Libro III – Cap. 18 Il nazionalismo (I)

Prof. A. Torresani. 18. 1  Luigi Napoleone Bonaparte – 18. 2  La crisi dell’impero absburgico
 

   Il 1848 fu per l’Europa la fine dell’epoca dell’assolutismo, già distrutto in Francia dalla grande rivoluzione, ma rinato nell’epoca napoleonica sotto forma di assolutismo amministrativo, che reclutava i suoi servitori tra la borghesia, senza credere nell’efficacia dei governi parlamentari, dei partiti politici, delle elezioni.  Per alcuni versi il 1848 significò per l’Europa la fine dell’antico regime, ma non ancora l’avvento della demo­crazia.  I governi, superata la tempesta rivoluzionaria, trovaro­no nel nazionalismo l’ideologia in grado di sopire i pericolosi fermenti sociali affiorati nel corso delle rivoluzioni di quell’anno.  L’esempio venne ancora una volta dalla Francia, dove Napoleone III ripristinò con colpi di Stato un potere si­mile a quello dello zio. Tale politica mise in crisi l’Impero ab­sburgico che non aveva unità etnica, favorendo la Prussia che di­venne la maggiore potenza militare del continente; mise in crisi lo zarismo in Russia: non avendo concesso alcuna riforma interna, finì per apparire obsoleto; accelerò la crisi dell’impero turco divenuto oggetto di contesa tra le grandi potenze occidentali.
      Dopo il 1848, l’Europa conobbe un decennio di notevole svi­luppo economico e industriale: le ferrovie congiungevano ogni città del vecchio continente, stimolando le industrie minerarie, siderurgiche e meccaniche; la navigazione a vapore congiunse i porti di tutto il mondo senza più dipendere dal vento; l’agricol­tura conobbe un decisivo sviluppo, accelerato dalla ri­duzione dei prezzi delle derrate agricole, dovuta all’immissione sui mercati mondiali del grano e della carne provenienti dall’A­merica.
      Con l’industrializzazione affioravano le tensioni sociali, ma la sconfitta dei tentativi democratici nel corso delle rivolu­zioni del 1848 non permise una pronta rinascita degli ideali re­pubblicani e parlamentari.
  
 18. 1  Luigi Napoleone Bonaparte
        Strano personaggio il figlio di Ortensia Beauharnais e di Luigi Bonaparte.  Nato nel 1808 a Parigi, crebbe dopo il 1815 in un castello presso il lago di Costanza, dove visse con la madre. 
 La giovinezza di Luigi Napoleone Bonaparte Nel 1823 fece un viaggio in Italia per visitare il padre che abitava a Firenze, e la nonna Letizia che viveva a Roma. Sulle sponde del Rubicone sognò di ripetere le gesta di Giulio Cesare, il personaggio sto­rico rimasto dominante nella sua vita.  All’età di vent’anni era un liberale, nemico dei Bor­bone, ostile ai trattati del 1815.  Quando nel 1831 scoppiarono i moti di Romagna, divenuto carbonaro, si mise in luce nello scontro di Civita Castellana, ma l’arrivo in forze degli austriaci lo costrinse a fuggire. Il fratello maggiore Napoleone Luigi morì nel corso di quell’impresa, mentre Luigi Napoleone riuscì a raggiungere la Francia, ottenendo  da Luigi Filippo d’Orléans il permesso di soggiorno.
 Luigi Napoleone carbonaro La congiura di Strasburgo, tentata nel 1836, fu un tonfo: Luigi Filippo, non volendo offrire l’aureola del martirio al giovane napoleonide, lo fece imbarcare per l’Ame­rica, ma a New York Luigi Napoleone rimase poco perché già l’anno dopo, con passaporto falso, rientrò in Svizzera.  Nel 1839 Luigi Napoleone lasciò la Svizzera e si recò a Londra dove condusse vi­ta brillante.  Nel 1840 sbarcò con una cinquantina di complici a Boulogne per sollevare la Francia. Fu un altro insuccesso, segui­to da processo davanti alla corte dei pari di Francia. Nel giorno in cui le ceneri di Napoleone I erano solennemente tumulate nell’Hotel des Invalides, Luigi Napoleone fu rinchiuso nella fortezza di Ham dove rimase sei an­ni, più tardi definiti “la sua università”. Nel maggio 1846, Lui­gi Napoleone fuggì dal carcere.
 Luigi Napoleone presidente Alcuni amici interessati ai suoi pro­getti gli anticiparono parecchio denaro. L’occasione arrivò con la rivoluzione del febbraio 1848: Luigi Napoleone offrì i suoi servizi al governo provvisorio, che li rifiutò. Tuttavia, alle elezioni del 15 maggio, risultò eletto in quattro dipartimenti e quindi pose la sua candidatura alla presidenza della repubblica, ripor­tando un clamoroso successo (10 dicembre 1848).  Da quel momento i suoi sforzi furono rivolti a realizzare un potere assoluto.
 L’intervento militare a Roma Si impegnò subito nella spedizione a Roma contro la Repubblica romana adducendo tortuosi pretesti: da una parte doveva accontentare i cattolici, dall’altra non do­veva disgustare i repubblicani, ma soprattutto doveva impedire che l’Austria riportasse una schiacciante vittoria in Italia. La stessa tortuosità d’intenti, mediante finte e falsi scopi, fu impiegata per screditare l’assemblea che, nata da una reazione borghese, voleva limitare il suffragio universale: Luigi Napoleo­ne fu così abile da gettare sull’assemblea la responsabilità di quel colpo di Stato.
 Si delinea il Secondo impero La sua carta vincente era il plebi­scito, un modo per impiegare il suffragio universale, ma solo per scardinare l’opposizione mediante la presentazione agli elettori di un’alternativa che in realtà non esisteva e che perciò sembra­va sancire la sua politica.  Circondato da un gruppo di opportu­nisti facenti capo a Morny (un fratellastro di Luigi Napoleone) che gli misero a disposizione le loro ricchezze, aiutato da una campagna di stampa ben orchestrata che agitava lo spaurac­chio dello “spettro rosso”, il presidente aspirante imperatore dei francesi ricorse alla politica dei fatti compiuti: mise uomi­ni di fiducia a capo dell’esercito, della polizia e della guar­nigione di Parigi e, finalmente, il 2 dicembre 1852, compì il colpo di Stato.
 Il partito nazionale L’imperatore giustificava la concentrazione del potere nelle sue mani per impiegarlo a beneficio di tutti, per unire tutte le classi sociali in un “grande partito naziona­le” legato alla sua dinastia. Il successo di Napoleone III, almeno fino al 1856, fu com­pleto.  La Francia attraversava un periodo di benessere, favorito dalla felice congiuntura economica. L’imperatore amava apparire, nonostante la personale irreligiosità, il restauratore degli al­tari rovesciati.  Accontentò gli industriali offrendo tutto ciò che chiedevano: estensione del credito, sviluppo delle ferrovie, libertà di intrapresa economica.  Pensò anche alle classi povere tenendo basso il prezzo del pane. Facendo effettuare grandi lavo­ri pubblici. Parigi cambiò aspetto: interi quartieri furono ab­battuti per far posto a piazze circolari e a viali che avevano, tra gli altri, il vantaggio di non permettere la costruzione di barricate.
 La guerra di Crimea A Napoleone III occorreva la gloria delle armi per emulare lo zio.  L’occasione gli fu offerta dalla questione dei Luoghi Santi in Palestina, sfociata in attriti con la Russia, culminati nella guerra di Crimea combattuta in stretta alleanza con la Gran Bretagna.  Poiché ogni guerra termina in un con­gresso di pace, Parigi fu prescelta come luogo in cui celebrare il trionfo diplomatico (25 febbraio-30 marzo 1856): Napoleone III ritenne di aver cancellato le umiliazioni francesi del 1815 e del 1840, e per di più la continuità della dinastia sembrava assi­curata dalla nascita del figlio Eugenio (1856-1879). Il compi­mento delle aspirazioni di Napoleone III era il trionfo  del na­zionalismo e l’aiuto ai popoli decisi a liberarsi dalla domina­zione straniera.
 La guerra d’Italia Dopo aver umiliato la Russia, bisognava umi­liare l’Austria: i progetti italiani della giovinezza non erano stati dimenticati. I cattolici francesi non desideravano inter­venti in Italia perché al primo urto sarebbe caduto lo Stato del­la Chiesa: l’imperatrice Eugenia fu l’anima della resistenza in Francia ai progetti italiani, mentre il prin­cipe Girolamo Napoleone, cugino dell’imperatore, ne era il so­stenitore. La situazione di stallo fu superata dall’attentato di Felice Orsini, un mazziniano che tentò di far saltare per aria Napoleone III.  Durante il processo, l’Orsini condannò il proprio gesto, affermando però che altri l’avrebbero imitato se l’imperatore non risolveva la questione dell’indipendenza e dell’unità d’Italia. Sempre ricor­rendo a metodi tortuosi, Napoleone III prese accordi col Cavour e nel 1859, dopo aver ottenuto che l’aggressore sembrasse l’impero absburgico, guidò quella che doveva essere la sua campagna mili­tare, condotta negli stessi luoghi dei trionfi del grande zio. Il gioco non riuscì perché i rapporti con la Gran Bretagna diven­nero tesi e soprattutto perché all’interno della Francia sorsero opposizioni non previste da parte dei cattolici e degli avversari del regime. Queste difficoltà, più che le minacce della Prussia, costrinsero l’imperatore al frettoloso armistizio di Villafranca (11 luglio 1859).
 La svolta liberale del Secondo impero Per piegare i cattolici, fece approvare un’amnistia a favore dei repubblicani esiliati a causa dei fatti del giugno 1848, e chiese a Torino la cessione di Nizza e della Savoia, in cambio del consenso all’annessione dei ducati padani, della Romagna e dell’Italia centrale al regno di Sardegna. Con queste operazioni si alienò del tutto il favore dei cattolici, per cui dovette rivolgersi all’aiuto dei liberali. Gli ulteriori piani di ristrutturazione dell’Europa caddero, e Napoleone III dovette sempre più spesso assumere posizioni poli­ticamente ambigue, come l’ordine di fermare Garibaldi in Aspro­monte nel 1862, o di chiamare al trono di imperatore del Messico Massimiliano d’Absburgo (1863-1867), o di prestare aiuto ai polacchi nel 1863 complicando  i rapporti con la Russia, o di riprendere l’espansione coloniale in Indocina e in Siria.
 La potenza della Prussia Mentre Napoleone III si disperdeva in tutta questa girandola di progetti, il Bismarck perseguiva una politica più concreta. Date le sue convinzioni, Napoleone III non poté impedire la conquista dei ducati danesi di Schleswig e Holstein, perché erano abitati da tedeschi. Nel 1866 egli strinse alleanza con la Prussia permettendo la guerra tra Prussia e Austria, nella speranza di divenire arbitro delle sorti d’Europa, ma anche questa guerra durò poco, perché l’Austria fu rapidamente sconfitta a Sadowa, in una battaglia che rivelò al mondo la potenza raggiunta dalla Prussia. L’esposizione universa­le del 1867, col suo brillante splendore, non riuscì a masche­rare il vuoto politico su cui poggiava il regime.  Napoleone III decise di percorrere la via del liberalismo, chiamando Émile Ol­livier a presiedere un governo moderato che aveva il difetto di giungere troppo tardi: gli oppositori repubblicani accrebbero i loro attacchi contro il regime imperiale. Tutta­via, Napoleone III ancora una volta ricorse al plebi­scito che aveva come oggetto “togliere il rischio di una rivoluzione”, “rafforzare l’ordine e la libertà”, “assicurare la trasmissione della corona al figlio”: circa 7 milioni di voti andarono a favo­re di Napoleone III contro un milione e mezzo di oppositori. Sembrò per un momento  che il traballante regime si fosse assicu­rata la sopravvivenza.
 La guerra franco-prussiana La guerra contro la Prussia nel 1870 pose fine al bonapartismo. I rapporti con la Prussia, dopo il 1866 continuarono a deteriorarsi a causa delle pretese di compen­si territoriali a favore della Francia, giustificati da Napoleone III per riconoscere il fatto nuovo della potenza prussiana: furono compiuti tentativi nei confronti del Belgio, del Lussemburgo e del confine lungo la riva sinistra del Reno. L’alleanza con l’Austria non era possibile a causa della questione italiana, e con la Gran Bretagna i rapporti erano tesi: la Francia perciò si trovò sola di fronte all’esercito prussiano, che ancora una volta vinse la guerra con straordinaria celerità.
 
 18. 2  La crisi dell’impero absburgico
      Le rivoluzioni del 1848 misero in crisi l’antico regime in Austria, in Russia e nell’Impero turco perché il nazionalismo rendeva difficile la loro esistenza come Stati plurinazionali. Tuttavia, i tre imperi sopravvissero fino alla crisi finale determinata dalla Prima guerra mondiale iniziata nel 1914.
 La crisi del 1848 in Austria Per circa vent’anni, dopo il 1848, l’Austria rimase turbata dai problemi sollevati in quell’anno.  Per quanto riguarda le province italiane, non fu compiuto alcun tentativo di integrarle nell’impero, bensì furono tenute sotto un duro regime di occupazione militare e liberate per mezzo di due guerre:  quella del 1859 che permise al Piemonte di annettersi la Lombardia (meno Mantova), e quella del 1866 che permise al regno d’Italia di occupare il Veneto.
 Sollevazione di Boemia e Ungheria La sollevazione di Vienna, nel marzo 1848, aveva lo scopo di allontanare il Metternich, conside­rato simbolo dell’assolutismo, e di ottenere una costituzione. La sollevazione di Vienna fu seguita dalla sollevazione di Boemia e Ungheria. L’11 aprile 1848 le richieste dei ri­voluzionari ungheresi furono legalizzate dall’imperatore Ferdinando I, mentre le richieste dei boemi furono accolte solo in parte: fu promesso l’autogoverno ai boemi e uguale dignità alle lin­gue tedesca e ceca. La corte imperiale si era trasferita ad In­nsbruck nel Tirolo, per meglio provvedere alla propria sicurezza, ma anche per dirigere la riscossa della monarchia. Infatti, già il 12 giugno, il comandante di Praga Alfred von Win­dischgrätz prese a pretesto una dimostrazione dei liberali radi­cali per abrogare le concessioni fatte ai boemi appena due mesi prima.
 Tentativo di governo liberale A Innsbruck fu tentato l’esperi­mento di un governo liberale che avesse giurisdizione su tutto l’impero. Il 22 luglio 1848 fu convocata un’assem­blea costituente, con rappresentanti di tutto l’impero, tranne l’Ungheria e il Lombardo-Veneto perché ancora in guerra. Il pri­mo e fondamentale atto dell’assemblea fu la legge di emancipazio­ne che abrogò il robot, ossia la legisla­zione feudale che ancora sopravviveva: ai contadini fu conces­sa parte della terra dei grandi feudatari. Dopo la vittoria di Custoza e l’evacuazione completa delle truppe piemontesi dalla Lombardia, la corte imperiale tornò a Vienna. 
 Il problema magiaro Rimaneva aperto il problema magiaro. Il governo tentò di far rientrare l’Ungheria nel sistema im­periale, ma il Kossuth rifiutò. La corte imperiale di Vienna, senza neppure informare il governo, restaurò nel banato di Croa­zia l’autorità di Jelacic che subito invase l’Ungheria. Il Kos­suth si appellò all’assemblea costituente, ma dopo tre giorni di dibattito, l’assemblea rifiutò di ricevere la delegazione unghe­rese. Il governo inviò l’esercito in Ungheria per aiutare Je­lacic in difficoltà. 
 La seconda rivoluzione di Vienna La decisione provocò un’altra ondata rivoluzionaria a Vienna, il 6 ottobre 1848, nel corso del­la quale fu ucciso il ministro della guerra. La corte si rifugiò a Olmütz  in Moravia, mentre gli eserciti di Windischgrätz e di Jelacic furono inviati contro Vienna dove si era formato un governo provvisorio di liberali radicali. Un ten­tativo ungherese di aiutare la rivoluzione di Vienna fallì e il Windischgrätz poté occupare la capitale dell’impero il 31 otto­bre: alcune fucilazioni conclusero lo sfortunato tentativo libe­rale. 
 Schwarzenberg Il 21 novembre fu nominato un nuovo governo che ebbe come primo ministro Felix von Schwarzenberg. Il suo programma mirava a far superare all’impero le ra­gioni profonde della sua debolezza. Occorreva, perciò, un nuovo imperatore: il debole Ferdinando I fu indotto ad abdi­care a favore del nipote Francesco Giuseppe che aveva il vantag­gio della giovane età e di non aver firmato alcun compromesso a favore dei magiari. Il 7 marzo 1849, l’assemblea costituente, riunita in Moravia, fu sciolta dallo Schwarzenberg dopo aver com­pletato la Costituzione, peraltro mai applicata. Infatti, il 20 marzo riprese la guerra contro il regno di Sardegna, terminata con la vittoria di Novara. Il 5 aprile, i deputati austriaci al­la dieta di Francoforte furono richiamati in patria perché il go­verno non era disposto ad  accettare la subordinazione a un governo federale tedesco,  per non irritare le nazionali­tà non tedesche.
 La repressione in Ungheria L’Ungheria tentò, il 14 aprile, di divenire indipendente: l’assemblea ungherese dichiarò deposti gli Absburgo, eleggendo governa­tore il Kossuth. La situazione divenne così difficile che il go­verno austriaco chiese aiuto all’impero russo: in maggio, un esercito russo entrò in Ungheria, sconfiggendo i ma­giari a Vilagos. La costituzione magiara fu abrogata e il paese fu riunito all’impe­ro. Anche il banato di Croazia, che pure aveva servi­to l’impero, fu abolito.
 Tensioni tra Austria e Prussia La Prussia, intanto, aveva cerca­to di formare una nuova federazione della Germania del Nord (il programma dei piccoli tedeschi) senza l’Austria. Nel novembre 1850 il tentativo fu annullato dalla dieta di Fran­coforte. Nel febbraio 1851, lo Schwarzenberg tentò di convocare una dieta di principi tedeschi a Dresda che acclamasse Francesco Giuseppe capo della federazione germanica: anche questo tentativo fallì per l’opposizione dei principi sostenuti dalla Russia.
 Concordato tra Austria e Santa Sede L’imperatore Francesco Giu­seppe accettò il sistema imperiale fondato sulla sua persona come unico coordinatore dei vari ministri responsabili verso di lui: quando nel 1852 morì lo Schwarzenberg, egli guidò un impero uni­ficato come mai in precedenza. Dovette cercare una stretta  al­leanza con la Chiesa cattolica per avere una forza in funzione di cemento per l’ideologia imperiale: nel 1855 fu fir­mato un concordato con la Santa Sede ad essa favorevole (fu abolito il matrimonio civile tra battezzati; l’istruzione fu po­sta sotto il controllo clericale).
 Incertezze della politica estera austriaca La politica estera seguita dallo Schwarzenberg prevedeva un attivo intervento nella politica internazionale. Dopo la repressione della rivoluzione in Italia e in Ungheria, sarebbe occorso liberarsi dalla dipen­denza dalla Russia e stabilire unità d’azione con le potenze oc­cidentali. Il nuovo ministro degli esteri austriaco, il conte Karl Ferdinand Buol, comprese la reale dipendenza della politica austriaca da quella russa. Quando nel 1853 esplose quell’intricata vicenda che va sotto il nome di guerra di Crimea, il Buol rifiutò di per­mettere ai russi di smembrare l’impero turco: anzi, cercò di oc­cupare i principati danubiani di Moldavia e Valacchia, stringendo alleanza con Gran Bretagna e Francia.  I generali austriaci, tut­tavia, fecero presente al governo l’impossibilità di una guerra contro la Russia nella regione polacca della Galizia, e perciò l’Austria assunse, dopo una fallita mediazione tra le parti in conflitto, un’ambigua posizione di neutralità che minò per sempre l’alleanza coi russi raffreddando al tempo stesso i rapporti con le potenze occidentali, alla ricerca di truppe da mandare in Crimea. La debolezza di questa posizione fu  sfruttata dal Cavour che si affrettò a intervenire nella guerra non come mercenario al soldo della Francia, ma come alleato. Nel successivo congresso di Parigi (febbraio-marzo 1856), l’Austria si trovò isolata, dovette abbandonare i principati danubiani e subì l’iniziativa politica del Piemonte. Questo isolamento spiega la successiva guerra del 1859 che costò all’Austria la perdita della Lombardia.
 Svolta conservatrice del governo austriaco La sconfitta rese ne­cessaria la formazione di un nuovo governo. Il primo mini­stro fu Johann Bernhard von Rechberg che scelse una politica con­servatrice, senza alcuna concessione al liberalismo, anche sotto il profilo economico. L’aristocrazia prese il soprav­vento nel nuovo Parlamento che si propose di ricostruire l’impero sulle basi di un federalismo aristocratico. Subito furono presi accordi con la nobiltà ungherese, ma i risultati non furono inco­raggianti anche perché ai sudditi di lingua tedesca non andava bene né il sistema federale, né il sistema aristocratico. Non ultima tra le preoccupazioni di Francesco Giuseppe era la disastrosa situazione finanziaria. Nel febbraio 1861 fu ema­nata una nuova legge costituzionale che di fatto abrogava i pote­ri affidati alle diete locali, a favore di un Parlamento imperia­le con due camere con potere legislativo in tutto l’impero. I nuovi beneficiari di questa svolta politica furono i borghesi delle classi medie di lingua tedesca che avevano il monopolio  dei posti di comando. I magiari rifiutarono subito, i cechi poco dopo. 
 La guerra per i ducati danesi Nel 1864 l’Austria fu coinvolta nella questione dei ducati danesi di Schleswig-Holstein. Dopo la breve guerra contro la Danimarca, l’amministrazione delle due re­gioni fu assunta congiuntamente da Austria e Prussia. Rechberg tentò di stringere un’alleanza formale con la Prussia, dominata dalla prepotente personalità del Bismarck.
 La guerra austro-prussiana La guerra con la Prussia del 1866 eb­be come pretesto la disputa sorta per l’amministrazione dello Holstein, ma in realtà era in gioco il primato politico sulla Germania. Il governo austriaco avrebbe potuto acquistare la neu­tralità italiana con la cessione del Veneto, ma non lo fece, e lo rifiutò anche il governo italiano che cercava in una guer­ra vittoriosa lo status  politico di grande potenza. In seguito alla sconfitta di Sadowa, l’Austria perdette il Veneto e ogni possibilità di intervento nella politica tedesca: tuttavia il Bi­smarck non mirava alla distruzione dell’Austria e perciò le condizioni di pace furono miti.
 L’imperial-regio governo d’Austria-Ungheria Il problema unghere­se fu risolto nel 1867. Poiché Francesco Giuseppe era desideroso di preparare la rivincita nei confronti della Prussia, nominò mi­nistro degli esteri Friedrich Ferdinand von Beust che sottoscris­se un compromesso coi magiari:  si concedeva all’Ungheria la piena autonomia  interna con un proprio governo. In comune i due paesi avevano l’imperatore, il ministro degli esteri e della guerra. Da allora, la denominazione ufficiale fu quella di Imperial-regio governo d’Austria e Ungheria. Le altre nazionali­tà dell’impero non ricevettero lo stesso statuto privilegiato.
 La Duplice Alleanza Dopo la strepitosa vittoria prussiana sulla Francia avvenuta nel 1870, l’Austria si trovò del tutto isolata. Perciò, quando nel 1872 il Bismarck propose la Duplice alleanza al governo di Francesco Giuseppe, all’Austria non rimaneva altra scelta che legare i propri destini a quelli della maggiore poten­za militare europea. Infine, quando anche l’Italia entrò a far parte dell’alleanza, divenuta perciò Triplice (1882), anche i confini meridionali dell’impero sembrarono rafforzati. Il mecca­nismo dell’alleanza prevedeva, in caso di accrescimenti territo­riali di un membro, compensi per gli altri due. Il congresso di Berlino del 1878 permise all’impero absburgico l’occupazione del­la Bosnia, ma proprio nel capoluogo di quella regione, a Saraje­vo, avvenne l’eccidio dell’erede di Francesco Giuseppe, un evento che fece precipitare le tensioni politiche sboccate nella Prima guerra mondiale.
 La musica austriaca Pur con i limiti accennati, splendida civil­tà fu quella austriaca, di cui si è compresa la funzione e l’im­portanza solo dopo la sua fine. Un’altissima civiltà musicale che vide operare in Vienna geni come Haydn, Mozart, Beethoven, Schubert, Brahms, Liszt, Bruckner, Mahler. Essi hanno creato le forme musicali più comprensibili, una musica mai meramente sensuale o ritmica, bensì melodica, razionalmente sor­vegliata. Anche la musica leggera come il valzer, la polacca, la mazurca aveva la grazia e l’autoironia che mancano ad altri ritmi.
 La cultura mitteleuropea Nelle università di Vienna e Praga ope­rarono alcuni dei filosofi più significativi come Brentano e Hus­serl; la medicina e la psichiatria ebbero con Freud e Semmelweiss dei grandi innovatori; Hoffmannsthal, Rilke, Kraus, Kafka intro­dussero nella poesia e nel romanzo una serie di problematiche nuove e, cosa rara per gente di lingua tedesca, un senso dell’i­ronia mai più superati. Il termine “mitteleuropeo” designerà per sempre una stagione irripetibile fatta di equilibrio, di gusto, di tolleranza, di misura e di gaiezza.
 Francesco Giuseppe Al vertice di tutto l’imperatore, Francesco Giuseppe, equilibrato anche quando aveva diciotto anni, una persona votata al suo compito, forse intellettualmente mode­sto, ma incrollabile.  Aveva sposato per amore, cosa rara per un Absburgo, Elisabetta di Baviera, eccentrica, un po’ svitata, for­se infelice nell’atmosfera oppressiva della Hofburg vien­nese, amazzone insuperata e bellissima, uccisa da un anarchico. Tragicamente morì anche Rodolfo, il loro figlio, vittima di squi­libri affettivi, possibili in una famiglia in cui i sentimenti dovevano passare in secondo piano rispetto al servizio verso lo Stato. Da ultimo morirono Francesco Ferdinando e la moglie, du­rante una visita di Stato in Bosnia nel giugno 1914. La reazione di tutto un popolo di fronte all’assurdo omicidio che faceva sal­tare le sicurezze degli arsenali europei è facilmente comprensi­bile. La guerra perduta segnò la fine della civiltà austriaca.