Libro III Cap. 20 – La riunificazione tedesca

Prof. A. Torresani. 20. 1  Un teorico della guerra: Karl von Clausewitz  – 21. 2  La Prussia da Federico Guglielmo IV a Guglielmo I  – 20. 3  Bismarck cancelliere di Prussica  – 20. 4  Le guerre contro Danimarca e Austria  – 20. 5  La guerra franco-prussiana e il Secondo Reich – 20. 6  L’opera successiva del Bismarck – 20. 7  Cronologia essenziale – 20. 8  Il documento storico – 20. 9  In biblioteca.

     I più importanti mutamenti politici accaduti nel XIX secolo in Europa furono la riunificazione italiana e quella tedesca.  Più importante la seconda perché la Germania si sostituì alla Francia come massima potenza militare del continente europeo.
     Dopo il 1870, la Germania divenne una grande potenza indu­striale che espandeva di anno in anno l’area dei suoi commerci internazionali. Finché il Bismarck rimase al potere, non volle la competizione aperta con la Gran Bretagna, al contrario di ciò che fece il giovane Kaiser Guglielmo II fin dal suo avvento al trono. Riunificata dall’efficienza delle armi, la Germania si fidava troppo del suo esercito e il linguaggio dei suoi dirigenti faceva eccessivo riferimento alla logica delle armi.
     Mentre la lunga pace seguita al conflitto franco-prussiano faceva dimenticare gli orrori della guerra, la crescente potenza industriale tedesca creava nuovi problemi di ordine sociale che la classe dirigente, ancorata a ideali feudali, tentava di mascherare. In Germania si assisteva così alla convi­venza della massima efficienza tecnologica coi miti tedeschi di un lontano passato nibelungico che proprio in quegli anni veniva­no messi in musica da Richard Wagner.  Un poeta, Heinrich Heine, scrisse: “Se di notte mi sveglio e penso alla Germania non riesco più a riprendere sonno”: la Germania fece perdere il sonno a mol­te persone anche nel secolo XX, scatenando due guerre mondiali, che sono in linea con le premesse storiche del se­colo precedente.
     La figura dominante in questa fase della storia tedesca è quella del cancelliere Otto von Bismarck che col ferro e col sangue distrusse la tradizione del parti­colarismo tedesco. Il Bismarck si fondò sull’ideologia promossa dal Clausewitz, il teorico della guerra come prosecuzione della politica con altri mezzi.

20. 1  Un teorico della guerra: Karl von Clausewitz

     Dopo la rivoluzione del 1848 i governi europei accolsero i princìpi del nazionalismo, l’ideologia che proclama l’eccellenza della propria nazione e il suo diritto a dar vita a uno Stato li­bero e sovrano. La cultura dell’età romantica aveva favorito que­sto processo che in Europa culminò con la riunificazione italiana e tedesca. Tuttavia, a partire dagli stessi anni si accentuarono anche i conflitti sociali. 
Nazionalismo e socialismo I due princìpi del nazionalismo e del socialismo, che per comodità potremmo identificare con Clausewitz e Marx, da allora si sono variamente intrecciati. Poiché esiste una relazione tra teoria e pras­si, anche se non esiste accordo circa la natura della relazione, ossia se le idee sono preordinate all’azione oppure se le idee sono invocate solo per giustificare l’azione quando essa abbia avuto successo, è opportuno esaminare le teorie di Karl von Clau­sewitz, che fu teorico della guerra come strumento di una politi­ca di potenza.  Poiché la guerra è una realtà che l’umanità non è riuscita a sradicare da se stessa, occorre tornare al Clausewitz per comprendere le contraddizioni dell’epoca che ci accingiamo a studiare.
Machiavelli e Clausewitz Il precursore diretto del Clause­witz fu il Machiavelli che in­dagò come si acquista e come si mantiene il potere politico.  L’osservazione capitale del Machiavelli è che se il principe ha un esercito reclutato sul suo territorio, impone la sua volontà alle altre potenze (politica estera); controlla i dissensi interni tra i sudditi (politica interna), e perciò conserva o accresce il potere del suo Stato (il fine della politica).
L’età di Clausewitz Karl von Clausewitz (1780-1831) si formò in un momento delicato della storia prussiana, perché era tra­montata l’epoca di Federico il Grande, morto nel 1786, e i suoi allori militari erano appassiti di fronte alle novità della rivoluzione francese.  Infatti, le idee rivo­luzionarie non rimanevano un fatto interno alla Francia, bensì tendevano a sconvolgere gli equilibri politici dell’Euro­pa. Per di più l’esercito prussiano, apparso invincibile nell’e­tà federiciana, fu battuto durante la campagna condotta da Napoleone in Germania tra il 1805 e il 1807.  Lo Sta­to prussiano conobbe un grande fervore di riforme civili e militari negli anni tra il 1806 e il 1813, ossia tra la scon­fitta di Jena e la vittoria di Lipsia, che riconfermò la Prussia come potenza militare. Sul piano militare si assistette al­la riforma dell’esercito prussiano per opera del von Stein, cancelliere, di Gneisenau, ministro della guerra, e di Scharnhorst, capo di stato maggiore, che volle il Clausewitz come consigliere.
Della guerra Fu una riforma in senso borghese dello Stato prus­siano e dell’esercito che permise ai capaci e meritevoli di acce­dere ai gradi più elevati di comando, rompendo il monopolio della nobiltà. Il Clausewitz, comandante dell’Accademia militare, studiò tanto a fondo i problemi militari da scrivere il più importante trattato di arte militare dei tempi moderni, intitola­to Della guerra.
La guerra come operazione politica L’idea fondamentale del Clau­sewitz è che la guerra si può intendere come prosecuzione della politica con altri mezzi: “La guerra è un atto di forza che ha lo scopo di costringere l’avversario a sottomettersi alla nostra vo­lontà”. Ma tale atto di forza, per riuscire, deve essere prece­duto da un attento calcolo dei mezzi che si possono schierare in campo e quindi esige l’intervento della capacità razionale.  Con tutto ciò la guerra rimane pur sempre un gioco d’azzardo, perché spesso interviene il caso che rovescia ogni previsione: lo spirito umano si esalta di fronte a qualcosa che mette a dura prova il coraggio, che presenta le incognite del ri­schio.
I fattori della guerra Secondo il Clausewitz la guerra comporta tre fattori da valutare attentamente: il mero istinto di sopraffazione che produce odio o inimicizia (la natura aggressiva dell’uomo); il gioco delle possibilità e del caso che rendono la guerra una libera attività dell’animo (ciò che il Machiavelli definì “fortuna”); la sua natura di strumento politico che la riconduce alla ragione (la “virtù” del Ma­chiavelli).  Naturalmente è quest’ultimo l’aspetto che interessa al Clausewitz.
Aspetti psicologici della guerra La novità più interessante pre­sente nell’opera del Clausewitz è l’importanza assegnata al fat­tore psicologico e agli imprevisti che possono sconvolgere il calcolo razionale circa le possibilità di vittoria. Perciò, la strategia vincente risulta quella che, oltre calcolare corretta­mente le forze del nemico e le sue risorse materiali, riesce a individuare anche se esiste nel nemico la volontà di battersi fi­no in fondo. Il Clausewitz affermò che la guerra difensiva aveva maggiore probabilità di successo perché un paese attaccato si trova in una situazione più favorevole sia dal punto di vista mi­litare (ha minori linee di comunicazione), sia da quello politico (ha dalla sua parte l’opinione pubblica internazionale). 
Rapporti tra politica ed esercito Egli aggiunse che il governo civile doveva conservare la direzione strategica della guerra, ossia il potere di determinare gli obiettivi supremi dell’eser­cito in caso di guerra.  Quest’ultima affermazione, nelle edizio­ni del trattato Della guerra successive al 1853, fu modificata in modo da dire esattamente il contrario: in altre parole, in Germa­nia l’esercito ebbe la tendenza a erigersi a corpo separato dallo Stato, retto da una propria gerarchia che, in caso di guer­ra, obbediva solo ai militari. Gli inconvenienti di questa pras­si apparvero chiaramente nel 1914, quando la necessità di appli­care il piano Schlieffen fece precipitare la dichiarazione di guerra, e nel 1917 quando la decisione di praticare la guerra in­discriminata sul mare, provocò l’intervento militare degli USA.

20. 2  La Prussia da Federico Guglielmo IV a Guglielmo I

     La rivoluzione del marzo 1848 aveva messo in luce le diffe­renze di valutazione politica tra il re Federico Guglielmo IV e il fratello minore Guglielmo, erede al trono. 
Debolezza dei governi liberali La sollevazione berlinese del 18 marzo era stata stroncata dall’esercito, ma il re volle ugualmente convocare un’assemblea costituente e nominare un ministero liberale. Anche in altri Stati minori della Germania le rivoluzioni del 1848 avevano condotto all’insediamento di governi liberali e sull’onda romantica del principio di nazionalità, furono fatti progetti di unità nazionale. Dopo la rivolu­zione a Berlino e Vienna, l’iniziativa della riunificazione tede­sca doveva passare ai liberali, soprattutto dopo che il 21 marzo il re di Prussia aveva proclamato la Prussia disposta a trasformarsi in Germania.
La dieta di Francoforte A Francoforte sul Meno fu convocato un comitato di 50 rappresentanti degli Stati tedeschi per prepa­rare le elezioni dell’assemblea nazionale.  Ci furono molti pro­blemi perché i sistemi elettorali erano i più vari, ma finalmente il 18 maggio l’assemblea nazionale iniziò i suoi lavori. Il successo dei liberali moderati accese la speranza di dare alla Germania una costituzio­ne fondata sul rispetto dei diritti umani e delle li­bertà dell’uomo e del cittadino, come era avvenuto in Francia fin dal 1789, ma presto sorsero problemi pratici, per esempio la formazione di un potere esecutivo per scalzare i poteri locali, ma il tentativo fallì perché nessuno Stato tedesco appariva disposto a ce­dere i poteri sovrani.
La questione dello Holstein Nel frattempo, il re di Danimarca Federico VII aveva deciso di separare la regione dello Holstein, posseduta dai re danesi a titolo personale fin dal 1648, dalla Confederazione germanica, equiparandola alle altre regioni dane­si. Gli Stati tedeschi reagirono alla decisione e dichiararo­no guerra alla Danimarca.  La guerra fu breve e la pace fu stipulata il 26 agosto a Malmö, in un clima di euforia dei tedeschi. La decisione di affrettare la conclusione del conflitto si dovette al timore della Prussia di suscitare reazioni internazionali. 
Trionfa la reazione Queste vicende rivelano che era in corso in Prussia e in Austria un movimento reazionario. Infatti, a ottobre, il generale Alfred von Windischgrätz aveva bombardato Vienna, schiacciando il governo liberale: l’imperatore Ferdinando I era stato indotto ad abdicare a favore del nipote Francesco Giuseppe (2 dicembre) guidato dal primo ministro Felix von Schwarzenberg, ostile a qualunque concessione ai liberali.
Conflitto tra grandi e piccoli tedeschi In Prussia, il principe Guglielmo, dopo un esilio di due mesi in Gran Bretagna, era tor­nato in patria e si atteggiava a difensore dell’antica tradizione militare.  Il 5 dicembre il ministero liberale cadde sostituito da uno conservatore presieduto da Wilhelm Friedrich von Brandenburg che un poco alla volta ritirò le concessio­ni fatte ai liberali. A Francoforte le discussioni del Parlamen­to tedesco divennero accademiche ora che i due Stati più impor­tanti della confederazione avevano imboccato la via della restau­razione. Tuttavia, nel marzo 1849 il Parlamento di Francoforte aveva deciso di affidare il potere esecutivo a un imperatore eletto da tutti gli Stati mediante elezioni a suffragio universa­le.  Ma proprio l’elezione di un unico imperatore su tutte le po­polazioni di lingua tedesca diveniva il nuovo nodo politico da risolvere. Infatti, l’Austria aveva proclamato la nuova co­stituzione il 4 marzo 1849 che considerava l’impero absbur­gico come un’unità indivisibile e quindi poneva il problema se far entrare nel nuovo impero tedesco anche le popolazioni slave, ungheresi e italiane comprese nei confini dell’impero absburgico, una decisione considerata inaccettabile dai nazionalisti fautori della soluzione “piccolo tedesca”. Il 28 marzo 1849 a Francoforte avvennero le elezioni e i deputati scelsero Federico Guglielmo IV di Prussia. Il 3 aprile il pre­sidente del Parlamento di Francoforte offrì la corona al re di Prussia che la rifiutò, dicendo che l’avrebbe accettata so­lo dalle mani dei principi. Il 21 aprile la Prussia rifiutò an­che la costituzione di Francoforte. Ai deputati prussiani fu or­dinato di tornare a casa e così il primo Parlamento federale te­desco si dissolse. La rivoluzione libe­rale era stata sepolta.
Tentativo dei piccolo tedeschi Nella primavera del 1849 il re di Prussia Federico Guglielmo IV fu convinto che alcune concessioni ai liberali bisognava pur farle. Propose perciò una confederazione degli Stati della Germania settentrionale e centrale. Nel maggio 1849 fu concordata un’alleanza tra Prussia, Hannover e Sassonia e fu deciso di tenere a Erfurt, nel marzo 1850 un congresso per discutere la costituzione della Germania.
Tensione tra Prussia e Austria Negli stessi mesi l’Austria ela­borava una propria politica per la Germania. Dopo la sconfitta del Regno di Sardegna a Novara e la fine della rivolta ungherese schiacciata con l’aiuto russo a Vilagos nell’agosto 1849, il pericolo di collasso dell’impero absburgico sembrava scongiurato. Lo Schwarzenberg volle ristabilire il predo­minio austriaco anche in Germania, avendo in mente un piano di unificazione dell’Europa centrale, che con 70 milioni di abitanti sarebbe divenuto un colosso economico. Nella regione dell’Assia Cassel le truppe austriache fronteggiarono quelle prussiane quasi a testimoniare il conflitto esistente tra i due progetti opposti circa il futuro della Germa­nia. Il re di Prussia Federico Guglielmo IV non volle la guerra per timore di abbracciare la causa dei liberali: anche Otto von Bismarck era ostile alla guerra contro l’Austria in quel momento. 
Umiliazione di Olmütz Il Brandenburg morì e il nuovo gover­no presieduto da Otto von Manteuffel preferì siglare a Olmütz, il 29 novembre 1850, una convenzione con l’Austria che prevedeva il ritiro delle truppe prussiane dall’Assia. Il fat­to fu definito dai liberali “umiliazione di Olmütz”.
Tramonto dei progetti di confederazione Nella successiva confe­renza di Dresda fu la Prussia a mandare a vuoto le pretese au­striache di riforma della confederazione germanica per cui si de­cise di tornare a quella del 1815, come se la rivoluzione del 1848 non fosse avvenuta. L’Austria non fu ammessa allo Zol­lverein (unione doganale) e perciò i sogni di una grande unione economica fallirono: per di più, tutti erano scontenti e si fece strada l’idea che l’unificazione politica potesse avvenire solo per mezzo delle armi. La Prussia nel gennaio 1850 aveva ricevuto una costituzione definitiva che prevedeva elezioni a suffragio universale, ma due terzi dei seggi del Parlamento erano riservati alla nobiltà e all’alta borghesia, mentre solo un terzo era ri­servato alle categorie più numerose.
Sviluppo della grande industria Nel decennio tra il 1850 e il 1860 in Prussia le costruzioni ferroviarie ebbero uno sviluppo grandioso; ingenti capitali furono investiti nell’industria minera­ria, tanto che la Prussia finì per produrre più carbone di Fran­cia e Belgio sommati insieme; Berlino e le città industriali crebbero e perciò sorsero i proble­mi tipici della società industriale. La guerra di Crimea, l’a­scesa della Francia sul piano militare, l’unificazione italiana avvenuta con la guerra del 1859, resero inquieti i prussiani, spingendoli ad agire. Nel 1858 Federico Guglielmo IV dette segni di squilibrio mentale e perciò fu nominato reggen­te il fratello Guglielmo, che sempre si era considerato il porta­voce dell’esercito e dello spirito prussiano.
Conseguenze della sconfitta austriaca La sconfitta austriaca nella guerra del 1859 fece grande impressione in Prussia e il nuovo re Guglielmo I si impegnò a potenziare l’eserci­to, portandolo da 350.000 a 420.000 soldati. 
Il militarismo prussiano Era cominciata in Prussia la “nuova era” con un governo che sembrava liberale perché ne facevano par­te alcuni ministri messi in luce dalla rivoluzione del 1848, ma in realtà i tentativi compiuti dal Parlamento per subordinare le spese per l’esercito a maggiori  concessioni al regime liberale furono annullate da Guglielmo I,  alla ricerca di un cancelliere in grado di piegare il Parlamento alle esigenze di una politica di potenza. Il re e il ministro della guerra Al­brecht von Roon decisero finalmente che la persona giusta  era Otto von Bismarck: nel settembre 1862 la Prussia ebbe il suo cancelliere di ferro che tenne il potere fino al 1890, attuando l’unificazione tedesca come la concepivano Gu­glielmo I e i militari.

20. 3  Bismarck cancelliere di Prussia

     Ci sono alcune analogie tra Otto von Bismarck (1815-1897) e Camillo Benso conte di Cavour, ma le differenze sono ancora più grandi. 
Formazione del Bismarck Nato in una famiglia di Junker del Bran­deburgo, Bismarck soffrì non poco per la disunione dei genitori. Studiò legge a Berlino e Gottinga, vivendo in modo disordinato ma riuscendo ugualmente a superare gli esami. Iniziò la carriera al servizio dello Stato ad Aquisgrana, ma dovette abbandonarla per scarsa assiduità ai suoi compiti. All’età di 25 anni cominciò ad occuparsi dell’azienda famigliare. La personalità del Bismarck fu quanto di più violento si possa immaginare. Le sue scenate di collera erano terribili, tanto da sembrare isterico, ma in qualche caso quelle collere erano simu­late per ottenere decisioni conformi al suo volere. Inutile ag­giungere che la sua concezione del potere politico era conservatrice, essendo convinto che il diritto si fonda sulla forza. Con simili idee era difficile che il Bismarck fosse eletto all’assemblea nazionale di Francoforte o al Parlamento di Berlino quando prevalevano i liberali.
Inizio della carriera politica del Bismarck Fu eletto deputato alla seconda camera, dopo la restaurazione del potere assoluto a Berlino. Il Bismarck si oppose alla prospettiva di un re di Prussia eletto imperatore di Germania dai deputati di Francoforte e si rallegrò quando la Prussia subì l’umiliazione di Olmütz: ai suoi occhi, in quel momento, l’unica politica sensata sembrava una specie di rinascita della Santa Alleanza tra Russia, Prussia e Austria, per schiacciare qualunque pretesa liberale.
Fine della Santa Alleanza Quando il Bismarck si rese conto che l’Austria non aveva alcuna intenzione di trattare la Prussia alla pari nel corso dei lavori della dieta di Francoforte, ricor­se ad ogni mezzo per fiaccare l’Austria, arrivando a criticare la politica del proprio re e del ministro degli esteri von Manteuf­fel che gli sembrava intrisa di romanticismo: da allora si con­vinse che “la Santa Alleanza era morta” e che il supremo scopo della sua vita era l’umiliazione dell’Austria.
Matura il nuovo corso Dopo la guerra di Crimea, quando il Bi­smarck si accorse che Francia e Russia si stavano riavvicinando, comprese che era giunto il momento di sconvolgere gli equilibri politici dell’Europa centrale.
Le spese militari Nel 1859 il Bismarck fu inviato a Pietro­burgo come ambasciatore, trovandosi malissimo, convinto di essere stato buttato fuori dalla politica attiva.  Nel 1861 il nuovo re di Prussia Guglielmo I propose la sua politica militare mirante a rafforzare l’esercito. Il progetto era di liquidare la Landwehr, una specie di guardia nazionale che aveva scarsa utilità in guerra, ma idonea secondo i liberali per garan­tire la democrazia. Il Parlamento accettò di sopprimere la Lan­dwehr, ma chiese che la durata del servizio militare attivo fosse ridotta da 3 a 2 anni, garantendo la copertura finanziaria delle nuove spese solo di anno in anno. Per di più, alle elezioni del novembre 1861 i liberali avevano ottenuto un aumento di seggi. Il Bismarck fu richiamato da Pietroburgo e s’aspettava la nomina a cancelliere, ma il re Guglielmo I esitava a entrare in conflitto col Parlamento. Perciò il Bismarck fu inviato amba­sciatore a Parigi dove ebbe modo di suggerire a Napoleone III un’alleanza tra Francia e Prussia contro l’Austria.
Conflitto tra il re e il Parlamento A Berlino le questioni mili­tari erano giunte a un punto morto: il Parlamento aveva deciso di far fronte alle nuove spese dovute alla leva generale solo a pat­to che il servizio militare durasse due anni. Il re, convinto che con due anni di addestramento i soldati non sarebbero stati effi­cienti, respinse le condizioni del Parlamento, fece dimettere il governo e accettò il consiglio del ministro della guerra von Roon di nominare cancelliere il Bismarck.  La collaborazione tra il re e il Bismarck, due personaggi così diversi, fu difficile, perché il re voleva condurre in modo indipendente la politica militare, ma era anche ostile all’avventurismo in politica estera, mentre il Bismarck aveva la propensione per la politica dei fatti com­piuti. Questo terribile gioco d’azzardo ri­chiese tre guerre, nel corso delle quali l’esercito prussiano, tanto ben forgiato da Guglielmo I, riportò vittorie considerate prodigiose.

20. 4  Le guerre contro Danimarca e Austria

     Appena giunto a Berlino, il Bismarck affrontò a modo suo il problema del bilancio per l’esercito.
Sconfitta del Parlamento Nel suo primo di­scorso il Bismarck fece la una famosa affermazione programmatica:  “Le grandi questioni del nostro tempo non possono venir risolte con i discorsi e con le maggioranze dei voti – questo fu il grande errore del 1848 e del 1849 – bensì col ferro e col sangue”.  La maggioranza liberale comprese d’aver trovato un padrone spietato e perciò cercò di arrivare a un compromesso, ma il Bismarck rimase inflessibile per non perdere il potere ac­quisito nei confronti del re.
L’unificazione della Germania Il Bismarck comprese che l’adesione dei tedeschi alla sua politica poteva avvenire solo se risolveva il problema dell’unificazione della Germania e perciò dedicò tutta la sua attenzione alla politica estera.
Competizione con l’Austria L’Austria fece la prima mossa propo­nendo di affidare alla dieta di Francoforte il potere di raffor­zare la confederazione germanica. Bismarck rispose proponendo l’elezione diretta di un Parlamento tedesco all’interno del quale la Prussia avrebbe  avuto la maggioranza dei seggi e nello stesso tempo fece chiedere alla Francia che cosa avrebbe fatto “se la situazione  tedesca diveniva incandescente”.  La risposta di Na­poleone III fu evasiva e il Bismarck comprese che da quella parte non correva pericoli.  Nel febbraio 1863, perciò, egli fu in gra­do di rifiutare le proposte austriache. 
La rivolta polacca In quell’anno scoppiò una grande rivolta in Polonia che mise in crisi il tentativo di Napoleone III di stabi­lire cordiali rapporti con la Russia, dal momento che l’opinione pubblica europea si era schierata a fianco della Polonia. Il Bi­smarck, invece, ne approfittò per cercare di stipulare con la Russia una convenzione per cooperare attivamente alla repressione dei moti polacchi giudicati un pericolo per la Prussia che, controllando la Posnania polacca, poteva temere una rivolta in quella regione. Fu un gesto avventato, perché la Russia non aveva bisogno dell’aiuto prussiano per re­primere la rivolta e poi perché la Francia, per motivi di politi­ca interna, fu costretta a dichiararsi favorevole alle richieste polacche.
Fallimento della confederazione germanica L’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe approfittò del passo falso di Bismarck invi­tando i principi tedeschi a un incontro a Francoforte per discu­tere la riforma della Confederazione germanica: era la proposta più sensata per risolvere il problema tedesco senza ricorrere al­le armi, instaurando una specie di direttorio dei príncipi tede­schi che così non sarebbero stati esautorati.  Il Bismarck, inve­ce, avrebbe  accettato un compromesso con l’Austria a spese dei piccoli Stati: certamente non gli passava per la mente di conce­dere ai príncipi tedeschi una qualche autorità sulla Prussia. Il re Guglielmo I sentiva in gioco la sua credibilità e il suo onore davanti all’opinione pubblica tedesca se rifiutava una soluzione equa, e fu sul punto di accettare la proposta. Il Bismarck rimase irremovibile e alla fine vinse: la mancata partecipazione del re di Prussia all’incontro dei príncipi a Francoforte fece fallire il progetto.
La questione dello Schleswig-Holstein Il Bismarck rispose al tentativo austriaco accentuando i buoni rapporti con Francia e Russia: stipulò un trattato commerciale con la Francia e lo impo­se allo Zollverein tedesco da cui era esclusa l’Austria. In quell’anno cruciale (1863) morì Federico VII di Danimarca:  poiché non aveva discendenti maschi si ripresentò la questione dello Schleswig-Holstein, un groviglio giuridico inestricabile. Esisteva un pretendente al governo dei due ducati, ma il Bismarck non aveva alcuna intenzione di per­mettere la creazione di un altro Stato tedesco ai confini con la Prussia.  Il ministro degli esteri austriaco von Rechberg cadde nella rete tesagli dal Bismarck e nel gennaio 1864 siglò un’alleanza con la Prussia per far guerra alla Danimarca, costretta a cedere i due ducati ai vincitori (trattato di Vienna, 20 ottobre 1864).
Amministrazione dello Schleswig-Holstein L’Austria avrebbe cedu­to volentieri i due ducati alla Prussia in cambio di garanzie prussiane per il possesso del Veneto e di aiuti per riconquistare la Lombardia. La proposta era sensata, ma il Bismarck ritenne il prezzo troppo alto e preferì l’amministrazione congiunta dei du­cati danesi che dal punto di vista austriaco era un assurdo.
Matura la guerra austro-prussiana Nel 1865, il consiglio della corona prussiana decise la guerra all’Austria. Il Bismarck propo­se addirittura un’alleanza con la Francia per sconfiggere l’Au­stria, un’idea che faceva inorridire Guglielmo I, cresciuto all’ombra della stretta alleanza tra Prussia e Austria al tempo della guerra contro Napoleone I.  Perciò egli accettò un compromesso: l’Austria avrebbe amministrato il ducato di Hol­stein, mentre la Prussia si sarebbe occupata dello Schleswig. A settembre, il Bismarck si incontrò a Biarritz con Napoleone III che tentò di ripetere la politica seguita in Italia con il Ca­vour: aiutare la Prussia contro l’Austria ed esigere un compenso territoriale per la Francia. Tuttavia, in questo caso Napoleone III non sarebbe sceso in campo, si accontentava di vendere la sua neutralità. Il Bi­smarck, diffidente, non accettò l’accordo e decise di stringere un’alleanza, prevista per la durata di tre mesi, con l’Italia (8 aprile 1866), con la cessione del Veneto all’Italia in caso di vittoria.
Sconfitta austriaca L’Austria portò la questione dei ducati da­vanti alla dieta di Francoforte, mentre le truppe prussiane en­travano nello Holstein.  La dieta di Francoforte condannò la Prussia, ma il Bismarck pose termine alla Confederazione: era la guerra. Su­bito una potente armata agli ordini di von Moltke invase la Boe­mia e il 3 luglio avviluppò con perfetta manovra l’esercito au­striaco nei pressi del villaggio di Sadowa.  Il re Guglielmo I era stato indotto alla guerra con fatica da parte del Bismarck, e alla fine si era persuaso che l’aggressore era davvero il governo austriaco, e che la guer­ra andava condotta fino a Vienna. Occorse una violenta disputa col Bismarck che alla fine riuscì a indurre l’anziano monarca a firmare i preliminari di pace nei pressi del villaggio di Nikol­sburg (26 luglio 1866): l’Austria era esclusa dalla politica tedesca e tutta la Germania era divisa in due zone: quella po­sta a nord della linea del Meno passava sotto egemonia prus­siana, mentre gli Stati a sud del Meno rimanevano indipendenti. La moderazione del Bismarck nei confronti dell’Austria si spiega ammettendo che il cancelliere di ferro avesse già in mente la guerra succes­siva contro la Francia, e la formazione di un blocco di potenze conservatrici.
Elezioni del Parlamento Le elezioni tenute in Prussia subito do­po la conclusione della guerra contro l’Austria assegnarono la mag­gioranza al partito liberal-nazionalista che confermò la politica del Bismarck, chiudendo la questione del bilancio per l’esercito. Fu deciso di dar vita a un Reichstag, un Parlamento confederale eletto a suffragio universale in cui la Prussia aveva il predominio. Il cancelliere era responsabile verso il Reichstag.

20. 5  La guerra franco prussiana e il Secondo Reich

     Le due guerre fortunate avevano fatto salire la temperatura del nazionalismo tedesco a limiti pericolosi. 
Disagio della politica estera francese Durante le trattative di pace del 1866, Napoleone III affermò di essere sod­disfatto del nuovo ordine europeo, ma i suoi ministri ritenevano necessario offrire all’opinione pubblica francese qualche com­penso. Si parlò del Belgio, poi della riva sinistra del Reno, infine del Lussemburgo che faceva parte della vecchia Confedera­zione germanica e aveva un presidio di truppe prussiane, anche se apparteneva al regno d’Olanda. Il Bismarck suggerì alla Francia l’acquisto del principato dall’Olanda, ma quando il pubblico co­minciò a sapere qualcosa della faccenda, il nazionalismo tedesco insorse contro la perdita di un “antico territorio tedesco”: fu convocata una conferenza internazionale che decise la neutralizzazione del principato, in luogo dell’annessione alla Francia. 
Cresce la virulenza del nazionalismo Anche la guerra contro la Francia non sembra sia stata pianificata dal Bismarck con la determinazione in seguito vantata, bensì suggerita dal prorompente nazionalismo. Certamente ogni progetto di alleanza tra Francia e Prussia cadde, mentre si apriva il problema politi­co posto dagli Stati della Germania meridionale, in primo luogo la Baviera. Il Bismarck aveva affermato che non era opportuno l’ingresso di Stati cattolici in una confederazione tedesca in cui predominavano i protestanti, ma esisteva il pericolo che la Germania meridionale si alleasse con l’Austria o con la Francia, con eserciti stranieri sulla linea del Meno.
Il trono di Spagna Per intanto, il Bismarck si propose di accre­scere il prestigio della dinastia degli Hohenzollern in Europa, incoraggiando i membri dei rami collaterali ad accettare troni vacanti. Nel 1866, Carlo di Hohenzollern-Sigmaringen accettò, su suggerimento del Bismarck, il trono di Romania. Nel 1869, al fratello Leopoldo fu offerto il trono di Spagna, vacante dal 1868. Non è chiara la linea seguita dal Bismarck, ma è difficile credere che egli sia stato del tutto estraneo alla richiesta fat­ta dalle Cortes di Spagna a un parente di Guglielmo I. Il princi­pe appariva riluttante, ma la diplomazia lavorò in si­lenzio per mettere la Francia di fronte al fatto compiuto. Il 3 luglio 1870 la vicenda divenne di dominio pubblico: il governo francese chiese la rinuncia. Guglielmo I, come capo della fami­glia, accolse la richiesta francese. Il 12 luglio la rinuncia di Leopoldo al trono di Spagna divenne ufficiale e comunicata ai go­verni interessati. A questo punto la sconfitta diplomatica sem­brava ricadere sul Bismarck che aveva montato la vicenda, ma il governo francese commise l’errore di voler stravincere. L’amba­sciatore francese Vincent Benedetti ricevette l’ordine di esigere una dichiarazione scritta da Guglielmo I che mai per il futuro avrebbe accettato la candidatura di un membro della sua famiglia al trono di Spagna. Guglielmo I, a Ems per le cure termali, di­chiarò all’ambasciatore francese che la vicenda era chiusa, poi informò dell’accaduto il Bismarck con un telegramma.
Il telegramma di Ems Quello che accadde in seguito è anche trop­po noto. Il Bismarck riuscì a trasformare una sconfitta diploma­tica in una sfida: il telegramma fu manipolato in modo tale da far sembrare che l’ambasciatore fosse stato insultato e così fu comunicato alla stampa. Il resto lo fece il nazionalismo france­se che indusse il governo, nel corso di una riunione tenuta il 15 luglio, a dichiarare guerra alla Prussia.
La guerra franco-prussiana  Le forze di tutti gli Stati tede­schi, compresi quelli meridionali, si posero al comando di Gu­glielmo I.  L’Austria si tenne neutrale e così la Russia. La Gran Bretagna pretese la neutralità del Belgio. La Fran­cia si mise in offensiva, vincendo un piccolo combattimento a Saarbrücken, ma le truppe più numerose, al comando del generale Mac Mahon, furono sconfitte il 4 e il 6 agosto nei pressi della frontiera. Un’altra armata francese fu circondata a Metz e non riuscì ad aprirsi un varco nel corso di due battaglie combattute a Mars-la-Tour e Gravelotte (16 e 18 agosto), sanguinose e non decisive vittorie prussiane. L’ar­mata del Mac Mahon tentò di rompere l’assedio intorno a Metz, ma non riuscì nel compito e anch’essa fu circondata e battura a Sédan il 2 settembre 1870. Con meraviglia, i prussiani si accor­sero di aver catturato Napoleone III.
Caduta del regime di Napoleone III A Parigi fu decretata la fine del regime napoleonico e la creazione di un governo repub­blicano provvisorio che rifiutò la resa. Intanto Metz e Strasburgo cad­dero in mano prussiana, permettendo alle truppe vincitrici di stringere l’assedio intorno a Parigi. Ci fu un rallentamento dei combattimenti dovuto a problemi logistici, superati i quali le truppe prussiane iniziarono il bombardamento della capitale francese che dopo un mese, il 28 gennaio 1871, dovette capitolare.
La cessione di Alsazia-Lorena Il 26 febbraio Jules Favre siglò per la Francia i preliminari di pace, mentre il trattato di pace vero e proprio fu firmato il 10 maggio a Francoforte sul Meno. La Francia fu costretta a cedere l’Alsazia e la Lorena, richieste dai generali tedeschi per pretese necessità di ordine strategico, e a pagare l’enorme somma di due miliardi di franchi come ripara­zioni di guerra, impegnandosi a mantenere fino al termine del pa­gamento, previsto in cinque anni, truppe tedesche su alcune parti del suo territorio.
I motivi della sconfitta francese Perché fu possibile un crollo così rapido di quella che era sembrata la maggiore potenza militare d’Europa? Gli storici militari sono concordi nell’affermare che Napoleone III, come stratega, era una pallida ombra rispetto al grande zio. Inoltre era anziano e malato, timoroso di cedere il comando.  Un’altra causa tecnica fu la mancanza di un piano di guerra gene­rale. Gli altri generali non erano molto più capaci di Napoleone: avevano fatto carriera  nelle guerre coloniali di Algeria al comando di unità non più grandi di un reggimento e perciò non erano avvezzi a comandare la manovra di grandi unità come le armate. Infine, dopo i primi insuccessi, cominciarono a litigare, per scaricare la responsabilità della sconfitta.  Anche in campo prussiano non tutto era andato liscio. Le perdite di vite umane furono gravissime. La resistenza di Parigi non era stata prevista. Se Russia o Gran Bretagna fossero intervenute, vincere la guerra sarebbe risultato difficile. 
La successiva politica del Bismarck Il Bismarck fu un giocatore fortunato, che seppe fermarsi in tempo. Dopo la guerra, tutta la sua attività politica, durata un altro ventennio, fu rivolta a mantenere ciò che aveva acquistato. Occorreva isolare la Francia, spingendola all’espansione coloniale per metterla in opposizione alla Gran Bretagna; stringere patti difensivi con Austria e Rus­sia; scoraggiare in patria movimenti sociali come quello che ave­va sconvolto la Francia durante il tentativo della Comune; non entrare in conflitto con la Gran Bretagna, minacciando la sua egemonia sul mare. Tutto ciò andò sotto il nome di Realpolitik.
Nazionalismo, militarismo, imperialismo La lezione del 1870 fu attentamente studiata dai politici di tutto il mondo. Ormai, si pensava, poco conta il patriottismo e l’eroismo individuale. Le guerre vengono vinte dall’organizzazione e dalla produzione industriale. Nel 1793 avevano vinto gli eserciti animati da spi­rito patriottico: ora vincono gli eserciti di tecnici. Ma se si scontrano nazionalismi ugualmente agguerriti, proposti da Stati retti da sistemi economici e produttivi di uguale efficienza, la guerra non rischia di durare troppo a lungo, travolgendo vincito­ri e vinti?  La Francia poteva rimontare nel giro di qualche anno le carenze organizzative messe a nudo: che cosa avrebbe fatto la Germania in questa eventualità? I politici pensarono che occorreva dedicare all’esercito le maggiori atten­zioni, rafforzandolo sempre di più: ma l’esercito costa molto de­naro e solo un sistema economico di alta produttività  può creare la ricchezza necessaria per mantenerlo. Perciò bisognava produrre e conquistare mercati di esportazione sempre più estesi, tenendo bassi i salari per rein­vestire in attività produttive ingenti  somme di denaro. Inoltre occorrevano sistemi di insegnamento e centri di ricerca efficienti per trovare le applicazioni tecnologiche delle scoperte scientifiche. Infine, occorreva la coesione sociale all’interno di ogni Stato, per impedire conflitti in seno alla nazione in grado di ritardarne lo sviluppo. Le conseguenze della guerra condussero perciò a un crescente interventismo dello Stato in tutti i settori della vita pubblica, a una restrizione delle libertà personali, a un patriottismo bellicoso sollecitato dal potere politico.
Il nuovo equilibrio europeo Giunti a questo punto è opportuno esaminare la nuova geografia politica d’Europa. La Germania è di­venuta la prima potenza militare di terra in posizione di egemo­nia. Può contare sulla neutralità della Gran Bretagna, a patto di non interferire con l’egemonia marittima e commerciale britannica sul resto del mondo. La Russia è potenzialmente un gigante ma ap­pare priva di ciò che ha promosso la grandezza della Germania: dal punto di vista tedesco non è prudente rafforzare la Russia. L’impero d’Austria è formato da un mosaico di nazionalità e ha bisogno della pace, della stabilità per potersi rafforzare nei Balcani che saranno ancora per molto tempo la polveriera europea. La scelta politica del Bismarck è quasi obbligata: oc­corre allearsi con l’impero absburgico. L’Italia è l’ultima nata tra le potenze europee: la sconfitta francese ha incrinato la collaborazione tra queste due nazioni;  la presa di Roma, avvenu­ta il 20 settembre 1870, approfittando della sconfitta francese, aveva alienato le simpatie francesi. Se il Bismarck fosse riu­scito ad attirarla nel sistema tedesco, si sarebbe avuto il du­plice vantaggio di isolare la Francia indebolendola nel Mediter­raneo, e di assopire le rivendicazioni italiane in direzione del Trentino e della Venezia Giulia. La Francia poteva venir paraliz­zata dal dissenso interno e incoraggiata a indirizzarsi verso le imprese coloniali che l’avrebbero posta in conflitto con la Gran Bretagna.  Le altre nazioni euro­pee non avevano un peso tale da indebolire la nuova bilancia dei poteri.
Il Secondo Reich tedesco Rimane da esaminare la questione rela­tiva alla proclamazione del Secondo Reich tedesco. Durante la guerra furono condotti negoziati per unire alla Prussia tutti gli Stati tedeschi, eccetto l’Austria.  Nel settembre 1870, a Monaco erano stati discussi i termini per l’unificazione di Prussia, Ba­viera, Württemberg e Baden.  La Baviera e il Württemberg ottenne­ro alcune concessioni particolari.  Rimaneva la questione del no­me da dare al nuovo Stato. Bismarck propose la rinascita del Reich tedesco e il titolo di imperatore per Guglielmo I, il quale oppose notevoli resistenze perché temeva la scomparsa dell’antico spirito prussiano. Il Bismarck, come al solito, impose la sua visione e il 18 gennaio 1871, nel salone degli specchi di Versailles avvenne la proclamazione di Guglielmo I a impe­ratore di Germania. Il nuovo Reich consisteva di quattro regni, cinque granducati, tredici ducati e principati, e infine di tre città libere (Amburgo, Lubecca e Brema). L’Alsazia-Lorena fu trattata da territorio di conquista, anche a causa della forte resistenza locale contro l’annessione.
Problemi costituzionali Il Reichstag fu eletto da tutta la Ger­mania e accettò la costituzione del 1867.  Rimase aperto il pro­blema dei poteri del Reichstag nei confronti del potere esecuti­vo, mai risolto, ossia la posizione del cancelliere imperiale e la procedura per autorizzare le spese militari. Il cancelliere fu definito “responsabile” ma non fu mai stabilito verso chi. Il Bismarck si ritenne responsabile verso l’imperatore, mentre i deputati l’avrebbero voluto responsabile verso il Parlamento.  La questione dei fondi dell’esercito fu risolta parzialmente col si­stema del settennato, al termine del quale si poneva il problema del rinnovo: il Bismarck con la sua abituale brutalità, ricorse a sistemi pesanti come quello di provocare artificialmente pericoli di guerra e così costringere il riluttante Parlamento a concedere i fondi ritenuti indispensabili per mantenere sotto le armi almeno 400.000 soldati. Questi furono i sistemi mediante i quali la Germania fu riunificata, divenendo la maggiore potenza europea.

20. 6 L’opera successiva del Bismarck

     Se messe a confronto con la modernità della produzione industriale e dell’esercito, le scelte politiche operate in campo sociale dal Bismarck appaiono arcaiche, quelle di uno Junker di Pomerania che aveva ancora giurisdizione feudale sui propri contadini.
Politica interna e prestigio nazionale La politica interna del Bismarck finì per identificarsi con la sua politica estera, rivolta a difendere l’impero dai pericoli che ne minacciavano la sicurezza. In Germania esisteva un Parlamento eletto a suffragio universale, ma il cancelliere poteva governare anche senza una maggioranza perché egli era responsabile verso l’imperatore. I partiti all’opposizione erano trattati alla stregua di nemici da schiacciare come i nemici esterni.
La vicenda del Kulturkampf Nell’anno stesso della proclamazione dell’impero, dietro suggerimento del noto scienziato-deputato Rudolf Vierchow che coniò l’altisonante termine di Kulturkampf (battaglia per la civiltà), il cancelliere iniziò una violenta campagna contro il partito dei cattolici denominato Zentrum, forte soprattutto in Baviera, una regione prevalentemente agricola, abitata da una popolazione cattolica. I deputati del Zentrum non erano socialisti e non si identificavano col fiero conservatorismo dei partiti che sostenevano il cancelliere di ferro. Il Bismarck temeva che il partito di Zentrum potesse divenire il perno di una coalizione con potenze cattoliche come l’Austria e la Francia: sapeva inoltre che i cattolici tedeschi non erano stati fervidi sostenitori della proclamazione dell’impero.
Leggi antiecclesiastiche Mediante la campagna del Kulturkampf, condotta in modo da rendere difficile l’attività dei vescovi cattolici (furono interrotte le relazioni diplomatiche con la Santa Sede, furono sciolti i circoli e le organizzazioni dei cattolici, furono stampati libelli infamanti, i Gesuiti furono espulsi dalla Germania, molti seminari e scuole cattoliche furono chiusi ecc.) il Bismarck mirava alla separazione netta tra Chiesa e Stato, tra Chiesa e istruzione. Il culmine della campagna fu raggiunto con le Leggi di maggio del 1873, che pretendevano di regolare l’istruzione e le nomine del clero. Verso il 1876 i vescovi prussiani si trovavano in prigione o erano fuggiti all’estero e molte parrocchie erano prive di parroco. Il Bismarck si rese conto di essersi messo in un vicolo cieco: decise di cambiare rotta per l’interesse dello Stato a partire dal 1878, quando si accorse che i deputati cattolici al Parlamento erano rimasti gli stessi di numero, mentre i socialisti avevano riportato una notevole affermazione elettorale. Decise di distaccarsi dai nazional-liberali e si avvicinò all’Austria-Ungheria, la principale potenza cattolica d’Europa che volle, come prezzo politico, la fine di quel sistema discriminatorio. Il nuovo papa Leone XIII facilitò il rientro della campagna del Kulturkampf, mentre il Zentrum votò a favore del Bismarck nel corso della discussione per la nuova politica finanziaria e per l’istituzione di tariffe protezioniste che apparivano favorevoli ai contadini bavaresi.
Abrogazione delle Leggi di maggio Nel 1887 le tanto contestate Leggi di maggio furono abrogate: rimasero in vigore solo alcune innovazioni come il matrimonio civile e l’ispezione statale nelle scuole cattoliche che, indirettamente, le costrinse a migliorare la qualità dell’insegnamento.
Leggi antisocialiste In modo analogo fallì la guerra preventiva condotta dal Bismarck contro il partito socialista. Prendendo a pretesto due attentati contro l’imperatore Guglielmo I, il Bismarck fece votare nel 1878 una serie di leggi contro i socialisti, con ampio ricorso all’intimidazione, con l’imprigionamento di almeno 1500 dirigenti socialisti. Quelle leggi provocarono la reazione dei nazional-liberali che, pur contrari ai socialisti, non accettavano il ricorso a provvedimenti antidemocratici. Perciò il Bismarck fece sciogliere il Parlamento indicendo le già ricordate elezioni del 1878 che videro la notevole affermazione dei socialisti, mentre i nazional-liberali risultarono sconfitti. Costoro furono costretti ad approvare le leggi antisocialiste proposte dal Bismarck che facevano divieto di riunione e di stampa ai socialisti, costringendoli alla clandestinità, ma senza togliere il diritto di voto agli elettori e ai deputati socialisti di sedere in Parlamento: in altre parole il Bismarck esercitava il potere in modo arbitrario, ma senza giungere alle estreme conseguenze dei successivi governi totalitari che adottarono il sistema del partito unico.
Il partito socialdemocratico Le leggi antisocialiste durarono fin verso il 1880 e anche in questo caso il risultato non voluto fu di portare maggiore chiarezza e stabilità in seno al partito socialista tedesco che si avviò nella direzione socialdemocratica, ossia era un partito che rinunciava a far ricorso alla rivoluzione come metodo per giungere al potere. Dopo il 1890 il partito socialdemocratico tedesco appariva il più solido tra i partiti socialisti europei, un vero partito di massa che si proponeva di arrivare a essere partito di governo. Anche nel corso della lotta contro i socialisti il Bismarck rivelò che il suo fine era la stabilità e la potenza dello Stato piuttosto che la dimostrazione di una ottusa e settaria insensibilità sociale.
Nazionalismo contro internazionalismo Fin dal decennio tra il 1860 e il 1870 il cancelliere aveva espresso il convincimento che non si potevano ignorare a lungo le richieste socialiste: ciò che Bismarck osteggiava era l’internazionalismo dei socialisti come Marx, che peraltro viveva in Inghilterra, ritenuto in grado di stabilire alleanze politiche coi socialisti presenti in altri paesi ai danni dell’impero tedesco.
Riforme sociali in Germania Dopo il 1880 il Bismarck ritenne giunto il momento di spuntare le armi dei socialisti imponendo dall’alto alcune importanti riforme sociali. Con tre leggi ordinò l’assicurazione malattie (1883), l’assicurazione infortuni (1884) e l’assicurazione invalidità e vecchiaia (1889) che il sistema industriale tedesco poteva sopportare. Il proposito del Bismarck era di istituire un sistema di autotassazione da parte dei datori di lavoro e degli operai, integrato da sovvenzioni da parte dello Stato che rendeva le assicurazioni obbligatorie per tutti gli operai dell’industria: costoro avrebbero avuto qualcosa da perdere, oltre le loro catene, se un’ipotetica rivoluzione avesse sconvolto l’ordine sociale esistente. L’opposizione liberale accusò il Bismarck di praticare un socialismo di Stato, di sconvolgere le leggi di mercato.
Si accentua lo statalismo Le leggi antisocialiste e l’introduzione di tariffe doganali in funzione di difesa del lavoro nazionale segnano, nel 1879, un’importante cesura tra un’epoca e l’altra della storia tedesca. Prima di quella data si poteva immaginare uno sviluppo economico e sociale in Germania simile a quello inglese; dopo quella data, invece, appare chiara un’accentuazione in senso statalista. Bismarck aveva vinto parzialmente la lotta contro il Zentrum e contro il partito socialista, perdendo però l’appoggio dei nazional-liberali e del Parlamento che fino al suo ritiro dalla politica, avvenuto nel 1890, gli fu quasi sempre ostile.
Guglielmo II Quando Guglielmo I morì ultranovantenne nel 1888, gli successe il figlio Federico III affetto da malattia incurabile, morto tre mesi dopo il padre. Il nuovo imperatore fu Guglielmo II ancor giovane, intollerante della tutela esercitata dal Bismarck sulla politica tedesca: appariva desideroso di affermarsi portando al potere una nuova generazione di politici che ritenevano l’impero tedesco una realtà definitiva.
Dimissioni del Bismarck Dopo l’accessione al trono di Guglielmo II, la posizione politica del Bismarck divenne insostenibile: nel 1889 ci fu un imponente sciopero di minatori della Ruhr che il cancelliere e il giovane imperatore intendevano risolvere diversamente; nel Parlamento il cartello dei partiti conservatori tornò a dividersi e le elezioni che seguirono furono interpretate come una sconfitta della politica bismarckiana: il vecchio cancelliere, al potere da 28 anni, dovette lasciare la carica.
Isolare la Francia Dopo il potenziamento dell’esercito e dopo tre guerre contro Danimarca, Austria e Francia, il Bismarck dava per scontata l’ostitlità della Francia. Bisognava impedirle di allearsi con una grande potenza europea, specie con una che si trovasse a oriente o a sud della Germania, per non avere due potenziali fronti di guerra. A sud e a est della Germania ci sono Austria e Russia. Fin dal 1872 il Bismarck propose il Patto dei tre imperatori, una riedizione della Santa Alleanza del 1815. Ma Austria e Russia avevano tra loro gravi motivi di conflitto a causa di interessi contrastanti nei Balcani e in Turchia. Il Bismarck dovette perciò scegliere tra Austria e Russia. La scelta era quasi obbligata a favore dell’Austria.
Alleanza franco-russa La successiva mossa politica della Russia, l’alleanza con la Francia, era scontata. Infatti, la Russia aveva impellente bisogno di capitali e di tecnologia per il proprio sviluppo e la Francia poteva offrirli in abbondanza. Più tardi, verso il 1887, il Bismarck propose alla Russia un Trattato di controassicurazione, ma si trattava di diplomazia di vecchio stile che non risolveva il problema.
L’Italia nella Duplie alleanza La Duplice alleanza tra Germania e Austria non fu rafforzata dall’adesione dell’Italia nel 1882: anche in questo caso si trattava di diplomazia di vecchio stile perché tra Italia e Austria esisteva un reale motivo di conflitto circa il futuro delle province di Trento e di Trieste: l’Italia rimaneva l’ultima e la più problematica delle potenze europee.
Le relazioni tedesche con la Gran Bretagna Il sistema bismarckiano aveva senso a patto che la Gran Bretagna conservasse il suo aureo isolamento dall’Europa, al riparo della sua flotta e del suo impero. Il Bismarck su questo punto aveva le idee chiare e valutò chiaramente i pericoli che correva la Germania, ma i circoli militaristi, industriali e nazionalisti riuscirono a imporgli la creazione di in un impero coloniale tedesco. In due anni, tra il 1883 e il 1885, la Germania occupò il Camerum e poi il Togo nel Golfo di Guinea; il Tanganika nell’Africa orientale e l’Africa del sud-ovest (Namibia) che segnarono la tappa d’arresto dei sogni imperiali britannici. Qualche arcipelago del Pacifico e la metà dell’enorme isola di Papua completarono il bottino coloniale. Tuttavia il Bismarck non commise l’errore di progettare la costruzione di una grande flotta d’alto mare perché tutto il denaro della difesa doveva esser destinato all’esercito.

20. 7 Cronologia essenziale

1862 Otto von Bismarck diventa cancelliere del regno di Prussia, sotto il regno di Guglielmo I.  Rimarrà in carica fino al 1890.
1864 La Danimarca è sconfitta nel corso di una breve guerra combattuta contro l’Austria e la Prussia: con la pace di Vienna cede i ducati di Schleswig e Holstein.
1866 Il conflitto per l’amministrazione delle due regioni ex da­nesi, conduce alla guerra austro-prussiana. L’Austria è scon­fitta a Sadowa dall’esercito prussiano.
1870 La Francia dichiara guerra alla Prussia. Dopo la sconfitta di Sédan, cade il Secondo impero ed è proclamata la Terza re­pubblica.
1871 A gennaio, nel salone degli specchi di Versailles, è proclamato il Secondo Reich tedesco.
1871 A maggio è firmata la pace tra Francia e Germania che ottiene le due regioni di Alsazia e Lorena.
1879 Germania e Austria stipulano la Duplice alleanza.
1882 Con l’adesione dell’Italia, la Duplice alleanza diventa Triplice.
1888  Diviene imperatore di Germania Guglielmo II, deciso a sottrarsi alla tutela politica del Bismarck.
1890 Il Bismarck si dimette dalla carica di cancelliere.

20. 8 Il documento storico
 
     Il documento che segue è un buon esempio di diplomazia se­greta: il trattato di alleanza tra l’Italia e la Prussia, stilato l’8 aprile 1866. Esso prevedeva la guerra all’Austria entro tre mesi, pena la decadenza del trattato stesso. Prevedeva la cessio­ne del Veneto all’Italia e di territori equivalenti per popola­zione alla Prussia.

     “Trattato di alleanza tra l’Italia e la Prussia.
Art. 1 Vi sarà alleanza fra S.M. il Re d’Italia e S.M. il Re di Prussia.
Art. 2 Se i negoziati che S.M. il Re di Prussia sta per aprire con altri governi tedeschi in virtù di una riforma della Costitu­zione federale conforme ai bisogni della Nazione germanica non riuscissero, e S.M. per conseguenza fosse messa in condizione di prendere le armi per far prevalere le sue proposte, S.M. il Re d’Italia, dopo l’iniziativa presa dalla Prussia, appena ne sarà informato, in virtù della presente convenzione, dichiarerà guerra all’Austria.
Art. 3 A partire da tale momento, la guerra sarà proseguita dalle LL. MM. con tutte le forze che la Provvidenza ha messo a loro di­sposizione, e né l’Italia né la Prussia potrà concludere pace o armistizio senza mutuo consenso.
Art. 4 Il consenso non potrà essere rifiutato qualora l’Austria avrà acconsentito a cedere all’Italia il reame del Lombardo-Veneto e alla Prussia territori austriaci equivalenti come popo­lazione al detto Reame.
Art. 5 Questo trattato cesserà di aver vigore tre mesi dopo la firma, se in tale intervallo la Prussia non avesse dichiarato la guerra all’Austria.
Art. 6 Se la flotta austriaca lascia l’Adriatico prima della di­chiarazione di guerra, S.M. il Re d’Italia manderà un numero suf­ficiente di vascelli nel Baltico, dove stazioneranno per esser pronti ad unirsi alla flotta prussiana, appena s’inizieranno le ostilità”.

Fonte: U. GOVONE, Il generale Giuseppe Govone, Casanova, Torino 1902, p. 402.

20. 9 In biblioteca
     È difficile sopravvalutare l’importanza del libro di K. von CLAUSEWITZ, Della guerra, 2 voll., Mondadori, Milano 1978. Di no­tevole interesse il libro di G. MANN, Storia della Germania mo­derna (1788-1958), Sansoni, Firenze 1964. Per la comprensione dell’opera di Bismarck si consiglia di A.J.P. TAYLOR, Bismarck. L’uomo e lo statista, Laterza, Bari 1988; si legga anche di E. EYCK, Bismarck, Einaudi, Torino 1950. Di notevole importanza di G. RITTER, I militari e la politica della Germania moderna, Ei­naudi, Torino 1967. Importante il lavoro di M. STURMER, La Germania dal 1866 al 1918, il Mulino, Bologna 1986.