Lo sviluppo degli Stati nazionali


Prof. A. Torresani. 19. 1 La penisola iberica fino al secolo XIII; 19. 2 La Germania sotto i primi imperatori d’Absburgo; 19. 3 L’evoluzione della monarchia inglese; 19. 4 La Francia di Filippo IV il Bello; 19. 5 Cronologia essenziale; 19. 6 Il documento storico; 19. 7 In biblioteca


Cap. 19 – Lo sviluppo degli Stati nazionali



Mentre in Italia si rafforzava il particolarismo dei comuni e la successiva evoluzione verso le signorie, nel resto d’Europa si affermavano forti monarchie nazionali, estese su un vasto territorio che i sovrani rendevano omogeneo mediante la creazione di una burocrazia centralizzata e di un esercito permanente agli ordini del re.


Nel corso del secolo XIII la Spagna, soprattutto dopo la vittoria conseguita a Las Navas de Tolosa dai regni cristiani del nord – Castiglia e Aragona – si rafforzò ai danni degli emiri islamici della Spagna meridionale.


In Germania permaneva una situazione complessa. Dopo il tramonto degli Hohenstaufen ci fu l’interregno concluso con la nomina di Rodolfo d’Absburgo a re dei Romani.


La monarchia inglese cercò a lungo di rimettere piede sul continente, trovando però la via sbarrata dalla crescente potenza della Francia.


Verso la fine del secolo XIII si sviluppò un vivace dibattito filosofico e giuridico sull’origine del potere dello Stato e sulle sue relazioni col potere papale. L’evento politico-religioso più rilevante di quest’epoca fu lo scontro tra Bonifacio VIII e Filippo il Bello che per taluni aspetti segna la fine del medioevo e della teoria della concordia dei due massimi sistemi, Chiesa e Stato.


In Europa lo sviluppo impetuoso delle letterature in lingua volgare promuove lo sviluppo del nazionalismo e la nascita dello spirito laico, mentre i contatti col vicino e l’estremo Oriente, favoriti in passato dalle crociate e dalla pax mongolica, tendono a ridursi a causa della ripresa dei conflitti interni all’Europa e della caduta degli avamposti cristiani in Palestina.



19. 1 La penisola iberica fino al XIII secolo



Il declino della potenza degli Arabi di Spagna iniziò nel 1031 con la caduta del califfato di Cordova. Fino a quell’epoca la cultura musulmana di Spagna era stata dominante, in fecondo contatto con l’Africa del nord, dando luogo a una attività economica e politica nettamente superiore ai piccoli e poveri regni cristiani della Spagna nord-occidentale. Il califfato di Spagna, tuttavia, seguendo una parabola analoga a quella del califfato di Baghdad, fu distrutto da dissidi cresciuti al suo interno.


Il crollo del califfato di Cordova Il crollo del califfato di Cordova aveva dato vita a oltre venti piccoli emirati incentrati su una città col territorio circostante.


Ferdinando I di Castiglia e León Nel 1037 Ferdinando I di Castiglia divenne re anche di León, e nel 1054 sconfisse il fratello Garcia, re di Navarra: quel regno non fu unito agli altri Stati iberici forse a causa della diversità etnica della Navarra rispetto agli altri regni spagnoli. Del resto anche l’unione di Castiglia e León era precaria perché la guerra tra i due regni cristiani sembrava una costante della storia spagnola.


Conquiste di Ferdinando I Ferdinando I attaccò le regioni settentrionali dell’odierno Portogallo (1057); poi si volse a Oriente avanzando in Aragona a sud del fiume Duero; infine condusse una spedizione contro il re di Toledo. Questa serie di vittorie gli suggerì una spedizione contro Siviglia rendendo tributari numerosi emirati musulmani (1063). L’anno seguente Ferdinando I sconfisse l’emiro di Valencia e nel 1065 morì.


Il regno d’Aragona Negli stessi anni il re cristiano di una parte dell’Aragona, Ramiro, aveva esteso il suo territorio a spese degli emiri di Huesca e Saragozza. Nel 1065 l’erede di Ramiro, Sancio Ramiro, con l’aiuto di mercenari normanni, conquistò Barbastro. Mentre avvenivano questi scontri l’emiro di Siviglia sottometteva molti emirati andalusi.


L’emirato di Siviglia La potenza di Siviglia appariva ancora maggiore perché Ferdinando I, morendo, aveva seguito la tradizione di suddividere tra i figli il regno: la Castiglia al figlio maggiore Sancio II, il León ad Alfonso VI e la Galizia a Garcia. Come era inevitabile, scoppiò la guerra civile tra i fratelli, e Sancio ebbe la meglio, sconfiggendo i re di León e di Galizia che cercarono rifugio tra i musulmani, il primo a Toledo e il secondo a Siviglia. Sancio II volle spossessare anche le sorelle, e pose l’assedio intorno a Zamora, ma qui, nel 1072, fu cciso da un sicario: in questa campagna si mise in luce Rodrigo Diaz de Bivar, dall’epopea nominato il Cid Campeador.


Alfonso VI di Castiglia La morte di Sancio II permise al fratello Alfonso VI di recuperare non solo i regni di Castiglia e di León, ma anche quello di Galizia. In collaborazione col Cid, Alfonso VI avrebbe potuto completare le conquiste del padre, ma questi due personaggi erano così gelosi dei reciproci successi da operare isolatamente. Alfonso VI attaccò l’emiro di Siviglia che aveva fornito aiuti a Garcia, lo sconfisse imponendogli il raddoppio del tributo (1082). Poco dopo Alfonso VI prese a pretesto il rovesciamento dell’emiro di Toledo, suo amico, per intervenire in quel regno, imponendo l’aumento del tributo (1084). L’anno seguente Alfonso VI entrò in Toledo divenuta la base per gli attacchi contro l’Andalusia.


I conti di Barcellona Il piccolo regno cristiano d’Aragona, da parte sua, faceva il possibile per estendersi assediando invano Saragozza. Più fortuna ebbero i conti di Barcellona che estesero il loro dominio a ovest e a sud: nel 1091 Berengario Raimondo II riuscì a occupare la città di Tarracona, giungendo fino alla foce dell’Ebro.


Intervento degli Almoravidi Queste vittorie cristiane allarmarono gli emiri musulmani che cercarono aiuto invitando in Spagna la maggiore potenza africana, quella degli Almoravidi del Marocco guidati da Yusuf ibn-Tashufin. Costui invase la Spagna occupando Algeciras: il grande esercito almoravide sconfisse Alfonso VI presso Badajoz (1086). In conseguenza i cristiani furono costretti a ritirarsi da Valencia e a togliere l’assedio da Saragozza, ma i musulmani non riuscirono a sfruttare il successo. Ibn-Tashufin tornò in Africa e le truppe cristiane poterono riprendere l’offensiva.


Gli Almoravidi al potere nella Spagna musulmana Un nuovo appello a Ibn-Tashufin ricondusse l’almoravide in Spagna, ma costui trovò più conveniente impadronirsi dei piccoli regni musulmani in luogo di combattere i cristiani. Ibn-Tashufin nel 1091 assunse il potere diretto su tutti i musulmani di Spagna; nel 1111 gli successe il figlio Alì, ma la situazione politica dei musulmani spagnoli non migliorò, perché il re d’Aragona Pietro I conquistò Huesca nel 1096, e suo figlio Alfonso I conquistò Saragozza nel 1118.


Le imprese del Cid Campeador La società cristiana spagnola era guerresca ed era naturale che i suoi eroi fossero soldati. Il Cid rimane il più famoso tra costoro ed è interessante seguire le sue imprese per avere uno spaccato della storia del tempo. Lo abbiamo trovato presente all’assedio di Zamora agli ordini del re Sancio II. Servì anche sotto le bandiere di Alfonso VI che gli dette in moglie la cugina Jimena Diaz in segno di stima. L’emiro di Siviglia, al-Mutamid, lo inviò a combattere contro l’emiro di Granada, un ribelle sostenuto da alcuni nobili castigliani. Il Cid li fece prigionieri, ma in seguito si trovò coinvolto in una spedizione contro l’emiro di Toledo che era amico del re Alfonso VI. Il geloso re di Castiglia approfittò del passo falso del vassallo per farlo esiliare (1081). Il Cid fu libero di combattere per la causa ritenuta più degna, anche se si trattava di musulmani. In realtà il Cid proseguì la politica castigliana e perciò finì per opporsi al conte di Barcellona, fatto prigioniero nel 1082. Riguadagnata la fiducia di Alfonso VI, il Cid tornò in Castiglia negli anni 1087-1088, ma nel 1089 ancora una volta il re Alfonso VI lo fece esiliare.


Il Cid al servizio degli Arabi Il Cid passò al servizio dell’emiro di Saragozza facendo guerra al re di Lérida, di Aragona e al conte di Barcellona, riuscendo ancora una volta vincitore: fece prigioniero Raimondo Berengario trattandolo cavallerescamente così che tra i due sorse una solida amicizia, confermata dal matrimonio tra il nipote del conte di Barcellona, Raimondo Berengario III e Maria, figlia del Cid. Le aspirazioni del Cid rimanevano dirette ancora verso la Castiglia: nel 1092 partecipò a una nuova campagna contro gli Almoravidi di Andalusia, ma Alfonso VI non volle riammetterlo a corte e gli confermò l’esilio.


Morte del Cid Nel 1094 l’emiro di Valencia, al-Qadir, amico del Cid, fu deposto e ucciso. Il Cid si impadronì della città facendone un baluardo inespugnabile per gli Almoravidi. Il grande eroe morì nel 1099 e la vedova Jimena per tre anni resse il regno del marito, ma alla fine fu costretta a ritirarsi in Castiglia: dopo aver bruciato la città, portò con sé le ceneri del Cid sepolte con grandi onori a Burgos. Intorno al 1140 fu composto Cantar de mio Cid, il più significativo poema epico spagnolo.


Morte di Alfonso VI La guerra tra Almoravidi e regno di Castiglia continuò con numerose vittorie musulmane: nel 1108 a Uclés, vicino a Tarancón, anche il figlio di Alfonso VI, Sancio, restò ucciso, ma i musulmani non riuscirono a minacciare la Castiglia. Sempre a Uclés morì anche Alfonso VI, dopo aver nominato erede la figlia Urraca che a sua volta aveva un figlio di tre anni, Alfonso. I nobili castigliani non trovarono altra soluzione che far sposare Urraca ad Alfonso I d’Aragona, allora considerato il miglior soldato: dal punto di vista politico era una buona soluzione perché così erano uniti i due maggiori regni cristiani di Spagna, anticipando una soluzione che si sarebbe concretata tre secoli dopo. I due coniugi, invece, non andarono d’accordo e per di più Alfonso I d’Aragona offese i sentimenti dei castigliani assegnando ad aragonesi le cariche principali. Il matrimonio fu dichiarato nullo per reali colpe della donna, e i dissidi interni durarono fino alla sua morte (1126), mentre la nobiltà castigliana si stringeva intorno ad Alfonso VII. Nel 1134 morì Alfonso I d’Aragona senza lasciare eredi.


Arrivo degli Almohadi in Spagna Nel frattempo la potenza degli Almoravidi era andata declinando, minacciata in Africa dalla nuova dinastia degli Almohadi, i quali giunsero nel 1144 in Spagna, distruggendo l’impero degli Almoravidi. Alfonso VII approfittò della crisi musulmana conseguendo alcuni successi che però affrettarono l’invasione degli Almohadi. Questi ultimi, nel 1172, avevano completato la sottomissione degli emirati di Spagna.


Morte di Alfonso VII Alfonso VII morì nel 1157: egli aveva assunto il titolo di imperatore per rendere manifesta la sua preminenza rispetto agli altri re cristiani, i re di Navarra, d’Aragona, i conti di Barcellona e di Tolosa, ma l’idea di impero di Spagna non aveva radici, e per di più anche Alfonso VII divise il regno tra i figli. Sancio III, re di Castiglia, impiegò il tempo brevissimo del suo regno a combattere contro il fratello e contro i re di Navarra e d’Aragona. Morendo prematuramente, Sancio III complicò la situazione politica perché il figlio Alfonso VIII era un bambino: si formarono due partiti di feudatari che iniziarono una guerra civile durata otto anni.


Alfonso VIII Alfonso VIII giunse a Toledo nel 1166 dove fu proclamato re di Castiglia all’età di undici anni. Nel 1180 si giunse a un accordo tra Castiglia e León, ma la guerra civile riprese tra i regni di Navarra e di Aragona. Nel corso di questa guerra tra cristiani, gli Almohadi ripresero l’offensiva conquistando Cuenca (1177) dove si distinsero i cavalieri di Calatrava, il nuovo ordine religioso cavalleresco fondato da Alfonso VIII. Un potente esercito africano attaccò nel 1196 l’esercito cristiano nei pressi di Alarcos, infliggendogli una secca sconfitta. Gli Almohadi assediarono Toledo, Madrid, Alcalà e altre città minori, mentre i re di León e di Navarra attaccavano da nord la Castiglia, costretta a chiedere una tregua ai musulmani (1197).


Alfonso VIII in difficoltà Alfonso VIII chiese aiuto al Portogallo e al papa che proclamò una crociata, peraltro senza apprezzabili risultati. Quando Alfonso VIII ritenne di essersi rafforzato a sufficienza, lasciò Toledo e dopo una serie di combattimenti vittoriosi, poté varcare la Sierra Morena e dirigersi verso Las Navas de Tolosa dove lo attendeva l’esercito degli Almohadi: la battaglia del 1212 fu una vittoria castigliana che fruttò un enorme bottino.


Morte di Alfonso VIII Nel 1214 Alfonso VIII morì, dopo aver costatato gli effetti disgreganti sullo Stato degli Almohadi della sconfitta di Las Navas de Tolosa. In Castiglia iniziò un nuovo periodo di torbidi dovuti alla minore età dell’erede Ferdinando III, e anche in Aragona si era determinata una situazione difficile perché nel 1213, nel corso della battaglia di Muret in Provenza durante la crociata contro gli Albigesi, era morto il re d’Aragona Pietro II, lasciando il giovane figlio Giacomo in mano a Simone di Montfort. Il papa Innocenzo III ottenne che Simone di Montfort rimettesse in libertà Giacomo che divenne re d’Aragona e di Catalogna. Per parecchi anni nel regno d’Aragona durarono le rivolte interne: solo dopo il 1227 l’Aragona poté riprendere il posto che le competeva nella politica internazionale.


Ferdinando III di Castiglia Anche Ferdinando III di Castiglia si stava riprendendo: nel 1225 poté condurre la sua prima campagna nella regione di Cordova. Per avere mano libera in Spagna Ferdinando III strinse alleanza con al-Mamun, sovrano degli Almohadi d’Africa e, quando costui fu detronizzato, lo aiutò a riprendere il potere inviando un esercito cristiano in Africa (1229): in ricompensa, al-Mamun cedette Marrakesh in Marocco al re di Castiglia.


Conquista di Cordova e di Siviglia Nel 1230, con la morte di Alfonso IX di León, Ferdinando III poté riunire i due regni: congiungendo le forze, sembrava giunto il momento della vittoria definitiva sui musulmani. Nel 1236 Ferdinando III operò la conquista di Cordova; nel 1241 l’emiro di Murcia offrì al re di Castiglia metà del suo territorio e del suo tesoro per non essere assoggettato del tutto, e altrettanto fece l’emiro di Granada nel 1246. Rimaneva Siviglia, difesa strenuamente per quindici mesi, poi anch’essa cadde nel 1248, seguita da Medina Sidonia, Cadice e altre città andaluse. Ferdinando III si era reso conto del pericolo rappresentato da una grande potenza al di là dello Stretto di Gibilterra e progettò una spedizione in Africa, ma nel 1252 morì senza realizzarla.


Giacomo I d’Aragona conquista le Baleari Mentre Ferdinando III aveva attaccato i musulmani al sud, Giacomo I d’Aragona aveva puntato a impadronirsi delle isole Baleari, famose per la fertilità del suolo, ma anche per la presenza di pirati che rendevano insicure le rotte nel Mediterraneo occidentale: nel 1229 Maiorca fu conquistata e nel 1232 cadde anche Minorca; nel 1235 fu la volta di Ibiza: con la conquista delle Baleari, l’Aragona divenne una delle maggiori potenze navali del Mediterraneo. Nel 1238 il re d’Aragona si impadronì del territorio di Valencia, subito diviso tra i nobili che avevano condotto la spedizione: i contadini musulmani, celebri per la loro produzione di riso e arance, compirono due rivolte che richiesero vere e proprie campagne militari. Nel 1261 anche i musulmani di Murcia si ribellarono ad Alfonso X di Castiglia che chiese aiuto a Giacomo d’Aragona, suo suocero. Alfonso X occupò tutta la Murcia che così fu aggiunta alla corona di Castiglia. Rimaneva indipendente solo l’emirato di Granada.


Peculiarità della società spagnola La società spagnola presenta alcune peculiarità rispetto al resto d’Europa, durate a lungo nella sua storia letteraria, artistica e nella struttura del suo diritto: era una società occidentale cristiana, ma con profondi influssi orientali, arabi ed ebrei.


Struttura sociale in Castiglia e León La società di Castiglia e León sviluppò forme più democratiche rispetto al resto di Spagna. La classe dei nobili era molto ampia perché comprendeva ogni uomo libero in grado di mantenere un cavallo, che in tempo di guerra diveniva un soldato autosufficiente, animato da un ideale religioso e dal desiderio, molto terreno, di arricchire con la preda tolta ai nemici. Costoro furono chiamati hidalgos (figli di qualcosa) e troveranno in don Chisciotte la loro suprema raffigurazione, quando erano avviati al declino. Il sud della Spagna esercitava un’attrattiva irresistibile per i duri e rozzi castigliani, perché in Andalusia c’erano città popolose, una tradizione artistica e letteraria raffinata, attività industriali e commerciali molto sviluppate.


Ebrei e musulmani in Spagna Anche le classi medie in Spagna poterono svilupparsi con una certa libertà: in genere ebrei e musulmani convivevano con i cristiani senza intolleranza, e solo molto più tardi i primi furono trovati inassimilabili e quindi combattuti. I musulmani (moros o moriscos) erano ottimi artigiani e agricoltori specializzati nella coltivazione di ortaggi e frutta. La servitù della gleba fu abbandonata, sostituita da canoni in denaro che, tuttavia, in tempi difficili, divenivano pesanti, spingendo i contadini a terribili rivolte senza speranza, perché la repressione si abbatteva implacabile. Gli ebrei (marranos) si occupavano soprattutto del commercio e delle attività bancarie, ma anche in questo campo l’ignoranza delle crisi economiche faceva sorgere, nei tempi difficili di forte indebitamento, il sospetto che costoro affamassero la popolazione: scoppiavano tumulti accompagnati da atrocità che, come movente taciuto, miravano alla cancellazione dei debiti. Gli ebrei del sud migrarono nel resto della Spagna soprattutto al tempo degli Almohadi che avevano intensificato l’intolleranza islamica.


Lo sviluppo dei comuni Anche in Spagna si svilupparono i comuni, favoriti dai sovrani per equilibrare la potenza assunta dalla nobiltà. I comuni miravano a ottenere dal sovrano una serie di diritti (fueros) sviluppati fino ad assumere l’aspetto di veri e propri codici completi. In Aragona e in Catalogna furono riuniti gli usi locali, anch’essi giunti a una vera e propria codificazione. Più tardi, la rinascita del diritto romano, condusse a una profonda modificazione degli usi, perché la procedura civile e penale scelta dai sovrani fu quella romana, rimasta come base del diritto moderno.


Hermandades e Cortes L’importanza assunta dai comuni si può comprendere esaminando due caratteristiche istituzioni: le Hermandades e le Cortes. Le Hermandades erano associazioni o fratellanze che si proponevano la cooperazione in difesa dei diritti di una corporazione o l’ordine pubblico: quando l’autorità del potere centrale si affievoliva, le organizzazioni di cittadini potevano difendere la vita e i beni con successo. Le Cortes erano assemblee di nobili e di ecclesiastici nominati dal re, che si riunivano con i delegati dei comuni: insieme deliberavano la ripartizione dei tributi; ma le Cortes avevano anche il diritto di proporre al re nuove leggi: spesso le Cortes subordinavano la concessione dei tributi all’emanazione di leggi a tutela della libertà dei comuni.


La Chiesa spagnola La Chiesa aveva notevole influenza nella vita spagnola, perché era espressione di patriottismo, baluardo contro le invasioni musulmane in partenza dall’Africa, nucleo della resistenza nazionale. Alla fine del XIII secolo in Europa c’erano due nuove potenze, Castiglia e Aragona, in grado di operare anche fuori del loro territorio.



19. 2 La Germania sotto i primi imperatori d’Absburgo



Dopo la morte di Federico II, la Germania attraversò un periodo difficile, dominato dall’anarchia. Morto Riccardo di Cornovaglia, nel 1272, imperatore solo di nome, il papa Gregorio X propose ai prìncipi elettori di Germania la scelta di un nuovo re dei Romani.


Rodolfo d’Absburgo Nel 1273 a Francoforte sul Meno la scelta cadde su Rodolfo d’Absburgo la cui famiglia proveniva dall’Argovia nell’attuale Svizzera. Gregorio X che nel 1274 si trovava a Lione per il concilio, approvò la nomina facendo decadere le pretese di Alfonso X di Castiglia e di Ottocaro II di Boemia che aspiravano al trono tedesco. Alfonso X si piegò, mentre Ottocaro II scatenò la guerra. Nel 1276 Rodolfo assediò Vienna costringendo Ottocaro II a sottomettersi e a rinunciare ai suoi feudi imperiali, ritirandosi in Boemia e Moravia. Rodolfo prese in consegna i feudi di Austria e Stiria, fissando la sua capitale a Vienna. Ottocaro II, tuttavia, non si dette per vinto: si alleò con i prìncipi di Slesia e di Polonia, e nel 1278 iniziò quel conflitto tra slavi e tedeschi che in seguito sarà una costante della storia dell’Europa centrale: i due eserciti si scontrarono a Stillfried sul Danubio, dove Rodolfo riportò la vittoria, aiutato dal re d’Ungheria Ladislao IV. Ottocaro II fu ucciso dopo la cattura.


Concessioni di Rodolfo al papa La brillante vittoria di Stillfried esaltò la fama di Rodolfo in Germania: il papa Nicolò III promise l’incoronazione a Rodolfo se avesse sottoscritto l’importante principio della subordinazione del potere imperiale a quello del papa, rinunciando a ogni diritto imperiale sui territori occupati dalla Santa Sede, compresa la Romagna e l’Italia meridionale.


L’incoronazione è rinviata Nicolò III morì nel 1280: Rodolfo non poté ricevere l’incoronazione che per motivi ideali sembrava ancora importante, anche se per ottenerla l’imperatore doveva accettare che i prìncipi si rafforzassero, mentre le città libere accrescevano la loro indipendenza fino a pretendere il diritto di coalizione, a difesa dei loro interessi. La più importante di tali leghe fu la Hansa che riuniva le città del Baltico.


Gli Absburgo aumentano la loro potenza Nel 1282 Rodolfo ottenne che i figli Alberto e Rodolfo fossero insigniti dei ducati di Stiria e di Carniola, già feudi di Ottocaro II. La casa d’Absburgo divenne così una delle più potenti di Germania, ma questa concentrazione di terre indusse i prìncipi a opporsi a Rodolfo: ovunque sorsero sedicenti figli di Federico II, costringendo Rodolfo a percorrere la Germania per sedare le rivolte. Nel 1287 ancora una volta Rodolfo si propose la calata in Italia per l’incoronazione imperiale, ma ancora una volta la morte del papa rimandò la cerimonia.


Morte di Rodolfo d’Absburgo Nel 1285 era salito sul trono di Francia Filippo IV: tra i suoi progetti c’era anche quello di strappare il regno di Arles (Borgogna) all’impero che ne aveva la proprietà nominale. Nel 1289 l’imperatore prese accordi col papa Nicolò IV per l’incoronazione, ancora rimandata a causa di una campagna militare nel nord della Germania per pacificare intere regioni infestate da briganti. Rodolfo d’Absburgo morì nel 1291, rimpianto dai tedeschi per la sua moderazione.


Elezione di Adolfo di Nassau Alberto d’Absburgo non fu eletto al posto del padre perché appariva agli elettori troppo potente: gli preferirono Adolfo di Nassau che ricevette il voto determinante dei tre arcivescovi di Magonza, Treviri e Colonia. Adolfo di Nassau si indebitò per assicurarsi l’elezione. Poi, per far fronte ai debiti, si dette al saccheggio dei territori degli avversari, senza risparmiare monasteri e vescovati, alienandosi le simpatie del clero. Nel 1294 era scoppiata la guerra tra Francia e Inghilterra: Edoardo I d’Inghilterra chiese l’aiuto di Adolfo di Nassau per bloccare le mire di Filippo IV nei confronti della Germania, in cambio di un contributo di centomila marchi. Filippo IV reagì a questa alleanza suscitando contro il re di Germania l’opposizione di Alberto d’Absburgo e delle altre forze tedesche ostili ad Adolfo. Nel 1297 Alberto ritenne giunto il momento di scatenare il conflitto, convocando una dieta dei ribelli a Vienna. Nel 1298 iniziò la campagna militare conclusa nei pressi di Worms, dove Alberto colpì di spada l’avversario.


Elezione imperiale di Alberto d’Absburgo I prìncipi elettori si affrettarono a confermare Alberto come re eletto dei Romani: i suoi rapporti amichevoli con Filippo IV proseguirono anche dopo l’avvenuta elezione al trono imperiale. I rapporti col papa Bonifacio VIII rimasero tesi: al nuovo imperatore era rimproverato il crudele trattamento inflitto al predecessore. Nel 1301 Bonifacio VIII si rifiutò di riconoscere il nuovo imperatore: poiché era esploso il clamoroso conflitto tra Francia e Santa Sede, Alberto d’Absburgo mise in opera una sottile politica volta a costringere il papa a cedere nelle questioni ancora aperte, e dall’altra limitare le pretese in Germania di Filippo IV, oscillando tra i due. Nel 1303 il papa Bonifacio VIII, dopo aver ascoltato la difesa del re di Germania, acconsentì alla sospirata incoronazione. In cambio Alberto rinunciò a nominare per cinque anni i vicari imperiali di Lombardia e Toscana, promettendo di agire secondo giustizia nei confronti degli arcivescovi renani. Subito dopo avvennero i noti incidenti di Anagni e la morte di Bonifacio VIII che fecero cadere la possibilità dell’incoronazione. In Boemia sorsero gravi complicazioni e la guerra contro Venceslao II: il tentativo di assicurare quel trono alla famiglia d’Absburgo per il momento fallì. Anche in Svizzera sorsero complicazioni ai danni dell’impero: i fieri montanari dei cantoni originari batterono le truppe imperiali, animati da Guglielmo Tell.


Morte di Alberto d’Absburgo Mentre Alberto si trovava in Argovia intento a preparare l’esercito per porre fine alle turbolenze tedesche, la congiura ordita da un nipote, riuscì a ucciderlo (1308). Filippo IV di Francia tentò di sfruttare a proprio vantaggio la vacanza del titolo imperiale proponendo l’elezione a re dei Romani del fratello Carlo di Valois. Il papa Clemente V, che proprio allora fissava la sua residenza ad Avignone, temeva il rischio di una completa egemonia del re di Francia in Europa. Tra i prìncipi elettori, gli arcivescovi di Magonza e Treviri si accordarono sulla persona di Enrico (Arrigo) di Lussemburgo, perché appariva un candidato meno pericoloso del figlio del re ucciso, Federico d’Absburgo.


Enrico VII di Lussemburgo Il nuovo imperatore proveniva da un paese in maggioranza vallone, ossia di lingua francese: appariva intelligente e in possesso di modi raffinati. Subito dopo l’elezione Enrico VII chiese al papa l’incoronazione: la data della cerimonia venne fissata per l’anno 1312 a Roma, nella basilica di San Pietro come voleva la consuetudine.


Enrico VII scende in Italia L’Italia, allora, esercitava un’attrattiva irresistibile: nonostante le guerre e i disordini vi fioriva la cultura più vivace; i commerci e le industrie erano i più avanzati; nelle sue architetture si potevano scorgere le forme del futuro rinascimento. Enrico VII calò in Italia con circa 3000 cavalieri valloni e si era fatto precedere da proclami che promettevano la pacificazione d’Italia: Dante compose una lettera ai prìncipi italiani invitandoli ad accogliere il “principe della pace”. Poiché il neoimperatore diceva di non essere il capo di una fazione, anche i guelfi fecero a gara nell’elogiarlo. Erano schermaglie d’uso per prendere tempo e valutare i primi atti propriamente politici di Enrico VII che rivelassero le sue reali intenzioni.


Enrico VII a Milano Nel dicembre 1310 Enrico VII giunse a Milano. Qui anche Guido Torriani accettò di salutarlo. L’arcivescovo incoronò Enrico VII con la corona di re d’Italia. Ma proprio a Milano scoppiarono tumulti che compromisero i piani imperiali. Matteo Visconti convinse Guido Torriani a partecipare a una congiura, ma poi lo abbandonò, passando dalla parte di Enrico VII il cui seguito incendiò il palazzo dei Torriani. La vicenda milanese fu interpretata come sostanziale adesione di Enrico VII al partito ghibellino: subito le città lombarde reagirono scacciando i vicari imperiali. Cremona accolse Guido Torriani che iniziò a organizzare il partito guelfo.


Punizione dei guelfi di Cremona Enrico VII reagì nei confronti di Cremona: condannò a morte i capi della rivolta, distrusse le mura, bandì i guelfi e incendiò le loro case. Poi fu la volta di Brescia, assediata dal maggio al settembre 1311: il principe della pace aveva portato solo lutti e distruzioni. Bologna e Firenze, ancora più guelfe delle città lombarde, non permisero il passaggio dell’esercito imperiale attraverso i passi dell’Appennino e perciò Enrico VII raggiunse l’Italia centrale per mare, da Genova a Pisa, due città ghibelline solo perché speravano di ottenere sostanziosi vantaggi ai danni di Venezia. A Genova morì la moglie di Enrico VII, Margherita di Brabante, famosa per la pietà religiosa e le opere di carità, ma anche mediatrice tra il marito e i suoi sudditi.


Enrico VII in Toscana e Roma Nel marzo 1312 Enrico VII giunse a Pisa, mentre le altre città toscane si schieravano per i guelfi. Da Pisa Enrico VII marciò direttamente su Roma dove già era giunto l’esercito di Roberto d’Angiò, re di Napoli, occupando San Pietro e la città leonina. Enrico VII alloggiò nel palazzo del Laterano, chiedendo inutilmente all’avversario di sgomberare San Pietro. La zuffa tra i due eserciti proseguì in Roma per settimane, con massacri, incendi, saccheggi. Enrico VII dovette adattarsi a ricevere l’incoronazione nel Laterano, per mano del cardinale Nicolò da Prato e non del papa Clemente V che non volle allontanarsi da Avignone.


L’esercito tedesco torna in Germania Poco dopo i soldati di Enrico VII tornarono in Germania e perciò all’imperatore rimase solo un manipolo di cavalieri. Il papa Clemente V, certamente sollecitato da Filippo IV, minacciò di scomunica l’imperatore ritenuto responsabile degli incidenti avvenuti nella città eterna. L’imperatore lasciò Roma dirigendosi in Toscana per assediare Firenze, ma fu colpito da grave febbre. Si ritirò a Pisa dove convocò una dieta nel corso della quale fu decisa la guerra contro Roberto d’Angiò, dichiarato ribelle all’impero: dalla Boemia doveva giungere un esercito al comando di Giovanni di Lussemburgo.


Morte di Enrico VII A Buonconvento l’imperatore ebbe una ricaduta e morì (1313). Coloro che, come Dante, avevano sperato la rigenerazione d’Italia, ripiombarono nello sconforto. Con Enrico VII morì l’ultimo imperatore secondo la concezione medievale dell’impero. Questo rimase limitato alla sola Germania, dove si consolidò il sistema dei principati semindipendenti, con un imperatore elettivo che per assicurarsi la nomina doveva garantire i territori assegnati ai prìncipi e i privilegi delle città libere.



19. 3 L’evoluzione della monarchia inglese



Il regno di Giovanni Senzaterra (1199-1216) non fu glorioso per imprese militari: egli infatti dissipò gran parte dello splendore raggiunto al tempo di Enrico II, avendo eccessiva propensione per gli espedienti e l’improvvisazione politica in luogo di elaborare piani lungimiranti.


Razionalizzazione del governo Sotto Giovanni inizia la regolare archiviazione dei documenti amministrativi della corte e perciò siamo informati su quasi tutto ciò che avvenne in quegli anni. Come nel resto d’Europa, anche in Inghilterra si assiste nel XIII secolo a una vivace rinascita culturale che dette i frutti migliori nell’organizzazione del governo, solo in apparenza una questione arida, dal momento che gran parte della felicità su questa terra dipende da rapporti giusti tra governo e sudditi.


Tassazione e controllo della spesa Giovanni tassò pesantemente gli inglesi: nel Domesday Book esisteva il quadro delle proprietà fondiarie, e nessuno sfuggiva alle tasse. Nel complesso i sudditi erano rispettosi delle disposizioni ufficiali, ma un poco alla volta cominciarono a esigere un controllo sull’attività finanziaria della corona introducendo il principio secondo il quale chi paga deve controllare la spesa pubblica. Giovanni pose gli ebrei sotto la sua protezione: essi ricevettero il diritto di venir giudicati da un tribunale di pari, ebbero un quartiere speciale per impedire i periodici assalti dei debitori disperati. Gli ebrei finirono per apparire partigiani del re e nella rivolta del 1215 furono osteggiati dai baroni.


La lotta dei baroni I baroni furono i protagonisti della prima famosa lotta politica della storia inglese. Come era avvenuto in Sicilia, a Roma e in Francia, anche in Inghilterra all’inizio del XIII secolo ci fu un tentativo di rendere razionale il sistema finanziario. I baroni si unirono in corporazione a tutela dei loro interessi: pretesero e ottennero di inviare rappresentanti di categoria per controllare le imposizioni fiscali.


Guerra contro la Francia Fino al 1205 re Giovanni rimase sotto la tutela politica di Hubert Walter; dopo la sua morte il re si ritenne libero di realizzare i propri progetti, in primo luogo la guerra contro la Francia, condotta con scarso successo nel 1206.


Inizia il conflitto con la Chiesa Nel 1207 re Giovanni volle sbarazzarsi dell’arcivescovo di York, reo di essersi opposto all’esazione di una forte tassa sulle terre della diocesi. Questi andò in esilio e il suo posto venne preso da amministratori designati dal re. Rimasto vacante il seggio di Canterbury, Giovanni volle nominare un suo uomo, John Gray, mentre i monaci elessero il loro sottoprefetto Reginaldo. Il papa Innocenzo III fece valere il principio del diritto canonico per cui, in caso di elezione contestata, la decisione finale spetta al papa: scelse un celebre maestro dell’Università di Parigi, Stephen Langton che nel 1215 avrà gran parte nella redazione della Magna Charta.


L’interdetto sull’Inghilterra Il re si oppose alla decisione papale e perciò Innocenzo III inflisse la pena dell’interdetto che comporta la cessazione di ogni celebrazione liturgica, tranne il battesimo e l’assistenza ai moribondi. Stephen Langton fu abile nel presentare agli Inglesi la situazione affermando che non si deve obbedire al re quando i suoi ordini contrastano con quelli di Dio. Giovanni, invece, voleva rifarsi al tempo in cui i vescovi erano nominati dal re. L’interdetto durò fino al 1213: re Giovanni fece confiscare il patrimonio ecclesiastico e perciò, nel 1209, fu scomunicato personalmente. I vescovi inglesi seguirono in esilio Stephen Langton. Nel 1213 re Giovanni ritenne prudente sottomettersi al papa, in primo luogo perché era riuscito a stabilire la sua autorità sulla Gran Bretagna – Galles e Scozia compresi – e poi perché temeva che Filippo II Augusto di Francia potesse mettersi a capo di una crociata contro l’Inghilterra, come era avvenuto in Provenza.


Coalizione contro la Francia Giovanni Senzaterra ritenne giunto il momento di riunire i nemici della Francia, prendendo accordi con gli antichi vassalli inglesi del Poitou, con il re d’Aragona e di Portogallo, con Raimondo VI di Tolosa, con le città delle Fiandre e della Renania, e soprattutto con l’imperatore Ottone IV di Brunswick, suo nipote. Come già ricordato, nel 1213 la flotta inglese sorprese la flotta di Filippo II in un porto fiammingo distruggendola; poi Giovanni decise di sbarcare in Bretagna a La Rochelle, con un corpo di spedizione che aveva il compito di stringere a tenaglia l’esercito francese. A Bouvines nel 1214 tramontarono le speranze di re Giovanni che a ottobre, deluso e sconfitto, tornò in patria.


La ribellione dei baroni Qui si scontrò con la più fiera ribellione mai affrontata da un re inglese. Dopo la scomunica il potere di Giovanni era cresciuto a dismisura, ma l’infelice spedizione di Francia aveva portato le tasse a un livello intollerabile. Per di più il re si serviva di milizie mercenarie che non si fermavano davanti ad alcun misfatto. Nell’agosto 1213, a St. Albans si tenne un concilio nel corso del quale vescovi e baroni sostennero la necessità di abrogare le leggi ingiuste. Il fatto nuovo di questa assise fu l’unità di intenti tra Stephen Langton e Fitz Peter, capo dell’amministrazione del re, per mettere un freno all’assolutismo monarchico. Nel novembre 1214 l’opposizione dei baroni si concretò nella congiura di Bury St. Edmunds nel corso della quale essi si impegnarono a obbligare il re, anche ricorrendo alle armi, a ottemperare alle promesse fatte un tempo dal re Enrico I. Re Giovanni prese tempo sottoponendo al papa Innocenzo III il suo conflitto coi baroni: il papa ordinò ai baroni di far pagare le tasse a coloro che non avevano preso parte alla spedizione sul continente, ma costoro opposero un rifiuto e si riunirono minacciosi a Stanford verso la Pasqua del 1215. Robert Fitz Walter fu eletto rappresentante dei baroni: a maggio l’esercito dei baroni aveva occupato Londra, divenuta ormai una prospera città desiderosa di ampie libertà civili per estendere i suoi traffici, nonché desiderosa di esercitare un maggiore controllo sugli ebrei e sui lombardi. Re Giovanni dovette accettare la Magna Charta e nominò un consiglio di 25 baroni per sorvegliarne l’applicazione.


Magna Charta La Magna Charta è un documento attraverso il quale i baroni obbligavano re Giovanni a rispettare certe leggi feudali e a non introdurre le tasse a suo arbitrio, senza il consenso del Consiglio, limitandone così il potere assoluto. Pur tendendo a favorire una cerchia ancora ristretta della popolazione, la Magna Charta introdusse richieste di controllo sulla monarchia che saranno poi importanti per lo sviluppo della costituzione britannica anche se per il momento fu solo una tappa d’arresto dell’assolutismo monarchico. Dopo aver subito l’iniziativa dei baroni, Giovanni tentò la riscossa. Assediò i castelli dei baroni uno dopo l’altro con truppe mercenarie, e infine attaccò Londra, la loro roccaforte, dopo essersi assicurato il nord del paese. I ribelli presero accordi con Luigi di Francia, figlio di Filippo Augusto. Costui avanzò diritti sul trono inglese in quanto marito di Bianca di Castiglia, nipote di Enrico II Plantageneto. Giovanni Senzaterra morì nell’ottobre 1216, lasciando il paese nel caos e nel pericolo di occupazione straniera.


Minore età di Enrico III Enrico III, erede al trono, avendo solo nove anni, rimase sotto la reggenza di William Marshall duca di Pembroke: il primo atto del reggente fu la pubblicazione della Magna Charta; poi iniziò la guerra per espellere Luigi di Francia dall’Inghilterra. La flotta francese fu sconfitta e Luigi di Francia, con una forte indennità, lasciò l’Inghilterra (1217). Nel 1223 Enrico III divenne maggiorenne.


Tentativi di intervento in Francia Nel 1230 Enrico III condusse la sua prima guerra in Francia con modesti risultati, perché la mancanza di denaro lo costrinse a tornare in patria. Enrico III fu il più colto dei re inglesi venuti dopo Alfredo il Grande: fece riedificare l’abbazia di Westminster e la tomba di Edoardo il Confessore; trasformò il palazzo reale sul Tamigi; ingrandì il castello di Windsor insieme con molti altri castelli. Nel 1235 Enrico III sposò Eleonora figlia di Raimondo Berengario IV di Provenza: con questo matrimonio e con quello di sua sorella Isabella con Federico II di Svevia l’Inghilterra si univa strettamente con le famiglie reali del continente, ma si trattava di una politica costosa perché obbligava l’Inghilterra a intervenire nelle guerre europee che comportavano tasse, destinate a innescare nuove tensioni legali e costituzionali. Nel 1258 Simone di Montfort si pose a capo di una nuova ribellione dei baroni.


Seconda rivolta dei baroni I fatti principali prendono inizio dalla convocazione del parlamento dei baroni nel 1258: il re chiese ai baroni aiuti finanziari per far fronte alla bancarotta seguita alla guerra contro il Galles. I baroni chiesero al re il licenziamento dei vecchi consiglieri e la nomina di una commissione di riforma di 24 membri, per metà scelti dai baroni. All’inizio di giugno la commissione si riunì a Oxford: l’obiettivo dei baroni era la nomina del giudice di pace, del tesoriere e del cancelliere scelti dai loro ranghi, allontanando gli stranieri troppo favorevoli agli interessi del re; poi si doveva aprire un’inchiesta sui misfatti perpetrati dai funzionari ai danni dei contribuenti; infine fu richiesta la convocazione del parlamento tre volte l’anno (Provisions of Oxford).


Enrico III avverso alle Provisions of Oxford Nel 1260 Enrico III iniziò la lotta contro le Provisions of Oxford nel tentativo di liberarsi dal controllo dei baroni, dal giudice di pace e dal potere acquistato dagli sceriffi di contea. Nel 1264 le Provisions of Oxford furono dichiarate lesive della dignità regale. Simone di Montfort capì che solo una guerra contro il re poteva salvare il nuovo sistema costituzionale: a Lewes il re fu sconfitto dai baroni. Per assicurare la pace in ogni contea furono nominati giudici di pace. Le Provisions furono confermate con alcune aggiunte, ma ancora una volta il re compì il tentativo di schiacciare il movimento costituzionale: Edoardo, erede al trono, attaccò le forze dei baroni: Simone di Montfort fu sconfitto e ucciso. Le terre dei ribelli furono confiscate e assegnate ad arbitrio del re: i diseredati si dettero a depredare le campagne finché fu stabilito di far riscattare le terre agli eredi dei baroni ribelli. Fino al 1267 ci furono gravi disordini in Inghilterra, ma dopo quella data una specie di corte giudiziaria itinerante risolse con equità le questioni pendenti.


Trattato di Parigi Questo periodo di torbidi può esser considerato una conseguenza del trattato di Parigi del 1259 che regolava le questioni con la Francia. In forza di quel trattato l’Inghilterra pose fine alle rivendicazioni su Normandia, Angiò, Poitou, Turenna e Maine: in cambio di tale rinuncia Enrico III avrebbe ricevuto una rendita annua rimanendo vassallo del re di Francia col titolo di duca di Aquitania per Bordeaux, Guascogna e Baiona, una soluzione non del tutto felice perché fu la premessa della guerra dei Cent’anni. In ogni caso l’abbandono delle pretese sulle regioni della Francia settentrionale rendeva più attenta l’Inghilterra alla sua identità nazionale e alla peculiarità delle sue istituzioni.


Edoardo I Dopo un lungo regno, nel 1272 Enrico III morì. Gli successe il figlio Edoardo I. Per i primi vent’anni di regno Edoardo I si dedicò a opere di pace, tranne la guerra contro il Galles che terminò col suo assoggettamento. Si ebbe un grande sviluppo della legislazione che rivela in Edoardo I desiderio di efficienza, col ricorso a esperti in ogni ramo dell’amministrazione. Dal 1286 al 1289 Edoardo I visse in Francia per seguire gli interessi della corona inglese in quel paese. A norma del trattato di Parigi, a ogni successione dei re di Francia il re d’Inghilterra, in qualità di duca di Aquitania doveva rendere omaggio al re di Francia.


Riesplode il conflitto con la Francia Nel 1285 divenne re di Francia Filippo IV, fiero rivendicatore dei territori un tempo appartenuti alla giurisdizione sovrana. Le complicazioni tra i due regni sorsero in Guascogna: spesso scoppiavano risse di marinai, ma Filippo IV aveva tutto l’interesse a ingigantire i fatti. Nel 1294 Filippo IV convocò il re inglese per rispondere davanti al suo tribunale dei misfatti attribuiti agli indocili sudditi continentali di Edoardo I: trattandosi di guasconi qualcosa di vero doveva esserci. Scoppiò la guerra durata fino al 1303, anche se dopo il 1297 non ci furono seri combattimenti. Nel 1297 Edoardo I si era alleato con il conte di Fiandra, guidando di persona un attacco contro la Francia del nord. Ne seguì una tregua sfociata nel trattato di Montreuil (1299): una clausola prevedeva il matrimonio di Edoardo I con Margherita, sorella di Filippo IV; e del figlio Edoardo II con Isabella di Francia, figlia di Filippo IV.


Morte di Edoardo I La guerra di Francia aveva esaurito le risorse del regno d’Inghilterra e le lamentele erano salite a un livello preoccupante, seguite da provvedimenti feroci come la confisca dei beni secolari tenuti dal clero che alla fine si piegò pagando ciò che il re chiedeva. Anche i baroni rifiutarono di prestare servizio militare all’estero costringendo Edoardo I a ridimensionare il suo brillante piano di guerra per battere Filippo IV. Nel 1306 Edoardo I decise la guerra contro la Scozia, ma nel 1307 morì e la Scozia fu salva.



19. 4 La Francia di Filippo IV il Bello



Nel 1270 a Luigi IX successe il figlio Filippo III l’Ardito, non molto fortunato in guerra: nel 1285 il re guidò un spedizione in Aragona, ma le sue truppe furono respinte dalla pestilenza e dalla sconfitta della flotta che doveva assicurare i rifornimenti. Poco dopo il ritorno in Francia, il re morì.


Il regno di Francia si estende Più fortunate furono le annessioni di nuovi territori alla corona per via di eredità: nel 1271, alla morte di Alfonso conte di Poitou e Tolosa, quei territori tornarono per devoluzione a Filippo III. Nel 1274, anche la Navarra e la Champagne, tornarono alla corona.


Filippo IV il Bello e i suoi legisti Filippo IV portò la potenza dei Capetingi al massimo livello. Subito dopo Filippo IV per autorità veniva Carlo di Valois, il fratello minore, e una schiera di legisti che indussero il re ad abbandonare i metodi patriarcali di governo seguiti dal padre e dal nonno, imprimendo alla politica francese una svolta autoritaria. Il regno di Filippo IV fu caratterizzato da tre avvenimenti: il conflitto con Bonifacio VIII; il trasferimento della sede del papato ad Avignone e la soppressione dell’Ordine dei Templari con l’incameramento dei loro beni in Francia.


Il conflitto con Bonifacio VIII Appena divenuto papa, nel dicembre 1294, Bonifacio VIII incontrò vivaci opposizioni in Francia dove era ben conosciuto per una sua precedente ambasceria che aveva rivelato la sua personalità forte. Nel 1296 cominciarono gli attriti dovuti alle necessità finanziarie causate dalla guerra tra Francia e Inghilterra: i due contendenti non trovarono altra soluzione che tassare il clero. Il papa rispose con la bolla Clericis laicos in cui ricordò a tutti i sovrani una dottrina antica, ossia che i sovrani laici non potevano tassare i beni del clero senza l’approvazione del papa. Era una dottrina che risaliva al Concilio lateranense III (1179), ma i francesi ritennero offesa la maestà del re.


Provvedimenti finanziari di Filippo IV Filippo IV reagì, proibendo nel 1296 l’esportazione di oro e di preziosi dal regno, un provvedimento che interrompeva il flusso di denaro alla curia di Roma, subito in difficoltà. A settembre Bonifacio VIII dovette attenuare la tensione pubblicando la bolla Ineffabilis amor, in cui affermava che, se richiesta, la Chiesa poteva contribuire con tasse sui suoi beni alle necessità dei sovrani. Nel 1297 Bonifacio VIII autorizzava i sovrani ad accettare contributi volontari dagli ecclesiastici anche senza consultare il papa: rispetto alla bolla Clericis laicos si trattava di una ritirata. Per accrescere la distensione, sempre nel 1297, Luigi IX fu canonizzato. Le cose andarono avanti in questi termini per altri quattro anni, ma nel 1300 c’era stato il noto giubileo universale della Chiesa che aveva rinfrancato il papa. Nel 1301 iniziò la seconda fase del conflitto, più dura.


La questione di Bernard Saisset Il pretesto fu la decisione del re di deporre il vescovo di Pamiers, Bernard Saisset, accusato di incitare alla rivolta la Linguadoca. Il vescovo Saisset fu consegnato al vescovo di Narbona perché, essendo un ecclesiastico, si doveva ridurlo allo stato laicale prima di giudicarlo per tradimento. Il papa rifiutò la sentenza di un tribunale laico, e ordinò la scarcerazione del Saisset perché venisse giudicato da un tribunale ecclesiastico. Bonifacio VIII revocò le concessioni del 1297, e con la bolla Ausculta fili rimproverò a Filippo IV la confisca dei beni ecclesiastici, la coniazione di monete svilite e altri abusi, annunciando la convocazione di un sinodo di prelati francesi a Roma per “correggere” il re.


Unam Sanctam Per circa un anno e mezzo Filippo IV sembrò attendere: il vescovo Saisset fu lasciato al suo posto. La bolla Ausculta fili circolò in Francia in forma mutilata, accompagnata da libelli che contenevano fiere accuse contro il papa. Poi Filippo IV convocò clero, nobili e cittadini di Parigi in un’assemblea che, opportunamente lavorata, proclamò la completa adesione dei francesi alla causa del re, di cui fu negata ogni dipendenza dal papa, in quanto dipendente solo da Dio. Tuttavia, al sinodo convocato a Roma da Bonifacio VIII parteciparono numerosi vescovi e abati francesi, e nel 1302 giunse notizia della sconfitta francese nelle Fiandre: il papa perciò ritenne giunto il tempo opportuno per pubblicare la bolla Unam Sanctam, che assunse la forma di suprema rivendicazione della pienezza di potestà del papa rispetto ai re. Nella bolla non c’era alcun accenno alla Francia, ma tutti sapevano che Filippo IV ne era la causa.


Guglielmo di Nogaret Dopo la morte di Pierre Flote, il principale consigliere di Filippo IV era divenuto Guglielmo di Nogaret. Costui consigliò l’attacco, e per prima cosa pubblicò un duro documento con la richiesta di convocare un concilio, di procedere alla deposizione del papa e di sottoporlo a giudizio. Nel frattempo il Nogaret organizzò la cattura del papa e il suo trasferimento in Francia. I due avversari, come si vede, avevano scelto la via dell’intransigenza. Nel settembre 1303 Bonifacio VIII riaccese la contesa mediante la bolla Super Petri solio contenente l’esortazione a Filippo IV a convertirsi, mentre i sudditi erano sciolti dall’obbligo di fedeltà al sovrano. Per tutta l’estate in Francia erano state convocate assemblee che avevano discusso le accuse lanciate contro il papa: al termine erano state inviate lettere anche in Castiglia, Aragona e Navarra invitando quelle corti a insorgere contro le pretese papali. Il Nogaret venne in Italia con una schiera di soldati guidata da Sciarra Colonna. Il 7 settembre la cittadina di Anagni fu saccheggiata e incendiata: il papa fu dichiarato prigioniero, ma mentre i soldati francesi erano intenti al saccheggio, la reazione popolare costrinse gli aggressori alla fuga. Un mese dopo il papa morì.


Benedetto XI Il successore Benedetto XI fu costretto ad assolvere Filippo IV dalle censure in cui era incorso, ma insistette perché il Nogaret fosse punito per lo scandalo che aveva dato alla cristianità guidando l’aggressione contro il papa: dopo nove mesi anche Benedetto XI morì, e la sede papale rimase vacante per quasi due anni a causa delle pressioni di Filippo IV volte a impedire l’elezione di un candidato ostile alla politica francese. Alla fine risultò eletto l’arcivescovo di Bordeaux, Bertrand de Got, suddito nominale di Edoardo I d’Inghilterra. Dopo aver assunto il nome di Clemente V, il nuovo papa dovette dedicarsi al difficile compito di controllare la virulenza del nazionalismo presente in ogni Stato europeo. Le pressioni esercitate dal re di Francia impedirono al papa di tornare in Italia: infatti egli fu consacrato a Lione, e a partire dal 1308 fissò la sua residenza nel feudo papale di Avignone.


La questione dei Templari La concessione più dolorosa fatta da Clemente V al re di Francia concerne la soppressione dell’Ordine dei Templari. Al gran maestro dell’Ordine dei Templari Jacques de Molay, il papa Clemente V aveva proposto la fusione degli ordini cavallereschi esistenti, ma de Molay aveva risposto che dalla fusione sarebbero venuti solo mali. La vera causa dell’attacco contro i Templari andava cercata nel fatto che costoro erano divenuti una potenza finanziaria, perché i mercanti e gli Stati si servivano delle loro case disseminate in Europa come di sportelli di una banca. Quando i legisti di Filippo IV, sempre a caccia di denaro, fiutarono l’affare, non esitarono a inventare le più infamanti accuse a carico dei Templari. Il gran maestro de Molay fu arrestato insieme con i cavalieri presenti in Francia. Furono estorte confessioni, in seguito ritrattate. Il papa Clemente V cercò di avocare a sé il giudizio e di affidare la decisione definitiva a un concilio circa il futuro dell’Ordine. I legisti risposero convocando a Tours gli Stati Generali che decretarono la soppressione dell’Ordine. Per piegare Clemente V gli furono condotti alcuni templari che, opportunamente scelti, gli ripeterono la primitiva confessione di colpevolezza. Il papa Clemente V accettò di far istruire da tutti i governi europei, sul cui territorio era presente l’Ordine dei Templari, un processo a loro carico, ma non era questo il desiderio di Filippo IV. Il tempo passava e la verità cominciava a filtrare: gli imputati sconvolgevano il pubblico rivelando le torture subite, nel corso delle quali erano state estorte le confessioni più fantasiose. Per farla finita in fretta, davanti al vescovo di Sens furono tradotti 54 Templari che, senza aver potuto difendersi, furono condannati.


Viene sciolto l’Ordine dei Templari A Vienne nel Delfinato si riunì il concilio che doveva decidere la sorte dell’Ordine (1311). I tribunali ecclesiastici di Germania, Portogallo, Spagna e Inghilterra avevano concluso per un verdetto di non colpevolezza. Filippo IV volle esser presente di persona al dibattito, e alla fine Clemente V con la bolla Vox in excelso ordinò lo scioglimento dell’Ordine “colpevole di scandali confessati, inviso al re di Francia e inutile in Terrasanta”. Aveva vinto Filippo IV.


Trionfo del nazionalismo e dello spirito laico La grande vittoria di Filippo IV riportata sul papato, costretto a ridimensionare il peso e le conseguenze del suo universalismo, e costretto a trattenersi in Francia, fu resa possibile da una nuova ideologia che si affermerà per secoli in Europa, il nazionalismo e il trionfo dello spirito laico. Con lo sviluppo delle letterature nazionali e col trasferimento dei centri di cultura dai monasteri alle università, ossia col trionfo della cultura laica posta al servizio del re, aveva assunto nuovo significato l’essere inglese, francese o italiano. L’eccellenza della propria nazione su tutte le altre diveniva un valido pretesto per le guerre, che a loro volta erano divenute così costose da obbligare i governi a elaborare complessi organismi finanziari. Una caratteristica delle operazioni politiche di Filippo IV è, infatti, la costante presenza di un risvolto finanziario. Nel 1306 furono cacciati gli ebrei dalla Francia; nel 1307 iniziò la durissima campagna contro i Templari; nel 1311 furono cacciati dalla Francia i banchieri italiani, dopo aver confiscato i loro beni.


Espansione francese nelle Fiandre Il controllo delle Fiandre, fino a quel momento semindipendenti, fu l’ultimo obiettivo perseguito da Filippo IV: riuscì a stabilire l’alta sovranità feudale nel Hainaut e in città come Lille e Douai, ma anche in questo caso il fine non rivelato rimaneva quello di natura finanziaria, se si tiene presente che le Fiandre erano la regione più popolosa e più sviluppata d’Europa.


Gli Stati Generali Filippo IV ricorse spesso alla convocazione degli Stati Generali (clero, nobili, borghesi). Questa assemblea tipicamente feudale era stata convocata anche al tempo di Luigi IX e di Filippo III, ma sotto Filippo IV assunse maggiore importanza. Gli argomenti erano sempre di natura finanziaria, la richiesta di nuovi sacrifici da parte dei contribuenti, ma a differenza di quanto avvenuto in Inghilterra, in Francia non si ebbe alcunché di analogo alla Magna Charta. Anche in Francia i nobili e le altre categorie rappresentate agli Stati generali chiedevano, in cambio dei sacrifici, statuti e privilegi, ma si trattò sempre di concessioni a singoli individui o gruppi di cittadini, e per di più formulate in termini così confusi da renderne difficile l’applicazione: si trattava di promesse raramente mantenute, e perciò non si formarono vaste corporazioni di interessi in grado di impedire al sovrano l’arbitrio finanziario, o anche solo di accettare il controllo della spesa pubblica. In altre parole, mentre gli Inglesi badavano ai loro interessi fino al punto di umiliare il loro sovrano, i Francesi furono tanto orgogliosi della gloria conseguita dal re da pagare di tasca propria l’onere della gloria.



19. 5 Cronologia essenziale



1031 Cade il grande califfato di Cordova e si forma una ventina di emirati molto deboli.


1085 Alfonso VI di Castiglia occupa Toledo.


1086 Gli emiri musulmani invitano in Spagna gli Almoravidi del Marocco che sconfiggono Alfonso VI.


1144 Dall’Africa giungono gli Almohadi che distruggono il potere degli Almoravidi sulla Spagna musulmana.


1212 Decisiva vittoria della Castiglia sui musulmani Almohadi a Las Navas de Tolosa.


1214 Con la sconfitta di Bouvines tramonta la possibilità di Giovanni Senzaterra di affermarsi in Francia.


1215 La rivolta dei baroni costringe Giovanni Senzaterra a concedere la Magna Charta.


1272 Muore Enrico III d’Inghilterra: gli succede il figlio Edoardo I.


1274 Rodolfo d’Absburgo è confermato re dei Romani.


1285 Inizia il regno di Filippo IV il Bello re di Francia.


1294-1303 Guerra tra Francia e Inghilterra.


1302 Bonifacio VIII pubblica la bolla Unam Sanctam chiaramente diretta contro Filippo IV.


1307 Morte di Edoardo I d’Inghilterra.


1307-1314 Processo e condanna dei Templari: l’Ordine è sciolto.



19. 6 Il documento storico



La bolla Unam Sanctam non faceva che ribadire una dottrina sviluppata in precedenza da Gregorio VII e da Innocenzo III, ma nel 1302 era operante la nuova realtà del nazionalismo. Ai legisti di Filippo IV non fu difficile presentare le pretese papali come un’indebita ingerenza negli affari interni del loro paese, sostenuti da una parte dei vescovi che temevano un eccessivo potere della curia romana nelle loro diocesi.



“Che ci sia una ed una sola Santa Chiesa Cattolica ed Apostolica noi siamo costretti a credere e a professare, spingendoci a ciò la nostra fede, e noi questo crediamo fermamente e con semplicità professiamo, ed anche che non ci sia salvezza e remissione dei nostri peccati fuori di lei – come lo sposo proclama nel Cantico: “unica è la mia colomba, la mia perfetta; unica alla madre sua, senza pari per la sua genitrice”. Il che rappresenta un corpo mistico, il cui capo è Cristo, e il capo di Cristo è Dio, e in esso c’è “un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo”. Al tempo del diluvio invero una sola fu l’arca di Noè, raffigurante l’unica Chiesa; era stata costruita da un solo braccio, aveva un solo timoniere e un solo comandante, ossia Noè, e noi leggiamo che fuori di essa ogni cosa sulla terra era distrutta. Questa Chiesa noi veneriamo, e questa sola, come dice il Signore per mezzo del Profeta: “Libera o Signore, la mia anima dalla lancia e dal furore del cane, l’unica mia”. Egli pregava per l’anima, cioè per Se stesso – per la testa e il corpo nello stesso tempo – il quale corpo precisamente Egli chiamava la sua sola e unica Chiesa, a causa della unità di promessa di fede, sacramenti e carità della Chiesa, ossia “la veste senza cuciture” del Signore, che non fu tagliata, ma data in sorte. Perciò in questa unica e sola Chiesa ci sono un solo corpo ed una sola testa, non due, come se fosse un mostro, cioè Cristo e Pietro, vicario di Cristo e il successore di Pietro; perché il Signore disse a Pietro: “Pasci il mio gregge”. “Il mio gregge” Egli disse, parlando in generale e non in particolare di questo o quel gregge; così è ben chiaro, che Egli affidò tutto il suo gregge. Se perciò i Greci o altri affermano di non essere stati affidati a Pietro e ai suoi successori, essi confessano di conseguenza di non essere del gregge di Cristo, perché il Signore dice in Giovanni che c’è un solo ovile, un solo e unico pastore.


Noi sappiamo dalle parole del Vangelo che in questa Chiesa e nel suo potere ci sono due spade, una spirituale, cioè, e una temporale, perché, quando gli Apostoli dissero: “Ecco qui due spade” – che significa nella Chiesa, dato che erano gli Apostoli a parlare – il Signore non rispose che erano troppe, ma che erano sufficienti. E chi nega che la spada temporale appartenga a Pietro, ha malamente interpretato le parole del Signore, quando dice: “Rimetti la tua spada nel fodero”. Quindi ambedue sono in potere della Chiesa, la spada spirituale e quella materiale; una invero deve essere impugnata per la Chiesa, l’altra dalla Chiesa; la prima dal clero, la seconda dalla mano di re o cavalieri, ma secondo il comando e la condiscendenza del clero, perché è necessario che una spada dipenda dall’altra e che l’autorità temporale sia soggetta a quella spirituale. Perché quando l’Apostolo dice: “Non c’è potere che non venga da Dio e quelli (poteri) che sono, sono disposti da Dio”, essi non sarebbero disposti se una spada non fosse sottoposta all’altra e, come inferiore, non fosse dall’altra ricondotta a nobilissime imprese. Poiché secondo san Dionigi è legge divina che l’inferiore sia ricondotto per l’intermedio al superiore. Dunque le cose non sono ricondotte al loro ordine alla pari immediatamente, secondo la legge dell’universo, ma le infime attraverso le intermedie e le inferiori attraverso le superiori. Ma è necessario che chiaramente affermiamo che il potere spirituale è superiore a ogni altro potere terreno in dignità e nobiltà, come le cose spirituali sono superiori a quelle temporali. Il che, invero, noi possiamo chiaramente costatare con i nostri occhi dal versamento delle decime, dalla benedizione e santificazione, dal riconoscimento di tale potere e dall’esercitare il governo sopra le medesime, poiché, e la verità ne è testimonianza, il potere spirituale ha il compito di istituire il potere terreno e, se non si dimostrasse buono, di giudicarlo. Così si avvera la profezia di Geremia riguardo la Chiesa e il potere della Chiesa: “Ecco, oggi Io ti ho posto sopra le nazioni e sopra i regni” ecc.


Perciò se il potere terreno erra, sarà giudicato da quello spirituale; se il potere spirituale inferiore sbaglia, sarà giudicato dal superiore; ma se erra il supremo potere spirituale, questo potrà essere giudicato solamente da Dio e non dagli uomini; del che fa testimonianza l’Apostolo: “L’uomo spirituale giudica tutte le cose; ma egli stesso non è giudicato da alcun uomo” perché questa autorità, benché data agli uomini ed esercitata dagli uomini, non è umana, ma senz’altro divina, essendo stata data a Pietro per bocca di Dio e fondata per lui ed i suoi successori su una roccia, che egli confessò, quando il Signore disse allo stesso Pietro: “Qualunque cosa tu legherai…”. Perciò chiunque si oppone a questo potere istituito da Dio, si oppone ai comandi di Dio, a meno che non pretenda, come i manichei, che ci sono due principi; il che noi affer