Papato e impero nel secolo XI


Prof. A. Torresani. 11. 1 Riforma cluniacense e riforma ottoniana a confronto; 11. 2 La riforma della Chiesa; 11. 3 Enrico IV e Gregorio VII; 11. 4 La prima fase della lotta per le investiture; 11. 5 La rivoluzione agraria d’Europa; 11. 6 Cronologia essenziale; 11. 7 Il documento storico; 11. 8 In biblioteca


Cap. 11 Papato e impero nel secolo XI



Nel X secolo era avvenuta la vigorosa ripresa dell’impero bizantino con la riconquista di gran parte dei territori posseduti fino al tempo di Eraclio: la vitalità di Costantinopoli era dimostrata dalla conversione al cristianesimo di Bulgari e Russi.


In Occidente, dopo la dissoluzione dell’impero carolingio, la Sassonia conseguì alcuni successi politici sotto Ottone I che ricostituì il Sacro Romano Impero. In Europa si era diffusa la riforma monastica iniziata a Cluny in Borgogna, scegliendo la via dell’autonomia dal potere politico laico, ponendosi alle dirette dipendenze del pontefice che perciò poteva contare su forze intatte, desiderose di condurre in porto la riforma spirituale della Chiesa. La riforma del monachesimo iniziata a Cluny ebbe vasta diffusione nell’Europa occidentale, mentre in Germania e nei territori a est dell’Elba prevaleva il sistema ottoniano dei vescovi-conti e delle grandi abbazie di patronato regio, un embrione di Chiesa nazionale protetta dallo Stato, ma anche asservita ad esso. Fino alla metà del secolo XI gli imperatori si avvalsero del Privilegium Othonianum per scegliere il papa; in seguito il papato rivendicò al clero il diritto di elezione dei papi. Seguì il noto conflitto tra Enrico IV e Gregorio VII, la lotta per le investiture, in parte risolto col trattato di Worms del 1122. Nei successivi due secoli la Chiesa si trovò alla testa di un movimento di rinnovamento culminato nella sintesi del XIII secolo, quando l’Europa tornò al centro della cultura, dei commerci, dell’arte, della scienza, prima che il vigoroso sviluppo delle culture nazionali in lingua romanza favorisse il sorgere del nazionalismo e la crisi dei grandi organismi sovranazionali come Impero e Chiesa.


Dopo il Mille le popolazioni del nord e dell’est europeo divennero sedentarie e si convertirono al cristianesimo; i pirati barbareschi si scontrarono con una sempre più efficace difesa delle coste del Mediterraneo, e a loro volta subirono attacchi condotti fin sul loro territorio da parte delle repubbliche marinare italiane.


Di grande importanza la rivoluzione agraria del secolo XI, iniziata fin dal secolo precedente con la colonizzazione tedesca delle terre poste al di là dell’Elba mediante un’opera di disboscamento e di bonifica dei terreni paludosi. L’accresciuta disponibilità di cibo permise la vita a una popolazione più numerosa e più fiduciosa nell’avvenire.



11. 1 Riforma cluniacense e riforma ottoniana a confronto



Abbiamo già esaminato lo spirito della riforma di Cluny e le ragioni del suo successo: il rigore liturgico, lo splendore del canto gregoriano, l’edificazione di innumerevoli chiese secondo il severo stile romanico borgognone, l’indipendenza dal potere laico, la lotta contro la simonia e il concubinato dei preti produssero un vasto movimento di consenso verso quei monaci che un poco alla volta soppiantarono istituzioni più antiche.


Consigliere dei papi A partire dal secolo XI l’abate generale di Cluny visse accanto al papa fornendogli l’appoggio della vasta rete dei monasteri dell’ordine, l’aiuto di teologi e giuristi formati nello spirito della riforma i quali incoraggiavano i papi a rivendicare la pienezza della Libertas Ecclesiae.


La riforma ottoniana L’impero, invece, in Germania e nei paesi dell’est conduceva una propria riforma della Chiesa ma nella direzione del suo assoggettamento all’imperatore che cercava di avocare a sé l’elezione dei vescovi. Dopo aver deposto Giovanni XII, Ottone I si era fatto assegnare il Privilegium Othonianum, ossia il diritto di scegliere il nuovo pontefice tra una terna di candidati che gli veniva sottoposta dal clero e dalla nobiltà di Roma. Per quasi un secolo i papi risultarono persone degne rispetto ai deboli predecessori nominati dall’aristocrazia romana. Il culmine del sistema ottoniano si ebbe durante il regno di Enrico II dal 1002 al 1024.


Enrico II Enrico II dovette superare l’opposizione di alcuni concorrenti, ma dopo qualche mese fu riconosciuto da tutti i principali feudatari. Enrico II era stato educato nel monastero di Hildesheim e quindi appariva colto per i suoi tempi. Era stato fedele al cugino Ottone III e l’aveva accompagnato due volte in Italia. Fu un imperatore pio, munifico nel dotare le istituzioni religiose. A differenza di Ottone III, non si fece allettare dal sole d’Italia, preferendo la Germania. Aveva una chiara visione dei suoi doveri e diritti di sovrano posto a difesa dei deboli contro i violenti, difensore della Chiesa e sostegno della sua funzione spirituale, ma di una Chiesa posta all’interno della propria concezione dell’impero.


Disordine feudale Le lotte intestine tra feudatari e le contese con i vescovi, titolari di grandi patrimoni la cui usurpazione appariva allettante, erano frequenti nell’impero. Gli ecclesiastici di ogni ordine e grado rivelavano spesso cupidigia e disprezzo dei doveri ecclesiastici, in particolare il celibato. Il regno di Enrico II fu dominato dalla preoccupazione di metter ordine nella Chiesa tedesca, tanto che Enrico II va posto tra i maggiori riformatori della Chiesa occidentale perché era convinto che dall’ordine e dallo zelo religioso sarebbe derivato un netto miglioramento politico e civile.


Arduino di Ivrea In Italia, la Lombardia si trovava in una situazione di anarchia. Il marchese Arduino di Ivrea guidava una tenace rivolta contro l’autorità imperiale e contro i vescovi titolari di grandi proprietà, sollecitando il risentimento e le aspirazioni della piccola nobiltà. La rivolta di Arduino di Ivrea aveva dunque carattere sociale e anche un aspetto nazionalistico, di ribellione a un potere lontano dalle realtà locali.


La Boemia Poco dopo anche la Boemia si staccò dall’impero, seguita dal ducato di Polonia, dove ora regnava Boleslao Chrobry al posto del padre Mieszko. Boleslao occupò la Lusazia oltre l’Elba, iniziando un lungo conflitto con l’impero.


Enrico II in Italia Enrico II decise di scendere personalmente in Italia per affrontare Arduino di Ivrea. Costui fu abbandonato dai suoi alleati passati al servizio dell’imperatore. Nel maggio 1004 Enrico II venne incoronato re d’Italia a Pavia. Nel pomeriggio del giorno dell’incoronazione ci fu una zuffa tra tedeschi e italiani conclusa col tragico incendio di gran parte di Pavia e con un massacro di cittadini. La sorte toccata a Pavia terrorizzò l’Italia settentrionale e perciò il compito di Enrico II risultò più facile. Nonostante la sottomissione della Lombardia, il resto d’Italia non fu sistemato perché l’imperatore dovette tornare in Germania permettendo ad Arduino di continuare la resistenza. Enrico II doveva scacciare Boleslao Chrobry dalla Boemia e perciò concentrò a Merseburgo le sue forze. La resistenza di Boleslao fu tenace, ma alla fine dovette cedere l’alta Lusazia e la città di Bautzen (1005). Anche in questo caso Enrico II non portò a termine il progetto di riconquista del territorio posto tra l’Elba e l’Oder, già appartenuto a Ottone I, per accorrere nella Frisia in ribellione e saccheggiata dai Vichinghi.


Politica ecclesiastica di Enrico II Nel 1007 l’imperatore fondò la diocesi di Bamberga dove fece erigere la cattedrale. La fondazione della diocesi di Bamberga rivela la politica religiosa di Enrico II. Infatti, l’indipendenza pressoché assoluta dei conti rendeva il potere politico centrale debole a causa dell’ereditarietà dei feudi maggiori. La soluzione che si offriva agli imperatori sassoni era di nominare i vescovi a capo di grandi proprietà terriere concesse dalla corona: costoro non potevano avere discendenti legittimi e perciò, alla loro morte, il feudo tornava al sovrano. La presenza del vescovo-conte all’interno di un feudo creava un dualismo di poteri divisi, e a volte contrapposti, tra il vescovo-conte e il feudatario maggiore la cui indipendenza era minacciata da un potere minore del suo, ma in collegamento più stretto con il potere centrale. Il vescovo-conte, inoltre, proprio per i doveri connessi alla carica spirituale, doveva basarsi su un codice morale più elevato di quello dei feudatari laici, e doveva provvedere con più sollecitudine al benessere spirituale e materiale dei sudditi. Il sistema dei vescovi-conti aveva due vantaggi per l’imperatore: il primo era di disporre di funzionari più subordinati e meno rozzi; il secondo era che, in caso di bisogno, il vescovo-conte accorreva in aiuto dell’imperatore non solo con le risorse delle terre ricevute in feudo, ma anche con le risorse della diocesi di cui era titolare, confondendo così i due patrimoni. Il sistema funzionò finché l’imperatore rimase elettore anche del papa, superiore diretto in linea gerarchica dei vescovi, ma era in corso la riforma della Chiesa promossa dai cluniacensi che auspicavano l’elezione del papa da parte dei soli ecclesistici senza interferenze del potere politico.


Lotta per la giustizia Enrico II si rese conto degli abusi resi possibili dal sistema feudale anche in campo giudiziario e sapeva che là dove il potere imperiale era meno presente avvenivano le peggiori violazioni della giustizia: si impegnò in continui viaggi per controllare di persona il rispetto della legge, e convocò diete nel corso delle quali cercava di combattere i soprusi dei feudatari, ma un reale mutamento dipendeva troppo dalla buona volontà dei vassalli, cosa difficile da ottenere se la corona non aumentava i suoi poteri.


Difficoltà finanziarie Inoltre, anche le entrate della corona erano in diminuzione. Enrico II non disponeva di un grande patrimonio come quello fornito dalle villae imperiali al tempo di Carlo Magno: il patrimonio dei vescovati e delle grandi abbazie fu chiamato ad assolvere a queste funzioni e perciò egli ricorse a continue interferenze nelle questioni ecclesiastiche avocando a sé la nomina dei vescovi e degli abati per conseguire il duplice risultato di rafforzare la corona e di riformare la Chiesa. Bisogna aggiungere che i vescovi tedeschi avevano dimostrato, fino a quel momento, scarso senso dell’unità ecclesiastica e non si curavano tanto dell’indipendenza spirituale della Chiesa, quanto del potere temporale e della dignità della propria sede. La trasformazione dei vescovi in principi territoriali contribuì a rafforzare la corona, ma a sua volta l’alleanza tra imperatore e vescovi favorì la conservazione del patrimonio ecclesiastico dagli attacchi dei feudatari.


Inconvenienti del sistema dei vescovi-conti Il risvolto negativo del sistema ecclesiastico ottoniano fu una notevole secolarizzazione del clero, distolto dagli studi teologici e dall’attività missionaria per volgersi a compiti amministrativi e politici. L’insuccesso dei missionari tedeschi in Russia e nei paesi slavi è indice della scarsa vitalità propriamente religiosa del clero tedesco dell’epoca. Anche di questo si rese conto Enrico II quando decise di fondare la diocesi di Bamberga dotandola riccamente di terre della corona, di numerosi privilegi, di biblioteca, di scuole, stabilendo che l’attività missionaria dei suoi prelati fosse rivolta alla conversione dei Vendi.


Nuova discesa in Italia di Enrico II Rafforzata la sua autorità in Germania, Enrico II discese nuovamente in Italia per regolare i suoi rapporti con Roma dove, dopo la morte di Silvestro II (1003), Giovanni Crescenzio aveva nominato tre papi in successione. Nel 1012 Giovanni Crescenzio era morto: poco dopo morì anche il papa Sergio IV facendo divampare la contesa tra le casate dei Crescenzi e dei Tuscolo, ciascuna delle quali proponeva un proprio candidato al papato. Prevalsero i Tuscolo portando al papato Benedetto VIII. Il candidato sconfitto, di nome Gregorio, si appellò a Enrico II chiedendo il suo intervento a Roma. Nel 1013 Enrico II giunse a Pavia dove l’irriducibile Arduino tentò di ribadire i suoi diritti alla corona d’Italia: Arduino rimase isolato e i suoi progetti caddero. A Pavia Enrico II si incontrò con l’abate di Cluny, Odilone, e di Farfa, Ugo, che gli resero omaggio: i grandi monasteri sostenevano l’imperatore. Enrico II giunse a Roma nel 1014, dopo aver emanato alcuni decreti con i quali faceva obbligo ai vescovi di rendere conto dell’alienazione di terre loro affidate. A Roma l’imperatore fu bene accolto dalla popolazione: davanti a San Pietro lo attendeva Benedetto VIII. Enrico II e la moglie Cunegonda furono incoronati imperatori. Un tumulto consigliò di non prolungare un soggiorno pericoloso.


Difficoltà in Boemia e in Borgogna Tornato in Germania Enrico II dovette occuparsi di Boleslao di Boemia e della situazione in Borgogna. Boleslao fece atto di sottomissione ma tenne le contee sulle quali aveva messo le mani. Anche in Borgogna Enrico II cercò un compromesso politico in luogo di usare la forza. Il resto della Germania era più tranquillo. Nel 1020 il papa Benedetto VIII, che quattro anni prima era riuscito a riunire una coalizione comprendente pisani e genovesi ai danni dei Saraceni di Sardegna, scacciati dall’isola, giunse a Bamberga: il papa confermò gli atti del sovrano a favore della diocesi tedesca. Nel 1024 Enrico II morì: la dinastia di Sassonia nella linea diretta si estinse. Il successore fu Corrado II il Salico incoronato re di Germania a Magonza nel 1024.



11. 2 La riforma della Chiesa



Durante il regno di Corrado II la causa della riforma della Chiesa subì una battuta d’arresto perché l’imperatore aveva di mira il rafforzamento della dinastia più che lo sradicamento degli abusi presenti nella Chiesa.


Il regno di Polonia Le maggiori preoccupazioni per Corrado II venivano dalla frontiera orientale dove Boleslao Chrobry, con la pace di Bautzen, aveva ottenuto i maggiori vantaggi a spese dell’impero (1018). Alla morte di Enrico II, Boleslao si era proclamato re di Polonia. Nel 1025 Boleslao morì e il figlio minore Mieszko aveva cacciato il fratello maggiore Ottone Bezprim, appropriandosi del regno polacco. Subito aveva condotto una serie di aggressioni ai danni dei vicini saccheggiando le regioni orientali della Germania. La guerra in Polonia fu ripresa mediante alleanza dell’impero con Ottone Bezprim che si era assicurato anche l’aiuto di Jaroslav principe di Kiev, minacciando l’usurpatore Miezsco su due fronti: Ottone Bezprim dapprima ebbe successo, ma poi fu ucciso dai suoi sudditi che mal sopportavano la sua folle crudeltà. Miezsco tornò dall’esilio, ma anch’egli perì e la Polonia cadde nell’anarchia (1034).


Rapporti dell’impero con Danimarca e Inghilterra Corrado II comprese l’importanza della diplomazia evitando di entrare in contrasto con Canuto, re d’Inghilterra e di Danimarca, stringendo patti matrimoniali tra i loro figli e lasciando lo Schleswig alla Danimarca. Canuto chiese missionari perché si rendeva conto che il cristianesimo era l’unico mezzo per rafforzare la sua monarchia del nord. Canuto morì nel 1035 prima che l’opera missionaria avesse avuto successo e il suo regno si sgretolò.


Corrado II in Italia Il terzo settore d’intervento di Corrado II fu l’Italia che alla morte di Enrico II stava per andare perduta. Solo i vescovi guidati da Ariberto d’Intimiano, arcivescovo di Milano, riuscirono ad arrestare l’insurrezione. Ariberto assicurò a Corrado II una calorosa accoglienza in Italia. La spedizione nella penisola per l’incoronazione a re d’Italia avvenne nel 1026: la cerimonia ebbe luogo in Sant’Ambrogio di Milano, perché Pavia era ancora in rivolta e fu punita con la devastazione del territorio. Nel 1027 Corrado II e la moglie furono incoronati in San Pietro dal papa Giovanni XIX.


Seconda calata in Italia La potenza conseguita da Ariberto indusse l’imperatore a scendere una seconda volta in Italia. La spedizione si rese necessaria a causa del conflitto insorto tra i grandi feudatari, i capitanei, e i piccoli feudatari, i valvassores: i capitanei si ostinavano a negare l’ereditarietà dei feudi minori. Poiché i grandi feudatari avevano case nelle città in cui passavano la maggior parte dell’anno, il conflitto si estese anche all’interno delle mura cittadine.


Milano in subbuglio A Milano un valvassore fu privato del suo feudo da Ariberto: la categoria dei cavalieri si strinse intorno al collega attaccando i capitanei aiutati dall’elemento borghese della città. I cavalieri vinsero la battaglia di Campomalo presso Lodi e poi chiesero la mediazione di Corrado II (1036). All’inizio del 1037 Corrado II giunse a Milano, ma i milanesi insorsero a difesa dell’arcivescovo e Corrado II fu costretto a spostare la dieta imperiale a Pavia. Ariberto fu imprigionato riuscendo a fuggire travestito da monaco, e giunse a Milano. L’assedio di Milano non ebbe successo, tuttavia l’imperatore pubblicò uno dei più importanti atti costituzionali del suo regno, il Constitutum de feudis: “Nessun vassallo di vescovo, abate, badessa, marchese o conte e di chiunque altro che possegga un feudo imperiale…potrà venir privato del beneficio senza colpa provata mediante processo davanti a una corte di pari, secondo la costituzione dei nostri antenati”. Il Constitutum de feudis era diretto chiaramente contro Ariberto e i feudatari maggiori che vedevano così minata la loro base di potenza. Il papa Giovanni XIX, fratello di Benedetto VIII, era stato assai debole e non aveva fatto nulla per difendere le sue prerogative. Il successore Benedetto IX era suo nipote ed era ancora un ragazzo. Corrado II perciò, ritenne di poter assumere impunemente una posizione drastica nei confronti di Ariberto, deponendolo dalla carica. Nel 1038 Corrado II si incontrò col papa Benedetto IX che fu costretto a sottoscrivere la scomunica contro Ariberto. Corrado II giunse fin nell’Italia meridionale: ritenne prudente non affrontare i Normanni che fin dal 1030 avevano ottenuto la contea di Aversa dal duca di Salerno in cambio del servizio militare. Nel viaggio di ritorno Corrado II si ammalò e nel 1039 morì a Utrecht senza aver risolto la questione di Milano.


Posto tra il regno di un santo, Enrico II e quello di Enrico III, il regno di Corrado II appare opaco per la causa della riforma della Chiesa: certamente in occasione delle elezioni episcopali il re si fece pagare notevoli somme di denaro e non fece alcuno sforzo per scegliere prelati degni. Avendo bisogno di notevoli risorse finanziarie, ritenne che l’unico modo di far denaro fosse la vendita delle dignità ecclesiastiche, un sistema che in Germania rendeva bene.


Enrico III Salì al trono Enrico III, il più grande imperatore della casa di Franconia. Nel 1036 egli aveva sposato Cunilde (Cunegonda) figlia di Canuto re di Danimarca: in forza di tale parentela l’impero ebbe pace lungo i confini settentrionali, in cambio dello Schleswig. La situazione dell’impero appariva rafforzata: l’Italia fino a Roma sembrava avviata all’unione stabile con l’impero; la Borgogna per il momento era saldamente in mano all’imperatore; a est la Polonia era in preda all’anarchia e quindi incapace di nuocere, mentre la Boemia era in guerra. Enrico III sposò in seconde nozze Agnese del Poitou e poi si dedicò a un’intensa attività amministrativa visitando tutto il suo ampio regno. A Ulm Enrico III ricevette Ariberto arcivescovo di Milano con cui si riconciliò. La riforma della Chiesa stava molto a cuore all’imperatore che nel 1040 nominò Suidgero alla sede vescovile di Bamberga, ossia colui che sarà il futuro papa Clemente II, iniziatore della riforma della Chiesa. Nel 1041 Enrico III decise una nuova spedizione in Boemia ottenendo finalmente la sottomissione del duca Bretislao. Nel 1042, dopo la sollevazione dell’Ungheria, nuovo trionfo di Enrico III che recuperò all’impero i dintorni di Vienna.


Lotta contro le guerre private Dopo le guerre ai confini orientali, il maggior obiettivo di Enrico III fu l’abolizione delle guerre private e l’estensione delle “indulgenze”, un perdono delle discordie rimaste aperte da comporre sul piano del diritto. Tali “indulgenze” hanno qualche analogia con la Tregua Dei predicata in Aquitania e in Borgogna negli stessi anni dai monaci cluniacensi, in forza della quale era proibita la guerra in quaresima, in avvento e in ogni settimana dal mercoledì sera alla domenica sera. Ma mentre la Tregua Dei era d’origine ecclesiastica, l'”indulgenza” era un consiglio del sovrano ai suoi sudditi in lite e se non era rispettata essi si vedevano privati del favore del re. Nel 1046 Enrico III tenne una dieta a Merseburgo. In quell’occasione fu deciso il viaggio in Italia importante per la causa della riforma.


Enrico III in Italia A Milano, dopo la morte di Ariberto, l’imperatore disattese le indicazioni del Capitolo della cattedrale che gli aveva raccomandato Anselmo da Baggio, ed elesse Guido da Velate esponente della vecchia feudalità rurale. Ma in Milano era vivo e operante il movimento della Pataria, reso impetuoso dalla predicazione di Arialdo che promosse, col sostegno del papato, un vero e proprio boicottaggio dei preti simoniaci e concubinari: tale atteggiamento alla fine rese insostenibile la resistenza di Guido da Velate, in particolare dopo l’elezione a papa, col nome di Alessandro II, proprio di Anselmo da Baggio, la prima guida della Pataria.


La riforma della Chiesa Il successo della riforma di Cluny aveva indicato la via da percorrere perché la Chiesa potesse liberarsi dalla sottomissione al potere feudale. La riforma passava attraverso le tappe obbligate della lotta contro la simonia e il concubinato dei preti. Per simonia si intende l’acquisto o la vendita di uffici ecclesiastici o di prestazioni sacerdotali. Si è visto come al tempo degli Ottoni il sistema dei vescovi-conti fosse divenuto il perno dell’amministrazione imperiale, ma occorre ricordare che per acquisire quei beni il modo era simoniaco. Finché l’impero fu forte e il papato debole non si poteva mutare un sistema che gli interessati giudicavano vantaggioso. Anche il problema del concubinato dei preti era spinoso. Il grande sviluppo del monachesimo di Cluny riuscì a far trionfare la necessità del celibato sacerdotale, perché solo chi riusciva a far trionfare lo spirito sulla carne era in grado di dedicare le sue forze all’opera di evangelizzazione.


Sviluppo dei comuni liberi Qualcosa del genere accadeva per le città che si stavano ripopolando e aspiravano alla libertà dal sistema feudale, riscattando il diritto di autogoverno mediante versamenti di denaro: le numerose città che in Europa si chiamano Castelfranco, Francavilla, Francoforte ecc. stanno a dimostrare quanto vasto fosse il movimento di emancipazione e quanto i comuni dovessero sentirsi solidali con la Chiesa che mirava allo stesso risultato.


Dopo il 1046 i successi politici di Enrico III cominciarono a declinare. Nel 1050 nacque il sospirato erede al quale fu posto il nome di Enrico IV. L’Ungheria si ribellò e fu necessario inviare un esercito che si dedicò a sistematiche distruzioni; anche in Baviera il duca finì per divenire nemico di Enrico III. Un successo, invece, fu la pacificazione del nord dove Svend di Danimarca accettò il primato religioso del vescovo di Brema-Amburgo anche sui suoi domini. Nel 1056 Enrico III morì. Con la sua opera aveva permesso la riforma della Chiesa con la quale, invece, si scontrò il figlio Enrico IV.



11. 3 Enrico IV e Gregorio VII



La reggenza dell’imperatrice Agnese durante la minore età di Enrico IV fu l’occasione difficilmente ripetibile per condurre in porto la riforma della Chiesa che era in primo luogo uno sganciamento dal sistema imperiale.


Lo scisma della Chiesa orientale La nuova vitalità presente nella Chiesa occidentale si scontrò con la Chiesa bizantina. L’occasione venne fornita dal rifiuto dell’impero bizantino di partecipare a una specie di crociata lanciata contro i Normanni dell’Italia meridionale dal papa Leone IX, nel corso della quale le truppe che combattevano per la Chiesa furono sconfitte. Tre legati di Leone IX – Umberto da Silva Candida, Federico di Lorena e Pietro vescovo di Amalfi – tentarono di ricucire i rapporti con l’Oriente. A Costantinopoli il patriarca Michele Cerulario provava avversione verso ciò che provenisse dall’Occidente e i negoziati arrivarono a un punto morto. Nel 1054 i tre legati pontifici, andando oltre le istruzioni ricevute, deposero sull’altare della basilica dei Dodici Apostoli la scomunica contro Michele Cerulario cui fu risposto con analoga scomunica contro il papa di Roma, un evento allora ritenuto di scarsa importanza, ma che sanciva la divisione tra le due parti della cristianità.


Leone IX Leone IX lasciò Benevento nel marzo 1054 dopo aver stabilito le premesse di nuovi rapporti con i Normanni. Il suo breve pontificato segnò una tappa importante per le sorti della riforma: i vescovi furono indotti a sentirsi più legati a Roma; Inghilterra e Ungheria furono legate direttamente alla Santa Sede; il concetto che si doveva avere delle funzioni di vescovo e di papa fu rafforzato da un esempio divenuto irresistibile fornito dal papa stesso. Importanza decisiva assunse l’istituzione del collegio dei cardinali – i titolari delle diocesi suburbicarie di Roma, delle parrocchie e diaconie – trasformati in collegio elettorale del pontefice. Fu sviluppata anche la cancelleria papale, modellata su quella imperiale. Leone IX aveva svolto la sua opera in collaborazione con l’imperatore: i suoi successori mirarono alla completa indipendenza.


Vittore II Il successore di Leone IX, insediato in Roma nel 1055 col nome di Vittore II, morì nel 1057 in un momento delicato per l’impero e per la Chiesa. Il successore fu il cardinale Federico di Lorena, che assunse il nome di Stefano X, ma anch’egli morì nel 1058: nel corso del suo breve pontificato si era circondato di sostenitori della riforma della Chiesa come Pier Damiani, eletto cardinale vescovo di Ostia, protagonista di difficili ambascerie in Europa, venerato già in vita come santo, o come il monaco Ildebrando di Soana, il futuro Gregorio VII.


La nobiltà di Roma I nobili di Roma tentarono un colpo di mano facendo eleggere papa il vescovo di Velletri che scelse il nome di Benedetto X, al fine di bloccare una riforma che stava divenendo scomoda per i loro interessi. I cardinali della riforma – Pier Damiani, Umberto da Silva Candida, Ildebrnado di Soana – non si trovavano a Roma e perciò si affrettarono a riunirsi in Toscana, eleggendo Gerardo, arcivescovo di Firenze, che assunse il nome di Nicolò II. I sostenitori romani della riforma aprirono le porte della città al papa legittimo.


Successo della riforma ecclesiastica Nicolò II (1058-1061) completò l’opera di riforma emanando un decreto circa l’elezione dei papi: i cardinali dovevano sovrintendere l’elezione dei futuri pontefici per evitare tentativi di simonia. Nicolò II emanò anche un decreto sul celibato, proibendo ai fedeli di assistere alla Messa di concubinari notori. Nicolò II morì nel 1061 nei pressi di Firenze: il successivo scontro tra i riformatori e i loro avversari mise alla prova il decreto per l’elezione papale.


La diocesi di Milano Le maggiori resistenze venivano dalla diocesi di Milano, ampia, ricca, dotata di tradizioni proprie e perfino di un rito liturgico peculiare. L’arcivescovo Guido da Velate non era persona adatta a reggere l’arcidiocesi chiave d’Italia nella quale si era affermata la più sfacciata mondanità. Si è accennato al diacono Arialdo che nelle campagne intorno a Milano aveva guidato una vigorosa protesta contro il clero simoniaco e concubinario (1056). In città Arialdo aveva tirato dalla sua parte i fratelli Landolfo ed Erlembaldo Cotta, due trascinatori di folle. Il movimento assunse una dimensione sociale perché veniva attaccato soprattutto l’alto clero espresso dalla nobiltà, mentre il popolo minuto era guadagnato alla causa dei riformatori. Ben presto i riformatori arrivarono a boicottare le chiese dei preti indegni che si rivolsero all’arcivescovo, il quale a sua volta si rivolse al papa: ma così facendo ammetteva implicitamente la dipendenza dal papa, un evento di non secondaria importanza per la sede di Milano. Il papa, probabilmente Vittore II, consigliò la convocazione di un sinodo provinciale, tenuto a Fontaneto presso Novara nel 1057. Arialdo e Landolfo non vi parteciparono e perciò furono scomunicati. Stefano X tolse la scomunica e perciò Guido da Velate si trovò in una posizione insostenibile decidendo di rivolgersi a Enrico IV. Arialdo, invece, si recò a Roma per cercare l’appoggio del papa, che inviò a Milano, come suoi legati, Pier Damiani e Anselmo da Baggio. Pier Damiani consigliò la convocazione di un nuovo sinodo che, fatto singolare, fu presieduto da lui stesso, in luogo dell’arcivescovo di Milano. Pier Damiani richiamò Milano all’obbedienza ottenendo un successo insperato perché vescovo e clero giurarono obbedienza al papa. Gli ecclesiastici confessarono la simonia, da Guido fino all’ultimo dei chierici. Per non lasciare la diocesi senza clero, Pier Damiani non depose i colpevoli, bensì si accontentò della promessa che avrebbero rinunciato alla simonia e osservato il celibato ecclesiastico.


Papa e antipapa L’improvvisa morte di Nicolò II, nel 1061, dette luogo a un’elezione contestata. I vescovi lombardi volevano un papa più indulgente verso le debolezze umane, e perciò elessero Cadalo vescovo di Parma che scelse il nome di Onorio II, mentre i cardinali elessero Anselmo da Baggio, già capo della Pataria milanese, divenuto vescovo di Lucca, e ora papa col nome di Alessandro II. Godendo buona accoglienza presso la corte imperiale, Alessandro II riuscì a farsi insediare in Roma. Anche Cadalo si avviò verso Roma. Alessandro II e Ildebrando ebbero la peggio, e perciò l’antipapa Cadalo poté entrare nell’urbe: i due contendenti dovettero sottoporre all’imperatore la loro questione. Pier Damiani scese in campo scrivendo lettere e trattati a favore di Alessandro II. Un sinodo celebrato ad Augusta si pronunciò per il papa legittimo, e perciò Cadalo dovette ritirarsi a Parma.


Contrasti a Milano A Milano la situazione precipitò. Landolfo Cotta fu gravemente ferito mentre era in viaggio per Roma: la guida della pataria fu assunta da Erlembaldo Cotta che passò il segno quando arrivò a ordinare l’assedio dei preti simoniaci e concubinari nelle loro chiese. Il vescovo Guido reagì scomunicando i partigiani di Arialdo, il quale dovette fuggire da Milano. Fu ucciso. Il corpo di Arialdo, mutilato, fu gettato nel lago Maggiore, ma dopo dieci mesi fu trovato incorrotto, portato a Milano ed esposto alla venerazione dei fedeli che lo proclamarono santo, facendo a Guido più danno da morto che da vivo. Furono inviati a Milano legati papali per comporre i dissidi. Guido morì nel 1071 lasciando la città in tumulto.


Nel 1073 anche Alessandro II morì dopo un pontificato certamente rigoroso, ma anche segnato da contrasti che annunciavano uno scontro ancora maggiore quando Enrico IV si fosse reso conto di ciò che era in gioco.



11. 4 La prima fase della lotta per le investiture



La morte del papa Alessandro II era avvenuta in un momento critico, ma non si nutrivano dubbi su chi doveva essere il nuovo papa. Il popolo di Roma durante i funerali del papa defunto gli elesse come successore Ildebrando di Soana che scelse il nome di Gregorio VII.


Gregorio VII Il nuovo papa non aveva l’appoggio dell’imperatore e neppure della nobiltà di Roma, ma i cardinali si affrettarono a ratificare l’elezione popolare. La carriera di Ildebrando, nato a Soana in Toscana, era cominciata a Roma dove aveva studiato. Ancor giovane era stato al seguito di Gregorio VI, papa simoniaco ma anche deciso a riformare il papato. Era andato con lui in esilio in Germania. Nel 1049, il nuovo papa Leone IX aveva condotto con sé a Roma il giovane monaco che da allora si votò alla causa della riforma. Da Leone IX Ildebrando aveva ricevuto l’incarico di riformare il monastero di San Paolo fuori le mura; poi fu inviato in Francia per combattere l’eresia di Berengario di Tours. In seguito ricevette l’incarico di recarsi a Milano con Anselmo da Baggio per dirimere la controversia della pataria e infine si recò in Germania per ottenere l’assenso imperiale all’elezione di Stefano X. Il papa Nicolò II lo incaricò delle trattative con i Normanni dell’Italia meridionale, poi divenne il principale consigliere di Alessandro II. Da papa, Gregorio VII volle agire con più fermezza, ma nel frattempo era divenuto adulto Enrico IV, il suo avversario ben deciso a far valere l’autorità imperiale.


La riforma si delinea Gregorio VII era completamente conquistato dalla giustezza della causa e perciò assumeva atteggiamenti profetici, comprendendo poco l’aspetto meramente politico della grande controversia. Affrontò la questione dei rapporti tra Stato e Chiesa partendo dalla posizione di papa Gelasio secondo cui ci sono due poteri, rappresentati da papa e imperatore, autonomi nel loro ambito. Riteneva il papa capo supremo della Chiesa: perciò vescovi e abati dovevano obbedienza al papa. Egli riconosceva anche all’imperatore l’origine divina del suo potere: entrambi i poteri avevano un fine spirituale, ossia condurre alla salvezza l’uomo che è unione di anima e corpo. Quando i Sassoni si ribellarono all’imperatore nel 1073, il papa non mostrò nei loro confronti alcuna indulgenza, e nel 1075 si congratulò con Enrico IV per la vittoria sui ribelli. Era convinto, tuttavia, che l’investitura laica dei vescovi fosse un abuso da sradicare. Nel 1075, quando Gregorio VII pubblicò il decreto contro l’investitura laica dei vescovi, il papa usò un linguaggio cauto per non offendere l’imperatore.


I superiori diritti del papa Il tema principale degli interventi di Gregorio VII è la necessità di riaffermare la iustitia che si può tradurre con “rettitudine”: l’obbedienza a Dio è iustitia e perciò anche l’imperatore deve obbedienza al papa perché anch’egli è un fedele della Chiesa e deve comparire davanti al giudizio di Dio. Quando l’imperatore si ribellò al papa divenne indegno di ricoprire la sua carica, e come aveva fatto il profeta Samuele nei confronti di Saul, il papa doveva scegliere un altro imperatore: come si vede si tratta di convinzioni che non permettono trattative diplomatiche. Quando divenne papa, Gregorio VII si scontrò con l’ostilità dell’alto clero tedesco, e perciò la sua prima cura fu la riconciliazione con l’imperatore, ricorrendo ai principali consiglieri di Enrico IV. Nel 1074 Gregorio VII ribadì i decreti dei predecessori contro gli abusi ecclesiastici e chiese che un sinodo tedesco li promulgasse anche in Germania. Enrico IV rifiutò, dicendo di essere impossibilitato a convocare il sinodo. Gregorio VII si rivolse direttamente ai fedeli tedeschi chiedendo il loro aiuto per far rispettare i decreti ostili agli ecclesiastici indegni. Nel 1075 si tenne a Roma un sinodo che sospese dalle loro funzioni molti prelati tedeschi che rifiutavano i decreti contro la simonia e il concubinato ecclesiastico.


Decreto contro le chiese private Nel sinodo del 1075 Gregorio VII attaccò anche la pratica del patronato laico sulle chiese, ossia che un laico possedesse edifici di culto chiamando a celebrarvi il culto chi più gli piacesse. Finché gli imperatori e i grandi feudatari avevano avuto a cuore la riforma e si erano avvalsi di questa facoltà come un mezzo per riformare il clero, i papi avevano tollerato quell’abuso di potere, ma ora che l’imperatore era ostile al papa riformatore, si avvaleva di quel privilegio per assegnare le cariche ecclesiastiche agli oppositori del papa e quindi della riforma della Chiesa. Gregorio VII fu il primo papa a legiferare contro l’investitura laica, anche se per il momento si limitò a sottoporre a Enrico IV il testo del decreto cercando la collaborazione con l’imperatore.


Difficoltà della riforma La situazione a Milano rimaneva difficile: Erlembaldo Cotta fu ucciso e il clero chiese a Enrico IV di nominare il nuovo arcivescovo. Enrico IV, forte della vittoria sui ribelli sassoni, fece consacrare vescovo di Milano Tedaldo: tale nomina aprì gli occhi a Gregorio VII circa le reali intenzioni di Enrico IV e perciò reagì duramente: accusò l’imperatore di aver ascoltato consiglieri scomunicati e di aver nominato alcuni vescovi in aperta sfida ai diritti del papa: in caso di mancata sottomissione il papa l’avrebbe scomunicato. L’ambasceria del papa raggiunse Enrico IV nel gennaio 1076, proprio quando l’imperatore riteneva di tenere la situazione politica in pugno.


L’imperatore inizia il conflitto Per prima cosa Enrico IV convocò a Worms i vescovi tedeschi, i quali rifiutarono obbedienza al papa compilando una lettera di diffamazione con l’accusa di adulterio, spergiuro e di trattare l’episcopato in modo tirannico. L’imperatore aggiunse di suo al papa l’ordine di dimettersi: a Rolando vescovo di Parma fu ordinato di consegnare a Gregorio VII la sentenza di deposizione. Quando l’ambasceria giunse a Roma, i vescovi riuniti per il sinodo si schierarono dalla parte del papa. Il sinodo decretò la deposizione dei vescovi firmatari del documento avverso al papa, concedendo un termine per dissociarsi a chi fosse stato costretto dalla violenza a firmare il documento. L’imperatore fu dichiarato deposto e i sudditi sciolti dal giuramento di fedeltà.


Lo scontro era frontale, ma le ragioni del papa sembravano più fondate. I feudatari tedeschi intravidero la possibilità di recuperare parte del potere che Enrico IV aveva loro tolto. Enrico IV inviò lettere di convocazione ai vescovi e ai feudatari ma esse furono ignorate. In Lombardia, al contrario, Enrico IV aveva numerosi sostenitori, ma non gli era possibile concordare un’azione comune. A Trebur i sostenitori di Gregorio VII si riunirono per scegliere il successore di Enrico IV, il quale, compresa la gravità del pericolo, si affrettò a fare atto di sottomissione al papa. L’assemblea di Trebur ordinò la convocazione per il 2 febbraio 1077 ad Augusta di un concilio alla presenza del papa, ordinando a Enrico IV di ottenere l’assoluzione entro quel giorno, pena la deposizione e l’elezione del successore.


Canossa Gregorio VII si mise in viaggio, ma la scorta militare promessa dai feudatari per garantire la sicurezza del viaggio in Germania non giunse, e perciò si fermò nel castello di Canossa, sull’Appennino tosco-emiliano, in attesa degli sviluppi della situazione. Enrico IV appariva in situazione disperata: comprese di dover ricevere il perdono papale prima della riunione del concilio di Augusta. Decise perciò di valicare le Alpi in pieno inverno con moglie e figlio. Giunto in Lombardia seppe resistere alla tentazione di mettersi a capo delle milizie lombarde a lui favorevoli per compiere un atto di forza ai danni del papa. Proseguì con piccolo seguito fino a Canossa, poi indossò l’abito dei penitenti e per tre giorni rimase nel cortile esterno del palazzo di Matilde. Fu uno spettacolo impressionante quello del più potente sovrano d’Europa in veste di supplice davanti all’esile Gregorio VII, la cui forza era solo spirituale, ma da un punto di vista politico la mossa di Enrico IV fu ineccepibile, e ora l’onere della nuova mossa toccava a Gregorio VII. C’erano due possibilità: o negare l’assoluzione e far eleggere un nuovo sovrano di Germania – la soluzione politicamente più sicura per liberarsi di un sovrano infido -, o concedere l’assoluzione a Enrico IV, adottando un criterio meramente religioso, pur sapendo che il sovrano avrebbe potuto mutare atteggiamento. Accanto a Gregorio VII c’era Ugo abate di Cluny e la marchesa Matilde di Toscana, che consigliavano la misericordia temendo il sovvertimento di ogni ordine costituito. Enrico IV fu accolto all’interno del castello (1077) e giurò di seguire le direttive del papa nelle questioni religiose, permettendogli il viaggio in Germania per prendere parte al concilio di Augusta.


Chi ha vinto a Canossa? Il papa inviò ai nobili tedeschi copia del giuramento di Enrico IV difendendo il proprio operato che sembrava in contraddizione con gli accordi di Trebur. Gregorio VII rimase ancora per qualche mese a Canossa, ma la scorta per recarsi in Germania non arrivò mai, e perciò egli tornò a Roma, vincitore a metà del grande scontro. Per l’altra metà il vincitore politico fu Enrico IV che aveva fatto bene i suoi calcoli. Egli aveva perso l’appoggio dei nobili e dell’alto clero lombardo, ma la posta in gioco era la Germania che lo interessava di più. Infatti, l’assoluzione di Enrico IV disorientò i suoi oppositori tedeschi che vanamente si riunirono per nominare re di Germania Rodolfo di Svevia. Gregorio VII si riservò il diritto di scegliere tra i due contendenti quello che offrisse maggiori garanzie di obbedienza ai superiori interessi della Chiesa, e inviò in Germania legati per indire il concilio che avrebbe eletto il re più degno. Dal 1077 al 1080 il papa si dimostrò neutrale, pur continuando a emanare decreti contro i preti concubinari e simoniaci e soprattutto contro l’investitura laica a uffici spirituali.


Tentativo di deposizione di Enrico IV Rodolfo di Svevia, nel sinodo del 1080, rinnovò le accuse contro il rivale, e Gregorio VII fu costretto a prendere la decisione, emanando tre decreti: il primo contro le investiture di laici; col secondo infliggeva la scomunica contro chi si ostinava a conferire uffici ecclesiastici; col terzo istituiva e rendeva obbligatoria la forma canonica di elezione dei vescovi. Il sinodo si concluse con una lettera solenne di deposizione di Enrico IV, sciogliendo i sudditi dal giuramento di fedeltà. Tuttavia, la situazione della Germania era diversa da quella esistente nel 1076, quando tutta l’opinione pubblica era dalla parte del papa. Nel 1080, invece, l’opinione pubblica era favorevole a Enrico IV, il quale reagì con maggiore ponderazione della volta precedente: proclamò deposto Gregorio VII e convocò a Bressanone un concilio per nominare il successore.


Concilio di Bressanone Molti vescovi tedeschi e dell’Italia settentrionale convennero a Bressanone: la loro scelta cadde su Guiberto, arcivescovo di Ravenna, da tempo ostile alle direttive di Roma.


Alleanza tra papato e Normanni Gregorio VII comprese che le armi spirituali si erano spuntate e che doveva cercare un alleato: i Romani gli erano fedeli e così la Toscana, ma occorreva l’aiuto dei Normanni. Roberto il Guiscardo, conte di Puglia, Calabria e Sicilia, cercava di dare vita a uno Stato centralizzato come aveva fatto Guglielmo il Conquistatore in Inghilterra. Roberto si fece pagare bene l’aiuto che, almeno a parole, era disposto a dare; ma era disposto anche a muovere guerra al papa pur di estendere il suo territorio. Nel 1080 Gregorio VII, dopo aver tolto una scomunica contro Roberto il Guiscardo, lo incontrò a Ceprano in un convegno dove fu concordato che Roberto tenesse le terre contese in qualità di vassallo della Santa Sede, in cambio di un tributo annuo. Roberto, tuttavia, in luogo di mettere il suo esercito al servizio del papa, condusse una spedizione in Grecia e solo quando scoppiò un’insurrezione sul suo territorio, tornò in Italia (1083) per affrontare Enrico IV che aveva condotto l’offensiva contro Roma. I Romani difesero Gregorio VII nel 1081 e nel 1082. L’anno seguente Enrico IV riuscì a conquistare Roma, a eccezione di Castel Sant’Angelo, in cui si era rinchiuso Gregorio VII con una piccola guarnigione. Perciò l’appoggio dei Romani era cessato e molti pensavano che si dovesse giungere al compromesso. Il tentativo di conciliazione fallì, e nel 1084 Enrico IV entrò in Roma accompagnato dall’antipapa Guiberto, posto sul trono papale col nome di Clemente III. Poco dopo l’antipapa incoronò Enrico IV che così realizzò tutti i suoi progetti. Ma Gregorio VII resisteva in Castel Sant’Angelo, mandando continui appelli a Roberto il Guiscardo che finalmente accorse. Enrico IV non aveva forze sufficienti per affrontarlo e perciò si ritirò lasciando l’antipapa a Tivoli.


Il saccheggio di Roma I Normanni si abbandonarono a un terribile saccheggio di Roma durato tre giorni e condotto con tale sistematicità da alienare la simpatia dei Romani nei confronti del responsabile del loro arrivo: il papa fu costretto a seguire il presunto liberatore, prima a Benevento e poi a Salerno. Clemente III tornò a Roma dove celebrò il Natale del 1084, mentre Gregorio VII riuniva il suo ultimo sinodo con un appello al mondo cristiano. Il 25 maggio 1085 egli morì.


L’opera di Gregorio VII Gregorio VII difese fino alla fine il suo concetto di iustitia-rettitudine, senza scendere a compromessi che avrebbero rovinato la sua opera. La grande battaglia del papa non era stata condotta contro il potere politico, bensì contro l’opposizione politica ai progetti di riforma del clero e quindi la sua fu una battaglia per la libertà della Chiesa. In Francia non ci fu scontro con le autorità politiche e i legati di Gregorio VII poterono operare la riforma degli abusi del clero secolarizzato. In Germania, invece, il re si schierò contro l’azione condotta in modo indipendente dal papa e si oppose a una riforma che aveva l’appoggio dell’opinione pubblica la quale desiderava un clero dedito a funzioni spirituali. Il vincitore apparente era Enrico IV, ma in realtà Gregorio VII aveva messo in moto energie che fecero del XII e del XIII secolo l’epoca più luminosa d’Europa.



11. 5 La rivoluzione agraria d’Europa



Non si comprende la rinnovata vitalità della società europea nel secolo XI e l’insorgere di una disputa complessa come quella delle investiture, se non si ammette che le condizioni della vita materiale fossero notevolmente migliorate, permettendo una vita più confortevole.


Si è accennato ai disboscamenti del secolo X e al movimento di colonizzazione tedesco verso i territori dell’est europeo, ma nell’Europa occidentale avveniva un processo ancora più ampio di miglioramento delle tecniche agrarie. Per ripercorrere le tappe di quel progresso tecnico occorre rivolgersi a fonti diverse da quelle scritte, perché la letteratura medievale è selettiva, ossia trascura i problemi tecnici, occupandosi solo di argomenti ritenuti elevati come la teologia, la filosofia, la poesia, la grammatica, il diritto ecc. Tuttavia, i codici medievali venivano miniati da artisti più attenti al reale di quanto facciano intendere i loro testi scritti.


L’aratro di ferro con versore Dalle miniature dei codici possiamo arguire che nella Francia settentrionale era in uso l’aratro pesante con un timone sostenuto da ruote e tirato da quattro buoi: l’aratro non ha il vomere diritto bensì concavo e quindi in grado di rovesciare la zolla. Un aratro pesante significa maggiore profondità del solco per raggiungere uno strato di terreno vergine.


Collare rigido per cavalli Sempre analizzando le miniature è possibile scoprire che a partire dal secolo XI venne applicato ai cavalli il collare rigido, formato da due bracci arcuati rivestiti di cuoio, annodati intorno al collo del cavallo e poggianti sui suoi omeri. In precedenza, i cavalli da traino tiravano il carro mediante un pettorale sostenuto da passanti sul dorso dell’animale che perciò trascinava col petto il carico: come si comprende facilmente, il carico utile trainato si dimezzava rispetto a quello che poteva trainare col nuovo collare, che scarica il peso sugli omeri, lasciando liberi i polmoni di espandersi.


Ferratura degli animali Sempre dalle miniature conosciamo che i buoi destinati al traino e i cavalli venivano ferrati, ossia l’unghia era protetta dalla consunzione con un apposito ferro, specie quando l’animale doveva percorrere terreni duri.


Mulino ad acqua Un’altra importante innovazione furono i mulini ad acqua. In Europa, la base dell’alimentazione era il pane di cereali che, come è noto, vengono macinati. La molitura col mortaio a mano o con la macina girata dalla forza umana o animale era lenta, faticosa e produceva poca farina. Col mulino ad acqua in cui la macina è girata da una grande ruota a pale azionata dalla corrente di un fiume o da una piccola cascata artificiale, permetteva di disporre di una forza motrice praticamente gratuita e soprattutto ininterrotta.


Mulino a vento Nelle regioni ventose si ricorreva anche ai mulini a vento che azionavano una macina cilindrica la quale ruotando in contrasto con un’altra macina frantumava i grani di frumento col suo peso. Il mulino è la prima applicazione di una forza non umana né animale a una macchina che permette molte altre applicazioni, come frantoio, come gualchiera per infeltrire i tessuti di lana, come martello idraulico per forgiare il ferro ecc. La ruota idraulica poteva servire come elevatore d’acqua, così come il mulino a vento divenne pompa idraulica per drenare terreni eccessivamente impregnati d’acqua.


Rotazione agraria Nell’Europa settentrionale si scoprì l’importanza della rotazione agraria triennale. Gli antichi praticavano una rotazione biennale che consiste nel coltivare un anno il grano, lasciando il terreno a pascolo naturale per l’anno successivo. Nel nord della Francia si scoprì che dopo l’anno del frumento si potevano seminare altre piante come le rape, lasciando il terreno a maggese solo nel terzo anno: si aumentava così la produzione di cibo per uomini e animali sulla stessa unità di terreno. Mediante concimazione si può ripristinare la fecondità della terra, ma il letame animale non si aveva in grandi quantità e bastava appena per gli orti che fornivano erbaggi e legumi.


Carestie Erano sconosciuti gli antiparassitari e perciò i raccolti non erano costanti: un anno su tre, in media, il raccolto si doveva considerare insufficiente, e poiché non esistevano mezzi per ammassare i cereali, quello era un anno di carestia accompagnato da fame, salita dei prezzi, tumulti. Solo le grandi aziende monastiche o i poderi signorili avevano elaborato una certa razionalizzazione della produzione agraria con scorte di cereali da impiegare nei casi di emergenza. Se gli anni di carestia si succedevano per due anni consecutivi la situazione diveniva drammatica e la cessione della terra era l’unico mezzo per sopravvivere. I contadini impoveriti divenivano braccianti sulla terra un tempo posseduta a titolo pieno, oppure si davano al vagabondaggio, all’elemosina e al furto.


Espansione delle terre coltivate La crescita della popolazione esigeva la messa a coltura di terre vergini. Dopo il disboscamento, effettuato di preferenza nei terreni di collina e di montagna, l’altra possibilità era il recupero di terreni paludosi, ossia i terreni di pianura. Qui i problemi avevano dimensioni enormi perché i fiumi non erano arginati e il loro corso era capriccioso. Occorrevano conoscenze di idraulica che solo chi era in possesso di libri dell’antichità poteva applicare. Il nuovo ordine religioso dei cistercensi dette l’esempio: i nuovi monasteri non furono costruiti in zone di collina o di mezza montagna, bensì in pianure paludose che erano bonificate. Spesso i cistercensi ricevevano in dono un vasto terreno paludoso sul quale costruivano la chiesa abbaziale e il monastero. Poi venivano scavati alcuni canali di drenaggio e si produceva foraggio per allevare bovini. Infine sopraggiungevano nuclei di contadini che prendevano in affitto una parte dei terreni bonificati, creando una parrocchia rurale unita al monastero. La lotta per le investiture suscitò vaste adesioni alla Chiesa anche perché molti ricevevano da essa aiuto e protezione in misura maggiore rispetto all’aristocrazia feudale, in grave crisi sia culturale sia economica. I mutamenti tecnici e l’accresciuta produzione agraria permisero alle città di espandersi e di ricevere maggiori quantità di cibo, estendendo alle campagne i benefici della produzione industriale delle città.


Sviluppo delle città Osservando la carta geografica d’Europa si nota la presenza di città importanti ogni circa trenta chilometri. I villaggi contadini, invece, sono più frequenti, circa ogni cinque chilometri. Il villaggio coltivava la terra e i contadini trasportavano le eccedenze al mercato più vicino, dove trovavano il modo di acquistare ciò che non producevano. Fin dal secolo X, al tempo delle incursioni dei Magiari, le antiche città cominciarono a rianimarsi, a riattare le mura e ristabilire i servizi necessari per il territorio circostante, offrendo un minimo di protezione nel caso di incursioni o di guerre. In molti casi sopravviveva l’antico sistema dei conti carolingi con gli scabini, in qualche altro era presente un vescovo-conte con la sua cancelleria, ma non furono rari nel secolo XI i casi di città libere, direttamente dipendenti dalla corona.


Aumenta la sicurezza di vita Tornata una relativa sicurezza con la fine delle incursioni, l’economia europea tornò a fondarsi sul mercato e con esso sulla circolazione monetaria, il mezzo più semplice per scambiare merci. Nel secolo XI inizia un periodo intenso di costruzioni come mura, cattedrali, palazzi signorili in città, dando lavoro a numerosi muratori, fabbri, carpentieri, trasportatori i quali si riunivano in corporazioni per difendere gli interessi di categoria e per praticare un minimo di previdenza sociale.


La società diviene più complessa Con l’accresciuta circolazione di uomini e di merci crebbe anche la richiesta di giurisperiti e di tecnici rendendo necessaria la creazione di scuole specifiche. La soluzione di numerosi problemi in qualche caso giunse dall’alto, dal potere centrale; più spesso venne dal basso, per iniziativa degli interessati. In alcune regioni la presenza di miniere o di buone vie di comunicazione o la felice collocazione geografica permetteva lo sviluppo di iniziative economiche che operavano nello stesso settore e che richiedevano la presenza di mercanti.


Le fiere Le fiere periodiche, tenute in genere una volta l’anno in occasione di determinate festività religiose, permettevano lo scambio di beni durevoli, permettendo la specializzazione in certi settori merceologici. Le fiere primaverili della Champagne o quelle autunnali dei Paesi Bassi divennero famose. L’importanza crescente delle flotte delle città marinare è in relazione con la crescita delle città e con l’espansione dei mercati che assegnano alla storia della seconda metà del medioevo un profilo dinamico e affaristico.


Sviluppo del ceto mercantile Il protagonista di questa nuova società è il mercante-imprenditore che opera guardando al futuro, considerando il passato solo come fonte di esperienza per evitare gli errori commessi in precedenza. Una società dominata da una tensione acquisitiva può diventare una società creativa, certamente è una società dinamica.



11. 6 Cronologia essenziale



1002 Morto Ottone III, sale al trono il cugino Enrico II.


1024 Muore l’imperatore Enrico II e gli succede Corrado II il Salico.


1037 Corrado II giunge a Milano: a difesa del suo arcivescovo Ariberto la città si solleva contro l’imperatore che, per fiaccare la grande nobiltà, pubblica il Constitutum de feudis.


1039 Corrado II muore a Utrecht; gli succede il figlio Enrico III.


1054 A Costantinopoli si consuma lo scisma della Chiesa bizantina per opera di Michele Cerulario.


1056 Muore l’imperatore Enrico III.


1058-1061 Papato di Nicolò II che pubblica il fondamentale documento concernente l’elezione del papa da parte dei cardinali.


1073 Muore il papa riformatore Alessandro II; è nominato papa Ildebrando di Soana (Gregorio VII).


1075 Gregorio VII ribadisce l’indipendenza della Chiesa dal potere imperiale: inizia la lotta per le investiture.


1077 Enrico IV si reca a Canossa per ottenere il perdono papale e così riprendere il potere in Germania.


1083 Enrico IV conquista Roma, dichiarando deposto Gregorio VII il quale è costretto a rifugiarsi a Salerno protetto dai Normanni.


1085 Morte di Gregorio VII.



11. 7 Il documento storico



Il documento che qui si propone risale all’anno 1075 e probabilmente era un sommario di tesi da sviluppare in un documento più vasto che avrebbe contenuto i punti qualificanti della riforma della Chiesa e del papato così come la concepiva Gregorio VII. Dal documento emerge la persuasione del papa che la sua funzione non doveva essere subordinata a quella dell’imperatore.



“1. Che la Chiesa Romana è stata fondata da Dio solo.


2. Che soltanto il Pontefice Romano è a buon diritto chiamato universale.


3. Che egli solo può deporre o ristabilire i Vescovi.


4. Che un suo messo, anche se inferiore di grado, in concilio è al di sopra di tutti i Vescovi, e può pronunciare sentenza di deposizione contro di loro.


5. Che il papa può deporre gli assenti.


6. Che non dobbiamo avere comunione o rimanere nella stessa casa con coloro che sono stati scomunicati da lui.


7. Che a lui solo è lecito promulgare nuove leggi in rapporto alle necessità del tempo, radunare nuove congregazioni, rendere abbazia una canonica e viceversa, dividere un episcopato ricco e unire quelli poveri.


8. Che lui solo può usare le insegne imperiali.


9. Che tutti i principi devono baciare i piedi soltanto al Papa.


10. Che il suo nome deve esser recitato in Chiesa.


11. Che il suo titolo è unico al mondo.


12. Che gli è lecito deporre l’imperatore.


13. Che gli è lecito, secondo la necessità, spostare i Vescovi di sede in sede.


14. Che ha il potere di ordinare un chierico da qualsiasi Chiesa, per il luogo che voglia.


15. Che colui che è stato ordinato da lui può essere a capo di un’altra Chiesa, ma non sottoposto e che da nessun Vescovo può ottenere un grado superiore.


16. Che nessun Sinodo può esser chiamato generale, se non comandato da lui.


17. Che nessun articolo o libro può esser chiamato canonico senza la sua autorizzazione.


18. Che nessuno deve revocare la sua parola e che egli solo lo può fare.


19. Che nessuno lo può giudicare.


20. Che nessuno osi condannare chi si appella alla Santa Sede.


21. Che le cause di maggiore importanza, di qualsiasi Chiesa, debbono essere rimesse al suo giudizio.


22. Che la Chiesa Romana non errò e non errerà mai e ciò secondo la testimonianza delle Sacre Scritture.


23. Che il Pontefice Romano, se ordinato dopo elezione canonica, è indubitabilmente santificato dai meriti del beato Pietro; ce lo testimonia sant’Ennodio, vescovo di Pavia, col consenso di molti Santi Padri, come è scritto nei decreti del beato Simmaco papa.


24. Che ai subordinati è lecito fare accuse dietro suo ordine e permesso.


25. Che può deporre e ristabilire i Vescovi anche senza riunione sinodale.


26. Che non dev’essere considerato cattolico chi non è d’accordo con la Chiesa Romana.


27. Che il pontefice può sciogliere i sudditi dalla fedeltà verso gli iniqui.”



Fonte: Chiesa e Stato attraverso i secoli, a cura di S. Z. EHLER -J.B. MORRAL, Vita e Pensiero, Milano 1958, pp. 57-58.



11. 8 In biblioteca



Per comprendere la storia agraria europea è fondamentale di B.H. SLICHER VAN BATH, Storia agraria dell’Europa occidentale (500-1850), Einaudi, Torino 1972. Molto utile anche di G. DUBY, L’economia rurale nell’Europa medievale, Laterza, Bari 1976. Sempre prezioso risulta di H. PIRENNE, Storia economica e sociale del Medioevo, Garzanti, Milano 1967. Giustamente famosa la raccolta di saggi di M. BLOCH, Lavoro e tecnica nel Medioevo, Laterza, Bari 1974. Per la storia delle città italiane, si raccomanda di Y. RENOUARD, Le città italiane dal X al XIV secolo, 2 voll., Rizzoli, Milano 1975 e di H. PIRENNE, Le città del Medioevo, Laterza,