Pentecoste: I doni dello Spirito Santo

I sette doni dello Spirito Santo sono sette fonti di energia che egli degna deporre nelle nostre anime, quando vi penetra con la grazia santificante. Le grazie attuali mettono in movimento, simultaneamente o separatamente, quelle potenze divinamente infuse in noi, ed il bene soprannaturale e meritorio per la vita eterna si produce col consenso della nostra volontà


I doni dello Spirito Santo*
dagli scritti di Dom Prosper Guérager O.S.B, Abate di Solesmes (1805-1875)

INDICE

Maria nel cenacolo

I doni dello Spirito Santo
Il dono del Timor di Dio
Il l dono della Pietà
Il dono della Scienza
Il dono della Fortezza
Il dono del Consiglio
Il dono dell’Intelletto
Il dono della Sapienza

Conclusione


Maria nel Cenacolo


Ma non dimentichiamo in questo grande giorno, in questo primo sacrificio offerto da Pietro, assistito dai suoi colleghi di Apostolato, la partecipazione di Maria a quella carne sacrosanta, di cui il suo seno Verginale fu la sorgente. Infiammata dal fuoco dello Spirito Santo, che è venuto in Lei a confermare quella maternità verso gli uomini che Gesù le affidò quand’era sulla croce, ella si unisce nel mistero d’amore a questo amatissimo Figliolo, che se n’è andato in Cielo, e che l’ha incaricata di vegliare sulla Chiesa nascente. D’ora in avanti il Pane di Vita le renderà ogni giorno suo Figlio, finché, ella stessa sarà innalzata, a sua volta, in Cielo per godere eternamente della presenza di Lui, riceverne le carezze e prodigargli le sue.
Quale non fu la felicità dei Neofiti, ai quali fu concesso di avvicinarsi ad una sì augusta regina, alla Vergine-Madre, alla quale era stato dato di portare nel casto suo seno Colui che era la speranza d’Israele! Essi contemplarono le sembianze della nuova Eva, udirono la sua voce, provarono il sentimento filiale che ella ispira a tutti i Discepoli di Gesù. In un’altra epoca, la Liturgia ci parlerà di questi uomini fortunati; adesso non facciamo che ricordare la loro felicità, per dimostrare quanto grande e completa fu questa giornata che vide l’inizio della Santa Chiesa. La sacra Gerarchia apparve nella persona di Pietro, Vicario di Cristo, negli Apostoli suoi fratelli, nei Discepoli scelti dallo stesso Gesù. La semenza della Parola divina fu gettata nella buona terra, l’acqua battesimale rigenerò la parte più eletta dei figli d’Israele, lo Spirito Santo venne loro comunicato nella sua forza, il Verbo li nutrì della sua carne che è un vero nutrimento, e del suo sangue che è una vera bevanda (Gv 6, 56), e Maria, nel momento della loro nuova nascita, li ricevette tra le sue braccia materne.


I DONI DELLO SPIRITO SANTO


Durante tutta questa settimana dovremo esporre le diverse operazioni dello Spirito Santo nella Chiesa e nelle anime dei fedeli; ma è necessario, fin da oggi, anticipare l’insegnamento che abbiamo a presentare. Ci sono dati sette giorni per conoscere e studiare il Dono supremo che il Padre e il Figlio hanno voluto inviarci, e lo Spirito, che procede dai due, si manifesta in sette modi nelle anime. È dunque giusto che ogni giorno di questa settimana sia consacrato ad onorare ed a raccogliere questo settenario di benefici, per mezzo, dei quali dovrà operarsi la nostra salvezza e la nostra santificazione.
I sette doni dello Spirito Santo sono sette fonti di energia che egli degna deporre nelle nostre anime, quando vi penetra con la grazia santificante. Le grazie attuali mettono in movimento, simultaneamente o separatamente, quelle potenze divinamente infuse in noi, ed il bene soprannaturale e meritorio per la vita eterna si produce col consenso della nostra volontà.
Il Profeta Isaia, guidato dall’ispirazione divina, ci aveva fatto conoscere questi sette doni, nel brano in cui, descrivendo l’operazione dello Spirito Santo sull’anima del Figlio di Dio fatto uomo, che ci rappresenta come il fiore uscito dal ramo Verginale nato dal tronco di Jesse, ci dice: “Si poserà sopra di lui lo Spirito del Signore, Spirito di saviezza e discernimento, Spirito di consiglio e fortezza, Spirito di conoscenza e di pietà, e nel timore del Signore è la sua ispirazione” (Is 9, 2-3). Niente di più misterioso che queste parole; ma si sente che ciò che esse esprimono non è una semplice enumerazione dei caratteri del divino Spirito, ma la descrizione degli effetti che opera nell’anima umana. Così l’ha compresa la tradizione cristiana, ed enunciata negli scritti degli antichi padri, e formulata con la teologia.
L’umanità sacra del Figlio di Dio incarnato è il tipo soprannaturale della nostra, e ciò che lo Spirito Santo ha operato in lei deve proporzionalmente aver luogo in noi. Egli ha deposto nel Figlio di Maria quelle sette forze che descrive il profeta; i medesimi doni sono stati preparati all’uomo rigenerato. Notiamo la successione che si manifesta nella loro serie. Isaia nomina prima lo Spirito di sapienza e finisce con quello del timor di Dio. La Sapienza è effettivamente, come vedremo, la più elevata delle prerogative alla quale possa giungere l’anima umana, mentre il Timor di Dio, secondo la profonda espressione del Salmista, non è che il principio e l’abbozzo di questa divina qualità. Si capisce facilmente che l’anima di Gesù, chiamata a contrarre l’unione personale con il Verbo, sia stata trattata con una dignità particolare, in modo che il dono della Sapienza debba essere stato infuso in essa in una maniera primordiale, mentre il dono del Timor di Dio, qualità necessaria ad una natura creata, sia stata posta in lei soltanto come complemento. Per noi, al contrario, fragili e incostanti come siamo, il Timor di Dio è la base di tutto l’edificio ed è per mezzo suo che ci eleviamo di grado in grado fino a quella Sapienza che ci unisce a Dio. È dunque nell’ordine inverso di quello segnalato da Isaia nel riguardi del Figlio di Dio incarnato, che l’uomo s’innalza alla perfezione, per mezzo dei doni dello Spirito Santo, che gli sono stati conferiti nel Battesimo, che gli vengono resi nel sacramento della riconciliazione, se ha avuto la sventura di perdere la grazia santificante per il peccato mortale.
Ammiriamo con profondo rispetto l’augusto settenario, di cui troviamo l’impronta in tutta l’opera della nostra salvezza e della nostra santificazione. Sette sono le virtù che rendono l’anima gradita a Dio; per mezzo dei suoi sette Doni, lo Spirito Santo la conduce al suo fine; i sette Sacramenti le comunicano i frutti dell’Incarnazione e della Redenzione di Gesù Cristo; e, finalmente, dopo trascorse sette settimane dalla Pasqua, lo Spirito è mandato sulla terra per stabilirvi e consolidarvi il regno di Dio. Dopo tutto questo, noi non ci meraviglieremo che Satana abbia cercato di fare una parodia sacrilega dell’opera divina, opponendole l’orribile settenario dei sette peccati capitali, per mezzo dei quali egli si sforza di perdere l’uomo che Dio vuole salvare


IL DONO DEL TIMORE


L’orgoglio per noi è l’ostacolo al bene. È l’orgoglio che ci porta a resistere a Dio, a mettere il nostro fine in noi stessi; in una parola, a perderci. Solo l’umiltà può salvarci da un sì grande pericolo. Chi ce la darà? Lo Spirito Santo, infondendo in noi il dono del Timor di Dio.
Questo sentimento riposa sull’idea che la fede ci dà della maestà di Dio, in presenza del quale non siamo che un nulla; della sua Santità infinita, davanti alla quale non siamo che indegnità e sozzura; del giudizio sovranamente equo che dovrà esercitare su noi all’uscire da questa vita; e dei pericolo di una caduta, sempre possibile, se non corrispondiamo alla grazia che non ci manca mai, ma alla quale possiamo resistere.
La salvezza dell’uomo si opera, dunque, “con timore e tremore”, come c’insegna l’Apostolo (Filip 2, 12); ma questo timore, che è un dono dello Spirito Santo, non è un sentimento rudimentale che si limita a gettarci nello spavento al pensiero dei castighi eterni. Esso ci mantiene nella compunzione del cuore, anche quando i nostri peccati fossero da molto tempo perdonati; c’impedisce di dimenticare che siamo peccatori, che dobbiamo tutto alla misericordia divina, e che non siamo ancora salvi che in speranza (Rm 8, 24)
Questo timor di Dio non è dunque un timore servile, ma diviene, al contrario, la fonte dei sentimenti più delicati: può allearsi con l’amore, non essendo più che un sentimento filiale che teme il peccato a causa dell’oltraggio che reca a Dio. Ispirato dal rispetto della maestà divina, dal sentimento della sua santità infinita, colloca la creatura nel vero suo posto, e S. Paolo c’insegna che, purificandosi così, ci aiuta, “compiendo l’opera della nostra santificazione” (2 Cor 9, 27). È per questo che il grande Apostolo, che era stato rapito fino al terzo Cielo, ci confessa che è rigoroso verso se stesso “al fine di non essere condannato” (1 Cor 9, 27)
Lo Spirito di indipendenza e di falsa libertà che regna oggi, contribuisce a rendere più raro il timor di Dio, ed è questa una delle piaghe del nostro tempo. La familiarità con Dio tiene troppo spesso il posto di questa disposizione fondamentale della vita cristiana, ed è allora che ogni progresso si arresta, l’illusione si introduce nell’anima, ed i sacramenti, che nel momento del ritorno a Dio avevano operato con tanta forza, divengono presso a poco sterili. E ciò accade perché il dono del timore è stato soffocato sotto la vana compiacenza dell’anima in se stessa. L’umiltà si è spenta; un orgoglio, segreto e universale, è venuto a paralizzare i movimenti di quell’anima che arriva, senza accorgersene, a non conoscere più Iddio, per il fatto stesso che non trema più davanti a Lui.
Conservaci, dunque, o divino Spirito, il dono del timor di Dio, che hai diffuso in noi nel nostro Battesimo. Questo timore salutare ci assicurerà la perseveranza nel bene, arrestando il progresso dello spirito d’orgoglio. Che esso sia, dunque, come un dardo che attraversi la nostra anima da parte a parte, restandovi fissato sempre a nostra salvaguardia. Che esso abbassi la nostra alterigia, che ci strappi alla mollezza, rivelandoci, senza tregua, lo splendore e la santità di Colui che ci ha creati e che ci deve giudicare.

Sappiamo, o divino Spirito, che questo beato timore non soffoca l’amore; ma, ben lungi da ciò, toglie, invece, gli ostacoli che impedirebbero il suo sviluppo. Le potenze celesti vedono ed amano ardentemente il Sommo Bene, e se ne sono inebriate per l’eternità; e, nondimeno, tremano di fronte a quella temibile maestà, “tremunt Potestates”. E noi, ricoperti dalle cicatrici del peccato, pieni d’imperfezione, esposti a mille insidie, obbligati a lottare. contro tanti nemici, non sentiremo, forse, che dobbiamo stimolare con un forte timore filiale, nello stesso tempo, la nostra volontà che si addormenta così facilmente, e il nostro spirito assediato da tante tenebre! Veglia sulla tua opera, o divino Spirito! Preserva in noi il dono prezioso che ti sei degnato di farci; insegnaci a conciliare la pace e la gioia del cuore con il timor di Dio, secondo questo avvertimento del Salmista: “Servite a Dio con timore e rendetegli omaggio con tremore” (Sal 2, 11).


IL DONO DELLA PIETÀ


Il Dono del Timor di Dio è destinato a guarire in noi la piaga dell’orgoglio; il dono della Pietà viene diffuso dallo Spirito Santo nelle nostre anime per combattere l’egoismo che è una delle cattive passioni dell’uomo decaduto, ed il secondo ostacolo alla sua unione con Dio. Il cuore del cristiano non deve essere né freddo né indifferente; bisogna che sia tenero e pronto alla dedizione; altrimenti non potrebbe elevarsi nella via nella quale Dio, che è amore, si è degnato di chiamarlo.
Lo Spirito Santo produce, dunque, nell’uomo il dono della Pietà, ispirandogli una reciprocità filiale verso il suo creatore. “Avete ricevuto lo Spirito d’adozione filiale, per il quale esclamiamo: Abba! o Padre!” (Rm 8, 15). Questa disposizione rende l’anima sensibile a tutto ciò che tocca l’onore di Dio. Fa sì che l’uomo coltivi in se stesso la compunzione dei suoi peccati, vedendo l’infinita bontà di colui che si è degnato di sopportarlo e perdonarlo, e pensando alle sofferenze ed alla morte del Redentore. L’anima iniziata al dono della Pietà desidera costantemente la gloria di Dio; vorrebbe condurre tutti gli uomini ai suoi piedi, e gli oltraggi che egli riceve sono particolarmente dolorosi per essa. La sua gioia è di vedere il progresso delle anime nell’amore, e gli atti di dedizione che esso ispira loro verso Colui che è il sommo bene. Piena di sottomissione filiale verso questo padre universale che è nei Cieli, ella si tiene pronta per fare in tutto la sua volontà, e si rassegna di cuore a tutte le disposizioni della sua provvidenza.
La sua fede è semplice e viva. Ella resta amorosamente sottomessa alla Chiesa, sempre pronta a rinunciare anche alle sue idee più care, se dovessero scostarsi in qualche cosa dai suoi insegnamenti o dalle sue pratiche, avendo un orrore istintivo della novità e dell’indipendenza.
Questo sentimento di dedizione a Dio che ispira il dono della Pietà, unendo l’anima al suo Creatore con affetto filiale, la unisce con affetto fraterno a tutte le creature, poiché esse sono l’opera della potenza di Dio e gli appartengono.
In prima linea, tra le affezioni del Cristiano, animato dal dono della Pietà, si pongono quelle verso le creature glorificate, delle quali Dio gode eternamente e che, a loro volta, godono pure per sempre di Lui. Egli ama teneramente Maria, è geloso del suo onore; venera amorosamente i Santi; ammira con effusione il coraggio dei martiri, e gli atti eroici di virtù compiuti dagli amici di Dio; si diletta dei loro miracoli, e onora devotamente le loro sacre reliquie. Ma la sua affezione non si limita solamente alle creature già coronate nel cielo; quelle che sono ancora sulla terra tengono pure un gran posto nel suo cuore. Il dono della Pietà gli fa trovare in esse lo stesso Gesù. La sua benevolenza verso i fratelli è universale. Il suo cuore è disposto al perdono delle ingiurie, a sopportare le altrui imperfezioni, alla scusa verso i torti del prossimo. Egli è compassionevole verso i poveri, sollecito verso gli infermi. Una affettuosa dolcezza rivela il fondo del suo cuore; e nei rapporti con i suoi fratelli della terra lo si vede sempre disposto a piangere con quelli che piangono, a rallegrarsi con quelli che sono nella gioia.

Tali sono, o divino Spirito, le disposizioni di coloro che coltivano il dono della Pietà, che hai riversato nelle anime loro. Per mezzo di questo ineffabile favore, neutralizza quel triste egoismo che sciuperebbe il loro cuore, li liberi da quell’odiosa aridità che rende l’uomo indifferente verso i suoi fratelli, e chiudi la sua anima all’invidia e all’odio. Per tutto ciò non è stata necessaria che questa pietà filiale verso il creatore; essa ha intenerito il suo cuore, ed il cuore si è impregnato di una viva affezione per tutto ciò che è uscito dalle mani di Dio. Fa’ fruttificare in noi un sì prezioso dono; non permette che esso venga soffocato con l’amore di noi stessi. Gesù ci incoraggia dicendoci che il Padre celeste “fa sorgere il suo sole sopra cattivi e buoni” (Mt 5, 45). Non permettere, o divino Paraclito, che una tale paterna indulgenza sia un esempio perduto per noi, e degnati di sviluppare nelle anime nostre questo seme di dedizione, di benevolenza e di compassione che vi hai posto nello stesso momento in cui ne prendevi possesso per mezzo del Santo Battesimo.


IL DONO DELLA SCIENZA


L’anima che è stata distaccata dal male mediante il timor di Dio, ed aperta ai nobili affetti dal dono della pietà, sente il bisogno di sapere con quali mezzi eviterà ciò che forma l’oggetto della sua paura, e potrà trovare ciò che deve amare. Lo Spirito Santo viene in suo aiuto; e le porta quanto desidera, diffondendo in essa il dono della scienza. Con questo dono prezioso, le appare chiaramente la verità, capisce ciò che Dio domanda e ciò che Dio riprova, ciò che deve cercare e ciò che deve fuggire. Senza la scienza divina, con la nostra vista corta, rischiamo di perderci, a causa delle tenebre che troppo spesso oscurano in tutto od in parte l’intelligenza dell’uomo. Queste tenebre, prima di tutto, provengono dal fondo di noi stessi, che portiamo ancora le tracce troppo reali della nostra decadenza. Esse hanno anche, come causa, i pregiudizi e le massime del mondo, le quali, ogni giorno, falsano spiriti, che pur si credevano fra i più retti. E finalmente l’azione di Satana, il Principe delle tenebre, esercitata in gran parte con lo scopo di circondare la nostra anima di oscurità, o di perderla con l’aiuto di falsi miraggi.
La fede, che ci è stata infusa nel Battesimo, è la luce dell’anima nostra. Per mezzo del dono della scienza, lo Spirito Santo fa rilucere questa virtù di vividi raggi, atti a dissipare tutte le tenebre. Si schiariscono allora i dubbi, svanisce l’errore, e la verità appare in tutto il suo splendore. Si vede ogni cosa sotto la sua vera luce, che e quella della fede. Si scoprono i deplorevoli errori che si diffondono per il mondo, che seducono un sì gran numero di anime, e dei quali, forse, noi stessi siamo stati a lungo le vittime. Il dono della scienza ci rivela il fine che Dio si è proposto nella creazione, quel fine, all’infuori del quale, gli esseri non saprebbero trovare né il bene, né il riposo. C’insegna l’uso che noi dobbiamo fare delle creature, che ci sono state date, non per essere uno scoglio, ma per aiutarci nel cammino verso Dio. Manifestandoci così il segreto della vita, la nostra strada diventa sicura, non esitiamo più; e ci sentiamo disposti a ritirarci da ogni via che non ci conduce verso tale fine.
È a questa scienza, dono dello Spirito Santo, che l’Apostolo si rivolge quando, parlando ai cristiani, dice loro: “Un tempo eravate tenebre, ora invece siete luce nel Signore: comportatevi da figli della luce” (Ef 5, 8). Da essa viene quella fermezza, quella sicurezza della condotta cristiana. L’esperienza può mancare qualche volta, e il mondo si meraviglia all’idea dei passi falsi che sono da temere; ma il mondo conta senza il dono della Scienza. “Il Signore conduce il giusto per le vie rette, e per assicurare i suoi passi gli ha dato la Scienza dei Santi” (Sap 10,10).
Questa lezione ci viene data ogni giorno. Il cristiano, per mezzo della luce soprannaturale sfugge a tutti i pericoli, e, se non ha esperienza propria, ha quella di Dio.

Sii benedetto, divino Spirito, per questa luce che diffondi su di noi, che ci mantieni con sì amabile perseveranza. Non permettere che ne cerchiamo mai un’altra. Ella sola ci basta; e all’infuori di essa non vi sono che tenebre. Proteggici dalle tristi inconseguenze, alle quali molti si lasciano andare imprudentemente, accettando oggi la tua guida e abbandonandosi l’indomani ai pregiudizi del mondo; camminando così in una doppia via che non soddisfa né il mondo né te. Ci occorre, quindi, l’amore di questa Scienza, che ci hai dato affinché fossimo salvi; questa scienza salutare rende geloso il nemico delle anime nostre, che vorrebbe sostituirsi le sue ombre. Non permettere, divino Spirito, che riesca nel suo perfido disegno, ed aiutaci sempre a discernere ciò che è vero da ciò che è falso, ciò che è giusto da ciò che è ingiusto. Che, secondo la parola di Gesù, il nostro occhio sia semplice, affinché il corpo, ossia l’insieme delle nostre azioni, dei nostri desideri e dei nostri pensieri, resti nella luce (Mt 6, 23); e salvaci da quell’occhio che Gesù chiama cattivo e che rende tenebroso l’intero corpo.


IL DONO DELLA FORTEZZA


Il dono della scienza ci ha insegnato ciò che dobbiamo fare e ciò che dobbiamo evitare per essere conformi al disegno di Gesù Cristo, nostro divin Capo. Bisogna adesso che lo Spirito Santo stabilisca in noi il principio dal quale poter attingere l’energia che dovrà sostenerci nella via che ci ha indicato poco fa. Infatti noi sappiamo che incontreremo certamente degli ostacoli, ed il gran numero di quelli che soccombono basta a convincerci della necessità che abbiamo di essere aiutati. Questo soccorso ci viene dallo Spirito divino che ci comunica il dono della fortezza, per mezzo del quale, se noi saremo fedeli a servircene, ci sarà possibile, ed anche facile, trionfare di tutto ciò che potrebbe arrestare il nostro cammino.
Nelle difficoltà e nelle prove della vita, l’uomo ora è portato alla debolezza e all’abbattimento, ora è spinto da un ardore naturale che ha la sua sorgente nel temperamento o nella vanità. Questa doppia disposizione porterebbe raramente la vittoria nella lotta che l’anima deve combattere per la sua salvezza. Lo Spirito Santo ci porta dunque un elemento nuovo: questa forza soprannaturale, tal
mente propria in lui, che il Salvatore, istituendo i sacramenti, ne ha stabilito uno che ha per oggetto speciale di darci questo divino Spirito come principio di energia. L fuori dubbio che, dovendo lottare durante questa vita, contro il demonio, il mondo e noi stessi, ci occorre ben altro per resistere, che la pusillanimità o l’audacia. Abbiamo bisogno di un dono che moderi in noi la paura, e, nello stesso tempo, che temperi la fiducia che noi saremmo portati a mettere in noi stessi. L’uomo, modificato così dallo Spirito Santo, vincerà sicuramente; poiché la grazia supplirà in lui alla debolezza della natura e, nel medesimo tempo, correggerà la sua foga.
Due necessità si incontrano nella vita del cristiano: egli deve saper resistere, e deve saper sopportare. Che potrebbe opporre alle tentazioni di Satana, se la forza dei divino Spirito non venisse a ricoprirlo di un’armatura celeste e ad agguerrire il suo braccio? Il mondo non è forse anche il suo avversario terribile, se si considera il numero delle vittime che fa ogni giorno, con la tirannia delle sue massime e delle sue pretese? Quale deve essere, dunque, l’assistenza dei divino Spirito, quando si tratta di rendere il cristiano invulnerabile ai dardi che uccidono e che fanno tante rovine intorno a lui?
Le passioni del cuore dell’uomo non sono un ostacolo minore alla sua salvezza ed alla sua santificazione: ostacolo tanto più temibile, in quanto è più intimo. Bisogna che lo Spirito Santo trasformi il cuore, che lo trascini anche a rinunziare a se stesso, quando la luce celeste c’indicherà una via diversa da quella verso la quale ci spinge l’amore della ricerca di noi stessi. Quale forza divina ci vuole, per “odiare la propria vita”, quando Gesù Cristo lo esige (Gv 12, 25), quando si tratta di fare la scelta tra due padroni il cui servizio è incompatibile? (Mt 6, 24). Lo Spirito Santo fa ogni giorno questi prodigi per mezzo del dono che ha diffuso in noi, se noi non lo disprezziamo, se non lo soffochiamo, nella nostra viltà e nella nostra imprudenza. Insegna al Cristiano a dominare le passioni, a non lasciarsi condurre da queste cieche guide, a non cedere ai suoi istinti, che quando essi sono conformi all’ordine che Dio ha stabilito. Qualche volta questo divino Spirito non domanda solamente al Cristiano di resistere interiormente ai nemici dell’anima; ma esige che protesti apertamente contro l’errore ed il male, se il dovere di stato o la sua posizione lo reclamano. È allora che bisogna affrontare quella specie d’impopolarità che spesso si riversa sul cristiano, e che non dovrà sorprenderlo, ricordandosi le parole dell’Apostolo: “Se io cercassi di piacere agli uomini, non sarei servo di Cristo” (Gal 1,10). Ma lo Spirito Santo non manca mai, e quando egli trova un’anima risoluta ad usare della forza divina di cui egli è la sorgente, non solamente le assicura il trionfo, ma ordinariamente la stabilisce in quella pace, piena di dolcezza e di coraggio, che ci porta la vittoria sulle passioni.
Tale è la maniera con la quale lo Spirito Santo applica il dono della fortezza nel Cristiano, quando questi è obbligato alla resistenza. Abbiamo detto che questo prezioso dono ci dava nello stesso tempo l’energia necessaria per sopportare le prove che formano il prezzo della nostra salvezza. Vi sono degli spaventi che agghiacciano il coraggio e possono trascinare l’uomo alla perdizione. Il dono della fortezza li dissipa; li rimpiazza con una calma ed un senso di sicurezza, sconcertanti per la natura. Guardate i martiri, e non solamente S. Maurizio, Capo della legione Tebea, abituato alle lotte del campo di battaglia; ma una Felicita, madre di sette figli, una Perpetua, nobile dama di Cartagine, per la quale il mondo non aveva che favori; una Agnese, fanciulla di tredici anni, e tante altre migliaia, e dite se il dono della fortezza è sterile nei sacrifici. Dov’è andata la paura della morte, il cui solo pensiero qualche volta ci opprime? E quelle generose offerte di tutta una vita immolata nella rinuncia e nelle privazioni, per trovare unicamente Gesù e seguirne le tracce più da vicino! E tante esistenze nascoste agli sguardi distratti e superficiali degli uomini, esistenze in cui l’elemento principale è il sacrificio, in cui la serenità non si lascia mai vincere dalla prova, in cui la croce, che si moltiplica sempre, sempre viene accettata! Quali trofei per lo Spirito di fortezza! Quali atti di dedizione al dovere egli sa generare! E se l’uomo, per se stesso è poca cosa, come cresce in dignità sotto l’azione dello Spirito Santo!
È ancora Lui che aiuta il cristiano a superare la brutta tentazione del rispetto umano, elevandolo al di sopra delle considerazioni mondane che gli detterebbero un’altra condotta. È Lui che spinge l’uomo a preferire la gioia di non aver violato i comandamenti del suo Dio, a quella frivola di seguire gli onori del mondo.
Questo Spirito di fortezza che fa accettare gli infortuni, quali altrettanti disegni misericordiosi del Cielo; che sostiene il coraggio del cristiano nella perdita così dolorosa di esseri cari, nelle sofferenze fisiche che gli renderebbero la vita pesante, se non sapesse che esse sono le visite del Signore. È Lui, finalmente, come lo leggiamo nella vita dei Santi, che si serve delle stesse ripugnanze della natura, per provocare quegli atti eroici in cui la creatura umana sembra aver sorpassato il limite del suo essere per elevarsi al rango degli spiriti impassibili e glorificati.

Spirito di fortezza, resta sempre più in noi, e salvaci dalla mollezza di questo secolo. In nessun’altra epoca, l’energia delle anime è stata più debole, lo spirito mondano ha maggiormente trionfato, il sensualismo si è fatto più insolente, l’orgoglio e l’indipendenza più pronunciati. Saper essere forti contro se stessi, è una rarità che eccita lo stupore in coloro che ne sono testimoni: tanto le massime del vangelo hanno perduto terreno! Trattienici su questo pendio che, come tanti altri, ci trascinerebbe al male, o divino Spirito! Permetti che noi ti indirizziamo, in forma di domanda, quei voti che Paolo formulava per i cristiani di Efeso, e che noi osiamo reclamare dalla tua generosità, l’armatura di Dio che ci permetterà di tener duro nel giorno cattivo e di rimanere perfetti in tutte le cose. Cingi i nostri fianchi con la verità, rivestici della corazza della giustizia, e calzaci i piedi con l’alacrità che dà il vangelo di pace. Armaci dello scudo della fede, col quale potremo estinguere i dardi infuocati del maligno; metti sul nostro capo l’elmo della speranza per la salvezza e nelle mani la spada dello Spirito, che è la parola di Dio (Ef 6, 11-17), con l’aiuto del quale, come il Signore nel deserto, noi possiamo riportare la vittoria su tutti i nostri avversari. Spirito di fortezza, fa’ che così sia.


IL DONO DEL CONSIGLIO


Il dono della Fortezza di cui abbiamo riconosciuto la necessità nell’opera di santificazione del cristiano, non sarebbe sufficiente per assicurare questo grande risultato, se il divino Spirito non avesse preso cura di unirlo ad un altro dono, che lo segue e che previene da ogni pericolo. Questo nuovo beneficio consiste nel dono del consiglio. La Fortezza non si potrebbe lasciare abbandonata a se stessa; le è necessario un elemento che la diriga. Il dono della Scienza, non potrebbe esserlo, perché, se illumina l’anima sul suo fine e sulle regole generali della condotta che deve tenere, non porta una luce sufficiente sulle applicazioni speciali della legge di Dio e sulla direzione della vita. Nelle diverse situazioni in cui potremmo essere posti, nelle decisioni che potremmo aver bisogno di prendere, è necessario che sentiamo la voce dello Spirito Santo, ed è per mezzo del dono del Consiglio che questa voce divina arriva fino a noi. Ella ci dice, se vogliamo ascoltarla, ciò che dobbiamo fare e ciò che dobbiamo evitare; ciò che dobbiamo dire e ciò che dobbiamo tacere; ciò che possiamo conservare e ciò cui dobbiamo rinunziare. Per mezzo del dono del Consiglio, lo Spirito Santo agisce sulla nostra intelligenza, nello stesso modo che, col dono della Fortezza, agisce sulla nostra volontà. Questo dono prezioso deve essere applicato durante tutta la nostra vita, perché continuamente ci dobbiamo decidere per un partito o per l’altro; e deve essere causa di una grande riconoscenza verso lo Spirito divino, il pensiero che Egli non ci lascia mai abbandonati a noi stessi, finché siamo disposti a seguire la direzione che ci imprime. Quanti agguati può farci evitare! quante illusioni può distruggere in noi! quante realtà ci fa scoprire! ma, per non perdere le sue ispirazioni, bisogna che ci salvaguardiamo dalle attrattive naturali che, troppo spesso, influiscono sulle nostre decisioni: dalla temerità che ci trascina secondo il piacere delle passioni; dalla precipitazione che ci rende troppo solleciti nel giudicare e nell’agire, anche quando non abbiamo ancora visto che un lato delle cose; e, finalmente, dall’indifferenza che fa sì che noi decidiamo a caso, per timore di affaticarci nella ricerca di ciò che sarebbe per il meglio.
Lo Spirito Santo, col dono del Consiglio, strappa l’uomo a tutti questi inconvenienti. Corregge la natura così spesso eccessiva, quando non è apatica. Mantiene l’anima attenta a ciò che è il vero, a ciò che è buono, a ciò che le è veramente vantaggioso. Le insinua questa virtù, che è il complemento ed il nutrimento necessario per far sviluppare tutte le altre; intendiamo dire la discrezione, di cui ha il segreto, per mezzo della quale le virtù si conservano, si armonizzano e non degenerano in difetti. Sotto la direzione del dono del Consiglio, il cristiano non ha nulla da temere; lo Spirito Santo prende su di sé la responsabilità di tutto. Che importa, dunque, che il mondo condanni o critichi, che si stupisca o si scandalizzi? Il mondo si crede saggio; ma non ha il dono del Consiglio. Per questo accade spesso che le risoluzioni prese sotto la sua ispirazione, portano ad un fine ben diverso da quello che si era proposto. E doveva essere così; poiché è ad esso che il Signore ha detto “non quali i miei pensieri sono i pensieri vostri, né quale la vostra condotta è la mia” (Is 55, 8).
Domandiamo, dunque, con tutto l’ardore del nostro desiderio, il dono divino che ci preserverà dal pericolo di guidarci da noi stessi. Ma comprendiamo pure che questo dono non abita che in coloro che lo stimano abbastanza, per rinunciare a se medesimi in sua presenza. Se lo Spirito Santo ci trova staccati dalle idee umane, convinti della nostra fragilità, si degnerà di essere il nostro Consiglio, mentre se ci credessimo savi di fronte ai nostri occhi, ritirerebbe la sua luce e ci lascerebbe a noi stessi.

Non vogliamo che ci accada questo, o divino Spirito! Per esperienza sappiamo troppo che non ci è di vantaggio correre i rischi della prudenza umana, e abdichiamo sinceramente, di fronte a Te, le pretese del nostro spirito, così pronto ad abbagliarsi e a farsi delle illusioni. Conserva e degnati di sviluppare in noi, in piena libertà, questo dono ineffabile che ci hai concesso nel Battesimo: sii per sempre il nostro Consiglio: “Facci conoscere le tue vie, e insegnaci i tuoi sentieri. Dirigici nella Verità e ci istruisci; poiché è da te che ci verrà la salvezza, ed è per questo che noi ci attacchiamo alla tua condotta (Sal 118). Noi sappiamo che saremo giudicati su tutte le nostre opere e su tutte le nostre intenzioni; ma sappiamo anche che non avremo niente da temere finché saremo fedeli alla tua guida.
Staremo, dunque, attenti “ad ascoltare ciò che dice in noi il Signore nostro Dio” (
Sal 84, 9), lo Spirito del Consiglio, sia che egli ci parli direttamente sia che ci rimandi allo strumento che avrà scelto per noi.
Sii dunque benedetto, Gesù, che ci hai inviato lo Spirito per essere la nostra guida, e benedetto sia questo divino Spirito, che si degna di darci sempre la sua assistenza, e che le nostre resistenze passate non hanno allontanato da noi!


IL DONO DELL’INTELLETTO


Questo sesto dono dello Spirito Santo fa entrare l’anima in una via superiore a quella nella quale si è intrattenuta fin qui. I cinque primi doni tendono tutti all’azione. Il timor di Dio rimette l’uomo al suo posto, umiliandolo; la pietà apre il suo cuore agli affetti divini; la scienza gli fa discernere la via della salvezza dalla via della perdizione; la fortezza lo arma per la lotta; il consiglio lo dirige nei pensieri e nelle opere; egli dunque adesso può agire e proseguire nella sua strada con la speranza di arrivare al termine. Ma la bontà del divino Spirito gli riserva anche altri favori. Ha risolto di farlo godere, fin da questo mondo, di un preludio della felicità che gli riserva nell’altra vita. Sarà il mezzo per rendere sicuro il suo cammino, per animare il suo coraggio, per ricompensare i suoi sforzi. D’ora in avanti gli sarà dunque aperta la via della contemplazione, ed il divino Spirito ve lo introdurrà per mezzo dell’Intelletto.
A questa parola di “contemplazione”, forse molte persone si agiteranno, persuase, a torto, che l’elemento che significa non potrebbe incontrarsi che nelle rare condizioni di una vita passata nel ritiro e lontana dal commercio degli uomini. È un grave e pericoloso errore, che troppo spesso arresta lo slancio delle anime. La contemplazione è uno stato nel quale viene chiamata, in una certa misura, qualunque anima che cerchi Iddio. Essa non consiste nei fenomeni che lo Spirito Santo si compiace di manifestare in alcune persone privilegiate, e che destina a provare la realtà della vita soprannaturale. Essa è, semplicemente, quella relazione più intima che si stabilisce tra Dio e l’anima che gli è fedele nell’azione; a quest’anima, se non mette ostacoli, sono riservati due favori, di cui il primo è il dono dell’Intelletto, che consiste nell’illuminazione dello spirito rischiarato ormai da una luce superiore.
Questa luce non toglie la fede, ma rischiara l’occhio dell’anima, fortificandola, dandole una più estesa visuale delle cose divine. Molte nubi svaniscono, perché provenivano dalla debolezza e dalla grossolanità dell’anima, non ancora iniziata. Si rivela la bellezza, piena d’incanto, di quei misteri che non si sentivano che vagamente; appariscono ineffabili armonie, che non si supponevano neppure esistere. Non è il vedere faccia faccia, cosa riservata per il giorno eterno; ma non è già più quel debole barlume che dirigeva i nostri passi. Un insieme di analogie, di convenienze, che successivamente si mostrano all’occhio dello spirito, vi portano una dolce certezza. L’anima si dilata a questo chiarore che arricchisce la fede, accresce la speranza e sviluppa l’amore. Tutto le sembra nuovo; e, quando essa volge in dietro lo sguardo, fa il paragone, e vede chiaramente che la verità, sempre la stessa, è adesso da lei afferrata in una maniera incomparabilmente più completa.
La narrazione dei Vangeli l’impressiona assai più; trova un sapore per lei sconosciuto fino allora nelle parole del Salvatore. Comprende assai meglio il fine che si è proposto istituendo i suoi sacramenti. La Sacra Liturgia la commuove con le sue formule così maestose ed i suoi riti così profondi. La lettura della Vita dei Santi l’attira, niente la meraviglia nei loro sentimenti e nei loro atti. Gusta i loro scritti più che tutti gli altri, e sente un accrescimento di benessere spirituale, avvicinando questi amici di Dio. Circondata dei più disparati doveri, la fiaccola divina la guida per adempierli tutti. Le virtù così diverse che deve praticare si conciliano nella sua condotta; l’una non è mai sacrificata all’altra, perché vede l’armonia che deve regnare fra di esse. Vive lontano dallo scrupolo, come dal rilassamento, ed è sempre pronta a riparare i falli che ha potuto commettere. Qualche volta il divino Spirito l’istruisce anche con una parola interiore che la sua anima comprende e che le serve a chiarire la sua situazione con una nuova luce. D’ora in avanti il mondo e i suoi vani errori vengono apprezzati per quel che valgono, e l’anima si purifica dai resti di quell’attaccamento e di quella compiacenza che poteva ancora conservare al riguardo. Ciò che è grande e bello secondo la natura, sembra vile e misero a quest’occhio che lo Spirito Santo ha aperto agli splendori ed alle bellezze divine ed eterne. Un solo lato riscatta ai suoi occhi questo mondo esteriore, che forma l’illusione dell’uomo sensuale: è che la creatura visibile, che porta la traccia della beltà di Dio, è suscettibile di servire alla gloria del suo autore. L’anima impara ad usarne, unendovi atti di ringraziamento, rendendola soprannaturale, glorificando col Re-Profeta colui che ha lasciato l’impronta dei suoi tratti e della sua bellezza in questa moltitudine di esseri che servono così spesso alla perdita dell’uomo, mentre sono chiamati a divenire la scala che lo dovrebbero condurre a Dio.
Il dono dell’Intelletto diffonde anche nell’anima la conoscenza della propria via. Le fa comprendere quanto sono stati saggi e misericordiosi i disegni superni che, qualche volta, l’hanno spezzata e trasportata là, ove non contava di andare. Ella vede che, se fosse stata padrona di disporre della sua esistenza, avrebbe mancato al suo fine, e che Dio ve l’ha fatta arrivare nascondendole in principio i disegni della sua paterna sapienza. Adesso è felice, poiché gode la pace, ed il suo cuore non sa come ringraziare adeguatamente Iddio che l’ha condotta al termine, senza consultarla. Se capita che sia chiamata a dare consigli, ad esercitare una direzione, per dovere o per motivi caritatevoli, possiamo affidarci a lei: il dono dell’Intelletto l’illumina per gli altri come per se stessa. Non si ingerisce, però, a dare lezioni a coloro che non gliene domandano; ma se viene interrogata, risponde, e le sue risposte sono luminose come la fiaccola che la rischiara.
Tale è il dono dell’Intelletto, vera illuminazione dell’anima cristiana, che si fa sentire ad essa in proporzione della fedeltà che ha nel far uso degli altri doni. Questo si conserva con l’umiltà, la moderazione dei desideri ed il raccoglimento interiore. Una condotta dissipata ne arresterebbe lo sviluppo e potrebbe anche soffocarlo. Quest’anima fedele può conservarsi raccolta pure in una vita occupata e riempita da mille doveri, pure in mezzo a distrazioni obbligatorie, alle quali l’anima si presta senza abbandonarvisi. Che essa sia dunque semplice, che sia piccina ai suoi propri occhi e, quel che Dio nasconde ai superbi e rivela ai piccoli (Lc, 10, 21), le sarà manifestato e dimorerà in essa.
Nessun dubbio che un tale dono sia un aiuto immenso per la salvezza e la santificazione dell’anima. Noi dobbiamo dunque implorarlo dal divino Spirito con tutto l’ardore del nostro desiderio, essendo ben convinti che lo raggiungeremo più sicuramente con lo slancio del nostro cuore, che con lo sforzo dei nostro spirito. È vero che la luce divina, che è l’oggetto di questo dono, si diffonde nell’intelligenza; ma la sua effusione proviene soprattutto dalla volontà, riscaldata dal fuoco della carità, secondo la parola di Isaia “Credete, e voi avrete l’intelligenza” (Is 6, 9. Citato così dai Padri Greci e Latini secondo i Settanta). Rivolgiamoci allo Spirito Santo e, servendoci delle parole di Davide, diciamogli:

“Apri i nostri occhi, e noi contempleremo le meraviglie dei tuoi precetti; concedici l’intelligenza e avremo la Vita” (Sal 118).

Istruiti dall’Apostolo, esporremo la nostra domanda in modo anche più insistente, facendo nostra la preghiera che egli rivolge al Padre Celeste in favore dei fedeli di Efeso, quando implora per essi lo “Spirito di Sapienza e di rivelazione col quale si conosce Iddio, mentre gli occhi del cuore, illuminati, scoprono l’oggetto della nostra speranza e le ricchezze della gloriosa eredità che Dio s’è preparata nei suoi Santi” (Ef 1, 17-18).


IL DONO DELLA SAPIENZA


Il secondo favore che lo Spirito Santo ha destinato all’anima che gli è fedele nell’azione, è il dono della Sapienza, superiore anche a quello dell’intelletto. Tuttavia è legato a quest’ultimo, nel senso che l’oggetto mostrato nell’intelletto viene gustato e posseduto nel dono della Sapienza. Il Salmista, invitando l’uomo ad avvicinarsi a Dio, gli raccomanda di assaporare il Sommo Bene: “Gustate e vedete come è buono il Signore” (Sal 33, 9). La Santa Chiesa, nel giorno della Pentecoste, domanda per noi a Dio il favore di gustare il bene, recta sapere, perché l’unione dell’anima con Dio è piuttosto l’esperimento fatto per mezzo dei gusto che per mezzo della vista, ciò che sarebbe incompatibile col nostro stato presente. La luce data col dono dell’intelletto non è immediata, rallegra vivamente l’anima e dirige il suo senso verso la verità; ma tende a completarsi col dono della sapienza che ne è, il fine.
L’intelletto è dunque illuminazione, e la sapienza è unione. Ora, l’unione col Sommo Bene si compie per mezzo della volontà, ossia per l’amore che risiede in essa. Noi rimarchiamo questa progressione nelle gerarchie angeliche. Il Cherubino scintilla d’intelligenza, ma al di sopra di lui vi è ancora il Serafino fiammante. L’amore – ardente nei Cherubini, nello stesso modo che l’intelligenza rischiara con la sua viva luce il Serafino; ma l’uno si differenzia dall’altro per la qualità predominante, ed il più elevato è quello che raggiunge più intimamente la Divinità per mezzo dell’amore, quello che gusta il Sommo Bene.
Il settimo dono è decorato del bel nome di Sapienza, ed esso gli viene dalla Sapienza eterna alla quale tende di assomigliarsi con l’ardore dell’affetto. Questa Sapienza increata, che si degna di lasciarsi gustare dall’uomo in questa valle di lacrime, è il Verbo divino, quello stesso che l’Apostolo chiama “lo splendore della gloria dei Padre e la forma della sua sostanza” (Eb 1, 3). È lui che ci ha mandato lo Spirito per santificarci e ricondurci ad esso, di modo che l’operazione più elevata di questo divino Spirito è di procurare la nostra unione con chi, essendo Dio, si è fatto carne e si è reso per noi obbediente fino alla morte e alla morte di croce (Filipp 2, 8). Per mezzo dei misteri compiuti nella sua umanità, Gesù ci ha fatto penetrare fino alla sua Divinità con la fede rischiarata dall’intelletto soprannaturale: “Noi fummo spettatori della sua gloria, gloria quale l’Unigenito ha dal Padre, pieno di grazie e di verità” (Gv 1, 14); e nello stesso modo che si è fatto partecipe della nostra umile natura umana, si dona fin da questo mondo per essere gustato, Lui, Sapienza increata, a questa sapienza creata che lo Spirito Santo forma in noi come il più sublime dei suoi doni.
Felice dunque colui nel quale regna questa preziosa Sapienza che rivela all’anima il gusto di Dio e di ciò che è di Dio! “L’uomo animale non gusta le cose dello Spirito di Dio” ci dice l’Apostolo (1 Cor 2, 14); per godere di questo dono bisogna che divenga spirituale, si presti docilmente al desiderio dello Spirito, e allora vi arriverà, come hanno fatto altri che, dopo aver vissuto schiavi della vita sensuale, sono stati affrancati con la docilità verso lo Spirito divino che li ha cercati e ritrovati. Anche l’uomo meno rozzo, ma abbandonato allo spirito dei mondo, è ugualmente impotente a comprendere ciò che forma l’oggetto del dono della Sapienza e ciò che rivela quello dell’intelletto. Egli giudica coloro che hanno ricevuto questi doni e li critica; ed è una fortuna se non mette loro degli impedimenti, se non li perseguita! Gesù ce lo dice espressamente: “Il mondo non può ricevere lo Spirito di verità, perché non lo vede, né lo conosce” (Gv 14, 17)- Che quelli, dunque, che hanno la felicità di desiderare il Sommo Bene, sappiano che è necessario essere completamente staccati dallo spirito profano, che è il nemico personale dello Spirito di Dio. Affrancati dalle sue catene, potranno elevarsi sino alla Sapienza.
È proprio di questo dono procurare un grande vigore all’anima e di fortificare le sue potenze. Tutta la vita ne viene risanata, come accade a coloro che fanno uso di alimenti adatti. Non vi è più contraddizione tra Dio e l’anima ed è questa la ragione per la quale l’unione si rende facile. “Dove è lo Spirito del Signore, ivi è libertà”, dice l’Apostolo (2 Cor 3, 17)- Sotto l’azione dello Spirito di Sapienza, tutto diviene facile all’anima. Le cose che sembrano dure alla natura, ben lungi dallo stupire, sono rese dolci, ed il cuore non si spaventa più tanto della sofferenza. Non solamente si può dire che Dio non è lontano da un’anima che lo Spirito Santo ha messo in questa disposizione; ma è evidente che gli è unita. Che vegli tuttavia sull’umiltà; poiché l’orgoglio può ancora riaffacciarsi in lei, e allora la caduta sarebbe tanto più profonda, quanto più la sua elevatezza era stata grande.
Insistiamo presso il divino Spirito e preghiamolo di non rifiutarci questa preziosa sapienza che ci condurrà a Gesù, Sapienza infinita. Un savio dell’antica legge aspirava già a questo favore, quando scriveva le seguenti parole, di cui solo il cristiano può avere la perfetta intelligenza: “Ho pregato, e mi fu dato il senno, ho supplicato, e venne a me lo Spirito di Sapienza” (Sap 7, 7). Bisogna dunque domandare con insistenza questo dono. Nella nuova Alleanza, l’Apostolo S. Giacomo ci sollecita con le sue esortazioni più fervorose: “Se poi tra voi vi è qualcuno che ha bisogno di Sapienza, la chieda a Dio che dà a tutti abbondantemente e non rimprovera; e gli sarà data. Chieda però con fede, senza per nulla esitare” (Gc 1, 5).

Osiamo prendere per noi questo invito dell’Apostolo, o divino Spirito, e ti diciamo: «O Tu che procedi dalla Potenza e dalla Sapienza, concedici la Sapienza. Colui che è Sapienza ti ha inviato a noi per riunirci a Lui. Toglici a noi stessi, e ci unisci a Colui che si è unito alla nostra debole natura. Sacro mezzo dell’unità, sii il vincolo che ci legherà per sempre a Gesù, e Colui che è Potenza e Padre ci adotterà quali “eredi di Dio, coeredi di Cristo”» (Rm 8, 17)


CONCLUSIONE


La serie dei misteri è ormai completa, ed il Calendario mobile della Liturgia è giunto al suo termine. Prima di tutto abbiamo attraversato, durante il Tempo dell’Avvento, le quattro settimane che rappresentavano le migliaia di anni impiegati dal genere umano ad implorare il Padre perché inviasse il suo Figliolo. E finalmente, disceso l’Emmanuele, noi ci associammo, di volta in volta, alle gioie della sua Nascita, ai dolori della sua Passione, alla gloria della sua Risurrezione, al trionfo della sua Ascensione. Abbiamo visto ora, discendere sopra di noi lo Spirito divino, e sappiamo che, con noi, resterà sino alla fine. La Santa Chiesa ci ha assistito durante tutto il corso di questo immenso dramma che racchiude la nostra salvezza. I suoi cantici e le sue cerimonie ci hanno ogni giorno illuminati; ed è così che abbiamo potuto tutto seguire e tutto comprendere. Benedetta sia questa Madre, per le cure della quale siamo stati iniziati a tante meraviglie che hanno aperto il nostro spirito e riscaldato i nostri cuori! Benedetta sia la sacra Liturgia, sorgente di tante consolazioni ed incoraggiamenti! Adesso non ci rimane che di colmare il corso datoci dal Calendario nella sua parte immobile. Prepariamoci, dunque, a riprendere il cammino, contando sullo Spirito Santo che dirigerà i nostri passi, e che continuerà a largirci, per mezzo della sacra Liturgia di cui è l’ispiratore, i tesori della dottrina e dell’esempio.




*testo tratto da: Dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico, vol. III Il tempo Pasquale, Alba 1957, passim.