S. TERESA DI GESÙ JORNET E IBARS (1843-1897)

Nasce ad Aytona in Catalogna, il 9 gennaio 1843 e, dopo aver conseguito il diploma magistrale, nel 1862 si associa alle Terziarie carmelitane diventando direttrice delle loro scuole. Nel 1872 viene nominata direttrice di una Congregazione di suore addette all'assistenza spirituale e materiale dei vecchi poveri, le «Hermanitas de los ancianos desamparados» (Piccole suore degli anziani abbandonati). Gravemente ammalata muore il 26 agosto 1897 a Liria (Valenza). Fu canonizzata da Paolo VI nel 1974.

La fondatrice delle Piccole Suore degli Anziani Abbandonati è nata il 9-1-1843 ad Aytona, nella diocesi di Lérida, in Catalogna (Spagna), primogenita di Francesco Jornet e di Antonia Ibars, benestanti agricoltori. La piccina crebbe virtuosa e soprattutto molto caritatevole verso i poveri, che conduceva in casa perché i genitori dessero loro qualche conforto. Una sua zia, residente in Lérida, la prese con sé fino a quattordici anni, per assicurarle un'istruzione più accurata.
A Fraga, Teresa conseguì il diploma di maestra e, per accontentare i genitori, concorse ad una scuola che le fu affidata ad Argensola, nella provincia di Barcellona. La santa, però, desiderando condurre vita religiosa, sollecitò la sua ammissione presso le Clarisse di Briviesca, vicino a Burgos, ma a causa della legislazione anticlericale e di un tumore maligno che le deturpò il viso, dopo due anni fu costretta a ritornare in famiglia. Suo zio, il B. Francesco Palau y Querer OCD, fondatore delle Carmelitane Scalze Missionarie, la invitò a recarsi a Vendrell (Lérida), una delle sue case, perché vi esercitasse l'apostolato scolastico. Teresa alla morte di lui (+1872) abbandonò la scuola perché sentiva il bisogno di darsi alle opere di carità anziché all'insegnamento.
Uno zelante sacerdote, Saturnino Lopez Novoa, maestro di cappella della cattedrale di Huesca, aveva in animo di fondare un Istituto spagnuolo che, come le Piccole Suore dei Poveri, sorte in Francia ad opera di Giovanna Jugan (+1879) si dedicasse esclusivamente all'assistenza spirituale e materiale dei poveri vecchi d'ambo i sessi. Teresa, che fino allora aveva avuto la sgradevole impressione di non essere nella sua via, si orientò risolutamente verso questo ideale. Con l'aiuto di qualche giovane e di sua sorella Maria, nel 1872 adibì a casa di ricovero i locali dell'Asilo Collegio che Don Saturnino aveva aperto per gli studenti poveri aspiranti al sacerdozio a Barbastro, dove per nove anni aveva esercitato il ministero sacerdotale. Le erano stati richiesti corredo e dote, ma ella che non possedeva ne una cosa, ne l'altra, dichiarò per esperienza: "La Provvidenza e la mia amata Madre e mai mi è venuta meno e spero, se io sarò fedele, che neppure in seguito mi verrà meno". Ella mantenne la parola data Scrisse difatti al suo superiore: "Sono figlia di ubbidienza; ubbidire e la mia gioia, pertanto può disporre di me come di una bambina che si pone nelle mani di sua madre".
Fin dal primo giorno della fondazione dell'Istituto la santa ne fu considerata superiora di fatto. Scrisse il 19-10-1872 al fondatore: "Padre, medito attentamente ciò che lei dice: che mi è necessaria molta virtù per dare buon esempio alle Piccole Suore. In me, Padre, proprio non ho niente di questo perché sono la più piccola di tutte le sue religiose; solo per la santa ubbidienza posso far questo, perché del resto non ho capacità di governare un passero, però nonostante la mia insufficienza, non lascerò di fare il possibile per adempiere il dovere che la santa ubbidienza mi ha imposto". La vita in comune iniziò con un corso di esercizi spirituali predicati dal P. Puig, gesuita e loro direttore spirituale. Teresa ebbe così modo di mettersi a contatto con la spiritualità ignaziana. Dopo gli esercizi il predicatore confidò a Don Saturnino: "Credo che lei possa confidare e sperare molto nella Madre superiora perché ha molti buoni desideri, è molto prudente e per di più ha gran cuore".
Il 27-1-1873 Madre Teresa vestì l'abito religioso con le prime compagne e fu eletta effettivamente superiora dell'Istituto. Poco tempo dopo, una "associazione di cattolici" di Valenza, che avevano fondato un ospizio per i vecchi, propose alla piccola comunità di Madre Teresa di assumerne il funzionamento. La santa accettò e ben presto, essendo cresciuto il numero delle persone anziane, per poterne ricevere ancora, acquistò l'antico convento degli agostiniani, che trasformò in casa madre delle Piccole Suore degli Anziani Abbandonati. La Congregazione si sviluppò talmente che, nel 1887, quando fu approvata dalla Santa Sede, contava già 58 case. Il popolo apprezzò molto l'Opera e quando le suore dettero inizio alla questua sui mercati, andò a gara nel rifornirle di ogni ben di Dio. Madre Teresa ne rimase commossa fino alle lacrime e comprese che vi era una sola risposta da dargli: accogliere quanti più anziani abbandonati fosse possibile.
Divenne perciò proverbiale nell'Istituto l'affermazione di Madre Teresa, riboccante di fede: "Quanti più poveri, tanti più protettori".
L'assistenza ai vecchi appagava l'ardore di carità che albergava nell'animo della santa. Li sopportava pazientemente quando facevano le bizze e cercava di tenerli occupati procurando, a quelli che erano in condizione di farlo, la soddisfazione di rendersi utili con qualche lavoro. Una teste oculare depose nei processi canonici: "Ella stessa li serviva assistendoli con molta cura; andava nella cucina ad assaggiare il vitto che si doveva dare ai malati, per vedere come era condito; a questo riguardo era esigentissima… Li rispettava molto, anche se erano rimbambiti, e a noi ordinava di fare lo stesso". Insegnava alle suore che "Dio aveva dato loro la missione di curare e assistere corporalmente gli anziani poveri e guidarli con i loro buoni consigli e la pratica delle opere di misericordia spirituale perché innalzino il proprio cuore a Dio, si attacchino a Lui, Lo conoscano sempre più; curino i poveri anziani, istruendoli come possono perché si salvino l'anima".
Madre Teresa ebbe da Dio la grazia e la consolazione di vedere aumentare in modo sorprendente il numero delle Piccole Suore, grazie anche all'attrattiva e all'ascendente suo personale. Fra le Piccole Suore era opinione comune che la loro superiora fosse dotata in misura eccezionale del carisma della scrutazione dei cuori, che le permetteva di conoscere le vocazioni quasi prima ancora che sbocciassero. Non era troppo sollecita ad accogliere le giovani che le si presentavano. Già nel 1873, quando il bisogno di crescere di numero si faceva sentire più imperioso, aveva scritto al fondatore: "Padre, non conviene far vedere alle aspiranti che ne abbiamo bisogno, anzi, tutto al contrario". Soleva ripetere: "Preferisco otto sostegni forti a molte canne mobili". Alle novizie inculcava la donazione totale che compendiava in poche parole: "La vera grandezza delle anime sta nel modo come si fanno le cose e non nel posto che si occupa". "Non vi è niente di piccolo quando si fa per la gloria di Dio". "Acquista più meriti la più umile religiosa, quando fa le cose alla perfezione, che non la superiora generale, se non è santa". Solo a guardarla le giovani si sentivano spinte ad esser più buone. Restavano soprattutto impressionate della padronanza di sé, dell'uguaglianza di umore che ella dimostrava di avere anche in mezzo alle pene e alle preoccupazioni della vita.
Madre Teresa voleva che le sue religiose fossero anime semplici e serene, non complicate o stravaganti e tanto meno simili a "cassetti chiusi". E spiegava: "La novizia deve essere come un vaso di cristallo che lascia vedere quello che vi si pone". Ci teneva molto che tra le Piccole Suore regnasse la concordia. Gli spiriti gretti, puntigliosi, pieni di sé dovevano o correggersi o ritornare in famiglia. Era molto buona e generosa con tutti, ma non lasciava passare senza la corrispondente sanzione le mancanze avvertite. Distaccata e imparziale, non mostrava preferenze per nessuna suora, neppure per sua sorella e le sue nipoti. Voleva che l'amore delle Piccole Suore fosse operativo e per questo diceva loro: "Fervorose e inferiori si, ma non di quelle che lasciano il lavoro alle altre". Sintetizzava così il loro atteggiamento spirituale: "Dio nel cuore, l'eternità nel capo, il mondo sotto i piedi". Le era abituale questa giaculatoria: "Che si faccia in me, Signore, la tua volontà santissima, giustissima, impenetrabile, degna di ogni lode".
Coloro che vissero accanto a Madre Teresa non poterono mai notare nella sua condotta la più piccola infrazione alle costituzioni scritte dal fondatore. Anche alle Piccole Suore ne raccomandava la fedele osservanza. Diceva senza ambagi: "Se non si sentono le forze per adempierle, tornino alle loro case tanto le professe che le novizie; desidero piuttosto venti suore buone che cento mediocri, che non abbiano vera vocazione". E ancora: "Osservino le Regole alla lettera e tutto andrà bene; oltre ad essere il cammino più facile è il più sicuro".
Sotto l'esperta direzione della santa, la vitalità dell'Istituto traboccava e si espandeva in un succedersi di nuove fondazioni persino nell'America Latina. Madre Teresa le assisteva nel loro sviluppo. E' impossibile seguirla nei suoi numerosi e faticosi viaggi benché continuamente sofferente di un male che le causava oltre ad una continua arsura, frequenti crisi di lancinanti dolori, emorragie e vomito, una dissenteria inguaribile, un'abituale emicrania, che si intensificava a volte tanto che non poteva tollerare il minimo rumore e raggio di luce, ed era obbligata a rimanere per ore e ore al buio e nel silenzio assoluto. Anziché affliggersene, la santa sospirava: "Dio sia lodato nell'infermità, come nella salute". Ovunque arrivava era accolta con entusiasmo dalle suore e dagli anziani. Nei decreti delle Visite che tuttora si conservano appaiono quali fossero le sue principali preoccupazioni in quelle circostanze: l'osservanza delle costituzioni, la mutua carità tra le religiose e la cura degli anziani.
Non è da credere che, terminata la visita e date le necessarie disposizioni, la santa pensasse di avere assolto il suo compito. Continuava a ravvivare i ricordi e i generosi propositi già formulati dalle Piccole Suore con brevi lettere, ripiene di sagge esortazioni. "Assistano con attenzione gli anziani e si abituino a praticare le opere di carità col retto fine di fare contento Iddio, unica mira delle nostre azioni; voglio dire che non facciano le cose per rispetto umano". "Non dicano mai ai vecchi, per quanto siano incorreggibili che, se non sono contenti, la porta è aperta e che se ne possono andare. Li trattino con pazienza e carità, perché se non ci fossero vecchi non ci sarebbero nemmeno Piccole Suore". Ad una superiora scrisse: "È un pezzo che le voglio dire che non importuni nessuno col chiedere cose che non sono del tutto necessario, come tappeti o altro; ciò che si deve chiedere è per il pane e per la casa". Alle superiore in genere raccomandava di non porre mano a grandi lavori senza assoluta necessità e quando non si poteva fare a meno di costruire, voleva che gli edifici fossero semplici, rispondenti allo scopo, ma senza inutili abbellimenti architettonici.
Le contemporanee della santa trovarono nell'esempio di lei la guida e il modello per la propria santificazione. Esse le resero questa testimonianza: "Si dimostrò sempre una religiosa integrale". A tutte le Piccole Suore diede difatti l'esempio di una intensa vita di orazione e di intima unione con Dio. Mai fu vista preoccupata o angosciata. Nelle difficoltà di ordine materiale era solita ripetere: "Dio provvederà". Era perfetta anche nelle cose più piccole. Usò con grande parsimonia persino delle cose che sono necessarie alla vita. Mai si procacciò una qualche comodità; in nessuna occasione ella cedette in quello che poteva considerarsi come assolutamente necessario.
Nella casa madre si conservano ancora come preziose reliquie gli strumenti di penitenza da lei usati con assiduità tanto più generosa in quanto le continue infermità acuivano la sua sensibilità. Li permise anche alle sue suore, ma in maniera molto più limitata, ben sapendo quale dispendio di energie e quale penitenza ogni giorno fosse loro imposta dall'assistenza agli anziani.
L'organismo della santa non poté resistere a lungo al regime che gli aveva imposto. Alle fatiche fisiche si aggiungevano di quando in quando dolori morali, come quelli cagionatile dall'epidemia del colera che in Valenza le portò via 24 suore e 70 anziani, mentre lei si trovava inchiodata a letto a Burgos tormentata da dolori spasmodici. Si preparò alla morte con molte orazioni. Un giorno una sua religiosa le chiese perché pregasse tanto. Ne ebbe questa risposta: "Ora non posso più dedicarmi al lavoro materiale e per questo impiego tutto il mio tempo a chiedere al Signore di illuminare tutte e che tutte stiano nell'osservanza".
Accentuandosi in lei i sintomi della tisi, si ritenne che fosse più opportuno trasferire l'inferma a Liria, dove il clima e la casa sembravano più adatti al suo staio Morì il 26-8-1897 dopo inenarrabili sofferenze all'apparato digerente, ridotto tutto una piaga, sopportate pazientemente per amore di Dio. Lasciava 103 case popolate da 1260 suore. Pio XII la beatificò il 2 7-4-19.58 e Paolo VI la canonizzò il 27-1-1974. Le sue reliquie sono venerate a Valenza nella cappella della Casa Madre.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 8, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 310-315.
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