S. ENRICO II IMPERATORE (973-1024) e S. CUNEGONDA (+1039)

Enrico II è un esempio di rettitudine nell\’arte del governare: per questo oltre che santo è patrono delle teste coronate. Nato nel 973 vicino a Bamberga, in Baviera, crebbe in un ambiente cristiano. Enrico venne educato prima dai canonici di Hildesheim e, in seguito, dal vescovo di Regensburg (Ratisbona), san Wolfgang. Nel 1014, già re di Germania e d\’Italia, Papa Benedetto VIII, lo incoronò a guida del Sacro Romano Impero. Enrico morì nel 1024.
Cunegonda, cresciuta con una profonda educazione cristiana, a vent\’anni circa sposò il duca di Baviera, che fu incoronato re di Germania e, nel 1014, imperatore. Fece erigere il Duomo di Bamberga (1007) e il monastero benedettino di Kaufungen (1021) dove, rimasta vedova, si ritirò e dove morì.

Enrico II Imperatore, soprannominato il Pio, figlio di Enrico II il rissoso, duca di Baviera, nacque il 6-5-973, l\’anno cioè in cui scompariva il suo geniale nonno, Ottone I il Grande, della Casa di Sassonia, rinnovatore nel 962 dell\’impero di Carlo Magno, cessato nel 924. La prima educazione ad Enrico fu impartita dalla saggia sua genitrice, Gisella, sorella di Carlo, re della Bassa Borgogna, la quale lo affidò prima al monastero dei Canonici Regolari di Hildesheim e quindi a S. Volfango (+994), vescovo di Ratisbona e abate di San Emmerano. Per l\’atteggiamento ribelle alla corona di Germania, suo padre era stato privato del ducato (976), e il figlio destinato alla carriera ecclesiastica.
Alla morte del padre (+995), Enrico fu riconosciuto da tutti, a 22 anni, duca di Baviera. Uno dei suoi principali doveri era quello di accompagnare il re alla guerra. Nel 996 discese, difatti, in Italia con Ottone III per proteggere il papa Giovanni XV contro Giovanni Crescenzio, che s\’era impadronito del governo di Roma. Poco dopo sposò, in considerazione della sua virtuosa educazione, Cunegonda, figlia di Sigfrido, conte di Lussemburgo, dalla quale non ebbe figli perché vissero insieme in perpetua verginità. Fin da giovanetta la consorte di Enrico aveva fatto voto di castità perpetua. Sposandosi per ubbidire ai genitori, aveva fatto condividere al marito il suo desiderio, benché questi sentisse vivissimo il dispiacere di non poter tramandare ad un figlio la sua eredità. Più tardi non mancarono i malevoli che accusarono la sua sposa di infedeltà. Per evitare lo scandalo nel popolo e tranquillizzare Enrico, la Santa consentì a giustificarsi con l\’ordalia del ferro infuocato, che calpestò con i piedi nudi senza riportarne danno.
Alla morte di Ottone III (+1002) sena figli, ebbe la corona di Germania suo cugino Enrico II, grazie all\’appoggio della feudalità ecclesiastica e al favore di S. Willigiso (+1011), arcivescovo di Magonza e primate del regno. L\’8-9-1002 fu incoronato con la consorte ad Acquisgrana, ma furono funestati da moti di rivolta i primi anni del suo regno, formato da stati mal compaginati e peggio governati da Ottone, a causa della residenza da lui stabilita a Roma, accanto al suo consigliere e amico, papa Silvestro II. Rodolfo, suo zio, lo aveva fatto erede della corona di Borgogna, ma Enrico II non riuscì a domare i feudatari che gli si erano ribellati. Negli anni 1006-1007 fu costretto a guerreggiare contro Baldovino, conte di Fiandra e, fino al 1017, salvo brevi intervalli, dovette opporsi con le armi alla lega fondata dal cognato Federico, conte di Lussemburgo, dal cognato Enrico, al quale aveva ceduto il ducato di Baviera, e dall\’arcivescovo di Metz, Dietrich.
Enrico II diresse la sua maggior impresa dal 1003 al 1018 contro Boleslao I il Grande (+1025), al quale Ottone III, nel 1000, aveva conferito la dignità di patrizio, cioè di rappresentante dell\’imperatore, e che adesso mirava a unificare, sotto lo scettro della Polonia, la Boemia, la Moravia, la Pannonia e la Prussia. Nel 1024, in segno della raggiunta indipendenza dall\’impero tedesco, egli assunse il titolo di re. S. Brunone di Querfurt (+1009), apostolo degli slavi, in una lettera a Enrico II gli aveva rimproverato gli attacchi contro Boleslao, principale sostegno dei suoi sforzi per convertire i pagani della Russia.
I rapporti dell\’imperatore con l\’Italia furono difficili perché la scomparsa di Ottone III aveva destato grande fermento nella feudalità laica, bramosa di riprendere quella potenza che la politica della casa di Sassonia aveva loro sottratta abbondando in esenzioni e diritti ad abati e a vescovi i quali, alla loro morte, restituivano i loro feudi all\’imperatore senza formare quelle potenti famiglie feudali che erano altrettanti regni nello stesso regno. Tra gl\’insofferenti emergeva Arduino, marchese d\’Ivrea, uomo incolto e violento. Essendo stato da tutti i malcontenti eletto re d\’Italia, due anni dopo la sua elezione Enrico II scese in Italia per sbarazzarsi dell\’antagonista. Arduino, trinceratesi in Verona, fu costretto a fuggire perché abbandonato dai suoi vassalli. L\’imperatore poté entrare in Pavia, dove il vescovo di Milano gli cinse il capo con la corona di ferro. La sera stessa una rissa scoppiata tra i soldati tedeschi e la popolazione, degenerò in una vera ribellione, che fu soffocata a stento fra saccheggi e uccisioni. Enrico II tornò in Germania dopo aver pregato a Milano sulla tomba di S. Ambrogio, ma il rigore teutonico su Pavia peggiorò le disposizioni degli italiani nei riguardi dell\’imperatore.
Le fortune di Arduino poterono così riprendere durante la decennale assenza di Enrico. Non tanto però da poter pensare di opporsi a una sua nuova discesa nel 1014. Il sedicente re d\’Italia si ritirò nelle sue terre del Piemonte, e cercò pace nel monastero di Fruttuaria a San Benigno presso Volpiano (Torino), dove morì (1015). La corona d\’Italia, d\’allora in poi, non fu più contesa seriamente da nessuno. La nuova discesa di Enrico era dovuta anche alle sollecitazioni del pontefice Benedetto VIII, della famiglia dei conti di Tuscolo, succeduti alla famiglia dei Crescenzi nel dominio di Roma. Nella basilica di San Pietro ricevette con la consorte dal papa la corona imperiale (1014). Le feste dell\’incoronazione anche a Roma terminarono in zuffe sanguinose. Ricondotta la pace con le armi, Enrico II lasciò l\’Italia dopo aver partecipato col papa a parecchi sinodi, e adottate energiche misure in difesa dei canoni ecclesiastici contro il matrimonio del clero e il dilapidamento dei beni della Chiesa. Riguadagnò la Germania passando per Cluny, dove ritrovò il suo amico, S. Odilone, consigliere di re e pontefici.
Enrico tornò in Italia per la terza volta nel 1022, dove i Bizantini, dopo aver soffocato con successo le ribellioni sempre più frequenti e più gravi della popolazione, avevano ripreso vigore e si erano imposti a quei ducati longobardi che, tradizionalmente, gl\’imperatori Sassoni rivendicavano invece alla propria influenza. Per far valere i suoi diritti sulle terre dell\’Italia meridionale scese con un modesto esercito, le cui imprese s\’infransero di fronte alla fortezza di Troia (Puglia). Una pestilenza scoppiata tra le truppe costrinse Enrico, malandato di salute, a ritornare in Germania dove poco dopo morì a Grona presso Gottinga (13-7-1024). Con lui si estinse la casa di Sassonia.
Enrico II fu sepolto nel duomo di Bamberga, città Lovaria dell\’imperatrice, di cui aveva voluto fare la sede di un vescovado (1007), ad onta delle opposizioni del presule di Wùrzburg, perché fosse un centro di cristianità e di cultura romana-germanica in mezzo a genti slave. A nord della città, posta su sette colli, Cunegonda fece costruire un monastero di benedettini e al sud un monastero di Canonici sotto la protezione di S. Stefano protomartire.
Enrico II non fu un grande politico, ne un abile generale, ma un principe sinceramente pio e colto, di severi costumi, sollecito sempre della riforma della Chiesa e del bene dei suoi sudditi. Aiutò tutte le iniziative che assicuravano ordine e giustizia ai popoli dell\’impero. È del 1023 il suo colloquio ad Ivoy con Roberto il pio, re di Francia, per ricercare le "vie della pace alla Chiesa santa del Signore". Fu merito suo l\’aver promosso dovunque le paci e tregue di Dio, tendenti a porre fine alle violenze dei signori e alle loro guerre private. S. Odilone (+1048) farà decretare da sinodi che le armi, pena la scomunica, dovranno riposare dal mercoledì sera al lunedì mattina dei tempi sacri d\’avvento, quaresima, pasqua e pentecoste.
Come gli Ottoni, suoi predecessori, Enrico II non si fece scrupolo di esercitare grande ingerenza nel governo ecclesiastico in quel secolo di ferro: nominare vescovi, deporre preti o monaci indegni o non sufficientemente devoti; convocare concili, sia pure per promuovere la restaurazione del culto, della vera pietà e della disciplina ecclesiastica. Nel 1022 celebrò con Benedetto VIII il grande sinodo di riforma di Pavia, che si oppose specialmente alla dilagante violazione del celibato. Il matrimonio degli ecclesiastici vi fu proibito sotto pena di deposizione. Enrico II fu canonizzato nel 1146 da Eugenio III. Cunegonda, dopo la morte del marito, si ritirò nel monastero benedettino di Kaufungen, che aveva fondato con il concorso dell\’imperatore in uno dei suoi domini di Hesse, essendo l\’amore per la vita monastica una delle tante virtù che i due sposi possedevano in comune. Colà visse nella preghiera e nella penitenza finché morì il 3-3-1039. Sepolta nella cattedrale di Bamberga, accanto al marito, fu canonizzata da Innocenze III nel 1200 per i grandi miracoli verificatisi alla sua tomba come già a quella di Enrico II. La sua memoria si celebra il 3 marzo.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 7, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 136-140
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