Le “quinte colonne” della secolarizzazione (VI)

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di Jean Ousset. (Traduzione a cura di totustuus.it del Cap. IV (La Revolución. Su Quinta columna) del volume “Para que El reine” ("Affinché Egli regni"), Speiro, Madrid 1972, pp. 191-237. [I CATTOLICI LIBERALI CONTRO IL PAPA] All’inizio del suo Pontificato, Pio IX volle che agli occhi degli uomini le calunnie della Rivoluzione contro la Chiesa apparissero senza fondamento. Fu il cosiddetto periodo liberale di questo Pontificato. Pio IX, come Plinio testimonia di Cesare, “si dimostrò clemente fino ad essere obbligato a pentirsene”.

I CATTOLICI LIBERALI CONTRO IL PAPA
All’inizio del Pontificato di Pio IX si vide dove doveva condurre tanta pazzia.
E’ noto che quando fu esaltato al trono di San Pietro, il Papa del Syllabus volle che agli occhi degli uomini le calunnie della Rivoluzione contro la Chiesa e il Papa Re apparissero senza fondamento. In questo modo non si sarebbe potuto dire che, in ore così gravi, il più alto potere spirituale della terra obbediva più ad ambizioni temporali o qualche particolare ideologia politica.
Fu il cosiddetto periodo liberale di questo Pontificato. Pio IX, come Plinio testimonia di Cesare, “si dimostrò clemente fino ad essere obbligato a pentirsene”.
Un’ampia amnistia inaugurò il suo Pontificato. Il nuovo Papa autorizzò varie riforme di governo che furono giudicate rivoluzionarie, benché non avessero altro scopo che il rappacificamento degli animi attraverso la concessione di tutto ciò che un’ovvia prudenza politica obbligava a concedere, anche alle vecchie monarchie.

Il popolo si entusiasmò, ma la Rivoluzione approfittò di queste manifestazioni per volgerle contro la Chiesa. Fu, secondo le parole di Cretineau-Joly, “l’insurrezione degli archi di trionfo” perché le lodi rivolte al Pontefice furono fatte in termini tali da costituire anche il peggiore insulto alla sua persona.
Forse che le sette non stavano sognando una rivoluzione con “cappa magna e tiara”? Così, pensarono di forzare la mano al Vicario di Gesù Cristo, agendo come se i loro desideri fossero in corso di realizzazione, cercando di rendere Pio IX prigioniero delle loro acclamazioni. Tutto quanto faceva ed ordinava era subito commentato ed esaltato in senso rivoluzionario. Dietro la consegna lanciata dalle logge, una tempesta di osanna sorgeva da ogni punto del globo. Con un sacro disprezzo delle tradizioni – proprio come oggi si fa per Giovanni XXIII – si pretendeva di fare di Pio IX una specie di Pontefice isolato, un Papa senza predecessori … il tutto al martellante grido di “Viva solo Pio IX!”.
Si capiva il suo dolore quando ripeteva: “E’ la Domenica della Palme che precede la Passione”.
Si armò di pazienza, moltiplicò le istruzioni e gli avvertimenti: tutto fu inutile.
Già l’11 febbraio del 1848, mentre una moltitudine ebbra di rivoluzione lo acclamava al balcone del Quirinale, gli fu lanciato una specie di ultimatum col grido “Basta sacerdoti nel Governo!”. Il Papa ebbe la prontezza di rispondere sul momento con queste parole d’autorità sovrana: “Non posso! Non devo! Non voglio!”: tre frasi che risuonarono come un giuramento.
Pio IX lo mantenne: il successivo 29 aprile 1848, in occasione della riunione del Sacro Collegio per il Concistoro segreto, il Papa aprì il suo cuore:
Non è la prima volta, Venerabili Fratelli, che nel Vostro Consesso abbiamo condannato l’audacia di alcuni i quali non ebbero difficoltà di fare a Noi, e per conseguenza a questa Apostolica Sede, l’ingiuria di far credere che Noi Ci fossimo discostati dai santissimi istituti dei Nostri Predecessori, e che (orribile cosa a dirsi!) in più d’un capo Ci fossimo allontanati dalla dottrina della Chiesa . Però nemmeno adesso mancano coloro i quali parlano di Noi e Ci considerano i principali Autori dei pubblici movimenti che negli ultimi tempi non solo in altre parti d’Europa, ma anche in Italia sono accaduti. … sappiamo però che è Nostro dovere impedire lo scandalo di cui potrebbero patire gl’incauti ed i semplici, e di ributtare la calunnia, la quale ridonda in contumelia non tanto della persona della Nostra umiltà, quanto del supremo Apostolato del quale siamo insigniti, e di questa Santa Sede. E poiché quei denigratori, non potendo presentare alcun documento delle macchinazioni che Ci appongono, si ingegnano di mettere in sospetto quelle cose che Noi abbiamo fatte nell’assumere il governo dei Nostri Domini Temporali Pontifici; così Noi, per togliere loro questo appiglio di calunniare, abbiamo pensato di spiegare oggi chiaramente ed apertamente nel Vostro Consesso tutta la ragione di quelle cose” (Alloc. Non semel, del 29-4-1848).
Questa allocuzione – atto spontaneo ma necessario – strappò tutti i veli, smascherando sia la perversità dei malvagi che la pericolosa ed eccessiva ammirazione degli stupidi.
Si può immaginare la rabbia dei rivoluzionari quando videro frustrate le loro macchinazioni. Mentre avevano luogo le grottesche pantomine del sacerdote V. Gioberti, un monaco divenuto comunista, Padre Gavazzi, ed un tribuno da caffè, Ciceruacchio, ruggivano con feroci appelli a correre alle armi. Come era bastata una semplice consegna delle logge per mobilitare una campagna di acclamazioni all’estero, così fu sufficiente una seconda mobilitazione all’estero per passare all’insulto dalla sera alla mattina. Così, nel nostro Constitutionnel del 13 maggio, si leggeva:
Ciò che ha profondamente commosso ed indignato tutto il mondo è questa professione di fede anti liberale e io direi quasi anti cristiana … Sarebbe cosa impossibile raccontarvi l’indignazione ed il furore sollevati da questa allocuzione fanatica, della quale lo stesso Gregorio XVI avrebbe forse dubitato di prendersi la responsabilità in un simile momento … Il clero, la guardia nazionale, i frati, in una parola tutti i romani, hanno dato al mondo il magnifico spettacolo dell’accordo più perfetto, della più compatta e unanime resistenza. Questo uomo, che fino a poco tempo fa era l’idolo del popolo, per il quale tutti gli italiani avrebbero affrontato il martirio, ha perso in pochi secondi tutta la sua popolarità … “Ci ha ingannati”, esclamano con indignazione i sacerdoti che provenivano dal predicare la crociata contro l’Austria. “Ci ha tradito”, ripeteva Ciceruacchio con le lacrime agli occhi”.
Ecco invece la verità sulla “brillante apertura” e sul presunto ingresso del “cattolicesimo liberale” nella Chiesa del XIX secolo!
Il progettato matrimonio tra la Chiesa e la Rivoluzione – un crimine odioso nel suo contesto storico e umano -, dopo un’esperienza così severa, avrebbe dovuto provocare almeno una certa sfiducia. Nulla di ciò accadde. Al contrario, fu proprio sotto il Pontificato di Pio IX che i cattolici liberali videro ingrossarsi le loro fila.
E’ vero che molti lo divennero in modo confuso e senza darsene pienamente conto. Alcuni lo furono solo in un modo per cui le formule liberali costituirono un linguaggio maldestro. Altri si convertirono più tardi o soltanto dopo la sonante lezione del Sillabo: un Lamorciére fu tra costoro. Altri ancora si svegliarono durante il corso degli avvenimenti, come ad esempio Ozanam, per molto tempo sedotto dai sofismi del “Quarantotto”.
Diciamo che la maggior parte fu vittima della propria ignoranza dottrinale.
In assenza di luci personali sarebbe stato facile agli interessati affidarsi e consegnarsi filialmente alle direttive delle Encicliche. Ma le teste erano troppo ubriache perché la maggioranza di costoro non avesse la tendenza a considerare il Papa e i vescovi del tempo come “antiquati”. A questo proposito, una frase del Testamento di Lacordaire è molto significativa: “Nel farmi cattolico io rimasi liberale, ma non seppi dissimulare tutto quello che mi separava, a proposito di ciò, dal clero e dai cristiani del mio tempo … ”.

«PARITA’ BLASFEME» TRA LA CHIESA E LA RIVOLUZIONE
Si trema dinanzi al liberalismo: rendetelo cattolico e la società rinascerà”: questa frase di Lamennais (Lettera del 30-1-1829) avrà come eco milioni di altre voci, fino ai nostri giorni. Basta sostituire liberalismo con comunismo perché la formula sia della più accecante attualità.
Invece di scegliere tra i principi dell’89 e i dogmi della religione cattolica, purifichiamo i principi con i dogmi e facciamoli marciare in accordo …”, scriveva Albert de Bloglie in un numero del Correspondant del 1856.
Dunque, tra la Rivoluzione e la Chiesa – giudicherà Emile Ollivier – ci sono passioni, malintesi, ma non dissenso fondamentale”.
Forse che le idee dell’89 non sono state “prese dal Vangelo come tanti altri frutti squisiti?”, scriverà il sacerdote Bougaud in Le christianisme et les temps présents. E il sacerdote Constant, nel suo Bible de la Liberté, dirà: “Il Vangelo è rivoluzionario, Gesù Cristo è morto per la democrazia dell’universo”.
Più cieco, senza dubbio, fu Padre Maumus, che non avrà timore di attribuire – nel suo Eglise et la France moderne – alla “direzione suprema di Leone XIII” la realizzazione di quel che chiama “il sogno dei redattori de L’Avenir”. Ugualmente confuso fu il sacerdote Dabry, che nello stesso periodo affermerà: “La Chiesa riprende oggi il suo vero programma, il vero spirito della Rivoluzione”.
Battezzare la Rivoluzione” o “cristianizzarla” sembrerà altrettanto facile a Etienne Lamy e al sacerdote Naudet, il quale fu direttore del Monde verso il 1895: “La Rivoluzione ha iniziato una nuova era – esclamerà cinque anni più tardi a Pau – . Alcuni dicono, e io sono tra loro, che la sua alba sorse circa duemila anni fa”.
Paul Bureau si spingerà ancora più lontano: “Forse che l’ideale di virtù comunista non fa parte della tradizione profonda del cristianesimo e specialmente del cattolicesimo? In modo simile: come non riconoscere l’impulso spirituale degli uomini che nel 1848, dopo aver acclamato la Rivoluzione e l’emancipazione dei lavoratori, assistevano alla benedizione degli alberi della libertà?” (La crise morale, p. 396).
Sintomi dello stesso male sono le quasi periodiche campagne di articoli che, in modo più o meno abile, annunciano, lasciano sperare o sostengono l’idea di una riconciliazione della Chiesa con la framassoneria.
Sintomi dello stesso male sono le frasi “sorprendenti” di certi contemporanei … Per esempio, le poche righe seguenti sono di un discorso di Maurice Schumann del 1945: “Siamo il frutto di una lunga tradizione e di un’interminabile pazienza … In Francia, la tradizione cristiana non può dissociarsi dal pensiero rivoluzionario. Si completano e si nutrono l’una con l’altra”.
Questa è anche l’ambizione di “riconciliare la visione di un Joseph de Maistre e quella di un Lamennais nella superiore unità della grande sapienza di cui San Tommaso d’Aquino è l’araldo” … ambizione della quale Jacques Maritain osa parlarci senza riderne nella sua opera Du régime temporal de la liberté (p. 147).
Quando, alla fine del secolo XVIII – scrive altrove questo stesso autore – i Diritti dell’Uomo furono proclamati in America e in Francia ed i popoli furono invitati all’ideale della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità, ha origine la grande sfida del popolo, degli uomini volgari, creduloni e dallo spirito infantile; il tutto unito a un ideale di generosità universale che eccedeva lo stesso ordine politico rispetto ai potenti di questo mondo e al loro sperimentato scetticismo. Lo sboccio evangelico che così faceva irruzione, portava il segno di un cristianesimo secolarizzato” (Christianisme et Démocratie, ed. de la Maison Française, New York 1945, p. 49).
E ancora: “La nazione non sarà veramente unita che quando un ideale abbastanza potente la trascini verso una grande opera comune, in cui le due tradizioni – della Francia di Giovanna d’Arco e la Francia dei Diritti dell’Uomo – saranno riconciliate …” (L’Unité d’un peuple libre, Le Figaro, 7-12-1944) .
Oppure: “Non è un fatto privo di significato che la Francia abbia due feste nazionali: quella del 14 luglio e la festa di Giovanna d’Arco, due feste che si compenetrano e costituiscono una stessa e sola promessa” (Pour la Justice. Articles et discours, dal 1940 al 1945, ed. de la Maison Française, New York 1945, p. 49).
Frasi tanto più dolorose per quanto il suo autore scriveva pochi anni prima: “Dal declinare del Medio Evo, la storia moderna è qualcosa di diverso dalla storia dell’agonia e della morte della cristianità? San Vincenzo Ferrer, alla fine del XIV secolo, annunciava la fine del mondo e resuscitava i morti per confermare le proprie parole. Non era la fine del mondo cristiano ciò che precisamente annunciava? Giovanna d’Arco ebbe successo nel liberare la Francia; ma fallì nella missione di far tornare gli uomini al rispetto del diritto cristiano. Successivamente, l’animale razionale si baserà solo su se stesso; la pietra angolare non sarà più Cristo. Lo spirito d’indipendenza assoluta che, in definitiva, porta l’uomo a rivendicare per se la “asetticità” e che già potremmo chiamare lo spirito della Rivoluzione anti-cristiana, si introdusse in Europa con il Rinascimento e la Riforma. Ci si sottrae all’ordine cristiano: qui la sensibilità estetica e tutte le curiosità dello spirito, là la spiritualità religiosa e la volontà, cercando di rimpiazzare in ogni dove il culto delle Tre Persone Divine con il culto dell’Io umano. Questo “Io”, represso nel secolo XVII ma rilanciato nei secoli XVIII e XIX alla conquista dell’universo, servito con perseveranza e abilità dalla contro-chiesa massonica, riuscì a separare da Dio tutto quel che è centro di potere o di autorità nei popoli” (J. Maritain, Antimoderne, pp. 174-175).