Le “quinte colonne” della secolarizzazione (X)

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di Jean Ousset. (Traduzione a cura di totustuus.it del Cap. IV (La Revolución. Su Quinta columna) del volume “Para que El reine” (Affinché Egli regni), Speiro, Madrid 1972, pp. 191-237.) [IL MODERNISMO SOCIALE] Dopo il modernismo, ma quasi ad esso contemporaneo si manifestò il “Sillon”. Nel condannarlo, San Pio X scriverà: (…) Venne il giorno in cui il Sillon mise in evidenza, per occhi chiaroveggenti, tendenze inquietanti. Il Sillon usciva di strada. Sarebbe potuto capitare diversamente? I suoi fondatori, giovani, entusiasti e pieni di fiducia in sé stessi, non erano sufficientemente dotati di scienza storica, di sana filosofia e di solida teologia per affrontare senza pericolo i difficili problemi sociali verso i quali erano attirati dalla loro attività e dal loro cuore, e per mettersi in guardia, sul terreno della dottrina e dell’ubbidienza, contro le infiltrazioni liberali e protestanti».

IL MODERNISMO SOCIALE
Dopo il modernismo, ma quasi ad esso contemporaneo si manifestò il “Sillon”.
Nel condannarlo, San Pio X scriverà:
«Era l’indomani della memorabile Enciclica del nostro predecessore di felice memoria, Leone XIII, sulla condizione degli operai. La Chiesa, per bocca del suo capo supremo, aveva riservato sugli umili e sui piccoli tutte le tenerezze del suo cuore materno, e sembrava invocare paladini sempre più numerosi della restaurazione dell’ordine e della giustizia nella nostra turbata società …
di fatto, il Sillon innalzò in mezzo alle classi operaie lo stendardo di Gesù Cristo, il segno della salvezza per gli individui e per le nazioni, alimentando la sua attività sociale alle sorgenti della grazia, imponendo il rispetto della religione agli ambienti meno favorevoli, abituando gli ignoranti e gli empi a sentir parlare di Dio, e spesso sorgendo, nel corso di pubblici contraddittori, di fronte a un pubblico ostile, sollecitato da una domanda o da una espressione sarcastica, per gridare ad alta voce e con fierezza la propria fede. Erano i tempi belli del Sillon; è il suo lato bello, che spiega gli incoraggiamenti e le approvazioni che non hanno risparmiato a esso l’episcopato e la Santa Sede, fino a quando questo fervore religioso ha potuto velare il vero carattere del movimento del Sillon …
Venne il giorno in cui il Sillon mise in evidenza, per occhi chiaroveggenti, tendenze inquietanti. Il Sillon usciva di strada. Sarebbe potuto capitare diversamente? I suoi fondatori, giovani, entusiasti e pieni di fiducia in sé stessi, non erano sufficientemente dotati di scienza storica, di sana filosofia e di solida teologia per affrontare senza pericolo i difficili problemi sociali verso i quali erano attirati dalla loro attività e dal loro cuore, e per mettersi in guardia, sul terreno della dottrina e dell’ubbidienza, contro le infiltrazioni liberali e protestanti
».

Già il 21 ottobre 1901 si poteva leggere nel “Le Sillon”: «Veri cristiani, Victor Hugo, Combeferre, Courbeyrac: poiché tutti quelli che ammettono l’ideale della bellezza, della giustizia, della bontà, anche se sono ingiusti e rancorosi verso il cattolicesimo, sono con noi»
Al contrario, tutti poterono vedere il “Sillon” accodarsi a quanti insultavano Giovanna d’Arco. Se mai esiste un nome capace di esprimere “un ideale di bellezza, di giustizia e di bontà”, non è questo?
Il “Sillon” si alleava con i protestanti e persino con le “Unioni cristiane”, la cui finalità confessa era di trascinare la gioventù di ogni paese verso una religiosità liberata da ogni dogma.
Nel 1905, su “L’Universe”, apparivano alcune caratteristiche righe su Gorki firmate da Marc Sangnier. Esse indicano ciò che si potrebbe brutalmente chiamare il suo “fiuto” rivoluzionario, in quanto individuano già da quell’anno i primi segnali della Rivoluzione moscovita, l’approssimarsi di questo nuovo “Islam”, che il fondatore del “Sillon” tratterà con tanta indulgenza quando il comunismo arriverà al potere. «A questi anarchici – scriveva – dall’anima profondamente mistica, dai sogni turbati e dolci che la Santa Russia rinchiude piamente nel suo vasto seno come germi inquietanti di rivolta e di strana seduzione … mostriamo loro il vero cristianesimo e vi si butteranno ardentemente in esso, pazzamente, come dolorosa fine delle loro inquiete ricerche».
Non ci si deve meravigliare se , due anni dopo ciò, si poteva leggere sul “Sillon”: «La Rivoluzione del 1793 non fu anti religiosa. Un Robespierre, un Danton, un Desmoulins, erano profondamente religiosi … la loro filosofia religiosa era la sostanza stessa del cristianesimo di cui viveva la Francia» (25 aprile 1907).
Si può ben capire la santa indignazione di San Pio X di fronte a queste «parità blasfeme»; «Vangelo interpretato a proprio comodo»; «Un Cristo sfigurato e sminuito».
il “Sillon” fu condannato il 25 agosto del 1910.
Condanna severa, ma quanto fondata! Tanto esplicitata e motivata che è molto difficile, per chi ha letto la Lettera Pontificia sul “Sillon”, affermare che San Pio X denunciò solo la faciloneria di alcune formule e non la piena dottrina di Marc Sangnier e dei suoi compagni.
Nessuno ignora che il capo del “Sillon” «si sottomise umilmente». Non c’è dubbio che il primo impulso ci obbliga ad ammirare tale atteggiamento in ore per lui tanto umilianti.
Tuttavia, abbiamo il dovere di evidenziare che Marc Sangnier non cessò, per tutto il resto della sua vita, di continuare a propagandare le stesse idee.
Non giudichiamo, certo: ma esponiamo i fatti!
Il 18 gennaio del 1920, ne “La Democratie”, Sangnier scriverà: «Abbiamo mai avuto ragioni più potenti per sperare? Non lo credo. Le idee per quali, da quasi vent’anni, hanno lottato i nostri amici con una capacità tanto meritoria – nella buona quanto nella cattiva sorte – trionfano oggi per tutta la Francia».
Orbene, ecco qua ciò che chiarisce in modo preciso la faccenda, perché basta un solo sguardo al testo di San Pio X per provare che le idee che trionfarono a quel tempo sono quelle del “Sillon”; è facile dimostrare che esse continuarono ad essere diffuse da Marc Sangnier.
In costante assonanza con tutte le attività massonicheggianti, pacifiste e socialisteggianti, non avrà remore di prendere la parola persino alle sessioni della “Lega dei diritti dell’Uomo” o di intervenire a questo o quel consesso laicista o internazionalista.
Campione del “pacifismo”, sarà uno dei testimoni abituali a favore degli “obiettori di coscienza” nei processi a loro carico e dalle colonne dei periodici “Le Volontaire”, “La Jeune Republique”, “L’Eveil des Peuples”: articoli e disegni propaganderanno, sosteranno e stimoleranno questa rivolta della codardia contro il dovere di servire la Patria in armi.
Bouglé, Albert Bayet, César Chambrun, Pierre Cot, tra i tanti, saranno suoi collaboratori.
Sangnier farà passeggiare attraverso tutta la Francia il suo Museo “Guerra o Pace?”, destinato a ispirare orrore verso il servire in armi grazie a odiose quanto artefatte ricostruzioni dei campi di battaglia. Era una propaganda fondata su equivoci infami: In un diorama si vedeva un soldato francese trapassare con la baionetta uno tedesco e, a fianco, un apache che assassina un passante. La didascalia diceva “Quello è un eroe, questo un assassino”. La tecnica consisteva nel fare appello al generoso amore della pace cristiana per far seccare nelle anime le sorgenti del patriottismo, preparare ribelli utili in una guerra civile interna e abbattere lo spirito in modo da rendere la Francia la prima vittima nel 1940.
«Far venire a patti la giustizia e l‘iniquità, conciliare le tenebre con la luce» sono la tentazione permanente cui ci sottopongono da due secoli: da Lamennais e la sua scuola, al cattolicesimo liberale, all’americanismo, al modernismo e al “Sillon”…
Pio XI, all’inizio del suo Pontificato, denunciava nella Enciclica Ubi arcano Dei, quel che definiva «un modernismo giuridico e sociale» (20). Sempre lo stesso errore.
Durante il «fronte popolare» in Francia, abbiamo visto i «cristiani-rossi» prendere posizione – nonostante i passaggi molto chiari dell’Enciclica Divini redemptoris – a favore dei boia della Spagna cattolica.
E oggi? Non siamo giunti ad un certo ideale di «Nuova Cristianità» nella quale anche cattolici poco formati corrono il rischio di venire incarcerati quali perturbatori di una pace sociale tutta fatta di indifferenza religiosa (21)?
E’ una «Nuova Cristianità» che vediamo ogni volta più contraria alla concezione di unità sociale realizzata nella fede in Cristo e nella vera Chiesa (22).
Infine, nessuno ignora l’invasione di un “progressismo” più o meno mitigato, tipo ideale della Quinta Colonna che la Rivoluzione non può fare a meno di desiderare presente tra noi.
«Come scoprire i progetti del nemico»? Con questo titolo, nel volume L’Homme nouveau, Paul Morin ha fatto alcune osservazioni pertinenti (che di seguito riassumiamo).
Siamo più che mai nell’ora delle Quinte Colonne … vale a dire delle complicità documentate che la Rivoluzione ha trovato nelle fila cattoliche.
Nel suo rapporto al quarantesettesimo Congresso della “Lega francese dell’insegnamento” Marcel Déat aveva già detto:
«Devo dire che questa attitudine dello spirito è feconda e più efficace da molti punti di vista sulla condotta di molti cattolici francesi i quali, per disgrazia della Chiesa e nostro godimento, possiamo dire che qualche volta sono anticlericali, spesso per nulla “beati” e quasi sempre altro non sono che cattolici d’osservanza esteriore, che non hanno nessuna cura di ubbidire alle indicazioni – senza dubbio molto precise – che il Papa da’ loro nelle sue encicliche» (pag. 11).
I prolifici cristiani-rossi di prima della guerra hanno come successori i nostri attuali "progressisti" .. e mai vi sono stati così tanti documenti dai quali si rivela una volontà di abbattere la Chiesa dal suo interno.
Crediamo alle parole dell\’abbé R. Davezies nel suo La Rue dans l\’Eglise: «le parole dei miei compagni mi son sembrate notevoli per du eragioni essenziali: perché son le parole di uomini impegnati nel combattimento politico o sindacale; perché i cristiani che le pronunciano, sebbene facciano una critica radicale alla Chiesa , non hanno mai pensato di lasciarla. Rimangono, al contrario, fermamente all\’interno della Chiesa e vogliono fare da lì la Rivoluzione».
E\’ una tattica la cui efficacia è stata celebrata anche da "La Pasionaria" [Dolores Ibarruri, della quale si dice che durante la Guerra Civile Spagnola del 1936-39 uccidesse i prigionieri nemici azzannandoli all acarotide, N.d.T.] in un discorso del 1963 al Circulo Julian Grimau nella capitale di Cuba, La Havana: «Ora sappiamo che con la forza non otterremo nulla. Ma esistono altri mezzi per raggiungere la vittoria: mescolarci a loro. Vi sono molti dei nostri che si trovano in posti di responsabilità: questi apriranno la strada ad altri. Dobbiamo avvicinarci ai cattolici, agli studenti, alla classe media … E\’ necessario dividere le loro forze. Il fanatismo della fede ha unito gli spagnoli. Davanti al nome di Dio si mettono sull\’attenti. Perciò è necessario non ferire i sentimenti cattolici fino a quando potremo imporre la nostra legge. Le nuove correnti apparse tra i cattolici francesi, totalmente divisi, possono essere la nostra grande soluzione per la Spagna».
Non mancano gli enti che, senza lasciar spazio a dubbi, proclamano la loro alleanza con la Rivoluzione … Témoignage Chretién, Christianisme Social, Economie et Humasnime, La lettre, Fréres du monde, Terre Entiére, I.D.O.C. Si tratta di associazioni che, tutte, han firmato un manifesto al quale appartengono i seguenti paragrafi: «La Rivoluzione ci si presenta come la sola via possibile e presuppone un cambiamento radicale delle strutture economiche e politiche. Ma non ci sarà rivoluzione strutturale senza rivoluzione culturale. Non ignoriamo che questa rivoluzione implica una revisione del cristianesimo nelle sue forme di pensiero, d\’espressione e d\’azione. Siamo convinti che il nostro impegno deve inscriversi nella lotta delle classi e delle masse oppresse, per la loro liberazione tanto in Francia come nel mondo. La lotta rivoluzionaria si inscrive nella prospettiva della costruzione del regno di Dio, senza identificarsi con esso. Riconosciamo il diritto di ogni cristiano – come di ogni uomo -, di partecipare a questo processo rivoluzionario, comprendendo in esso la lotta rmata. Esprimiamo come comunità ilnostro appoggio ai credenti che a causa del loro impegno vengono esclusi dalla propria chiesa locale e si sentono soli nella fede».
E\’ necessario mettere in risalto l\’azione del movimento PAX (in polacco: Stowarzyszenie PAX, Pax Christi, N.d.T.), autentico componente dell\’apparato poliziesco comunista polacco, denunciato come tale in una celebre Lettera (Cfr. Document Pax, diffuso dal D.I.D., in vendita nel C.L.C.) del Cardinal Wyszynski: «Disponendo di considerevoli finanziamenti … PAX favorisce i viaggi in Polonia di cattolici francesi, sacerdoti e laici, che prende a suo carico e rimanda a casa con una visione parziale ,unilaterale ed erronea della situazione polacca. I sacerdoti francesi diretti da PAX incontrano in Polonia dei sacerdoti "patriottici", mentre i vescovi rifiutano di incontrarli per timore di indiscrezioni … In Francia, gli agenti di PAX sono in contatto permanente con centri di cattolici progressisti che prendono le loro difese quando si prospetta qualche pericolo».
Infine, si ricordi la dichiarazione di Küng a proposito dell\’apostasia dell\’inglese Davis (Cfr. Informations Catholiques Internationales: 1 luglio 1967, pp. 26-30): «Quanti restiamo nella Chiesa abbiamo motivi molto buoni per farlo … Non si tratta solo di interpretare la Chiesa, ma di cambiarla» (formula curiosa e rivelatrice; Lenin [in realtà Marx, N.d.T.] diceva: «I filosofi finora hanno interpretato in modo diverso il mondo, quello che conta è cambiarlo»).
La Rivoluzione … La sua Quinta colonna … Le sue Quinte colonne.
Uno dei più temibili pericoli che la Chiesa abbia mai sofferto.
Pertanto, niente di strano se Paolo VI è arrivato a dire che «La Chiesa attraversa, oggi, un momento di inquietudine. Taluni si esercitano nell’autocritica, si direbbe perfino nell’autodemolizione. È come un rivolgimento interiore acuto e complesso, che nessuno si sarebbe atteso dopo il Concilio. Si pensava a una fioritura, a un’espansione serena … La Chiesa viene colpita pure da chi ne fa parte» (Discorso ai membri del Pontificio Seminario Lombardo, 7 dicembre 1968).

Note
(20) «Molti sono, infatti, quelli che credono o dicono di tenere le dottrine cattoliche sull\’autorità sociale, sul diritto di proprietà, sui rapporti fra capitale e lavoro, sui diritti degli operai, sulle relazioni fra Chiesa e Stato, fra religione e patria, fra classe e classe, fra nazione e nazione, sui diritti della Santa Sede e le prerogative del Romano Pontefice e dell\’episcopato, sui diritti sociali di Gesù Cristo stesso, Creatore Redentore, Signore degli individui e dei popoli. Ma poi parlano, scrivono e, quel che è peggio, operano come non fossero più da seguire, o non col rigore di prima, le dottrine e le prescrizioni solennemente ed inevitabilmente richiamate ed inculcate in tanti documenti pontifici, nominatamente di Leone XIII, Pio X, e Benedetto XV. Contro questa specie di modernismo morale, giuridico, sociale, non meno condannevole del noto modernismo dogmatico, occorre pertanto richiamare quelle dottrine e quelle prescrizioni, che abbiamo detto; occorre risvegliare in tutti quello spirito di fede, di carità soprannaturale e di cristiana disciplina, che solo può dare la loro retta intelligenza ed imporre la loro osservanza. Tutto questo occorre più che mai fare con la gioventù, massime poi con quella che si avvia al Santuario, perché nella generale confusione non sia, come dice l\’Apostolo, "portata intorno da ogni vento di dottrina per i raggiri degli uomini, per le astuzie onde seduce l\’errore"».
(21) Si legge in un articolo di Jacques Maritain intitolato I fondamenti della democrazia: «Qui, se vogliamo completare il nostro pensiero e non aver paura delle parole, dobbiamo segnalare che dove c’è fede divina o umana, lì si incontrano anche degli eretici che minacciano l’unità della comunità, sia religiosa o civile. Nella società sacrale l’eretico era colui che rompeva l’unità religiosa. In una società laica di uomini liberi l’eretico è colui che rompe le “convinzioni comuni e pratiche democratiche”: il totalitario, colui che nega la libertà – la libertà del suo vicino -, la dignità della persona umana e il potere morale della legge. Non desideriamo che sia bruciato, espulso dalla città, posto fuori legge o gettato in un campo di concentramento. Ma la comunità democratica deve difendersi contro di lui – sia egli materialista, agnostico, cristiano o ebreo, musulmano o buddista – allontanandolo dal governo per il potere di una forte opinione pubblica e bene informata o, se la su a attività costituisce un pericolo per lo Stato, consegnandolo alla giustizia» (in El Pueblo de Buenos Aires del 13 maggio 1945). Così, nella “Nuova Cristianità”, il delitto punibile con la scomunica immediata è la negazione della “libertà libertaria” della persona umana: il cattolico che sostenesse il diritto pubblico della Immortale Dei di Leone XIII o della Quas primas di Pio XI, dovrebbe essere consegnato alla giustizia quale violatore del nuovo diritto pubblico cristiano.
(22) «Siamo stati molto lenti a renderci conto che l’unione che nel Medioevo esisteva tra la Chiesa e lo Stato costituiva un’anomalia (!) più che una norma cristiana» (!!!); così il P. Victor White O.P., nell’importante rivista The Commonwealth del 4 settembre 1953.