S. GIOVANNI MARIA VIANNEY (1786-1859)

Giovanni Maria Vianney nacque l'8 maggio 1786 a Dardilly, Lione, in Francia. Di famiglia contadina nell'agosto 1815 fu ordinato sacerdote. Appena ordinato fu mandato a Ecully come vicario dell'abbé Balley e dopo ad Ars-en-Dombes, un borgo dove si dedicò all'evangelizzazione, attraverso l'esempio della sua bontà e carità. Trascorreva le giornate celebrando Messa e confessando, senza risparmiarsi. Morì nel 1859. Papa Pio XI lo proclamerà santo nel 1925. Egli è modello e patrono del clero parrocchiale.

Il celeste patrono, dato da Pio XI ai parroci di tutto il mondo nel 1929, nacque a Dardilly, nel dipartimento di Lione (Francia), l'8-5-1786, quarto figlio dei sei che ebbe Matteo, di ceppo contadino. Molto presto Giovanni si abituò a frequentare la chiesa. Le cerimonie religiose lo incantavano tanto che i suoi giuochi infantili ne erano spesso l'ingenua eco. Quando conduceva al pascolo il bestiame, di tanto in tanto ne lasciava ai compagni la custodia per andare a recitare il rosario dietro un cespuglio o correre alla chiesa appena sentiva suonare la campana.
Oltre che a pregare, il santo imparò presto anche a soccorrere i poveri. La casa Vianney, ben fornita di beni di fortuna, accoglieva sovente fino a dieci mendicanti al giorno. Giovanni li sfamava e riscaldava dopo averli esortati a fare una breve preghiera. Quando il padre lo incaricava di portare la legna ai bisognosi del paese, era ben felice di caricare l'asino più che poteva. Siccome a Dardilly non c'era la scuola, egli ricevette le prime nozioni ad Ecully da due Suore di San Carlo che lo prepararono pure alla prima Comunione (1799). Dovette quindi ritornare a lavorare i campi con i fratelli, spiacente di non poter frequentare la chiesa perché officiata da un prete che aveva giurato la costituzione civile del clero. Quando costui, avendo aderito al concordato stipulato tra Pio VII e Napoleone I (1802), fu riconosciuto legittimo parroco di Dardilly, Vianney fu felice di riprendere la via della chiesa, servire la Messa e insegnare ai fratelli e alle sorelle quanto apprendeva dalle spiegazioni del Vangelo.
Il desiderio di farsi sacerdote gli era venuto a contatto dell'abate Groboz che nel 1797 aveva cominciato a curare la regione di Ecully con rischio della vita. Fu udito ripetere in quel tempo: "Se avessi la fortuna di essere prete, vorrei riportare molte anime a Dio". Il padre si oppose per circa due anni alla vocazione del figlio. Poi, perché le spese fossero minori, lo mandò a studiare (1806) presso il parroco di Ecully, Carlo Balley, ex- canonico regolare di Sant'Agostino, di tendenze gianseniste. Nell'imparare Vianney incontrò gravi difficoltà. Non arrivò mai a scrivere correttamente il francese e giunse a leggere appena il latino del breviario. Il suo maestro, invece di scoraggiarlo e rimproverarlo, lo consolava e animava. Per vincere la propria ignoranza fece voto di recarsi in pellegrinaggio a piedi e mendicando il pane di porta in porta alla tomba di S. Francesco Régis (+1640), alla Louvesc, tra le montagne dell'Ardèche. Non avendo l'aspetto di un mendico si vide respinto quasi ovunque. Giunse alla tomba del santo stremato di forze. Per il ritorno fu costretto a farsi commutare il voto.
Dopo d'allora Giovanni non si sentì più votato al fallimento, ma continuò a rimanere un allievo molto mediocre. Il Balley lo sostenne con rara tenacia perché, pur vedendolo incapace del minimo successo scolastico, scopriva in lui un'anima meravigliosamente aperta a tutte le attrattive dei consigli evangelici. Il cammino di Vianney al sacerdozio fu interrotto nel 1809 da una chiamata alle armi. Prima a Lione e poi a Rennes una malattia gl'impedì di raggiungere subito il reggimento al quale era stato assegnato. Ne approfittò per sottrarsi alla guerra di Spagna fuggendo al villaggio Robin, nel comune delle Noès, dove, in attesa di tempi migliori, nella fattoria della vedova Fayot fece da istitutore nei mesi invernali e da contadino in quelli estivi. Per il popolo, a quei tempi, disertare l'esercito napoleonico, persecutore del papa, non era per nulla riprovevole. Protetto dal sindaco del paese, il santo si recava sovente alla Messa, faceva la comunione e, nonostante i pesanti lavori dei campi, non abbandonava le dure privazioni alle quali si era abituato alla scuola del Balley. Suo padre, a causa della diserzione di Giovanni, era stato sottoposto ad angherie e minacce. Per liberarsene fu costretto a lasciare partire l'ultimo suo figlio, Francesco, che perì nella campagna del 1813.
Dopo quattordici mesi di assenza, Vianney poté fare ritorno ad Ecully, accolto a braccia aperte dal Balley, che continuò ad ammaestrarlo. Costui parve non avere dubbi sull'avvenire del suo discepolo perché lo presentò al vescovo per la tonsura. Nel 1812 lo fece accogliere nel seminario minore di Verrières, che il cardinale Fesch aveva aperto, affinchè gli fosse data "un'idea della scolastica". I suoi progressi in questa scienza furono poco sensibili, e dovette anche ricevere, in francese, lezioni particolari con altri condiscepoli che, come lui, non avevano sufficiente conoscenza del latino per seguire il corso ordinario. L'ignoranza di tante cose gli procurò più di una affronto. Tuttavia per il suo impegno, la sua devozione alla Madonna e il buon temperamento si attirò la stima e l'affetto dei maestri e dei compagni.
Nelle vacanze che seguirono l'anno di filosofia, Balley diede al Vianney le prime nozioni di teologia ma, come a Verrières fu un mediocre filosofo, anche nel seminario di Lione fu un teologo insufficiente. Furono suoi compagni il Ven. Giovanni C. Colin (+1875), fondatore della Società di Maria e il B. Marcellino Champagnat (+1840), fondatore dei Piccoli Fratelli Maristi delle Scuole. Vianney si applicava continuamente nello studio, ma senza risultato alcuno perché non capiva la lingua latina. Fu perciò rimandato presso il parroco. Balley, a dispetto di tutto, rimaneva convinto che il suo discepolo aveva le attitudini richieste per il sacerdozio. Gli mise tra le mani un libro di teologia in francese e gliene diede una spiegazione così sviluppata da supplire la teologia classica. Poi lo presentò per l'ammissione agli ordini minori e al suddiaconato. Alle domande che gli furono rivolte nel presbiterio d'Ecully rispose in modo quasi conveniente, e il vicario generale della diocesi prese su di sé la responsabilità dell'appello.
Vianney fu ordinato diacono a Lione, con il Colin e lo Champagnat, il 23-6-1815. Malgrado la sua insufficienza, per le moltipllcate insistenze del Balley egli li precedette di un anno sulla via del sacerdozio. Essendo senza vicario, il parroco di Ecully ottenne che il suo discepolo ricevesse il sacerdozio al più presto e gli fosse dato come aiutante. Il che avvenne nell'agosto del 1815. La casa canonica restò per Vianney una succursale del seminario, con uno stretto regolamento, ore fisse di studio e di preghiera, e anche abitudine di silenzio e di ubbidienza. "Presso Balley – dirà più tardi il santo – non ho mai fatto la mia volontà". Tra maestro e discepolo sorse una emulazione di mortificazioni, di umiltà e di carità nell'esercizio del ministero pastorale.
Nel 1817 il Balley morì e Giovanni rimase del tutto disorientato. Era convinto che per plasmarlo Iddio si era servito di quanto esisteva di più stupido: "Un'oca e un tacchino guidati da un gambero". Essendo la parrocchia di Ecully troppo sproporzionata per le sue capacità, il 13-2-1818 Vianney fu nominato cappellano di Ars-en-Dombes, villaggio di 230 contadini, soggetto alla parrocchia di Mizérieux. Il vicario generale nel fargli conoscere la sua nomina gli aveva detto: "Voi andate in una parrocchia dove non c'è molto amor di Dio, ma ce ne metterete". Quelli di Ars non tardarono a intravedere che il nuovo curato "non era come gli altri". Lo videro difatti con stupore allontanare dalla canonica i vecchi mobili con cui la castellana d'Ars l'aveva adornata e trascorrere la quaresima nella penitenza più rigida e nella preghiera più devota. Non aveva domestica, non andava a pranzo al castello come faceva il suo predecessore, non andava a visitare i confratelli e non li riceveva.
Sembrava avesse soltanto la chiesa per suo domicilio. Chi voleva trovarlo, doveva andare a cercarlo là. In quelle interminabili ore di preghiera implorava dal cielo la conversione della gente del villaggio.
Ben sapendo che il pastore deve conoscere le sue pecorelle, il santo curato cercava di avere contatto diretto con le anime a lui affidate. Alle persone più generose comunicò un po' del proprio fervore, portandole alla comunione frequente. A numerosi suoi fedeli si impegnò a dare il senso e il gusto della preghiera, facendo rivivere specialmente le Confraternite del Rosario e del SS. Sacramento.
La preparazione delle misere istruzioni domenicali gli prendeva lunghe ore del giorno e della notte. D'ordinario rifaceva con stile maldestro e cuciva alla meglio i brani di cui faceva raccolta e li declamava con voce stridula che irritava molti uditori. Sensibile com'era al dramma del destino umano, tremando al pensiero del pericolo di dannazione corso dai peccatori, nei primi anni di ministero trattò di preferenza le terribili verità della fede con eccessivo rigorismo. Riuscì a disfarsi di tale mentalità soltanto dopo lunghi anni di unione con Dio e di contatto con i peccatori.
Fin dal suo arrivo ad Ars, Vianney si diede ad eccessive penitenze che più tardi chiamò "follie di gioventù". Faceva cuocere delle patate, le metteva in un paniere e le mangiava fredde finché durava la provvista; dormiva per terra; si flagellava al risveglio per ben cominciare la giornata; portava il cilicio perché la guerra che faceva al ballo, alle osterie e al lavoro festivo portasse i frutti desiderati. Per tutta la vita fu tormentato dall'ossessionante dubbio di non essere chiamato da Dio al ministero pastorale; di non avere né la scienza, né le virtù richieste per il governo di una parrocchia; di mettere in pericolo la salvezza propria e quella degli altri. La vita contemplativa, nella solitudine, era per lui l'unico rifugio dove trovare la pace e pregare Dio per i peccatori. Eppure per tutta la vita egli dovrà essere l'uomo "mangiato" dai peccatori.
Non contento di lavorare per il bene delle anime, Vianney si adoperò per restaurare nobilmente la "casa del buon Dio". Fin dal primo anno aveva provveduto a tutto ciò che riguarda l'altare e il tabernacolo, la biancheria e le suppellettili necessario allo splendore del culto, con l'aiuto generoso del visconte Francesco des Garets, fratello della castellana di Ars. Nel 1821 costui ottenne dal re Luigi XVIII (+1825) che la cappellania del curato fosse eretta in parrocchia, soggetta alla nuova sede episcopale di Belley, retta da Mons. Alessandro Devie (+1851).Il santo ne approfittò per fare costruire a lato dell'umile sua chiesa diverse cappelle e per riversare lo zelo che lo divorava sulle parrocchie circonvicine. S'incaricava dell'interinato quando restavano vacanti e andava ad aiutare i parroci nel periodo delle missioni. D'ordinario egli non predicava, ma restava a disposizione dei penitenti fino a notte avanzata.
Caterina Lassagne, confidente del santo, ricorda che un curato rurale, che aveva chiamato Vianney perché predicasse le missioni ai suoi fedeli, disse di lui: "Ho un buon operaio che lavora bene e mangia niente". Il santo non tardò a farsi in diocesi una fama eccezionale e ad attirare ad Ars i primi pellegrini in cerca della pace di coscienza. Destava in tutti impressione il vederlo indossare una sottana coperta di rammendi, e il contemplare il disordine e la povertà della sua canonica. Qualche confratello lo denunciò al vescovo per lo strano genere di vita che conduceva, e per le lagnanze di quanti lo trovavano un po' severo nelle istruzioni e nello sforzo di reprimere gli abusi. Il santo ne soffrì atrocemente perché era tormentato incessantemente dal sentimento della propria indegnità. Non trovò rifugio che in ripetuti atti di amore. Un giorno pregò Iddio che gli concedesse la grazia di conoscere il proprio stato. Fu esaudito, ma confessò: "Se il Signore non mi avesse sostenuto, sarei caduto all'istante nella disperazione". Per sfuggire all'insidia di un temperamento ansioso e scrupoloso, sospirava: "Mio Dio, fammi soffrire tutto quello che vuoi, ma fammi la grazia di non cadere nell'inferno". Altre volte "si gettava davanti al tabernacolo come un cagnolino vicino al padrone".
Nonostante che i superiori gli avessero detto: "Non si prende il cielo con la fame", il santo curato continuò a darsi a dure penitenze, a mangiare una volta al giorno un po' di verdura e raramente della carne. Per lui mortificazione e zelo pastorale rimanevano inseparabili. Il demonio, che chiamava "il grappino", ne concepì un odio mortale e non mancò di manifestarglielo per molti anni in modo terrificante provocando rumori in canonica, urlandogli: "Vianney, vattene!", ovvero afferrandolo per i piedi e trascinandolo per la camera. In mezzo a tante prove il santo passava buona parte della notte in chiesa, e il Signore gli faceva delle grazie straordinarie e lo immergeva nelle più singolari consolazioni riguardo alle quali conservò sempre un estremo riserbo.
Quali che fossero dolori, incomprensioni e gioie di contemplazione, Vianney non si lasciava stornare dall'attività pastorale. Fin dal suo arrivo ad Ars fu tormentato dalla preoccupazione dell'educazione dei fanciulli. Per sanare il clima spirituale della parrocchia eresse una scuola per le ragazze con l'aiuto di alcune brave contadine, tra cui Caterina Lassagne, prima direttrice. Dell'istituto della "Provvidenza" il santo fu lui stesso l'architetto, il muratore e il finanziatore. Gli inizi dell'opera per la quale chiedeva insistentemente elemosine, conobbero una povertà prossima all'indigenza, ma Iddio, che voleva dimostrare al santo quanto gradisse il bene che faceva, più volte moltiplicò il grano, il vino, il pane e i denari di cui aveva bisogno per il sostentamento delle pensionanti, delle orfane e delle alunne. Ad esse tutti i giorni Vianney faceva i catechismi alle undici. Divennero tanto celebri e tanto frequentati dai pellegrini che più tardi fu costretto a tenerli in chiesa.
Il 1830 segnò per i francesi la caduta di Carlo X e l'ascesa al trono di Luigi Filippo. Nel primo momento di scompiglio sette parrocchiani di Ars ebbero l'ardire di recarsi a intimare con arroganza al loro curato di lasciare la parrocchia perché la gente si era ormai stancata della sua eccessiva severità. Altri giunsero al punto di andargli a gridare sotto le finestre e ad affìggergli alla porta espressioni diffamatorie. La campagna ostile si prolungò per diversi mesi. Secondo i malvagi il santo era un ipocrita, estenuato da nascoste dissolutezze. Più tardi confiderà ad un religioso: "Se il buon Dio mi avesse fatto prevedere quel che avrei dovuto soffrire ad Ars, sarei morto sul colpo". A Caterina Lassagne disse: "Pensavo che sarebbe venuto il giorno, prima o poi, in cui sarei stato cacciato da Ars a colpi di bastone, in cui monsignore mi avrebbe interdetto e io avrei finito i miei giorni nelle prigioni".
L'estrema austerità dell'uomo di Dio, i malefizi diabolici che accadevano in presbiterio e i miracoli attestati dalla voce popolare suscitarono nella regione un movimento di curiosità piena di ammirazione. Il pellegrinaggio ad Ars dei penitenti andò crescendo tanto, specialmente al tempo del colera scoppiato nel 1832, che fu necessario iniziare un servizio di vetture tra Lione e Ars. Fu allora che il Vianney, nel tentativo di distogliere dalla sua persona l'attenzione dei visitatori, che lo rattristava più delle calunnie, instaurò nella sua chiesa il culto di S. Filomena (1833). Il lavoro spossante a cui si vedeva condannato continuava a gettarlo nell'angoscia per la responsabilità che implicava. Per calmarla pensò di farsi trappista o certosino. Lo terrorizzava il pensiero di dovere morire parroco, eppure era volontà di Dio che fino alla morte perseverasse in tale ministero. Se si considera il lavoro estenuante che faceva, lo scarso cibo che prendeva, le spaventose coliche e i dolori di testa da cui era assalito, il freddo da cui era intorpidito, il caldo da cui era soffocato, bisogna dire che fosse sostenuto quotidianamente da una speciale grazia.
Non potendo vegliare nello stesso tempo sui parrocchiani e sulla massa dei pellegrini, vedendosi sempre più circondato di venerazione, Vianney si ritenne in dovere di lasciare Ars per mettere fine al proprio tormento. Più volte pensò alla fuga, ma il pensiero dei peccatori e il sostegno di cui aveva bisogno l'Istituto della Provvidenza lo trattennero ancora per un po' di tempo. Ars agli occhi della gente passava ormai per uno di quei luoghi privilegiati in cui il cielo ogni tanto visitava la terra per operare meraviglie. I malati vi erano condotti da ogni parte perché tanti ricuperavano la salute alle preghiere del santo curato. I pellegrini, riconoscenti, gli lasciavano molte offerte. Vianney se ne serviva per la sua opera e soprattutto per la fondazione delle missioni decennali nelle parrocchie prive di risorse.
Il ministero eccezionale al quale si sobbarcava dall'una del mattino fino alla sera, lo ridussero in fin di vita nel 1843. Tremando al pensiero di presentarsi davanti a Dio "a mani vuote", dopo aver ricevuto gli ultimi sacramenti, fece voto di fare celebrare cento Messe in onore di S. Filomena se fosse guarito. Fu esaudito. Superò la pleuro-polmonite e, per ristabilirsi in salute, andò a riposarsi qualche giorno presso suo fratello a Dardilly. Desiderava ardentemente che il vescovo lo destinasse ad un'altra chiesa, andò egli stesso in pellegrinaggio al santuario di Nostra Signora di Beaumont, pregò, e Iddio gli fece capire che doveva ritornare ad Ars. Senza di lui che cosa sarebbe diventato il villaggio?
I parrocchiani ne furono tanto contenti che di lì a poco cominciarono ad esporre e vendere i ritratti del loro pastore. L'Istituto della Provvidenza, che era stato sul punto di soccombere, rifiorì e, per volere del vescovo, fu affidato nel 1848 alle Suore di S. Giuseppe di Bourg. I pellegrini continuarono ad affluire in così grande numero che il vescovo ritenne opportuno dare al santo un ausiliare che si prendesse cura della parrocchia dal momento che egli doveva restarsene tutto il giorno prigioniero nel confessionale. Il primo suo vicario fu Antonio Raymond, parroco di Savigneux, rude, ma sincero; autoritario, ma zelante; ambizioso, ma generoso. Col suo temperamento difficile e con la sua corporatura imponente per ventun anni tenne in soggezione il curato, piccolo, timido, facile a lasciarsi ingannare dai vagabondi e incapace di tenere la disciplina tra la massa capricciosa dei pellegrini. Nonostante che Raymond lo contrariasse e lo riducesse a nascondere le sue opere buone che sosteneva con le elemosine dei pellegrini, Vianney si mostrò sempre con il vescovo contento di lui e dell'aiuto che gli prestava.
Benché Raymond non ne volesse sapere, il Curato d'Ars realizzò una fondazione per avere due Fratelli della Sacra Famiglia, fondati a Belley da Fratel Gabriele Taborin, affinchè uno facesse da istitutore della gioventù maschile e l'altro da sacrestano. Il nuovo vescovo della diocesi, Mons. Chalandon, sostenne Vianney in tutte le sue iniziative e lo volle onorare con il titolo di canonico. Attesta la castellana d'Ars: "Con la mantellina sulle spalle egli assomigliava a quei condannati che sono condotti al patibolo con la corda al collo". Ritenendosi indegno di portarla, finì con il venderla ad una sua benefattrice per cinquanta franchi per completare i fondi necessari ad assicurare in perpetuo due missioni decennali. Ne fondò novantasette in diverse parrocchie versando per l'occorrenza la somma di 201.625 franchi, enorme per quei tempi.
Pensandovi, il santo diceva: "Divento avaro per il buon Dio. Godo di vedere che con questo denaro di cui il diavolo si serve per fare tanto male, io posso fare un po' di bene". Quando l'ausiliare gli chiedeva come faceva ad avere tanto denaro, gli rispondeva: "Il mio segreto è semplicissimo: è di non conservare mai niente e di non avere mai niente".
Fino al 1853 Vianney non era riuscito a liberarsi dal tormento che gli causava il pensiero del ministero delle anime così incompatibile con la propria ignoranza. Tentò di fuggire nella solitudine, ma i parrocchiani vi si opposero. Mons. Chalandon rifiutò categoricamente al santo il permesso di ritirarsi. L'ordine di restare ad Ars fu preso dal curato molto seriamente. Fino alla morte rimase inchiodato al suo confessionale come al legno di una croce, continuamente assediato dai pellegrini che ogni anno si recavano ad Ars, in numero di circa 100.000. Il vescovo aveva acconsentito solo che l'ausiliare Raymond fosse sostituito da Giuseppe Toccanier, missionario diocesano, prete massiccio, ma affabile e devoto al curato. Nella chiesa di Ars si distribuivano 30.000 comunioni all'anno e si ricevevano 36.000 Messe da celebrare. I fedeli restavano incantati dalla devozione con cui il santo diceva la sua Messa. Vi si preparava in ginocchio, sul pavimento del coro, immobile, con le mani giunte, gli occhi fissi al tabernacolo. Niente allora poteva distrarlo. A volte lo vedevano piangere, altre volte sorridere. Poco prima della comunione restava un momento in adorazione, nell'atteggiamento di una persona che stia conversando con un'altra, con gli occhi fissi sull'ostia santa.
Per la "celebrità europea" acquistata dall'umile curato, Napoleone III lo nominò cavaliere della Legion d'onore (1855). Quando seppe dal sindaco che l'onorificenza non comportava una rendita, gli disse: "Dite all'imperatore che si tenga la sua croce, dal momento che i poveri non hanno niente da guadagnare". Ad Ars convennero non solo i peccatori e i devoti, ma anche persone insigni, bisognose di consultarsi con l'uomo di Dio prima d'intraprendere le loro opere. Tra gli altri occorre ricordare la Ven. Paolina Jaricot (+1862), fondatrice della Propagazione della Fede e del Rosario vivente; Domenico Lacordaire OP., famoso predicatore (+1861); Carolina Lioger (+1883), fondatrice delle Vittime del S. Cuore; la B. Eugenia Smet (+1871), fondatrice delle Ausiliarie delle Anime del Purgatorio; Luigia Perret, fondatrice delle Piccole Suore Francescane di Gesù; S. Giuliano Eymard (+1868), fondatore della Società del SS. Sacramento; Margherita Guillot, fondatrice delle Serve del SS. Sacramento; il B. Antonio Chevrier (+1879), fondatore a Lione dell'Aspo della Provvidenza detto del Prado; il P. Giovanni Le Prévost (+1874), fondatore dei Fratelli di S. Vincenzo; il P. Giulio Chevalier (+1907), fondatore dei Missionari del S. Cuore di Gesù. Anche Massimo Giraud, che a La Salette aveva visto la Madonna con Melania Calvat (1846), aveva fatto visita al curato d'Ars. Dal modo confuso con cui gli parlò, il santo non riuscì a convincersi della realtà dell'apparizione in cui aveva creduto. La sicurezza primitiva gli fu restituita una notte del 1858 dopo otto anni di amara desolazione. Mentre pensava ai fastidi che gli aveva dato l'affare di La Salette, recitò il Credo. All'istante le sue ansie furono dissipate. Nel suo ringraziamento alla SS. Vergine chiese del denaro di cui aveva bisogno e fu esaudito.
Le ultime settimane di vita del santo furono in tutto simili alle altre. Sentendo avvicinarsi la morte e temendo, come al solito, di non avere il tempo di prepararvisi, aveva lasciato intendere al suo nuovo vescovo, Mons. de Langalarie, che desiderava ritirarsi per piangere i peccati della sua vita. "Mio buon curato – lo capacitò il vescovo – le lacrime dei peccatori che Dio vi manda valgono bene le vostre". Ancora il 29 luglio 1859 Vianney si recò in chiesa a prendere, poco dopo la mezzanotte, il suo posto al confessionale. Quando rientrò in casa era sfinito. L'indomani mattina si alzò alla solita ora, nonostante la febbre che lo faceva tremare, già si disponeva a scendere, ma le forze gli vennero meno. Caterina Lassagne, che di sua iniziativa aveva passata la notte in una stanza della canonica, accorse all'invocazione di aiuto. "E' la mia misera fine! – esclamò il curato. – Andate a cercare il mio confessore. La volontà di Dio è che io muoia".
Il santo si confessò con la sua solita pietà senza turbarsi per il suo corpo consunto e senza manifestare il minimo timore della morte. Ricevette il viatico tra le lacrime, benedisse diverse ceste di oggetti religiosi che i parrocchiani gli avevano portato e si spense "come una lampada che non ha più olio" il 4-8-1859, senza agonia, tra le braccia di Fratel Girolamo, suo infermiere e sacrista, assistito dal missionario diocesano A. Monning, suo primo biografo. Fu sepolto nella chiesa di Ars. Pio X lo beatificò 1'8-9-1904 e Pio XI lo canonizzò il 31-5-1925. Le sue reliquie sono venerate ad Ars, nella nuova chiesa costruita come prolungamento dell'antica, da migliaia di pellegrini e di sacerdoti provenienti da tutte le parti del mondo.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 8, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 31-41.
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