S. CLEMENTE IGNAZIO DELGADO y CEBRIÀN (1761-1838)

Nato vicino Saragozza entrò nell\’Ordine domenicano nel 1780. Compiuti gli studi, partì per le Filippine. Raggiunse, poi, il Vietnam dove fu eletto Vescovo. In cinquant\’anni di apostolato missionario, convertì molti pagani, ordinò sacerdoti molti indigeni ed eresse molte case religiose. Quando il re del Tonchino iniziò la persecuzione dei cristiani, S. Ignazio, insieme ad altri confratelli, fu arrestato il 13 maggio 1838. Dopo mesi di durissima prigionia, morì all\’alba del 12 luglio, poche ore prima dell\’esecuzione capitale.

Questo Vicario Apostolico del Tonchino Orientale (Vietnam) fa parte del glorioso manipolo di martiri beatificati da Leone XIII il 7-5-1900. Clemente nacque il 23-11-1761 a Villa Felice, nella diocesi di Saragozza (Spagna). Entrò giovinetto nel convento domenicano di Calatayud, nella provincia d\’Aragona, e vi fece la professione religiosa nel 1781. Compì gli studi nel celebre collegio di Orihuela e, dopo l\’ordinazione sacerdotale, poiché desiderava consacrare la propria vita alla conversione degl\’infelici, partì per le Isole Filippine.
Il P. Delgado raggiunse il Vicariato del Tonchino orientale, affidato alla Provincia del SS. Rosario delle Filippine, il 19-10-1790 insieme con il S. Domenico Henares (125-6-1838) e altri confratelli. La quotidiana sollecitudine per l\’evangelizzazione dei pagani e la formazione dei cristiani ne mise in evidenza le capacità intellettuali. I superiori, nei capitoli del 1792 e 1794, lo dessero Vicario provinciale e Pio VI l\’11-2-1794 lo nominò vescovo e coadiutore di Mons. Feliciano Alonso, Vicario Apostolico, al quale successe il 2-2-1799.
In quasi cinquant\’anni d\’incessante apostolato il santo raddoppiò il numero dei cristiani, eresse numerosi collegi, edificò chiese e monasteri e portò un grande numero d\’indigeni al sacerdozio con grande utilità dei villaggi cristiani in via di sviluppo. E impossibile enumerare tutte le opere di bene da lui avviate o incoraggiate facendosi tutto a tutti, e non curandosi degli editti di persecuzione pubblicati contro i cristiani specialmente dal re Minh-Manh, (1820-1840). Costui, poiché detestava i missionari europei, aveva dato ordine che fossero ricercati e decapitati, e che le loro chiese fossero atterrate. I cristiani, per avere salva la vita, dovevano calpestare la croce.
Il 22-4-1838, nel momento in cui più crudele e intensa infieriva la persecuzione, Mons. Delgado, con il suo coadiutore, Mons. Henares, ed il suo successore, S. Girolamo Hermosilla (+1-11-1861), si rifugiò nella casa della missione di Kièn-Lao, non ancora abbattuta. In caso di pericolo avrebbero potuto nascondersi facilmente in una vicina spelonca, ignorata da quasi tutti gli abitanti del paese e sistemata alla meglio da abitazione. Il 27-5-1838 un capitano giunse con duecento soldati in quei paraggi. I domenicani avrebbero voluto fuggire altrove, ma i due principali esponenti del villaggio vi si opposero. Secondo loro non c\’era motivo di temere sorprese. La maggior parte della popolazione non era cristiana? Altrove avrebbero trovato un nascondiglio più sicuro di Kién-Lao? La comparsa dei soldati non rientrava nei piani dell\’ordinaria amministrazione delle varie località della provincia?
I missionari accondiscesero alle loro insistenze stimando non essere prudente lasciare il certo per l\’incerto. Le precauzioni da loro prese avrebbero avuto buon esito se non fossero state vanificate da un maestro di lettere. Avendo saputo costui, con inganno, da un fanciullo cristiano che in quel villaggio viveva un missionario europeo, per amor di lucro comunicò la notizia al mandarino, arrivato in quella zona con i soldati.
Il paese fu immediatamente circondato e, nello scompiglio generale, non fu possibile ai missionari ritirarsi nella spelonca. I catechisti, risoluti a trafugare il loro vescovo, poiché per l\’età cadente non poteva camminare, lo collocarono in una lettiga, lo copersero con una stuoia e lo diedero da portare a due suoi domestici. Strada facendo costoro furono scoperti e inseguiti. Allora, per salvare la propria pelle, se la svignarono, abbandonando il vegliardo in mezzo a un campo. I soldati non tardarono a raggiungerlo, a incatenarlo, a percuoterlo con il manico di un coltellaccio e a tradurlo davanti al tribunale della regione. Invece di pensare a difendersi, il buon pastore, per stornare la tempesta dal suo gregge, disse ai giudici: "Kién-Lao non è la mia residenza ordinaria; ci sono capitato da pochi giorni; vi prego dunque di mostrarvi clementi con questa popolazione". Il mandarino rimase meravigliato di tanta serenità del prigioniero. Commosso dalla canizie di lui, credendo di usargli un grande riguardo, gli offrì un coltello e lo invitò a togliersi la vita per risparmiarsi la vergogna di una condanna infamante. Il martire ricusò dicendo: "II darsi la morte è senza dubbio un grave peccato; se tuttavia mi vorrai togliere la vita per la religione cristiana che professo e insegno, ne sarò lietissimo". A tali parole il mandarino, sdegnato, lo riconsegnò ai soldati che ne fecero oggetto di scherno e, sull\’imbrunire, lo inviò a Thièn-Truòng.
Il santo il 30 maggio fu messo in una gabbia, in cui rimase fino alla morte, ma essa era così stretta che gli riusciva impossibile starvi diritto. Lo stesso giorno fu tradotto a Nam-Dinh, dove lo attendeva una fiumana di gente, di soldati e mandarini. Vi giunse genuflesso e in orazione. Davanti alla porta della città vide che erano state poste delle croci affinchè i passanti le calpestassero. Ne rimase inorridito e supplicò con tanta insistenza i mandarini che le facessero togliere al suo passaggio che nessuno osò contrariarlo. Appena la gabbia fu introdotta in città le croci furono rimesse al posto di prima. I cristiani che seguivano il loro pastore, a quella vista furono costretti a retrocedere per non oltraggiare il segno della loro fede.
La gabbia fu collocata in un luogo detto Trai-Vé, presso la porta meridionale della città, e tutti i giorni venne esposta ai cocenti raggi del sole. Nonostante che i cristiani cercassero di ottenere al prigioniero qualche sollievo a costo di denaro e di battiture, grande fu la fame e la sete da lui patite. Più di una volta fu trasportato dalla prigione al tribunale, ma è impossibile ridire le ingiurie e le umiliazioni cui fu sottoposto dai giudici e dai soldati. Gli furono rivolte domande riguardo al suo nome, alla sua età, alla sua nazione, al motivo per cui era entrato nel Tonchino, ed egli rispose in modo esauriente alle loro richieste perché riguardavano soltanto la sua persona. Fu interrogato anche sui luoghi in cui si era nascosto, sul numero dei sacerdoti europei che predicavano nel Tonchino il Vangelo, sul numero di sacerdoti da lui ordinati, ma egli si limitò a manifestare soltanto quello che era già noto ai giudici.
I carnefici di Mons. Delgado facevano finta di non capire come avesse fatto, un uomo colto come lui, ad abbandonare la patria e i genitori per recarsi a predicare e a patire in un paese lontano, e allora il vescovo rimproverò loro, con parole roventi, la persecuzione che avevano scatenato contro i cristiani. La loro cecità però lo muoveva a compassione: "Voi parlate e operate così perché non conoscete la vera religione; se la conosceste, l\’abbraccereste. Del resto, poiché volete uccidermi in odio alla religione di cui sono il supremo ministro in questa provincia, fate pure e subito; io ne sono lieto. Perché trattenermi più a lungo e dare tanta molestia alle guardie costrette a vigilarmi?".
Il governatore della città, visto che era ormai inutile ogni altro esame, condannò il presule, vecchio, infermo e sordo alla decapitazione con le identiche frasi usate due giorni prima per Mons. Henares (125-6-1838), e inviò il verdetto alla corte perché il re Minh-Manh lo ratificasse. Il prigioniero affrettava con la preghiera il giorno in cui il carnefice, con la spada, gli avrebbe aperto le porte del cielo. Invece, il suo corpo, già indebolito dalle sofferenze patite per 43 giorni nell\’orribile gabbia, fu assalito da vomito e da dissenteria. Il mandarino che l\’aveva in custodia chiese licenza al governatore di chiamare un medico, ma gli fu negata. La mattina seguente, 21-7-1838, privo di ogni soccorso umano, Mons. Delgado spirò.
Quando la ferale notizia fu portata al governatore, costui non nascose il suo dispiacere essendogli venuta a mancare l\’occasione di dare un terrificante spettacolo al popolo. Dopo aver fatto verificare la morte del giustiziato con la prova della scottatura al pollice del piede, sentenziò: "Deldago è un uomo di diversa razza, che da molto tempo è venuto in questo regno per insegnare una falsa religione e sedurre la gente. Poiché fu pertinace nella sua perversa credenza, non può essere paragonato agli ordinari rei. Si deve quindi eseguire la sentenza, come fu emanata precedentemente, in modo che sia a tutti d\’insegnamento".
L\’esecuzione capitale fu eseguita perciò sul cadavere. La testa del martire fu gettata nel fiume Vi-Hoàng. Tre mesi e mezzo dopo un pescatore cristiano la ritrovò. Fu ricongiunta con il corpo che era stato seppellito a Bùi-Chu, accanto a Mons. Henares. Il martire fu canonizzato da Giovanni Paolo II con altri 116 testimoni della fede, il 19-6-1988.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 7, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 133-136
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