SAN GIUSTINO, FILOSOFO E MARTIRE

di Marcelo Gallardo


 


Il R. P. Marcelo Gallardo è licenziato in Filosofia nella Pontificia Università San Tommaso d’Aquino di Roma. Dal 1994 è professore di Filosofia nel Seminario del Patriarcato Latino di Gerusalemme e nello “Studium Theologicum Ierosolimitanum”.


 


Introduzione e accenni biografici


San Giustino, “filosofo e martire”. Così chiama Tertulliano (1) al nostro santo, uno dei primi padri apologisti ed il primo “filosofo cristiano”. In questo lavoro intendiamo presentare certi aspetti rilevanti della vita e delle opere di questo santo riportando specialmente alcuni testi dei suoi scritti. Giustino, nato in Terra Santa e morto martire a Roma (2), è di uno dei più grandi santi della Chiesa dei primi secoli. Convertito al cristianesimo in un’epoca in cui i cristiani erano pochi e crudelmente perseguitati, affrontò con coraggio le grandi sfide della Chiesa del suo tempo: il dialogo con gli ebrei, il ruolo dei pagani e della loro cultura nella storia della salvezza, mantenendo ferma la sua fede fino a testimoniarla con il sangue.

Giustino nacque a Flavia Neapoli, città fondata da Vespasiano nel 72 d.C. poco dopo la conquista di Gerusalemme da parte dei romani. La città esiste ancora nella Samaria, col nome di Nablus e si trova fra due montagne bibliche: l’Ebal e il Garizzim. Molto vicina alla biblica Sichem, dove Dio era apparso ad Abramo, e dove lui Gli dedicò un altare (cfr. Gn 12, 6-7). Giosuè a Sichem convocò le dodici tribù d’Israele per ratificare la Alleanza fra Dio e il suo popolo (cfr. Gs 24). Lì vicino si conserva il pozzo di Giacobbe, dove il nostro Signore annunziò alla Samaritana che era arrivata l’ora in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e verità (cfr. Jn 4,23).


Per il suo nome e quello di suo padre e del suo nonno si può dedurre l’origine pagana e presumibilmente romana di Giustino i cui genitori sono probabilmente venuti dalla penisola italica per stabilirsi nella nuova colonia romana dopo la sconfitta degli ebrei e la distruzione di Gerusalemme e del Tempio nel 70 d.C. La personalità di Giustino è molto attraente, si tratta di un vero uomo in cui non c’è falsità (cfr. Jn 1,47). Riportiamo le parole di uno dei suoi biografi:


“Quello che ci ispira pronta simpatia in San Giustino, io direi di buon grado che è la trasparenza della sua anima, sincera, leale, ardente come nessuna. Quella anima si mostra a noi dalle prime righe della prima Apologia, nella stessa dedicazione; ci sono poche parole cosi impressionanti in tutta la letteratura cristiana primitiva: io, uno di loro (3).


“Io, Giustino, di Prisco, figlio di Bacheio nativi di Flavia Napoli, città della Siria di Palestina, o composto questo discorso e questa supplica in difesa degli uomini di ogni stirpe ingiustamente odiati e perseguitati, io che sono uno di loro” (4).


 


Fra le sue opere conserviamo due apologie indirizzate molto probabilmente agli imperatori Antonino Pio e Marco Antonio, ed il Dialogo con Trifone nel quale presenta il cristianesimo in Dialogo con la filosofia e col Giudaismo. Le due apologie ci fanno scoprire l’anima santa e nobile di Giustino; difende coraggiosamente ai cristiani perseguitati e senza rancore cerca la conversione dei carnefici. Secondo il padre Lagrange, tutti i cristiani dovrebbero leggere queste due apologie. Nel Dialogo, dopo aver narrato la propria conversione in tratti immemorabili, Giustino, nella persona di un rabbino evidenzia le obiezioni del giudaismo riguardo il cristianesimo. Trifone è il tipo di rabbino del secondo secolo dopo Cristo. Incantato di poter discutere con un filosofo, viene poi deluso e lo disprezza quando ascolta la sua professione di fede cristiana. Sarebbe stato meglio per Giustino, secondo Trifone, essere rimasto platonico che diventare cristiano; meglio il paganesimo al cristianesimo che adora ad un uomo. Questa era la grande accusa dell’ebraismo e Giustino cerca di dimostrare a Trifone che il Messia preannunciato dai profeti non è altro che Gesù il quale si è manifestato come il Figlio di Dio (5). Con la sua dottrina dei “semina Verbi”, San Giustino è stato forse il primo dei padri a fare una teologia della storia. Contro i gnostici afferma la continuità del disegno di salvezza fra l’antico ed il nuovo testamento, ma cerca anche di vedere come i pagani formavano parte di questo disegno.


Sottolinea anche il P. Puech che “quello che attrae e trattiene l’attenzione dello storico è la sua preoccupazione, anche se in maniera confusa, per il grande problema che la scuola di Alessandria esaminerà poi con più ampiezza e metodo e risolverà anche più efficacemente; il problema delle relazioni fra filosofia e fede” (6). Questo rende il pensiero di Giustino molto attuale perché dando uno sguardo alla storia del pensiero negli ultimi secoli constatiamo “una progressiva separazione tra la fede e la regione filosofica…La ragione, privata dell’apporto della Rivelazione, ha percorso sentieri laterali che rischiano di farle perdere di vista la sua meta finale. La fede, privata della ragione, ha sottolineato il sentimento e l’esperienza, correndo il rischio di non essere più una proposta universale… Non sembri fuori luogo, pertanto, il mio richiamo forte e incisivo, perché la fede e la filosofia ricuperino l’unità profonda che le rende capaci di essere coerenti con la loro natura nel rispetto della reciproca autonomia” (7). Seguendo questo richiamo presentiamo la figura di San Giustino, chi era convinto che la verità non può contraddire la verità, e che non è possibile dunque un’opposizione fra ragione e fede. Lui comprese che grazie al mistero del Logos incarnato la filosofia e la fede non possono essere in opposizione, anzi, sono per principio armoniche.


 


La conversione


San Giustino racconta la sua conversione nel Dialogo con Trifone, nel quale il santo ci manifesta l’itinerario della sua anima verso Dio. Lo stile letterario non diminuisce bensì abbellisce la verità della sua testimonianza. La conversione di Giustino ci aiuta a comprendere quali erano i motivi che potevano spingere ad un pagano, di cultura greca, verso il cristianesimo nel secondo secolo dopo Cristo. In quel’ epoca le speculazioni filosofiche erano piene di preoccupazioni religiose. Come dice Gilson, in quell’epoca “convertirsi al cristianesimo era, spesso, passare da una filosofia animata da uno spirito religioso ad una religione capace di visioni filosofiche”. Anche se geograficamente vicino ai Samaritani, non sembra che siano stati questi ad avvicinarlo al monoteismo né ad ispirargli il desiderio di conoscere la verità. Secondo la testimonianza dello stesso Giustino, la lettura dei profeti e degli amici di Cristo (gli apostoli ed evangelisti) viene, nella sua vita, dopo la lettura dei filosofi. In ogni modo nessuna spiegazione naturale, psicologica o sociologica è sufficiente a spiegare la sua conversione. Come afferma il P Lagrange: “La migliore spiegazione, quella che risolve il problema dalla radice, è che la grazia attirava questa anima privilegiata. Senza dubbio l’uso della ragione l’aveva allontanato dalle pratiche politeistiche”(8).


Vediamo adesso il testo in cui il santo racconta il suo itinerario filosofico prima di arrivare alla conoscenza della vera filosofia. Il testo serve per conoscere lo stato in cui si trovavano le scuole filosofiche del tempo, anche se queste vengono presentate in un modo piuttosto ironico. Giustino racconta all’ebreo Trifone come lui, desideroso di conoscere la verità, era andato alla ricerca dei filosofi:


“Anch’io da principio, desiderando incontrarmi con uno di questi uomini (filosofi), mi recai da uno stoico. Passato con lui un certo tempo senza alcun profitto da parte mia sul problema di Dio (lui non ne sapeva niente, e d’altra parte diceva trattarsi di una cognizione non necessaria), lo lasciai e andai da un altro, chiamato peripatetico. Acuto, o al meno si riteneva tale. Costui per i primi giorni mi sopportò, poi pretendeva che per il seguito stabilissi un compenso, pena l’inutilità della nostra frequentazione. Per questo motivo abbandonai anche lui, ritenendolo proprio per nulla un filosofo.


Il mio animo tuttavia era ancora gonfio del desiderio di ascoltare lo straordinario ammaestramento proprio della filosofia, per cui mi recai da un pitagorico di eccelsa reputazione, uomo di grandi vedute quanto alla sapienza. Come dunque venne a conferire con lui, volendo diventare suo uditore e discepolo, mi fece: ‘Vediamo, hai coltivato la musica, l’astronomia, la geometria? O pensi forse di poter discernere alcunché di quanto concorre alla felicità prima di esserti istruito in queste discipline, che distolgono l’animo dalle cose materiali e lo preparano a trarre frutto da quelle spirituali, sì da giungere a contemplare direttamente il bello e il bene?’


Così, dopo aver tessuto le lodi di queste scienze ed averne affermato la necessità, mi rispedì, avendo io dovuto ammettere che non le conoscevo. Ero afflitto, com’è naturale, avendo mancato le mie aspettative, tanto più che ero convinto che tale avesse una certa competenza. D’alta parte, considerando il tempo che avrei dovuto passare su quelle discipline, non potei tollerare l’idea di accantonare così a lungo le mie aspirazioni” (9).


É da notare che quello che lui cercava non era una qualsiasi verità, ma la verità su Dio. Gli stoici pur avendo una morale in alcuni aspetti elevata, non conoscevano il fondamento ultimo della morale che è Dio e la loro dottrina dei “semina verbi” si diluiva in un panteismo materialista. I peripatetici dell’epoca di Giustino si dedicavano soprattutto all’insegnamento delle opere logiche di Aristotele e quello che toccò in sorte al nostro santo era, per la venalità, più vicino ai sofisti che al discepolo di Platone. Il pitagorico sembra il più serio fra tutti ma Giustino considera la conoscenza di Dio più seria e più necessariamente immediata che tutte le scienze che questi gli chiedeva di imparare. Dio, se esiste, non può essere nascosto, la sua presenza e la sua azione non possono essere così difficili da afferrarsi, essendo questa conoscenza la più importante per l’uomo. Giustino viveva quello che San Paolo aveva ricordato agli ateniesi nell’Areopago riguardo Dio: “In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo…” (cfr. At. 17,28). Il passo seguente saranno i platonici:


“Senza via di uscita, decisi di entrare in contatto anche con i platonici, i quali pure godevano di grande fama. Eccomi dunque a frequentare assiduamente un uomo assennato, giunto da poco nella mia città, che eccelleva tra i platonici, e ogni giorno facevo dei progressi notevolissimi. Mi affascinava la conoscenza delle realtà incorporee e la contemplazione delle Idee eccitava la mia mente. Ben presto dunque ritenni di essere diventato un saggio e coltivavo la mia gioca speranza di giungere alla immediata visione di Dio (10). Perché questo è lo scopo della filosofia di Platone” (11).


Giustino si ritira in un luogo isolato pensando, scioccamente, di poter arrivare da solo alla visione di Dio. Il Mediterraneo, non molto lontano dalla città di Nablus non manca da quelle parti di posti isolati. A questo punto, appare un vecchio venerando che rappresenta in modo paradigmatico il cristianesimo in dialogo con la filosofia:


“Mi trovavo dunque in questa situazione, quando pensai di immergermi nella quiete assoluta e sottrarmi alla calca degli uomini (12), e per questo mi dirigevo verso una località non lontana dal mare. Ero ormai giunto al luogo in cui mi proponevo stare solo con me stesso, quand’ecco un vecchio carico di anni, di bell’aspetto e dall’aria mite e veneranda, poco discosto da me seguiva i miei passi. Mi volsi e lo fronteggiai fissandolo intensamente.


– Mi conosci? – fa lui.


Dissi di no.


– Perché allora, riprese, mi squadri così?


– Mi sorprende che tu sia capitato nel mio stesso posto, perché non mi sarei mai aspettato di trovare qualcuno di questi parti.


– Sono in pensiero per certi miei congiunti, mi dice. Si trovano lontano da me e per questo a mia volta vengo a vedere di loro, caso mai spuntassero da qualche parte. Tu piuttosto, fa lui a me, che cosa fai qui?


– Mi piace occupare il tempo in questo modo, risposi, perché posso liberamente dialogare con me stesso. Posti come questo favoriscono il desiderio di raziocinare.


– Ah!, sei dunque un cultore del raziocinio, e non dell’azione e della verità. E non ti provi ad essere un uomo di azione piuttosto che di sofismi?


Risposi: – Quale azione più grande e migliore si potrebbe compiere che non mostrare che la ragione tutto governa, afferrarla e salirci su per vedere dall’alto gli errori ed il comportamento degli altri, che non fanno nulla di sensato e di gradito a Dio? Senza la filosofia e la retta ragione non ci può essere saggezza. Per questo ogni uomo ha il dovere di darsi alla filosofia e ritenerla l’azione più grande e degna di onore. Tutto il resto viene in secondo o terzo ordine, ed in quanto è connesso con la filosofia è conveniente e degno di essere accettato, in quanto invece ne è disgiunto ed è esercitato di gente cui la filosofia non è compagna, è sconveniente e volgare”.


Dopo questa lode del sapere filosofico, comincia adesso un dialogo sulla natura della filosofia e sulla nozione di Dio:


– “La filosofia dunque procura la felicità? – intervenne quello.


– Certamente – dissi – ed è l’unica in grado di farlo.


Riprese: – ma che cos’è la filosofia, e qual è la felicità che procura? Se non hai degli impedimenti a dirlo dillo!


– La filosofia – risposi – è la scienza dell’essere e la conoscenza del vero, e la felicità che procura è il premio di questa scienza e di questa sapienza.


– Ma tu che cos’è che chiami Dio? Chiese.


– Ciò che è sempre uguale a se stesso e che è causa di esistenza per tutte le altre realtà, questo è Dio.


Così gli risposi e mi parve rallegrato…”.


Notiamo che Giustino è convinto della capacità dell’uomo di afferrare la verità e possiede una giusta, purché imperfetta, nozione di Dio. Il nostro filosofo non è né agnostico, né politeista, né ateo. Possedeva quello che San Tommaso chiamerà i “preambula fidei”, quelle verità naturali che sono il fondamento sul quale la fede appoggia, e senza le quali essa non può essere che fideismo. Il vecchio, dunque, vista la buona disposizione di Giustino, cercherà di condurlo pian piano verso la verità cristiana. Secondo il metodo socratico l’anziano prima di tutto fa riconoscere al Nostro che i filosofi non possono elaborare da soli un pensiero corretto su Dio perché non l’hanno visto né udito; dopo che la nostra anima non può vedere Dio se non è aiutata da “uno spirito santo”, inoltre l’incoerenza della dottrina dell’eternità e la reincarnazione delle anime, fino a che Giustino si mostra vinto. E’ il momento in cui il vecchio li presenta un’altra saggezza che non viene dai filosofi ma da uomini graditi a Dio e da Lui stesso illuminati:


– “E chi mai si potrà prendere come maestro, feci io, e di dove si potrà trarre giovamento se neppure in uomini come Platone e Pitagora si trova la verità?


– Molto tempo fa, prima di tutti costoro che sono tenuti per filosofi, vissero uomini beati, giusti e graditi a Dio, che parlavano mossi dallo spirito divino e predicevano le cose future che si sono ora avverate. Li chiamano profeti e sono i soli che hanno visto la verità e l’hanno annunciata agli uomini senza remore o riguardo per nessuno e senza farsi dominare dall’ambizione, ma proclamando solo ciò che, ripieni di Spirito santo, avevano visto e udito.


I loro scritti sono giunti fino a noi e chi li legge prestandovi fede ne ricava sommo giovamento, sia riguardo alla dottrina dei principi che a quella del fine e su tutto ciò che il filosofo deve sapere. Essi, infatti, non hanno presentato il loro argomento in forma dimostrativa, in quanto rendono alla verità una testimonianza degna di fede e superiore ad ogni dimostrazione, e gli avvenimenti passati e presenti costringono a convenire su ciò che è stato detto per mezzo di loro.


Essi inoltre si sono mostrati degni di fede in forza dei prodigi che hanno compiuto, e questo perché sia glorificato Dio Padre, creatore di tutte le cose, sia hanno annunciato il Figlio suo, il Cristo da lui inviato…Prega dunque perché innanzitutto ti si aprano le porte della luce: si tratta infatti di cose che non tutti possono vedere e capire ma solo coloro cui lo concedono Dio ed il suo Cristo.


Dopo aver detto queste e altre cose, che non è qui il momento di riferire, quel vecchio se ne andò con l’esortazione a non lasciare cadere, e da allora non l’ho più rivisto. Quanto a me, un fuoco divampò all’istante nel mio animo e mi pervase l’amore per i profeti e per quelli uomini che sono amici di Cristo. Ponderando tra me e le sue parole trovai che questa era l’unica filosofia certa e proficua.


In questo modo e per queste ragioni io sono un filosofo, e vorrei che tutti assumessero la mia stessa risoluzione e più non si allontanassero dalle parole del Salvatore”.


Dal momento in cui Giustino conosce Cristo non abbandona la filosofia ma si converte in un vero filosofo, uno che ha trovato la vera filosofia. Ma non dobbiamo pensare che sia stata soltanto la filosofia a preparare il cammino di Giustino verso Gesù Cristo; ci sono stati anche i martiri. L’esempio della loro vita e soprattutto l’animo con il quale affrontavano il martirio:


“Infatti io stesso, che mi ritenevo soddisfatto delle dottrine di Platone, sentendo che i cristiani erano accusati ma vedendoli impavidi dinanzi alla morte ed a tutti i tormenti ritenuti terribili, mi convincevo che era impossibile che essi vivessero nel vizio e nella concupiscenza.


Infatti quale uomo libidinoso o intemperante o che reputi un bene il cibarsi di carne umana (13) potrebbe abbracciare la morte, per essere privato di questi suoi beni, e cercherebbe invece di vivere sempre la vita di quaggiù e di sfuggire ai magistrati, anziché autodenunciarsi per essere ucciso?” (14).


Accettando il cristianesimo Giustino accetta dunque una nuova vita che include la possibilità del martirio. Da quel momento Giustino non cercherà altro che di essere trovato degno del nome di cristiano.


 


San Giustino e la filosofia


Abbiamo visto cosa pensava Giustino prima della sua conversione nel dialogo col misterioso anziano. Quando il filosofo si converte non intende per niente lasciare la filosofia. Al contrario pensa di aver trovato, finalmente, la vera filosofia. Per questo quando Trifone lo incontra ad Efeso, Giustino indossava il manto proprio dei filosofi ed è per questo che lo saluta: “Salve, filosofo!”. Il fatto viene anche testimoniato da Eusebio: “Giustino, nel vigore della sua età, predicava la parola divina con il manto dei filosofi e combatteva difendendo la fede con i suoi scritti” (15). La posizione di Giustino riguardo alla filosofia è unica fra i padri apologisti del secondo secolo. Non soltanto riguardo al pensiero filosofico della sua epoca, ma anche riguardo a tutta la filosofia e cultura classica in genere. Senza dubbio Giustino, prima e dopo la sua conversione, aveva della filosofia un concetto elevatissimo ed è così che lo dice a Trifone:


“La filosofia in effetti è il più grande dei beni è il più prezioso agli occhi di Dio, l’unico che a Lui conduce ed a Lui ci unisce, e sono davvero uomini di Dio coloro che hanno volto l’animo alla filosofia”(16).


La difesa che fa San Giustino della filosofia è molto importante perché arriva in un momento in cui il cristianesimo soffre l’influenza dei diversi sistemi gnostici dai quali sorgono sette che a volte si dichiarano cristiane, i cui aderenti però non erano perseguitati come tali (17). Queste eresie provocheranno il rifiuto della filosofia da parte di alcuni, tra i quali un discepolo dello stesso Giustino: Taziano. Ma anche se il compito della filosofia è sublime, Giustino si rende conto che la maggior parte dei filosofi non sono riusciti a sapere che cos’è veramente la filosofia. L’uomo porta con sé la ferita della colpa originale che ha ottenebrato la sua intelligenza e indebolito la sua volontà. La storia della filosofia è una prova evidente di questo stato:


“…ai più è sfuggito che cos’è la filosofia e perché mai è stata inviata agli uomini: diversamente non vi sarebbero stati né platonici né stoici né teoretici né pitagorici, perché unico è il sapere filosofico” (18).


A Roma Giustino aprì una scuola di filosofia che non era altro che una scuola di catechesi. Grazie a questo poté insegnare pubblicamente per un certo tempo la vera filosofia in un periodo di persecuzione. Aprire una scuola pubblica sembra essere stata una genialità del nostro santo ed una ispirazione di Dio, che mediante i suoi santi ci mostra sempre nuovi sentieri di evangelizzazione. Giustino, come tutti i santi, è stato un uomo originale. Questa scuola sembra essere stata anche la causa del suo martirio giacché nella sua seconda Apologia, Giustino racconta di aver lasciato pubblicamente senza risposta Crescente, il suo accusatore (19).


Qualcuno può pensare che Giustino avrebbe concesso troppo alla filosofia e che sarebbe dunque uno dei colpevoli di quella ellenizzazione del cristianesimo malfortunatamente arrivata nei primi secoli della chiesa. L’atteggiamento di Giustino non sarebbe ‘biblico’ tenendo conto soprattutto della condanna fatta da San Paolo alla filosofia: Cristo crocifisso e follia per i pagani, la saggezza di questo mondo è pazzia. Ma la saggezza condannata da San Paolo è quella che pretende una liberazione puramente speculativa senza Cristo; questa è la massima stoltezza. Conoscere Cristo è la vera sapienza, Cristo crocifisso è sapienza di Dio e potenza di Dio. Il punto cruciale di questa accusa sarebbe la sua dottrina del “Logos spermatikós”; i semi del Verbo. Il termine Logos è certamente di origine filosofico, utilizzato da Eraclito, Filone, e nei primi secoli della Chiesa gli stoici avevano sviluppato la loro dottrina dei semina verbi (logos spermatikós).


Bisogna notare, prima di tutto col P. Lagrange, che la dottrina del Verbo di San Giustino proviene innanzitutto dalla Sacra Scrittura. Anche se prende dagli stoici il termine semina Verbi, per Giustino questo ha un senso assolutamente diverso. L’operazione fatta dai gnostici è stata quella di assorbire la persona di Gesù in una filosofia del Logos ma non è quello che ha fatto Giustino, e prima di lui lo stesso San Giovanni. L’entrata del termine Logos nel vangelo non è un errore casuale, non è l’intromissione o la vittoria della filosofia sulla fede in Gesù, tutto al contrario, è la vittoria della fede cristiana sulla filosofia. Partendo dal Gesù storico Giovanni si rivolge ai filosofi per dirgli che questi che loro nominavano “Logos” è Lui, pieno di grazia e di verità, s’è fatto carne ed ha abitato in mezzo a noi; noi abbiamo visto la sua gloria e la nostra predicazione non proviene di una speculazione teorica ma da quell’avvenimento storico:


“Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo visto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta (1Giov. 1-4).


Dire che Cristo è il Logos non era un affermazione filosofica ma religiosa, anche se prendendo un termine usato dai filosofi. E’ un fatto che il cristianesimo sin dagli inizi, nei vangeli, si appropriò di termini filosofici e, così facendo, la rivelazione cristiana non soltanto legittimava ma esigeva tali appropriazioni (20). Giustino, dunque, segue fedelmente nel cammino cominciato dagli apostoli, e proclama il diritto assoluto del cristianesimo su ogni filosofia, ogni verità, ogni logos vero pronunziato da chiunque appartiene a noi cristiani, perché noi possediamo il Verbo tutto intero. Ascoltiamo al cristiano parlare ai filosofi:


“Io confesso di vantarmi e di combattere decisamente per essere trovato cristiano, non perché le dottrine di Platone siano diverse da quelle di Cristo, ma perché non sono del tutto simili, così come quelle degli altri, Stoici e poeti e scrittori.


Ciascuno, infatti, percependo in parte ciò che è congenito al Logos divino sparso nel tutto, formulò teorie corrette; essi però contraddicendosi su argomenti di maggior importanza, dimostrano di aver posseduto una scienza non sicura ed una conoscenza non inconfutabile.


Dunque ciò che di buono è stato espresso da chiunque, appartiene a noi cristiani. Infatti noi adoriamo ed amiamo, dopo Dio, il Logos che è da Dio non generato ed ineffabile, perché egli per noi si è fatto uomo affinché divenuto partecipe delle nostre infermità, le potesse anche guarire.


Tutti gli uomini, attraverso il seme innato del Logos, poterono oscuramente vedere la realtà. Ma una cosa è un seme ed una imitazione concessa per quanto è possibile, un’altra è la cosa in sé, di cui, per sua grazia, si hanno la partecipazione e l’imitazione” (21).


Da questo principio ermeneutico, cerca nei filosofi antichi questi semi del Verbo fino ad affermare che “coloro che vissero secondo il Logos sono cristiani, anche se furono giudicati atei, come, tra i greci, Socrate ed Eraclito ed altri come loro” (22). Se c’è stato un errore non è quello di aver concesso troppo alla filosofia o di aver imposto al cristianesimo la filosofia greca ma quello di aver letto i filosofi con uno spirito così preoccupato delle verità cristiane, che credeva riconoscerle dappertutto (23).


Il martirio del santo sembra negare la grandezza che Giustino conferiva alla filosofia. Infatti mori sotto il più filosofo degli imperatori: Marco Aurelio, il suo delatore fu un filosofo: il cinico Crescentius, e fu condannato senza pietà dallo stoico Rustico, amico e confidente dell’Imperatore. Sembra che la élite intellettuale dell’epoca abbia considerato il cristianesimo come una follia degradante e si sia rinchiusa ideologicamente in quella saggezza che, nel nome della ragione, è capace di commettere le più gravi atrocità senza nessun rimorso.


 


Giustino apologista


Il secondo secolo viene considerato da molti come l’epoca d’oro dell’Impero, l’età degli Antonini. Antonino Pio (138-161) e il suo figlio adottivo Marco Aurelio sono passati alla storia come imperatori tra i più saggi, preoccupati per affermare la pax romana fino ai confini dell’impero. Ma dall’epoca di Nerone i cristiani erano considerati come un pericolo per questa pace. La prima persecuzione fu quella di Nerone il quale, su istigazione degli ebrei sui quali stava per ricadere l’accusa, li presentò alla folla come i responsabili del terribile incendio da lui provocato e come nemici del genere umano (24). Da quel momento fino a Costantino non è stato più lecito essere cristiano: “non licet essere cristianos”. E vero che ci sono stati dei periodi più tranquilli ma la spada di Damocle pendeva sempre su quelli che erano accusati di essere cristiani, e questi dovevano essere sempre pronti per difendere la loro fede perfino col sangue. Domiziano, dopo Nerone, non concesse ai cristiani nemmeno la tolleranza concessa agli ebrei. E Traiano, considerato uno dei più grandi imperatori, inaugura una nuova persecuzione considerando ai cristiani fra le società non permesse. Plinio il Giovane, nell’epoca in cui probabilmente Giustino cominciò la sua ricerca interiore, si lamentava della diffusione di quella “superstizione sfrenata e perversa”, difficile di controllare “soprattutto per il numero delle persone implicate: molti di ogni età e condizione e persino di entrambi sessi, che sono sottoposti ad accusa. Il contagio di tale pestilenza non si è limitato alla città ma si è diffuso anche nei villaggi e nelle campagne” (25). Al tempo del martirio del nostro santo il celebre precettore di Marco Aurelio, Frontone, compose la sua famosa orazione contro i cristiani, Luciano de Samosata si beffa dei cristiani per il loro atteggiamento davanti alla morte nella sua satira La morte del Peregrino, e alcuni anni dopo Celso scrisse la critica forse più acuta contro i cristiani nel suo Discorso veritiero (26).


Giustino non può tollerare la ingiustizia contro gli innocenti da parte di un potere benevolo con tutte le religioni, anche quelle più assurde e contraddittorie. Il suo interesse non è soltanto di difendere i cristiani ma anche di convertire i carnefici, appellandosi alla loro ragione e alla loro coscienza, affinché agiscano giustamente:


“Nostro dovere, dunque, è di offrire a tutti la prova della nostra vita e delle nostre dottrine, affinché per colpa di coloro che vogliono ignorare quanto ci riguarda, proprio noi non paghiamo il fio di colpe che essi commettono per cecità; quanto a voi, è vostro dovere –secondo quanto richiede la ragione- dimostrandovi buoni giudici, ascoltandoci.


Ingiustificabile sarà in seguito la vostra azione dinanzi a Dio se, dopo aver conosciuto i fatti, non agirete secondo giustizia” (27).


Nella difesa del cristianesimo utilizza molto poco l’argomento dei miracoli, e non perché lui non ci credesse ma perché i romani credevano troppo nella magia e potevano confonderli con cose del genere. Si racconta, infatti, che Tiberio, quando sentì che Gesù era salito in cielo chiese informazioni perché anche lui voleva volare su una nuvola. L’argomento più ricorrente è quello delle profezie. Qui non abbiamo il tempo né lo spazio, ma nella prima Apologia e nel dialogo, Giustino cerca di provare con i testi come le profezie nell’Antico testamento si sono compiute in Gesù Cristo. La storia di Cristo non è un mito o una favola, ci sono stati dei testimoni oculari che hanno lasciato “memorie” scritte e orali tramite le quali noi siamo diventati conoscitori dei fatti. La nascita, la predicazione, i miracoli, la morte, la passione e la risurrezione di Gesù, scandalo per gli ebrei e pazzia per i pagani, erano state predette dai profeti.


Il secondo argomento preferito da San Giustino è l’elevatezza di vita dei cristiani, è un argomento ricorrente negli apologisti del secondo secolo ed infatti, quei pochi cristiani con l’esempio della loro vita e del loro martiri convertirono un impero:


” Noi che prima godevamo della dissolutezza, ora amiamo solo la continenza; noi che usavamo arte magiche, ora ci siamo consacrati al Dio buono ed ingenerato; noi che ambivamo, più degli altri, a conseguire ricchezze e beni, ora mettiamo in comune ciò che abbiamo e lo spartiamo con i bisognosi.


Noi che ci odiavamo l’un l’altro e ci uccidevamo e non spartivamo il focolare con coloro che non erano della nostra stirpe o avevano costumi diversi, ora, dopo la manifestazione di Cristo, viviamo in comunità e preghiamo per in nemici e ci sforziamo di persuadere quanti ingiustamente ci odiano affinché vivendo secondo i buoni comandamenti di Cristo, abbiano la belle speranza di ottenere, insieme con noi, la stessa ricompensa da parte di Dio, signore di tutte le cose” (28).


Pagina bellissima di Giustino, simile a quella dell’epistola a Diogneto (29), scritta all’incirca nell’età del Dialogo contro Trifone. I cristiani sono l’anima del mondo e questo si manifesta per la santità della loro vita. In modo particolare, la virtù della purezza viene considerata da Giustino come uno degli argomenti più importanti. Così scrive all’Imperatore dopo di avergli citato alcuni detti di Cristo riguardanti la castità:


“E molti uomini e donne di sessanta o settanta anni, che fin da fanciulli sono ammaestrati negli insegnamenti di Cristo, perseverano incorrotti. E mi vanto di potervi mostrare uomini siffatti sparsi in ogni classe.


C’è forse bisogno di parlare dell’innumerevole moltitudine di coloro che si sono convertiti da una vita dissoluta e hanno appreso questa verità? Infatti Cristo non ha chiamato alla conversione ai giusti e i sobri, ma gli empi e i dissoluti e gli ingiusti” (30).


La testimonianza di Giustino è importantissima per quanto riguarda la vita liturgica dei primi cristiani. Lui parla con semplicità e chiaramente di come sono battezzati, di come si riuniscono il giorno chiamato del sole per celebrare l’eucaristia nella quale leggono e meditano la Parola di Dio, e si nutrono della “carne e del sangue di quel Gesù incarnato”, di come condividono i loro beni con i più bisognosi (31).


Abbiamo visto come la testimonianza del martirio aveva spinto Giustino verso il cristianesimo; dopo la sua conversione questo si trasforma in un argomento apologetico, la fortezza di animo di tanti cristiani davanti al martirio è una prova della verità della loro fede. San Giustino dice in altre parole quello che dirà dopo Tertulliano: il sangue dei martiri è seme di cristiani. Così scrive a Trifone:


“Che poi non ci sia chi ci metta paura e ci possa asservire, noi che su tutta la terra abbiamo creduto in Gesù, è cosa evidente. E’ noto infatti che, decapitati, crocifissi, gettati in pasto alle fiere, gettati in catene o nel fuoco e sottoposti a quanti altri tormenti, non abbandoniamo la nostra professione di fede, anzi, quanto più subiamo di questi supplizi, tanto più cresce il numero di fedeli e dei devoti nel nome di Gesù. Come quando uno pota i tralci della vite che hanno dato frutto e quella ricresce facendo germogliare nuovi rami rigogliosi e fruttiferi, cosi avviene anche a noi, perché la vigna piantata da Cristo, Dio e salvatore, è il suo popolo” (32).


 


Giustino martire


Giustino, come tanti di quei primi cristiani, possiede un’anima di martire. Per lui non solo i cristiani ma ogni uomo deve essere pronto a dare la propria vita per la verità.


“La ragione suggerisce che quelli che sono davvero pii e filosofi onorino e amino solo il vero, evitando di seguire le opinioni degli antichi qualora siano false. Infatti, la retta ragione suggerisce non solo di non seguire chi agisce o pensa in modo ingiusto, ma bisogna che in ogni modo e al di sopra della propria vita, colui che ama la verità, anche se è minacciato di morte, scelga sia di dire sia di fare il giusto” (33).


Il nostro santo seppe testimoniare col sangue queste sue parole, “confitendo veritatem, moriendo pro veritate”, come dice Sant’Agostino dei martiri. Senza paura, parla Giustino all’imperatore e alle autorità romane sapendo che queste potranno ucciderlo ma non nuocerlo:


“Voi dunque godete in ogni luogo la fama di essere pii e filosofi e custodi della giustizia e amanti della sapienza; se poi davvero anche lo siete sarà dimostrato.


Eccoci, infatti, dinanzi a voi non per adularvi attraverso questi scritti né per parlarvi in modo accattivante, ma per chiedervi di pronunciare il giudizio secondo il criterio di un attento e preciso esame, senza attenervi ai pregiudizi né al desiderio di piacere a gente superstiziosa: ritorcereste la condanna contro di voi stessi, con un comportamento irragionevole e seguendo una cattiva fama ormai inveterata.


Noi infatti siamo persuasi che non possiamo subire alcun male da alcuno, a meno che si provi che siamo operatori di malvagità o che si riconosca che siamo malvagi: voi potete sì ucciderci, ma non nuocerci” (34).


Nella seconda apologia Giustino ci fa sapere che lui prevedeva la sua morte ed era preparato:


“Ed anch’io mi aspetto che si ordiscano insidie da parte di qualcuno dei magistrati, e di essere confitto ad un palo, quanto meno da Crescente, che si compiace di strepito e di pompa” (35).


Secondo il P. Lagrange si potrebbe pensare che ci sia stato proprio una congiura degli spiriti colti contro i cristiani, in modo particolare contro Giustino. Filosofi di scuole diverse si unirono contro il nostro santo sotto lo stoico sguardo dell’Imperatore. Si voleva distruggere un maestro e la sua scuola (36).


Concludiamo il nostro lavoro col bellissimo testo del martirio del nostro santo e di suoi compagni. Speriamo che San Giustino, filosofo e martire, sia un esempio per tutti noi cristiani, affinché siamo trovati degni di questo nome che portiamo.


 


Atti del Martirio di San Giustino e compagni (37)


I – 1) Al tempo degli uomini iniqui difensori dell’idolatria, furono emanati nella città e nella regione empi editti contro i pii cristiani, con lo scopo di costringerli a sacrificare agli idoli vani.


2) Arrestati dunque, i predetti martiri furono condotti dinanzi a Rustico, prefetto di Roma.


II – 1) Appena furono condotti al tribunale, il prefetto Rustico intimò a Giustino: “Prima di tutto, credi agli dei e obbedisce agli imperatori!”.


2) Rispose Giustino: “Irreprensibile e immune da condanna è per me obbedire ai comandi del nostro salvatore Gesù Cristo”.


3) Chiese Rustico: “quali concezioni filosofiche segui?”. Rispose Giustino: “Mi sono dedicato allo studio di tutti i sistemi filosofici, ma ho aderito con la mia anima soltanto alle veritiere dottrine dei cristiani, anche se non piacciono a coloro che vivono nell’errore”.


4) Chiese ancora Rustico: “A te dunque piacciono quelle dottrine, sciagurato?”. Rispose Giustino: “Sì, poiché le seguo secondo il vero dogma”.


5) “Qual è questo dogma?”, domandò Rustico. Giustino rispose: “Quello che ci insegna a credere nel Dio dei cristiani, che consideriamo Dio unico, creatore ed ordinatore di tutto l’universo, visibile e invisibile, e nel Figlio di Dio, nostro Signore Gesù Cristo, del quale anche i profeti avevano predetto che sarebbe venuto ad annunciare la salvezza al genere umano e a insegnare la vera dottrina.


6) “E io, misero mortale, penso di dire ben poco rispetto alla sua divinità infinita, perché riconosco che è necessaria la virtù profetica per parlarne e ripeto che i profeti hanno parlato di Colui che ho chiamato Figlio di Dio. Sappi infatti che i profeti predissero la sua venuta tra gli uomini”.


III – 1) Chiese ancora il prefetto Rustico: “Dove vi riunite?”. Rispose Giustino: “Dove ciascuno può e preferisce; tu credi che tutti noi ci riuniamo in uno stesso luogo, ma non è così, perché il Dio dei cristiani, che è invisibile, non si può circoscrivere in alcun luogo, ma riempi il cielo e la terra ed e venerato e glorificato ovunque dai suoi fedeli”.


2) Riprese Rustico: “Insomma dove vi riunite , ovverosia, dove raduni i tuoi discepoli?”.


3) Giustino disse: “Abito preso un certo Martino, sopra il bagno di Timiotino, dall’inizio di questo secondo periodo della mia permanenza in Roma.


Non conosco altri luoghi di riunioni, al infuori di quello, dove, se qualcuno voleva venire a trovarmi, lo facevo partecipe delle divine parole della verità”.


4) Chiese infine Rustico: “Insomma, sei dunque cristiano?”. Rispose Giustino: “Sì, sono cristiano”.


IV – 1) Il prefetto si volse quindi a Caritone: “E tu, Caritone, sei pure cristiano?”. Rispose Caritone: “Si, per volere di Dio”.


2) Rivolto a Carito il prefetto chiese: “Che dici tu, Carito?”. Carito rispose: “Sono cristiana, per dono di Dio”.


3) Rustico chiese quindi a Evelpisto: “Tu pure sei uno di loro, Evelpisto?”. Evelpisto, schiavo dell’imperatore, rispose: “Anch’io sono cristiano, reso libero da Cristo e, per sua grazia, partecipo alla medesima speranza di questi”.


4) Rivolto a Jerace, il prefetto domandò: “Anche tu sei cristiano?”. Jerace rispose: “Si, sono cristiano poiché venero e adoro lo stesso Dio”.


5) Il prefetto proseguì l’interrogatorio chiedendo: “E stato Giustino a farvi diventare cristiani?”. Jerace rispose: “Sono cristiano da lungo tempo e cristiano rimarrò”.


6) Peone, alzatosi in piedi, dichiarò: “Anch’io sono cristiano”. Rustico gli chiese: “Chi è stato il tuo maestro?”. Peone rispose: “Dai genitori abbiamo ricevuto questa nobile confessione”.


7) Evelpisto aggiunse. “Ascoltavo volentieri i discorsi di Giustino, ma ho appreso anch’io dai miei genitori le parole della verità di Cristo”. Chiese il prefetto: “Dove vivono i tuoi genitori?”. Evelpisto rispose: “In Capadocia”.


8) Rivolto a Jerace, Rustico chiese: “Dove vivono i tuoi genitori?”. Egli rispose: “Il nostro vero padre è Cristo e la madre la fede in lui; quanto a i miei genitori terreni, sono morti e io sono giunto qui, cacciato dalla città di Iconio, nella Frigia”.


9) Il prefetto chiese quindi a Liberiano: “E Tu, che dici? Sei cristiano? Neppure te veneri i nostri dei?”. Liberiano rispose: “Anch’io sono cristiano: adoro e venero infatti l’unico vero Dio”.


V – 1) Rivoltosi nuovamente a Giustino, il prefetto disse: “Ascolta, tu che passi per un uomo saggio e credi di conoscere la verità: se ti farò frustrare e decapitare, sei ancora convinto che salirai al cielo?”.


2) Giustino rispose: “Spero di salire alla casa del Padre, se soffrirò tutti questi patimenti; so pure che la grazia divina attende tutti coloro che vivono rettamente, fino alla conflagrazione di tutto l’universo”.


3) Rispose Rustico: “Questo dunque supponi, che salirai al cielo, destinato a conseguirvi eccellenti premi”. Giustino ribatté: “Non lo suppongo, ma lo so con certezza e ne sono convinto”.


4) Disse il prefetto: “Veniamo infine alla questione importante e urgente da trattare: venite tutti insieme a sacrificare concordemente agli dei”. Giustino rispose: nessuno, che abbia senno e rettitudine, può passare dalla pietà all’empietà”.


5) Rustico intimò: “Se non ubbidite, sarete inesorabilmente puniti”.


6) Rispose ancora Giustino: desideriamo vivamente soffrire per il nostro Signore Gesù Cristo, perché dal martirio scaturirà a noi la speranza di salvezza davanti al tremendo tribunale universale del Nostro Signore e Salvatore”.


7) Similmente dissero gli altri testimoni di Cristo: “Fa’ quel che desideri; noi infatti siamo cristiani e non sacrifichiamo agli idoli”.


8) Il prefetto Rustico pronunciò quindi la sentenza: “Coloro che si sono rifiutati di sacrificare agli dei e di sottomettersi all’editto dell’imperatore, siano flagellati e condotti al supplizio della pena capitale, secondo le vigenti leggi”.


VI – 1) I santi testimoni, glorificando il Signore, salirono al luogo consueto, ove furono decapitati e consumarono così il martirio nella confessione del nostro Salvatore.


2) Alcuni dei fedeli portarono via di nascosto le loro salme e le deposero in un luogo adatto, con l’aiuto del nostro Signore Gesù Cristo, al quale la gloria nei secoli dei secoli. Amen.


 


 


Note:


1 Advers. Valent. 5.


2 Per questo lavoro ci siamo serviti molto dell’opera del P Lagrange San Justin, Philosophe, Martyr, Paris, Gabalda, 1914. Vedi anche San Giustino, Le due apologie, traduzione e note a cura di Guido Gandolfo; traduzione di Adriana Regaldo Raccone; Edizioni paoline, Roma, 1983. Idem Dialogo con Trifone, traduzione e note a cura di Giuseppe Visonà; edizioni Paoline, Milano 1988. Le citazioni le prendiamo di queste traduzioni.


3 A. Puech, Les Apologistes grecs du II siècle de notre ère, Parigi 1912, pp 52-53.


4 I Apol. 1.


5 “I detrattori recenti di Giustino avrebbero dovuto giustamente rendersi conto di un merito suo poco comune: è perfettamente al corrente dell’esegesi ebrea, quando, nei nostri giorni, i critici cristiani penetrano a malapena in questo labirinto. E un ebreo, M Goldfahn, chi a confermato che nella maggioranza dei casi si può constatare che gli allegati di Giustino sono confermati dai diversi scritti rabbinici. La sua informazione non è mai sbagliata. Se in qualche caso è impossibile il confronto, quello più giusto è di riportassi a lui” M.-J. Lagrange, oc. p.29.


6 oc., p.53.


7 Giovanni Paolo II, Fides et Ratio 48.


8 Oc., p.5.


9 Dialogo… 2, 3-5.


10 Queste parole di Giustino fanno ricordare quelle di Santa Teresa di Gesù. Era solo una bambina quando convinse suo fratello di abbandonare la loro casa, e partire per la terra degli infedeli con la speranza di morire martire e così poter vedere rapidamente Dio. Una volta ritrovata rispose ai suoi genitori: “Sono partita perché voglio vedere Dio, e per vederlo bisogna morire” Vita 1.


11 Ibidem 2,6.


12 Cfr. Omero, Iliade 6, 202.


13 Era una delle accuse che correvano contro i cristiani.


14 II Apol. XII, 1-2.


15 Storia Ecclesiastica IV, 11,8.


16 Dialogo 2,1.


17 San Giustino scrisse un trattato Contro di tutte le eresie, e un altro Contro Marcione purtroppo ambedue perduti.


18 Ibidem.


19 Cfr. II Apol. III.


20 Cfr. Etienne Gilson, La philosophie au Moyen Age, Paris, 1986.


21 II Apol. 2-5.


22 I Apol. XLVI, 3,


23 Cfr. P. Lagrange, oc., p 155.


24 Il biografo di Nerone, Svetonio, afferma nella sua vita che “vennero condannati al supplizio i cristiani, genere di individui dediti a una nuova e malefica superstizione (superstitio nuova e malefica)” (In Neron. 16). Anche lo storico Tacito si fa portavoce delle accuse contro i cristiani e afferma che questi erano “invisi per le loro nefande azioni” e “ritenuti accesi d’odio contro il genere umano” (Annali XV, 44)


25 Plinio, Lettere 10, 96.


26 Origene confuterà questa dottrina anni dopo nel suo Contro Celso.


27 I Apol. III, 4-5.


28 I Apol. XIV, 2-3. Vedi anche Dialogo CX, 3.


29 “I cristiani abitano in città greche o barbare, a seconda della sorte toccata a ciascuno. Si conformano agli usi locali per i vestiti, il nutrimento e il modo di vivere, pur manifestando un tipo di condotta meraviglioso e, a detta di tutti, paradossale. Abitano ognuno la loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto, ma sopportano tutto come stranieri. Ogni terra straniera è per loro patria e ogni patria terra straniera. Si sposano come tutti gli altri e mettono al modo i figli ma non espongono i loro nati. Allestiscono in comune la tavola ma non il letto. Sono nella carne ma non vivono secondo carne. Passano la vita sulla terra, ma sono cittadini del cielo…Quello che è l’anima nel corpo, questo sono i cristiani nel mondo.” A Diogneto cc. V-VI.


30 I Apol. XV, 5-6.


31 Cfr. I Apol. LXV, LXVI.


32 Dialogo CX, 4.


33 Ibidem. II, 1.


34 I Apol. II, 2-4.


35 II Apol. III,1.


36 Cfr. P. Lagrange, oc., p 197: “N’est-ce pas à se demander s’il n’y eut pas un complot de tous ce gens d’esprit contre le christianisme, peut-être même spécialement contre Justin, sous le regard indifférent de l’empereur philosophe? Fronton, littérateur, haranguait au Sénat; le cynique Crescens aboyait en public et dénonçait; Junius Rusticus, assis au prétoire, jugeait et condamnait. C’est bien à un docteur qu’on voulait, une école qu’il fallait faire disparaître, car Justin ne fut pas arrêté seul”.


37 Atti dei martiri, Edizioni Paoline, Milano, 1985.


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