S. GASPARE BERTONI (1777-1853)

Nato a Verona il 9 ottobre 1777, a 18 anni risponde alla chiamata al sacerdozio, ma proprio mentre inizia il corso di teologia la sua città subisce l\’invasione straniera. Il giovane chierico si distingue per l\’assistenza ai malati e ai feriti, entrando a far parte dell\’«Evangelica Fratellanza degli Spedalieri». Ordinato sacerdote il 20 settembre 1800, gli viene affidata la cura spirituale della gioventù. L’oratorio, e poi la scuola gratuita. Ecco pronto il nuovo strumento formativo, di cui il regime napoleonico intuisce presto la forza innovativa, decidendo di sopprimerlo. Con alcuni compagni formati nei suoi Oratori, nel 1816 dà inizio " presso la Chiesa delle Stimmate di San Francesco " all\’istituto religioso dei «Missionari apostolici in aiuto dei vescovi», detto poi delle «Stimmate di Nostro Signore Gesù Cristo»(Stimmatini). Provato da continue malattie, muore a Verona il 12 giugno 1853. Giovanni Paolo II lo proclama santo il 1° ottobre 1989.

Il fondatore della Congregazione dei Sacerdoti delle Sacre Stimmate di N.S.G.C, nacque a Verona il 9-10-1777 nella parrocchia di San Paolo in Campo Marzio da Francesco e Brunora Ravelli, discendenti entrambi da una famiglia notarile. Dopo Gaspare, il primogenito, essi ebbero ancora una bambina, ma morì di vaiolo ancora in tenera età. Invece di fare il notaio, il padre preferì amministrare le vaste tenute che possedeva a Caldiero e a Illasi, ma per la scarsa abilità e le guerre napoleoniche contrasse debiti, e non fu un esemplare marito. Difatti si separò dalla moglie (1800), convisse con la vedova Caterina Slavier fino alla morte (+1813) dando a intendere che era la sua governante, cercò di diseredare il figlio di parte dei suoi averi e gli legò una fungaia di debiti.
Dell\’educazione di Gaspare si prese cura la madre la quale seppe pazientemente portare la croce di un\’unione coniugale poco felice, e lo zio Don Giacomo (+1785), il quale supplì in buona parte alla mancanza di autorità paterna. A otto anni il santo dalle scuole elementari passò a quelle di San Sebastiano, che erano divenute municipali dopo la soppressione della Compagnia di Gesù (1773). Alcuni Gesuiti, tra cui il P. Luigi Fortis (+1829), più tardi proposito generale della risorta Compagnia, vi erano rimasti a continuare l\’insegnamento e a dirigervi una fiorente Congregazione Mariana alla quale si ascrisse anche il Bertoni quando con straordinario fervore fece la prima comunione. Il P. Fortis orientò gradualmente l\’alunno a una vita spirituale molto intensa alimentata dalla frequente comunione, dalla Messa quotidiana, dalla meditazione, dalla lettura spirituale e dall\’esame di coscienza. La gente quando vedeva Gaspare comparire modesto e composto per strada si affacciava alla finestra per mirarlo e diceva: "Passa il santo!".
Poiché si era proposto di imitare S. Luigi Gonzaga, il Bertoni si abituò presto a fare una continua guerra ai propri sensi non frequentando i pubblici divertimenti, mortificandosi nella gola e nel sonno. Cercò la compagnia dei suoi coetanei, ma con lo scopo di fare loro del bene. Avendo imparato da un valente maestro di musica il suono di vari strumenti a corde e a fiato, possedendo una straordinaria capacità d\’imitare alla perfezione voce e gesto di chiunque, ne approfittava per attirare a sé frotte di ragazzi, farli giocare e quindi condurli in chiesa o al letto di qualche malato.
A diciott\’anni il Bertoni fu esortato dal parroco a farsi sacerdote. Egli accolse l\’invito, e frequentò i cinque corsi di teologia (1795-1800) come alunno esterno del seminario nel periodo in cui Verona doveva sentire la dominazione ora francese, ora austriaca. Si preparò agli ordini con molta preghiera, grande penitenza e dieci ore di studio al giorno. Fin d\’allora si prese cura dei fanciulli della parrocchia, e pensò a insegnare il catechismo ai malati della Fratellanza Evangelica degli Ospedalieri, assisterli e prepararli ai sacramenti. La Fratellanza era stata fondata nel 1796 da Don Pietro Leonardi (+1844) per il soccorso dei poveri e degli infermi e ad essa aveva aderito anche il B. Carlo Steeb (+1856), in seguito fondatore delle Sorelle della Misericordia. Dicono i testimoni che il Bertoni "al letto degli infermi era un vero angelo consolatore. Il suo aspetto e le sue parole generavano nel malato tanta fiducia e consolazione da liberarlo da ogni tristezza e dallo stesso timore della morte".
Il santo fu ordinato sacerdote il 20-9-1800 nella cattedrale di Verona e, quattro giorni dopo, celebrò la prima Messa tra i suoi familiari raccolti nell\’oratorio gentilizio di San Giuseppe dei Conti Cipolla a Caldiero dove il padre aveva stabilito la sua dimora con Caterina Slavier. Da quel giorno continuò a celebrarla con la persuasione di essere "inutile ministro"\’ e "indegno sacerdote". Dio lo ricompensò di tanta umiltà con il dono delle lacrime. Nel suo Memoriale Privato annotò il 2-7-1808: "Festa del S. Cuore. Alla Messa, alla consacrazione, comunione e tutto il ringraziamento, molte lacrime di compunzione e affetto, in particolare nella comunione provai per un momento come staccato lo spirito da ogni creatura all\’ossequio del suo creatore". L\’11 dicembre dello stesso anno appuntò: " Sentimento vivo assai riverenziale amoroso della presenza del Padre al Te igitur nella Messa e viva fiducia e amore verso il Figlio. Ancora sentimento della dignità sacerdotale nella consacrazione facendo la persona di Cristo davanti al suo Padre. Più grande tenerezza e umiltà profonda nello stringere Cristo subito dopo al consacrazione nelle mie mani… Durò fin dopo la santa comunione il sentimento. Dopo, fino a sera, la compunzione". Don Gaspare dopo l\’ordinazione sacerdotale venne addetto alla chiesa di San Paolo. Ebbe così tutto l\’agio di dedicarsi ai suoi studi preferiti frequentando le biblioteche pubbliche e private, e istituendo nella propria casa un circolo di cultura per giovani ecclesiastici con l\’intento di favorire "l\’unione dei veri sacerdoti per cercare d\’accordo la gloria di Dio". Poiché possedeva una cultura teologica e patristica non comune, si preoccupava di avviare i giovani sacerdoti a uno studio più approfondito della Somma di S. Tommaso d\’Aquino e della Teologia Morale di S. Alfonso de\’ Liguori, allora tanto osteggiata.
Il parroco di San Paolo affidò al santo la cura dei fanciulli che avevano fatto la prima comunione, ed egli cominciò a radunarli tutte le domeniche (1802). Il loro numero salì ben presto da 7 a 400 sicché altri sacerdoti gli furono dati in aiuto per le scuole di religione, le funzioni sacre e le scampagnate. Don Bertoni, assecondando lo spirito dei tempi acceso da fremiti di passione militare, diede al suo Oratorio la forma di "Crociata Mariana" con i manipoli degli Aggregati e degli Arruolati, le centurie dei Seniori, Juniori, Alunni e Fanciulli, suddivisi a loro volta in decurie, e la diffuse in altre parrocchie della diocesi nell\’intento di preservare la gioventù dal male. Anche in casa, con il consenso della madre, riceveva i giovani che avevano bisogno di un indirizzo professionale, di assistenza scolastica, di direzione spirituale. A base del suo metodo educativo stavano l\’abnegazione e il sacrifìcio nell\’intento di indurre la gioventù ad aderire a Dio non soltanto fuggendo il male, ma ricercando "la sua maggior gloria e quello che è più perfetto". Quando gli Oratori Mariani furono soppressi per volere di Napoleone I (20-3-1807), il Bertoni continuò a seguire i suoi giovani alla spicciolata a costo di andare incontro a vessazioni da parte della polizia. Quando l\’imperatore, definitivamente sconfitto, fu mandato in esilio (1814), egli ricostituì gli Oratori Mariani con propria banda musicale ovunque esercitò il ministero. Dio intanto seguitava ad attrarlo a sé con particolari favori mistici. Un giorno riuscì a resistere a un\’estasi che stava per coglierlo in pubblico durante la Messa, pensando ai propri peccati, ma non alle lacrime.
Un\’altra volta, mentre all\’inizio della Via Crucis meditava sull\’iniqua sentenza di Pilato, udì una voce distinta che gli disse: "Se io mi lascio condannare innocente, perché tu, reo di mille colpe, vuoi con tanta sollecitudine essere presso gli uomini giustificato di tutto?". Il giorno seguente, durante la celebrazione della Messa, provò un grande sentimento della presenza divina e un vivo desiderio di trasformarsi in Dio. Dopo la Messa quella grazia di unione lo assalì presso la Chiesa di San Fermo mentre andava per affari di famiglia. Contemporaneamente egli s\’incontrò con l\’acerrimo avversario dei suoi Oratori, che gli vomitò contro le più ingiuriose villanie. Il Bertoni ne rimase allibito, ma al ridestarsi di una istintiva reazione, ripensò alla voce udita nel fare la Via Crucis e nello sforzo di reprimere la natura cadde a terra privo di sensi.
L\’8-5-1808, quando S. Maddalena di Canossa (+1835) fondò le Figlio della Carità nei locali dell\’ex-monastero dei SS. Giuseppe e Fidenzio in contrada San Zenone, con l\’aiuto della nobildonna Leopoldina Naudet (+1834) che attendeva il momento propizio per dare inizio alle Sorelle della Sacra Famiglia, Don Bertoni fu nominato loro primo confessore e direttore spirituale fino a quando gli venne affidato dal vescovo Mons. Innocenzo Liruti la cura spirituale dei chierici del seminario (1812) con l\’incarico di predicare gli esercizi spirituali ai sacerdoti della diocesi.
All\’inizio del 1810 mamma Brunora spirò quasi cieca tra le braccia del figlio. Poiché il padre aveva deciso di prenderne il posto con Caterina Slavier, il figlio, come sacerdote, ritenne conveniente trasferirsi in casa della zia materna, Rosa in Scudellini, sotto la parrocchia di San Fermo Maggiore. Nello stesso anno Napoleone I, non contento di avere già fatto trasferire Pio VII prigioniero a Savona (1809), soppresse tutti gli Ordini e le Congregazioni religiose. Il santo mentre cercava di alleviare le pene dei poveri perseguitati, andava disponendosi alla fondazione di una famiglia di sacerdoti e laici dediti all\’istruzione della gioventù e alla cura pastorale secondo il beneplacito del vescovo. Difatti, quello stesso anno, mentre con due confratelli trasportava l\’urna di San Gualfardo (+1124), monaco camaldolese, dalla soppressa chiesa di San Salvatore alla chiesa di San Fermo, provò sensibilmente il divino impulso di raccogliersi in vita comune con loro. Anche Leopoldina Naudet attendeva il momento propizio per dare inizio alla sua fondazione. Per riuscire più facilmente nell\’intento si mise sotto la direzione spirituale di Don Bertoni (1811) il quale la condusse per le vie dell\’abbandono, dell\’umiltà e dell\’amore. Dio stesso poi preparava il santo al compito di fondatore chiamandolo a una più intima unione con sé.
Il 30-5-1812 il Bertoni stesso scrisse nel suo Memoriale: "Facendo orazione avanti la Messa, preso da un po\’ di sonno, udii il crocifisso dirmi al cuore: "Guarda questo mio cuore! Questa parola mi diede subito luce meravigliosa nell\’intelletto, ardore grande e improvviso nel cuore, onde sentii correre per tutto il corpo un brivido e trovai chiusi gli occhi e la bocca, ma l\’anima del tutto svegliata e piena di gaudio…L\’effetto fu una tenerissima devozione al S. Cuore e grande affetto nella Messa ove trovò anche l\’anima dolci lacrime nella S. Comunione e dopo grande raccoglimento e soavità tutto il giorno con accrescimento delle virtù teologali".
Dopo simili esperienze mistiche il santo non poneva più limiti alle sue austerità tanto più che la mamma non era più con lui a mitigargliele. Talora dormiva per terra con il suppedaneo per guanciale, tal altra non mangiava e non beveva fino a sera per attendere a qualche speciale predicazione, per ottenere la conversione di un peccatore o la salute di un infermo. Il suo organismo ne sofferse talmente che fu ridotto in tre anni successivi (1812, 1813, 1814) in fin di vita da una virulenta febbre miliare. Ne attribuì la guarigione alla SS. Vergine, alle orazioni e carità della Naudet e alla fede di Don Pietro Leonardi.
Don Bertoni vedeva delinearsi con sempre maggiore chiarezza la sua Opera di mano in mano che predicava ritiri spirituali secondo il metodo di S. Ignazio di Loyola. Nel maggio del 1816, durante una grandiosa missione a San Fermo, che gli valse il titolo di Missionario Apostolico da parte della S. Congregazione di Propaganda Fide (20-12-1817), egli visse in anticipo lo scopo del suo Istituto. Don Nicola Galvani (+1823), parroco di San Giovanni in Foro, lasciò per testamento a Don Bertoni, suo figlio spirituale, vari fondi ecclesiastici che aveva riscattato, tra cui la casa e la chiesa delle Stimmate di san Francesco e l\’ex-monastero di S. Teresa poco lontano. Sul colle delle Stimmate il santo diede inizio il 4-11-1816 alla sua Congregazione privata e nel monastero di S. Teresa, cinque giorni dopo, la sua figlia spirituale, Leopoldina Naudet, fondò l\’Istituto delle Sorelle della Santa Famiglia per l\’educazione delle giovani di civile condizione.
Don Bertoni, entrando alle Stimmate, non figurava come fondatore, ma soltanto come preside di un ginnasio gratuito per i figli del popolo, e i suoi compagni come semplici insegnanti. Gli alunni furono subito una cinquantina, e vennero sistemati in cinque vani adiacenti alla fatiscente chiesa delle Stimmate. Quando il governo austriaco emanò un suo "Metodo di Studi" con un "Codice Ginnasiale" (1818), il santo vi si conformò. E come in antecedenza aveva formato pazientemente i suoi collaboratori all\’insegnamento e al metodo dell\’analisi, così li preparò agli esami di abilitazione per le patenti di stato. Egli stesso vi si presentò per primo, e venne approvato perle due classi di umanità. Sulla cattedra prima che professore egli si sentiva sacerdote. Di tutto si serviva per elevare l\’anima degli studenti a Dio e allontanarli dal male. In ventisei anni d\’insegnamento avviò al sacerdozio oltre 70 alunni.
Nel 1822 Don Bertoni decise di fare restaurare la chiesa delle Stimmate. In quel tempo fu veduto fare da manovale con la carriola in mano. Volendo basare la sua Opera sulla rinuncia a qualsiasi donazione spontanea e a qualsiasi ricompensa per i ministeri sacerdotali, ne sostenne le spese attingendo esclusivamente ai beni patrimoniali da lui amministrati con grande oculatezza. Nella sua chiesa egli ammise soltanto gli uomini e i giovani del suo Oratorio Mariano. Le donne avrebbero trovato accoglienza nella parrocchia della SS. Trinità e nelle chiese vicine.
Con le fatiche apostoliche crebbe nel Bertoni anche il desiderio di associarsi alle pene e alle ignominie del crocifisso fino al martirio. Dopo altre tre gravi malattie seguite nel 1819, nel 1821 e nel 1823 con trepidazione da tutti i veronesi, il santo fu tormentato per oltre cinque anni da un tumore alla gamba destra che richiese circa 300 tagli del chirurgo, corrosioni e ustioni secondo i metodi di una chirurgia ancora ignara di anestetici, e persino la foratura del femore per togliere la carie dell\’osso. Lo spasimo era dei più atroci e lasciava sempre il paziente in preda alla febbre per due o tre giorni. Il Bertoni, anziché smaniare, quando i dolori erano più strazianti, si limitava a pregare a voce un po\’ alta, di cui però chiedeva subito scusa come di un\’azione poco edificante. Intanto egli nulla rimetteva dei suoi ordinari impegni. Adagiato su di una poltrona a braccioli impartiva regolarmente nella propria stanza le lezioni agli scolari che l\’attorniavano, predicava corsi di esercizi spirituali ai chierici che si preparavano agli ordini, confessava e consigliava quanti di continuo facevano ricorso a lui. Tra costoro si notavano Don Antonio Provolo (+1842), fondatore della Compagnia di Maria per l\’educazione dei sordomuti e delle sordomute; la nobildonna Teodora Campostrini (+1860), fondatrice delle Suore Minime della Carità; i conti Antonio (+1858) e Marco (fl853) Cavanis, fondatori a Venezia delle Scuole di Carità; e il P. Antonio Bresciani, SJ. (+1862), confondatore della Civiltà Cattolica nel 1850.
Oltre la chiesa delle Stimmate Don Bertoni fece costruire un bel complesso di edifici che il 29-4-1825 l\’imperatore Francesco I visitò e nei quali ospitò più volte l\’abate Antonio Rosmini (+1855), mandato a lui da S. Maddalena di Canossa per trattare dell\’Istituto che era in procinto di fondare e delle relative costituzioni.
La sera del venerdì Don Bertoni era solito tenere una predica in chiesa. Quando non poteva trascinarsi da solo all\’altare, vi si faceva portare sopra un seggiolone. Accorrevano a sentirlo nelle tribune alte il vescovo Mons. Giuseppe Grasser, il vecchio marchese di Canossa, il P. Cesare Bresciani (+1871), camilliano letterato e oratore, Don Nicola Mazza (+1865), figlio spirituale del beato e fondatore degl\’Istituti di educazione per le fanciulle (1828) e per gli studenti poveri (1833), ancora esistenti. Con la sua voce penetrante, assai robusta, parlava con tale soavità e zelo che il cuore di chi lo ascoltava rimaneva non solo persuaso, ma anche commosso.
Alla fine del 1827 la salute del santo peggiorò talmente che i medici disperarono di salvarlo. Egli stesso scrisse alla Naudet: "Il Signore mi trattiene in letto e sotto i ferri e i coltelli. Sia benedetto! Tanto che sia egli servito, e ciò mi basta. Mi raccomando però alle sue orazioni perché Dio mi continui la pazienza che mi dona". Fu salvo per le preghiere che i veronesi fecero salire al cielo da ogni angolo della città. Dopo undici mesi di letto ricominciò a dire la Messa, ma il gonfiore alla gamba non lo lasciò. Il male finì per esaurirsi entro il 1828, ma non le sue conseguenze. Il Bertoni rimase sempre un malato cronico. Usciva di casa pochissimo perché non si fidava della sua gamba e della sua vista molto debole.
Secondo il cardinale Luigi di Canossa (11900), vescovo di Verona, il chirurgo Luigi Manzoni considerava il Bertoni un santo perché sotto il suo bisturi non lo udì mai lamentarsi, e non lo vide mai dare il più piccolo segno d\’impazienza o di stanchezza nel patire. Non desiderava altro che completare ciò che mancava alla passione di Cristo. La sua abituale giaculatoria era: "Sia pur benedetto il Signore! La divina sua volontà regni pur libera nei nostri cuori, e si verifichi in tutto il suo senso".
I sacerdoti e i fratelli laici che si aggregarono a Don Bertoni furono soltanto una dozzina perché il fondatore rifuggiva dalla pubblicità. Sollecitato talvolta dai suoi discepoli a fare egli stesso qualche passo per un giuridico riconoscimento della loro Pia Unione quale vera Congregazione religiosa, se ne schermiva rispondendo di "non essere figura da istituire religioni". E ripeteva ogni tanto il detto che aveva appreso da Don Galvani: "Buseta e taneta" (piccolo buco e piccola tana). Quando a qualche suo figlio spirituale capitavano contrarietà o si accusava di qualche difetto, egli ripeteva con forza: "Umili e bassi, bassi, bassi". Alla morte di Mons. Liruti, il Vicario Capitolare gli manifestò il desiderio che aveva concepito di farlo canonico, ma egli lo supplicò di pensare ad altri. Pur essendo molto erudito diede alle stampe (1839) soltanto, per volere del vescovo, il Panegirico di San Zenone, da lui recitato in occasione del ritrovamento del corpo del santo patrono di Verona (1838), in seguito a una visione avuta dal P. Medici, filippino, durante la celebrazione della Messa.
Particolarmente esigente era il Bertoni riguardo all\’osservanza della povertà. Nelle conferenze spirituali ripeteva sovente ai suoi discepoli: "Ricordiamoci che siamo poveri. Se per la Provvidenza divina abbiamo qualche cosa, essa è tutta del Signore, e non cosa nostra. Ricordiamoci che non siamo qui per vivere da signori, ma bensì da poverelli di Gesù Cristo". Ai bisognosi che accorrevano numerosi alla porta delle Stimmate distribuiva abbondanti elemosine.
Mons. Giuseppe Grasser, vescovo di Verona dal 1829, ebbe per il santo una grande venerazione. Nel 1833 lo nominò esaminatore prosinodale e lo andò sovente a consultare. Al termine di un corso di esercizi spirituali che gli aveva fatto predicare ai sacerdoti, gli espresse tutta la sua riconoscenza e stima prostrandosi in ginocchio davanti a lui in sacrestia e baciandogli i piedi con le lacrime agli occhi. Da parte sua il santo soleva dire che Mons. Grasser "i suoi disegni e le sue intenzioni riguardo alla Congregazione come pochi li aveva ben penetrati e intesi".
Nel 1835, per volontà del vescovo, il santo, mandò Don Luigi Bragato, stimmatino, a Vienna come confessore dell\’imperatrice Maria Anna di Savoia, moglie di Ferdinando I. Egli, però, fedele al suo detto: "Bassi, bassi! Buseta e taneta!", richiese che la prestazione fosse gratuita e che fosse escluso ogni segno di dignità.
Per dare stabilità alla sua Opera il Bertoni fu consigliato dal vescovo a comperare in Sezano di Valpantena un fondo religioso, esposto all\’asta dal fisco. Egli lo acquistò al prezzo di 160.000 lire austriache, ma non si lasciò mai indurre ad andarlo a vedere. Per ritenerlo ne chiese il permesso a Gregorio XVI dichiarandosi, però, disposto a fargliene dono qualora lo avesse gradito. Era tanto grande il rispetto che nutriva per il sommo pontefice che ne leggeva i rescritti in ginocchio e ne pronunciava il nome scoprendosi il capo. Per difenderne il primato, nel tempo libero si dedicava alla compilazione di un\’opera poderosa di cui si conservano ancora manoscritti più di 2000 fogli, in formato grande. Quando il Rosmini gli fece esaminare quello che aveva composto sulle Cinque Piaghe della Chiesa, Don Bertoni, che aveva quasi un culto della disciplina tradizionale e del principio dell\’autorità, con tutta franchezza gli disse che il libro sarebbe stato proibito, come difatti avvenne (1849). Non avendogli il Rosmini dato retta, ruppe per sempre ogni relazione con lui.
Il Bertoni trascorse gli ultimi undici anni di vita tra continui dolori. Pur non conoscendo la natura del male, egli non perse la sua naturale soavità di modi, la sua giocondità. Per sollevare l\’animo di chi lo assisteva ogni tanto approfittava del suo talento comico per imitare la voce o il gesto di questo o quel discepolo.
Verso la fine del 1850 Don Bertoni fu inchiodato sul suo letto di sofferenze. Per trenta mesi dovette restare coricato sul lato sinistro, e così fermo nella persona e così tormentato da destare compassione al solo vederlo. Ogni volta che doveva essere sollevato, rimosso o solo toccato per le cure necessario i suoi tormenti si moltiplicavano. Si udiva allora gemere: "O Dio, non ne posso più. Figliuoli miei, pregate assai il Signore che mi doni pazienza. Ho bisogno del suo aiuto per poter reggere". Inoltre venne assalito per tutto il corpo da una certa prurigine che, data l\’impossibilità di muoversi, non poteva togliersi. Al soccorso degli altri ben di rado per pudicizia si arrendeva.
Negli ultimi quattro mesi il suo patire andò crescendo a dismisura. Diceva, infatti: "Se sapeste, figliuoli miei, qual pena io provo, qual dolore e ambascia! Credete, io sarei condotto alla disperazione se il Signore non mi soccorresse con la sua grazia".
Malgrado tanto patire, il santo ogni tanto esclamava in dialetto: "Dei, Signor, dei che gavi rason; dei, che me il merito, e merito de péso", oppure: "Sia benedetto Iddio. Sia fatta la sua volontà!". L\’immobile giacitura gli produsse una piaga sanguinosa sul dorso. L\’infermiere, al quale il malato aveva raccomandato di dire niente, chiamò invece il chirurgo il quale constatò che la piaga era incancrenita fino all\’osso. A stroncare ogni filo di speranza si aggiunse l\’inappetenza.
L\’ultima settimana di vita il morente poté prendere soltanto qualche pezzetto di ghiaccio. Tuttavia, per poter fare la comunione a digiuno, di notte non volle mai prendere nulla nonostante l\’arsura prodotta dall\’estrema difficoltà di respiro. In agonia un sacerdote gli chiese se aveva bisogno di qualche cosa. Gli rispose: "Ho bisogno di patire". Morì alle tre pomeridiane del 12-6-1853. I funerali si svolsero nella chiesa parrocchiale della SS. Trinità tra una marea di gente che esclamava: "Don Bertoni è un santo!" Fu seppellito nella chiesa delle Stimmate, rivestito della veste di Missionario Apostolico, come aveva desiderato.
Nel 1899, all\’inizio dei processi canonici per la beatificazione, la salma del Bertoni fu trovata incorrotta. Una seconda ricognizione fu fatta nel 1923 e anche allora la sua salma fu trovata ancora ben conservata. Paolo VI riconobbe l\’eroicità delle virtù del Bertoni il 15-12-1966 e lo beatificò il 1-11-1975.
Giovanni Paolo II lo canonizzò il 1-11-1989. Gli Stimmatini ebbero il decreto di lode il 16-4-1855 da Pio IX. Tra preti e laici alla morte del Bertoni essi erano dieci, oggi sono un migliaio sparsi in tutto il mondo.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 6, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 152-162
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