzò dinanzi come un capitano, un re, servire al quale gli sembrava ora la più nobile delle imprese; Maria SS. gli apparve come l\’unica dama degna del suo amore. Dinanzi all\’immagine di lei soleva prostrarsi durante le notti insonni per chiederle di presentarlo al suo divin Figlio. Una volta la Madonna gli apparve con il Bambino in braccio, per infondergli pace nell\’anima e spegnere in lui ogni desiderio sensuale.
Appena guarito, uno dei primi pensieri fu di entrare tra i certosini per fare penitenza dei suoi peccati, ma poi decise di andare in pellegrinaggio in Palestina per convertire gl\’infedeli. Prima d\’imbarcarsi a Barcellona si recò, cavalcando una mula, al Santuario di Monserrato per fare la confessione generale dei suoi peccati, passarvi una notte in veglia d\’armi e offrire alla Vergine SS., come sacro donativo, la spada e il pugnale. Strada facendo si era riposato prima nella cappella della Madonna di Aràuzazu, aveva implorato la grazia di mantenersi per tutta la vita fedele suo servitore e aveva fatto o rinnovato il voto di perpetua castità.
Da quel giorno il Santo ingaggiò una lotta accanita contro l\’orgoglio con l\’umiltà del mendicante, e contro la sensualità con digiuni e flagellazioni quotidiani. Offrì le sue ricche vesti a un povero e poi andò a prestare servizio ai malati dell\’ospedale di Santa Lucia a Manresa, giacché per la peste non aveva potuto imbarcarsi. Avendo letto che i santi avevano fatto grandi azioni per la gloria di Dio, anch\’egli, ancora poco illuminato, si diede ad esagerate mortificazioni per cui, indebolito nel fisico, andò soggetto a scrupoli e persino al pensiero del suicidio. Il suo confessore, un domenicano, minacciò di non ammetterlo una volta la settimana alla comunione se non mangiava e non dormiva. Ignazio lo ascoltò e i suoi turbamenti un po\’ alla volta svanirono. Dio lo favorì di visioni e illustrazioni in premio delle sette ore che ogni giorno trascorreva inginocchiato in preghiera. Più tardi poté asserire che, se anche si fosse perduta la Bibbia e tutti i libri, la luce ricevuta allora gli sarebbe bastata per la cognizione delle verità della fede. A Manresa, in una grotta, il Santo concepì nella sua sostanza il libretto degli Esercizi Spirituali, che costituiranno il fondamento spirituale della Compagnia di Gesù.
Dopo 10 mesi d\’intensa vita spirituale, Ignazio s\’imbarcò senza soldi per Gaeta (1523), raggiunse Venezia a piedi, mendicando il pane di porta in porta, ma quando sbarcò in Terra Santa, il custode francescano, diffidando di lui, strano pellegrino, lo costrinse a ritornare in patria. Per fare del bene alle anime occorreva studiare. Ignazio diminuì allora i digiuni e le orazioni per attendere a Barcellona allo studio del latino (1524-26), dare gli esercizi spirituali e dirigere le nobildonne alla pietà.
A tutti egli raccomandava la comunione frequente. Compì gli studi superiori all\’università di Alcalà di Henares, ma sia perché indossava con i tre compagni che lo avevano seguito un abito miserabile, sia perché insegnava il catechismo per le strade e parlava a lungo di cose spirituali senza che avesse terminato i suoi studi, fu imprigionato per 42 giorni e poi liberato, ma con minaccia di scomunica in caso di recidività.
Ignazio si trasferì allora a Salamanca (1527), ma anche là, per essersi egli permesso di parlare di peccati veniali e mortali senza aspettare di avere terminato gli studi, fu imprigionato per 22 giorni. Indignato, il Santo caricò i suoi libri sul dorso di un asino e ritornò, dopo tre mesi, a Barcellona, deciso di andare a terminare i suoi studi a Parigi. Ci fu chi cercò di distoglierlo, ma egli, che non indietreggiava mai davanti ad una decisione presa, vi si recò con il generoso aiuto di Elisabetta Roger che lo aveva preso a ben volere fin da quando lo vide a Santa Maria del Mar assistere ad una predica seduto, tutto modesto e devoto, in mezzo ai ragazzi ai piedi dell\’altare. A Parigi Ignazio studiò con più impegno senza darsi in principio almeno ad opere esteriori di zelo. Tutti i giorni prendeva parte alla Messa, faceva due volte l\’esame di coscienza e, tutte le domeniche, si comunicava. Un anno, durante le vacanze, essendo a corto di denaro, ne andò a cercare presso benestanti connazionali nel Belgio e in Inghilterra.
Nonostante i continui mali di stomaco, Ignazio tenne duro, superò gli esami di filosofia e ottenne di essere ammesso alla teologia (1534) nel collegio di Santa Barbara. Fu allora che in mezzo alla internazionale scolaresca riprese il suo apostolato con gli esercizi spirituali tanto da cadere ancora una volta in sospetto dell\’Inquisizione, all\’esame della quale risultò la purezza della dottrina e della vita di lui. In quel tempo fece suoi discepoli Pietro Fabro, Francesco Saverio, Giacomo Lainez, Alfonso Salmerón, Simone Rodriguez, Nicolo Bobadilla. Con essi il 15-8-1534, nella chiesa di Santa Maria di Montmartre, fece voto di castità, di povertà e di dedicarsi, entro un anno dalla fine degli studi, ad una crociata spirituale in Palestina per la conversione dei musulmani e in servizio dei cattolici di Siria. Nel caso però che questa crociata risultasse impossibile, lui e i suoi compagni si sarebbero messi interamente e disposizione del papa, per essere da lui impiegati senza restrizioni e compensi tra fedeli, infedeli o protestanti che, sotto la guida di Martin Lutero (+1546), stavano mettendo a soqquadro l\’Europa.
L\’anno dopo la riunione di Montmartre, essi si separarono dandosi convegno a Venezia per l\’inizio del 1537. Ignazio ritornò in Spagna per liquidare i propri interessi. Distribuì quanto possedeva ai poveri e a pie fondazioni, e destò l\’ammirazione del popolo con la sua predicazione e l\’austerità della vita. Giunto a Venezia alla fine del 1536, attese privatamente allo studio della teologia e procurò di avvicinare ecclesiastici e laici di riguardo per indurii agli esercizi spirituali e alla vita di perfezione. L\’Inquisizione ancora una volta s\’insospettì dello zelo ardente di lui e lo accusò di eresia, da cui si salvò a stento. Al termine del tempo stabilito i suoi compagni lo raggiunsero a Venezia, ma la guerra scoppiata tra Venezia e la Turchia rese impossibile la loro partenza per i Luoghi santi. Ignazio non si mosse da Venezia in attesa che la Provvidenza gl\’indicasse quello che doveva fare. Osservando l\’opera di misericordia svolta da San Gaetano da Thiene (+1547), dei cui religiosi era ospite, si dedicò con i suoi compagni all\’assistenza dei malati negli ospedali e nelle case private.
Mandò alcuni di essi a Roma per ottenere dal papa il permesso di recarsi in Terra Santa. Paolo III (+1549) non solo glielo concesse, ma fornì loro il denaro occorrente, e autorizzò quanti non erano ancora sacerdoti a ricevere i sacri ordini affinchè potessero predicare nelle chiese e sulle piazze (1537).
Poiché la guerra tra Venezia e la Turchia non accennava a cessare, i compagni di Ignazio si dispersero nella repubblica veneta. Il Santo si stabilì per 40 giorni in un convento abbandonato di Vicenza, con due compagni, vivendo di elemosine e preparandosi alla prima Messa che, a differenza dei suoi discepoli, celebrerà un anno dopo a Roma in Santa Maria Maggiore. Essendo trascorso il tempo stabilito per il pellegrinaggio in Palestina, egli distribuì i suoi seguaci tra le università di Padova, Bologna e Siena, e poi si recò a Roma insieme con il Fabro ed il Lainez per offrire i suoi servizi al papa. Sulla via Cassia, mentre faceva orazione in una chiesetta di La Storta, vide che Dio Padre raccomandava lui e i suoi compagni al divin Figlio, il quale, carico della croce, gli disse: "A Roma io vi sarò propizio".
Paolo III ricevette bene Ignazio nel novembre del 1537. Al principio dell\’anno seguente il Santo fu raggiunto dai suoi compagni ai quali ottenne il permesso di predicare, d\’insegnare alla Sapienza e di confessare. Benché non vivessero ancora assieme, essi erano tuttavia uniti di cuore e d\’intenti per il bene delle anime. In quel tempo in cui tante terre passavano al protestantesimo, un vasto campo si apriva al loro apostolo non solo in Italia, ma anche all\’estero. Siccome da molte parti era reclamato il loro concorso, e sembrava che il papa fosse disposto a mandarli dove scarseggiava di più il clero, di comune accordo pensarono di formare una società stabile. Essa prese il nome di Compagnia di Gesù perché esprimeva bene l\’idea della piccola schiera di milizia spirituale di cui Gesù Cristo stesso doveva essere il capitano. Paolo III l\’approvò il 27-9-1540.
Sotto il generalato di Ignazio i Gesuiti svolsero, in un primo tempo, un\’attività piuttosto varia a favore dei bisogni più urgenti delle anime con la predicazione, i catechismi, gli esercizi spirituali, le speciali missioni in diverse nazioni, la riforma del clero e la partecipazione al Concilio di Trento. Contemporaneamente il fondatore lavorava con l\’aiuto del P. Alfonso Polanco alla compilazione delle costituzioni e, sull\’esempio di S. Filippo Neri (+1595), si adoperava a fare rifiorire a Roma la pietà e ad erigervi opere sociali. Per sua iniziativa sorsero: la casa dei catecumeni ebrei e musulmani a San Giovanni al Mercatello; delle cortigiane ravvedute a santa Marta; delle vergini povere a Santa Caterina dei Funari; degli orfani a Santa Maria in Aquiro; e l\’Arciconfraternita dei Dodici Apostoli per il soccorso dei nobili caduti in povertà.
In seguito Ignazio affidò ad altri queste opere e, da Santa Maria della Strada, nei pressi di palazzo Venezia, residenza abituale del papa, egli attese ad opere più stabili e di più grande efficacia: nel 1546 accettò il collegio di Gandia; nel 1547 iniziò il collegio di Messina; nel 1551 fondò il Collegio Romano per l\’istruzione gratuita della gioventù; e nel 1552 il collegio Germanico per la formazione del clero necessario ai paesi del nord. Un po\’ per volta si delinearono così i quattro grandi ministeri divenuti propri della Compagnia di Gesù istituita per la maggior gloria di Dio: la cura delle anime, la confutazione degli eretici, l\’insegnamento e le missioni. Queste erano state iniziate nel 1541 con l\’invio di Francesco Saverio in oriente.
Le Costituzioni furono approvate all\’unanimità dalla prima congregazione generale dei Gesuiti nel 1554. Per i suoi religiosi Ignazio oltre ad una rigidissima povertà e una ubbidienza assoluta al papa, volle l\’assenza del coro e delle penitenze in comune, la rinuncia alle dignità ecclesiastiche e alla direziono spirituale di monache, il prolungamento del noviziato e il lungo ritardo della professione solenne, la figura canonica dei voti semplici che la precedono e il governo monarchico e vitalizio del Generale, temperato dalla congregazione generale. Le Costituzioni sono insieme agli Esercizi Spirituali, che Francesco Borgia fece approvare dal papa il 31-7-1548, i due potentissimi mezzi con cui i Gesuiti poterono svolgere un\’azione decisiva a favore della riforma cattolica.
Compiute le Costituzioni, la missione di Ignazio si poteva dire terminata. Già dal 1550 egli aveva sentito la sua salute deperire e venirgli meno le forze. Il 31-1-1551, dopo che i primi compagni, chiamati espressamente a Roma, avevano approvato il testo delle Regole, Ignazio tentò di deporre la carica di generale, ma tutti vi si opposero. Quasi tutto il 1554 il Santo lo passò a letto tanto che fu costretto a nominare un Vicario.
Alla metà di luglio 1556 abbandonò interamente la direzione dei Gesuiti, circa un migliaio, sparsi in Portogallo, a Parigi, a Venezia, in Germania, nelle Fiandre, a Trento, nel Congo, nel Brasile e in Etiopia. Di lui ci sono rimasti il Diario Spirituale, che ci rivela le sue abituali esperienze trinitario, e 12 volumi contenenti il sunto delle lettere da lui scritte per i più svariati affari, e dalle quali traspare il suo straordinario talento di governo e di guida spirituale.
Ignazio morì a Roma il 31-7-1556 senza poter ricevere i Sacramenti. Per più di trent\’anni era stato curato di mal di stomaco mentre l\’autopsia rivelò in lui un fegato completamente disseccato e tre calcoli. Gregorio XV canonizzò il fondatore dei Gesuiti il 12-3-1622. Le sue reliquie sono venerate a Roma nella chiesa detta del Gesù.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 7, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 335-341
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