L’apogeo del papato e lo sviluppo comunale


Prof. A. Torresani. 17. 1 Innocenzo III e il Concilio Lateranense IV; 17. 2 Le crociate di Innocenzo III; 17. 3 La nascita e lo sviluppo degli Ordini mendicanti; 17. 4 Papato e Impero nell’età di Innocenzo III; 17. 5 Inizi del conflitto tra Impero e comuni; 17. 6 Luigi IX re di Francia; 17. 7 Cronologia essenziale; 17. 8 Il documento storico; 17. 9 In biblioteca


Cap. 17 – L’apogeo del papato e lo sviluppo comunale



Il XIII secolo presenta una galleria di personaggi affascinanti, dotati di spiccato rilievo e di inesauribile vitalità, in grado di concepire poderosi disegni politici e culturali, sviluppi religiosi e ascetici innovatori, programmi economici e amministrativi vitali. Tra questi personaggi spicca il papa Innocenzo III, energico organizzatore della curia romana che sotto di lui divenne un organismo centralizzato in grado di dirigere la cristianità. Innocenzo III comprese la necessità di favorire la crescita dei nuovi Ordini mendicanti, promossi da Francesco d’Assisi e da Domenico de Guzman. Le università avevano raggiunto un grado di sviluppo tale da indurre sia la Chiesa sia gli Stati a esercitare su di esse un controllo politico.


In Francia Luigi IX ebbe un lungo regno, durato fino al 1270, nel corso del quale furono ricavati i frutti della tenace opera di riunificazione del paese sotto una monarchia forte compiuta da Filippo II Augusto.


L’Italia, fino al 1250 fu dominata dalla personalità di Federico II di Svevia: dopo aver vinto il duello con Innocenzo III e Onorio III, ostili alla riunificazione del regno di Sicilia con l’impero di Germania, e dopo aver condotto in modo ambiguo la crociata, Federico II dette al regno di Sicilia una solida struttura amministrativa tanto da permettergli di riprendere il sogno di Federico Barbarossa volto al controllo dell’Italia settentrionale ai danni dei comuni lombardi. La vittoria di Cortenuova sembrò dar ragione ai progetti di Federico II, ma i comuni riformarono un’alleanza vincente col papato, obbligando Federico II a una guerra logorante che alla fine fiaccò il grande imperatore. La morte di Corrado IV e di Manfredi condusse alla sconfitta definitiva del partito ghibellino in Italia, aprendo un lungo periodo di interregno in Germania e l’avvento di Carlo d’Angiò in Sicilia e a Napoli. Venuto meno il pericolo rappresentato da un forte potere imperiale, per i comuni si aprì un breve periodo di grande splendore favorito dallo sviluppo economico, che innescò anche seri conflitti tra comuni rivali avviandoli al declino.



17. 1 Innocenzo III e il Concilio Lateranense IV



All’inizio del XIII secolo la Chiesa trovò la personalità energica, in grado di rivendicare la sua libertà nel modo più completo, Lotario dei Conti di Segni (1198-1216) papa col nome di Innocenzo III.


La Santa Romana Repubblica La sua concezione di Chiesa è la più radicale che si possa proporre: come l’anima regge il corpo, così la Chiesa deve animare la società in cui tutti i battezzati sono riuniti in una Santa Romana Repubblica. Devono perciò cessare i conflitti tra gli Stati cristiani: i re devono ricorrere al supremo arbitrato del papa e accettare come feudi ricevuti da lui i loro regni. Questa concezione comunemente va sotto il nome di teocrazia, ma forse è più opportuno impiegare il termine “cristianità”.


Chiesa e impero nel pensiero di Innocenzo III La pubblicistica del tempo discuteva sui rapporti tra Chiesa e Impero ricorrendo alla metafora delle due spade: la spada spirituale e la spada temporale. Tutti comprendevano che i due poteri hanno rapporti problematici, perché vi sono materie miste all’interno delle quali non si può procedere a una divisione. I due poteri hanno bisogno l’uno dell’altro, e le affermazioni di Innocenzo III non devono trarre in inganno: egli rivendica la pienezza del potere spirituale unicamente per rendere più difficile l’esercizio della violenza da parte di chi si trova alla guida del potere temporale. Innocenzo III dispiegò un’attività internazionale che non conosceva frontiere: fece eleggere all’impero Ottone di Brunswick; ristabilì l’autorità del papato sulla Chiesa siciliana; divenne tutore del giovane Federico II; impose l’alta sovranità papale sull’Inghilterra; ricevette i regni d’Ungheria, di Aragona e di Castiglia in qualità di alto signore feudale; organizzò la Quarta crociata anche se non riuscì a evitare la conclusione che ebbe; promosse la crociata in Provenza contro gli albigesi guidata da Simone di Montfort.


Riforma della curia Riformò la curia allontanando da Roma coloro che non avevano un ufficio riconosciuto; fece punire coloro che nel comportamento smentivano la loro condizione di chierici; fece espellere da Roma fabbricanti di bolle false, affaristi e funzionari venali. Infine, un anno prima della morte, riunì il Concilio Lateranense IV nel 1215, uno dei più importanti della storia della Chiesa. Nel corso dei lavori del concilio furono promulgati canoni miranti a stabilire l’ideale di vita del clero: ogni diocesi doveva avere un maestro di teologia per evitare il diffondersi dell’eresia; fu fatto divieto di fondare nuovi ordini monastici perché le regole esistenti furono considerate sufficienti.


Il razionalismo del XIII secolo Dal punto di vista sociale i fatti nuovi erano il rapido aumento delle città, l’accresciuta importanza del ceto di coloro che si dedicavano all’artigianato e al commercio, lo sviluppo intenso delle relazioni internazionali e la diffusione di una nuova cultura che non si fondava più su verità di rivelazione, bensì su verità di ordine naturale colte dalla filosofia aristotelica che conosceva un crescente successo.


Le eresie Come era avvenuto in passato, le eresie indicavano i problemi da risolvere. Da una parte si levava la protesta dei ceti sociali oppressi che manifestavano la loro collera col rifiuto della Chiesa e del clero, accusato di collusione coi ricchi: fu la posizione dei “poveri di Lione” guidati da Pietro Valdo, un mercante che intensificò la predicazione di laici; dall’altra c’era la schiera di legisti impiegati dalle burocrazie nei nascenti Stati nazionali, i quali entravano in conflitto con la Chiesa per il controllo dei beni ecclesiastici.


Crisi dell’impero Innocenzo III divenne papa al culmine del grande tentativo compiuto dalla Chiesa di recuperare la libertà di nomina dei vescovi e degli abati, un processo iniziato al tempo di Nicolò II quando l’elezione del papa fu affidata al collegio dei cardinali sottraendola agli imperatori. Anche al tempo di Innocenzo III, per introdurre innovazioni così importanti, fu scelto un momento di crisi dell’impero, ossia la minore età di Federico II. Questo fatto indusse Innocenzo III a portare alle estreme conseguenze l’idea che i popoli cristiani formassero un’unica entità, la Santa Romana Repubblica, avente a capo il successore di Pietro, il papa, in possesso del potere spirituale esercitato direttamente, e del potere temporale, esercitato indirettamente per mezzo dell’imperatore e dei re, i quali avrebbero trovato nel papa il garante dei loro diritti, ma anche il giudice supremo in caso di trasgressione. Tale dottrina non era nuova, ma solo al tempo di Innocenzo III sembrò possibile realizzare il disegno tendente a far proclamare illecita la guerra tra popoli cristiani, impiegando le energie esuberanti fuori della cristianità, contro gli infedeli o contro gli eretici.


Riforma della curia Una così estesa attività diplomatica esigeva una curia ben organizzata. Innocenzo III divise in tre sezioni i suoi collaboratori: cancelleria, camera apostolica e tribunali.


La cancelleria La cancelleria aveva il compito di redigere i documenti amministrativi. Comprendeva un ufficio per le lettere o brevi, altamente perfezionato per impedire il commercio di bolle false, col registro delle lettere spedite.


La camera La camera era l’ufficio finanziario che doveva provvedere alle necessità della curia, imponendo tasse su tutti gli atti della curia che i ricorrenti dovevano versare alla camera.


I tribunali I tribunali erano corti di appello, perché la maggioranza delle cause erano giudicate in prima istanza dai vescovi. Il diritto canonico fu molto sviluppato da Innocenzo III e le sue decretali formarono la base della prima raccolta di canoni aventi forza di legge universale.


Il Concilio Lateranense IV Il Concilio Lateranense IV del 1215 radunò la più grande assemblea mai vista nella Chiesa, ed ebbe il compito di elaborare una più rigorosa dottrina circa i sacramenti e una chiara struttura di governo che istituisse maggiore disciplina negli Ordini monastici. Inoltre appariva necessario definire i rapporti tra papa, vescovi e sacerdoti al riparo da intromissioni del potere civile. Per assicurare la conveniente istruzione del clero fu deciso che ogni diocesi dovesse provvedersi di un teologo: Innocenzo III guardò sempre con interesse alle Università che stavano sorgendo, e fu lui a decretare che la società dei maestri di Parigi ricevesse lo statuto di corporazione legale (1210).



17. 2 Le crociate di Innocenzo III



Nel 1190 l’improvvisa morte di Federico Barbarossa aveva compromesso il successo della Terza crociata, malamente proseguita da Filippo II Augusto re di Francia e da Riccardo Cuor di Leone re d’Inghilterra. Gerusalemme era rimasta in possesso di Saladino sultano d’Egitto, e solo una nuova crociata poteva sbloccare la situazione.


Crisi dell’impero d’Oriente A Costantinopoli, nel 1195 l’imperatore Isacco II Angelo era stato deposto e gettato in carcere dal fratello Alessio III. Quando la notizia giunse in Occidente sollevò l’ostilità dell’imperatore Enrico VI, il cui fratello Filippo di Svevia aveva sposato la figlia dell’imperatore deposto: a lui toccava la difesa dei diritti del suocero contro l’usurpatore. Enrico VI morì ancor giovane nel 1197: Filippo di Svevia aspirava alla successione imperiale, ma gli fu preferito l’altro candidato, Ottone IV di Brunswick. Nel 1198 fu eletto papa Innocenzo III: tra i suoi progetti c’era anche l’indizione della Quarta crociata.


Potenza commerciale di Venezia Tuttavia, alle sorti dell’impero bizantino erano interessati anche i Veneziani il cui commercio, nel corso del XII secolo, era divenuto imponente, acquistando nell’impero bizantino una posizione di preminenza. Genova e Pisa apparivano gelose dei privilegi commerciali veneziani, che Alessio III cercava di intaccare facendo concessioni alle potenze navali concorrenti. Perciò, il vecchio doge Enrico Dandolo ritenne conveniente per Venezia occupare militarmente Costantinopoli piuttosto che spartirne le ricchezze con altri concorrenti.


Problemi politici della crociata Innocenzo III, informato di questi movimenti internazionali, si affrettò a proclamare la Quarta crociata per impedire iniziative centrifughe rispetto al compito, da lui ritenuto primario, di riconquistare Gerusalemme. I re di Francia e di Inghilterra avevano pressanti problemi interni e non accettarono l’invito a farsi crociati. Filippo di Svevia e Ottone di Brunswick erano in guerra e perciò le maggiori potenze dell’epoca non furono interessate alla crociata.


I partecipanti alla crociata Nel 1199 il conte Tibaldo di Champagne indisse un grande torneo alla sua corte cui presero parte numerosi nobili tra cui Luigi di Blois, Goffredo di Villehardouin e altri che decisero di partire crociati.


Tibaldo di Champagne Nel corso dell’anno 1200 aderirono alla crociata anche il cognato di Tibaldo, Baldovino IX di Hainaut conte di Fiandra: a capo della crociata fu posto Tibaldo di Champagne che subito iniziò i preparativi della spedizione. Venne stabilito di concentrare l’attacco in Egitto, il più forte dei sultanati arabi per liberare la strada che conduce a Gerusalemme da sud. Per raggiungere l’Egitto occorreva una flotta, che nessuno, tranne Venezia, poteva offrire ai crociati. Furono intavolate trattative col doge Enrico Dandolo il quale, da buon mercante, esigeva in anticipo il pagamento del nolo, per far fronte agli enormi acquisti di navi, viveri ed equipaggiamenti necessari a un esercito di 4500 cavalieri, 9000 scudieri e 20.000 fanti. Goffredo di Villehardouin firmò il contratto a nome dei crociati, con l’impegno di versare 92.000 marchi d’argento all’atto dell’imbarco, previsto per la primavera del 1202.


Bonifacio del Monferrato Goffredo di Villehardouin e gli altri negoziatori ritornarono nella Champagne giusto in tempo per assistere alla morte di Tibaldo, comandante designato dell’impresa. Fu chiamato a succedergli Bonifacio marchese del Monferrato. Il nuovo comandante, tuttavia, non era gradito a Innocenzo III che conosceva i rapporti di parentela di Bonifacio con la corte di Costantinopoli.


Alessio Angelo il Giovane Nel 1201 si aggiunse ai protagonisti della crociata anche Alessio Angelo, nipote dell’imperatore di Costantinopoli Alessio III: al giovane Alessio venne fatta balenare la possibilità di far deviare la crociata da Gerusalemme a Costantinopoli, a patto di assumere le spese che i crociati non erano in grado di fronteggiare.


Conquista di Zara Come previsto dagli accordi, nella primavera del 1202 i crociati si radunarono a Venezia: mancavano oltre 34.000 marchi al saldo della cifra pattuita. Anche per levarsi di torno i rissosi crociati, Enrico Dandolo propose di salpare e di ridurre in potere di Venezia la città di Zara, occupata qualche anno prima dal re d’Ungheria, e giudicata una possibile rivale di Venezia nel dominio dell’Adriatico. Il patteggiamento non mancò di suscitare critiche, ma i crociati ritennero di non poter fare diversamente. Nel 1202 la flotta partì alla volta di Zara che fu conquistata.


Scomunica dei crociati Innocenzo III aveva proibito l’attacco contro Zara in considerazione del fatto che il re d’Ungheria era stato l’unico sovrano che avesse accettato di buon grado la predicazione della crociata: il papa inflisse la scomunica ai crociati ribelli. Dopo la presa di Zara, giunsero al campo Bonifacio del Monferrato e Alessio che sottoposero all’approvazione dei comandanti la proposta di accollarsi le spese della spedizione se i crociati accettavano di deporre l’imperatore Alessio III, riportando sul trono Isacco II.


Esitazioni di Innocenzo III La reazione del papa Innocenzo III a queste proposte, cui fu aggiunta l’allettante prospettiva di ricondurre la Chiesa bizantina in seno all’unica Chiesa con la cessazione dello scisma, fu esitante, perché comprendeva che la situazione era priva di alternative: tolse perciò la scomunica ai crociati.


Partenza dei crociati alla volta di Costantinopoli Nel 1203 la flotta crociata ripartì alla volta di Costantinopoli. La flotta bizantina era inesistente e la difesa della città era affidata a un contingente di mercenari svedesi. Il giovane Alessio sperava in un pronunciamento dei cittadini di Costantinopoli a sua favore, ma la popolazione della città non lo riconobbe come legittimo sovrano. Il 5 luglio la flotta veneziana spezzò le catene poste a difesa del Corno d’Oro iniziando l’attacco contro la città. La resistenza bizantina fu piegata da un incendio. Alessio III tentò una sortita contro i crociati, ma si perse d’animo e fuggì col tesoro.


Conquista di Costantinopoli Senza altri combattimenti la città si arrese. Il 1° agosto Alessio IV fu incoronato imperatore insieme col padre Isacco II, ma ben presto iniziarono i contrasti con i crociati che esigevano il pagamento delle somme promesse, mentre i greci non avevano alcuna intenzione di sottoporsi a una crudele tassazione. Alessio IV chiese tempo ai Veneziani per saldare i debiti, supplicando che i crociati partissero perché rendevano impossibile la vita a Costantinopoli, ma i Veneziani non accettarono. All’inizio del 1204 ci furono tumulti in città; a febbraio Alessio IV fu messo in prigione e poi strangolato, mentre il padre moriva pochi giorni dopo. Fu eletto Alessio V Murzuflo che rifiutò gli impegni assunti dal predecessore.


Saccheggio di Costantinopoli Questo decisione semplificò i problemi dei crociati che fecero proprio l’invito dei Veneziani di conquistare la città. Nel marzo 1204 fu stipulato un trattato che prevedeva la spartizione del bottino, l’elezione di un nuovo imperatore e l’assegnazione delle province ai vari capi in qualità di vassalli del nuovo imperatore. Il 9 aprile 1204 iniziò l’attacco dalla parte del mare, respinto dai difensori. Tre giorni dopo l’attacco fu ripetuto, e questa volta gli attaccanti riuscirono a scalare le mura e ad aprire dall’interno le porte attraverso le quali i crociati entrarono in città. Il 13 aprile Costantinopoli capitolò e subito cominciò un selvaggio saccheggio che non rispettò neppure le chiese.


L’impero latino d’Oriente Cessato il saccheggio, fu nominato imperatore Baldovino di Fiandra, posto a capo di un piccolo Stato comprendente Costantinopoli e due strisce di territorio a cavallo del Mar di Marmara, mentre Bonifacio del Monferrato fu nominato re del regno di Tessalonica esteso sulla Grecia settentrionale. Il ducato di Atene e il principato di Acaia (Peloponneso) furono affidati ad altri capi crociati, mentre Venezia occupava la maggior parte delle isole dell’Arcipelago greco. Tutte queste nuove formazioni politiche ebbero vita precaria perché i rapporti coi greci ortodossi divennero ostili anche a causa dell’elezione a patriarca di Costantinopoli di un veneziano, Tommaso Morosini, poco rispettoso della tradizione bizantina.


Inizia la resistenza greca Tra coloro che erano riusciti a lasciare Costantinopoli prima del definitivo attacco del 1204 c’era anche un patriota, Teodoro Lascaris rifugiato a Nicea, dove dette inizio a un movimento di resistenza. Teodoro Lascaris radunò gli esponenti della gerarchia religiosa greca e li indusse a nominare un nuovo patriarca dei fedeli di rito greco e poi, nel 1208, si fece incoronare imperatore di Nicea, uno Stato che confinava con la parte asiatica dell’Impero Latino d’Oriente.


L’Impero legittimista di Teodoro Lascaris L’ex imperatore Alessio III era riuscito ad abbandonare il luogo in cui era stato confinato dopo la sua cattura da parte dei latini, aveva raggiunto l’Asia Minore riuscendo a convincere il sultano di Iconio ad allearsi con l’imperatore latino per schiacciare Teodoro Lascaris. La battaglia avvenne nei pressi di Antiochia sul Meandro e fu vinta da Teodoro Lascaris (1211). Da quel momento, sconfitto il pretendente e l’avversario più forte tra i musulmani, Teodoro Lascaris poté dedicarsi al compito di sgretolare il fragile Stato sorto dalla Quarta crociata.


Conflitti feudali nell’Impero Latino A Baldovino di Fiandra successe nel 1207 il fratello Enrico che compì alcuni tentivi di occupare il regno di Nicea: sconfisse Teodoro Lascaris, accorgendosi ben presto di aver bisogno di nuovi soldati per rafforzare le sue conquiste, ma non riuscì a convincere gli Stati dell’Occidente a inviare truppe in Oriente.


Permangono le tensioni religiose Innocenzo III aveva compreso che si dovevano fare concessioni allo spirito religioso dei Bizantini e che essi andavano convertiti con la persuasione piuttosto che con la forza, ma non fu felice nella scelta degli uomini per attuare le sue direttive. Perciò, al Concilio Lateranense IV non parteciparono i prelati greci e così andò perduta quell’importante occasione per riunire le due parti della cristianità.



17. 3 La nascita e lo sviluppo degli Ordini mendicanti



Più fortunate le decisioni pastorali nei confronti delle nuove forme religiose sorte durante il suo papato, gli Ordini mendicanti, così chiamati perché i frati non vivevano col frutto di una dotazione di beni immobili, bensì ricorrendo all’elemosina dei fedeli.


Gli Ordini mendicanti Gli ordini mendicanti – Francescani, Domenicani, Carmelitani – rappresentano per molti versi una novità nella storia della Chiesa e del monachesimo. Infatti, i monasteri non sorgono più in posizione solitaria sui monti o in pianure paludose, bensì in città, là dove si concentra la popolazione più attiva ma anche più turbolenta. I membri degli Ordini mendicanti si rendono conto che il loro principale ufficio deve essere quello di predicatori del Vangelo che i nuovi sviluppi culturali tendono a mettere da parte a causa dell’urto delle passioni politiche e delle tensioni generate dai “sùbiti guadagni” dei mercanti imprenditori. Le università sono conquistate dalla logica e dal metodo dialettico di Aristotele, e va profilandosi il pericolo di scollamento tra ragione e fede, tra filosofia e teologia.


San Francesco d’Assisi La vita di san Francesco fornisce numerosi spunti per comprendere la complessità di questo periodo storico. Egli nacque nel 1182 ad Assisi, da Pietro di Bernardone, un ricco mercante che si trovava in Francia al momento della nascita del figlio. Da giovane egli condusse una vita brillante: poesia cortese, giostre, tornei. Combatté e fu fatto prigioniero nel corso di una guerra tra Assisi e Perugia. Cominciarono a manifestarsi alcuni segni premonitori che Francesco attuava alla lettera: un giorno capì che Cristo, umiliato e straziato dalle cinque piaghe, era sempre accanto a lui; in un’altra occasione incontrò un lebbroso e, vincendo la ripugnanza, volle baciarlo e servirlo come se fosse Cristo; fece un pellegrinaggio a Roma in abito da penitente, elemosinando il cibo; infine, mentre pregava davanti al Crocifisso di San Damiano, percepì l’ordine di riedificare la chiesa che crollava. Subito Francesco chiese al padre denari per restaurare le cappelle in rovina nei dintorni di Assisi. Il padre era furibondo: dapprima pensò a infatuazioni giovanili, poi temette che il figlio fosse abbindolato da qualcuno; infine ricorse ai magistrati e al vescovo Guido per far rinsavire il figlio con la forza. Ma Francesco perseverò e alla fine avvenne la scena rievocata da Giotto, di Francesco che si spoglia e consegna gli abiti al padre, affermando davanti alla città che da quel momento avrà come unico padre Dio, mentre il vescovo lo ricopre col suo mantello. All’età di venticinque anni un giovane ricco, elegante, pieno di fascino, decide di essere povero, per dare esempio clamoroso a coloro che non vivevano in modo patente il distacco dai beni di questo mondo.


Si concreta la vocazione di Francesco Sempre in San Damiano, nel 1209 Francesco ascoltò la lettura del brano del Vangelo in cui Gesù dice: “Andate e predicate! Dite: il regno dei cieli è vicino”, e con caratteristico atteggiamento ritenne che quelle parole andavano eseguite alla lettera. Discese da San Damiano nella piazza di Assisi e cominciò a parlare di giustizia, di rinuncia. Lo seguirono due ricchi borghesi, un contadino, un cavaliere. Francesco volle sottoporre all’approvazione di Innocenzo III il suo gruppo ottenendo il permesso perché i confratelli, col consenso del parroco del luogo, potessero predicare durante le fiere sulle piazze. Ai piedi del colle di Assisi i primi compagni di Francesco costruirono con le loro mani alcune capanne, poi, cresciuti i discepoli, fu fondata Santa Maria degli Angeli, mentre i frati raggiungevano, a due a due, le città dell’Umbria.


Francesco a Roma Nel 1215, appena inaugurato il Concilio lateranense IV, Francesco andò a Roma per annunciare al papa che i suoi discepoli si erano moltiplicati, e il papa Innocenzo III, in deroga a uno dei canoni appena decretati, decise di approvare il nuovo Ordine con una regola propria.


Il ramo femminile del nuovo ordine Fin dal 1212 Francesco aveva avuto la consolazione di vedere Chiara, bella e ricca, accolta in un eremitaggio presso San Damiano per dare vita alle Povere Dame, adattando il messaggio di Francesco alle donne. Verso il 1221 l’Ordine francescano, ancora con strutture giuridiche fluide, sciamò per l’Occidente e poi in Terrasanta. Infine sorse il Terzo ordine perché uomini e donne viventi nel mondo potessero applicare a tale situazione il messaggio vissuto in modo radicale da san Francesco.


Difficoltà giuridiche della nuova regola Ben presto, tuttavia, sorsero grandi difficoltà. Francesco aveva scarsa sensibilità per il diritto canonico e perciò non seppe immaginare una struttura giuridica per conservare il carisma fondazionale, traducendolo in istituzioni vitali anche dopo la sua morte. Temendo che il successo potesse inorgoglirlo, Francesco continuò a predicare di persona, fece progetti di viaggio fin in Marocco e raggiunse l’Oriente per pregare sul Santo sepolcro, poi raggiunse Damiata e volle incontrarsi col Sultano d’Egitto, parlandogli della fede. Nel 1218 affidò la sistemazione giuridica del nuovo ordine a un cardinale protettore, Ugolino da Ostia, il futuro papa Gregorio IX, che insistette per ricondurre il movimento francescano nell’alveo della tradizione monastica.


Gli ultimi anni di Francesco Questa evoluzione, avvenuta secondo i modi della tradizione monastica precedente, indusse in Francesco il timore di non aver dato strutture adeguate al carisma fondazionale. Lasciò la direzione dell’Ordine a frate Elia che aveva maggiori talenti organizzativi, ma che forse non capiva fino in fondo il suo grande maestro. Francesco si ritirò sul monte della Verna, dove la sua ansia di imitare Cristo crocifisso fu appagata con l’impressione delle cinque piaghe della Passione. In quel periodo, superati i timori per la regola e per le possibili deviazioni dell’ordine, Francesco compose il mirabile salmo da tutti conosciuto col titolo di Cantico di frate Sole, col quale si è soliti iniziare lo studio della letteratura italiana.


Morte di Francesco Il 3 ottobre 1226, divenuto quasi muto, Francesco fu trasportato in Santa Maria degli Angeli, dove morì. Se san Francesco col suo ordine disinnescò lo scandalo della ricchezza penetrata anche nella Chiesa, Domenico de Guzman comprese che l’ignoranza religiosa era la radice di molti mali.


Domenico de Guzman Domenico nacque nel 1171 a Calahorra in Castiglia, dalla nobile famiglia dei Guzman. Frequentò l’università di Palencia. Divenne sacerdote e segretario del vescovo di Osma Diego de Azevedo. Insieme, nel 1205, essi si recarono a Roma dove furono ricevuti da Innocenzo III, al quale esposero il progetto di recarsi in Ungheria per convertire i pagani. Innocenzo III propose loro, al contrario, una missione in Provenza per arrestare i progressi degli albigesi, un’eresia che aveva molti tratti in comune col manicheismo.


Gli albigesi Gli albigesi, o catari (perfetti) come essi chiamavano se stessi, promovevano pubbliche dispute nel corso delle quali spesso i cattolici erano messi in difficoltà. La teologia catara era assai semplice: i catari partivano da una fondata critica di alcuni abusi clericali, poi finivano per discutere il dogma e infine proponevano una nuova religione che escludesse la Chiesa gerarchica.


La scelta della povertà Diego di Osma e Domenico compresero che per aver successo dovevano imitare i costumi albigesi per quanto riguardava la povertà. Decisero perciò di spostarsi sempre a piedi e di elemosinare il vitto. Nel 1207 Diego morì e Domenico proseguì da solo la missione.


Assassinio del legato pontificio Nel 1208 avvenne l’assassinio del legato pontificio Pietro di Castelnau che attirò sui catari l’orrore di una crociata guidata da Simone di Montfort, alla quale non fu estranea la volontà del re di Francia Filippo II di annettersi gran parte della regione. Domenico comprese che la violenza non era il modo adatto per ricondurre alla fede cattolica gli albigesi, e volle insistere nel suo sforzo. Il vescovo di Tolosa, Folco, un ex trovatore provenzale, aiutò Domenico nel fondare un piccolo convento di sette missionari, dando loro il nome di Frati predicatori.


I Domenicani adottano la regola agostiniana Intanto il Concilio Lateranense IV si era riunito, decidendo di non ammettere nuove regole monastiche, e perciò Domenico optò per la regola agostiniana. In tutto i frati predicatori erano sedici, e le loro caratteristiche rimasero fissate per sempre: uomini di studio, predicatori, poveri. Ben presto i Domenicani si misero a frequentare le principali università, dapprima come studenti e poi come maestri.


Espansione dell’Ordine domenicano Fino alla morte Domenico percorse le strade d’Europa a piedi, aprendo conventi nelle principali città universitarie. Fece un ultimo viaggio a Venezia per incontrare il cardinale Ugolino a cui volle affidare le sorti dell’Ordine, poi alla fine di luglio 1221 ritornò nel suo convento di Bologna, in preda all’emicrania. Morì il 6 agosto dopo aver ricordato ai discepoli più anziani i modi per conservare la prosperità dell’Ordine.


Funzione sociale degli Ordini mendicanti La funzione sociale svolta dagli Ordini mendicanti è stata imponente. In molte occasioni essi furono pacieri tra le fazioni rivali in lotta nelle città; furono impiegati in vaste operazioni missionarie quando si comprese che i musulmani non sarebbero mai stati convertiti con l’uso delle armi; cooperarono con la Santa Sede per l’attuazione dell’accentramento ecclesiastico necessario per far fronte alle pressioni dei nuovi Stati nazionali; trasformarono la vita monastica dando a ogni monaco una responsabilità diretta e personale in seno al capitolo che ogni tre anni rinnovava le cariche interne all’Ordine.



17. 4 Papato e Impero nell’età di Innocenzo III



La prematura morte di Enrico VI pose l’impero germanico in gravi difficoltà perché il regno di Sicilia non si era assestato, e in Germania il regime feudale era ancora in pieno sviluppo e perciò esigeva la presenza di un sovrano autorevole.


Conflitto per il titolo imperiale Nessuno pensava realisticamente di porre sul trono di Germania un bambino di due anni: nel 1198 si arrivò alla doppia elezione di Filippo di Svevia, fratello minore di Enrico VI, e di Ottone IV di Brunswick, capo dei guelfi. Iniziò così una guerra civile durata vent’anni, fino al 1218.


Il conflitto diviene europeo I due imperatori rivali cercarono appoggi internazionali: Ottone IV, figlio di Enrico il Leone, e perciò nipote di Riccardo Cuor di Leone e di Giovanni Senzaterra, aveva il suo punto di forza nella città di Colonia legata per ragioni commerciali all’Inghilterra, da cui ricevette aiuti per finanziare la guerra. Ebbe anche l’aiuto di Ottocaro re di Boemia, il più feroce saccheggiatore di terre tedesche. Filippo di Svevia aveva dalla sua parte la maggior parte dei vassalli tedeschi e perciò riuscì a espellere il rivale dalla Germania. Filippo si rivolse al papa Innocenzo III per avere il riconoscimento papale e l’incoronazione imperiale.


Assassinio di Filippo di Svevia Quando la questione sembrava risolta Filippo di Svevia fu assassinato. Ottone IV, a parole, firmò il documento in cui riconosceva le rivendicazioni territoriali del papa in Italia, ma dopo aver ricevuto la formale designazione da parte dei principi tedeschi, si affrettò a non mantenerle. Fin dal 1210 Ottone IV si atteggiò a erede di tutti i possedimenti degli Hohenstaufen anche in Italia, e perciò il papa si mise in contatto con Filippo II Augusto re di Francia che seguiva con apprensione ogni rafforzamento della Germania, specie nell’importante regione delle Fiandre, obiettivo della coalizione di interessi anglo-tedesca.


Scomunica di Ottone IV Nel 1211 Innocenzo III, dopo aver costatato l’evidente intenzione di Ottone IV di conquistare l’Italia centrale e il regno di Sicilia, decise di scomunicarlo. Ottone IV, che già aveva occupato la Puglia, dovette desistere dalla spedizione in Sicilia per accorrere in Germania. Nel 1212 riuscì a penetrare in Germania il giovane Federico II col favore dei ghibellini che gli offrirono la corona di re di Germania. La guerra civile tedesca riprese vigore per la presenza dei due aspiranti al trono: con Federico II si schierarono il sud della Germania e la Turingia; con Ottone IV il nord-ovest della Germania e la Sassonia. Federico II strinse accordi con la Francia.


La battaglia di Bouvines Nel 1214 sul campo di Bouvines presso Lilla avvenne lo scontro definitivo tra i due contendenti: nonostante Ottone IV avesse truppe più numerose degli avversari, fu sconfitto e dovette ritirarsi in Renania. Nel 1215 Federico II occupò Aquisgrana dove ricevette una seconda volta la corona tedesca e dove fece il voto di recarsi in Terrasanta a capo di una crociata. Ottone IV morì nel 1218 e solo allora Federico II ricevette le insegne imperiali e la sottomissione della Sassonia.


Soggiorno tedesco di Federico II Federico II rimase fino al 1220 in Germania nel tentativo di pacificare la regione per tornare al più presto in Italia dove il papa Onorio III continuava a ingiungergli di adempiere la crociata a difesa di Damiata assediata dagli egiziani. Il figlio della prima moglie di Federico II, Enrico, era già stato nominato re dei Romani fin dal 1212, ma Federico II era quanto mai ostile all’idea di abbandonare il regno di Sicilia: progettò di nominare Enrico re di Germania e di rimanere re di Sicilia. Al figlio Enrico, Federico II trasmise l’eredità della famiglia di Svevia.


Situazione politica della Germania La politica tedesca di Federico II chiaramente mirava a fare larghe concessioni ai principi e agli ecclesiastici tedeschi perché tornasse la pace, permettendogli di rivolgere ogni attenzione all’Italia e alla Sicilia alle quali sperava di imporre un regime assoluto da estendere in seguito alla Germania. Come consigliere principale di Enrico fu scelto l’arcivescovo di Colonia Enghelberto. Enrico, tuttavia, tendeva a emanciparsi dal consigliere e dai nobili, preferendo l’aiuto dei ministeriales, ossia i funzionari che, ricevendo lo stipendio da lui, erano più pronti a eseguire la sua volontà.


Tensioni politiche in Germania Nel 1225 l’arcivescovo Enghelberto fu ucciso, ed Enrico fu libero di attuare una politica di concessioni alle città tedesche che stavano attraversando un momento di notevole sviluppo economico, tendendo a emanciparsi sia dal potere del vescovo sia da quello dei nobili, cercando in un forte potere centrale la sicurezza di cui avevano bisogno i commerci e le industrie per prosperare.


La Sesta crociata Federico II fu impegnato tra il 1227 e il 1229 in quella strana crociata che guidò in Oriente da scomunicato: non combatté bensì negoziò col sultano d’Egitto Malik el-Kamil il possesso di Gerusalemme e della strada che vi giungeva dalla costa, oltre alla garanzia che i pellegrini disarmati non sarebbero stati molestati.


Pace di San Germano Tornato dall’Oriente, Federico II dovette farsi assolvere dalla scomunica e ciò avvenne dopo la pace di San Germano del luglio 1230 che doveva regolare i rapporti dell’impero tedesco con lo Stato della Chiesa.


Le Costituzioni di Melfi Il primo provvedimento dell’imperatore fu la promulgazione della Lex Augustalis, avvenuta a Melfi in Basilicata, divenuta operante fin dal 1231 per opera di Pier della Vigna. Si tratta del primo codice medievale chiaramente ispirato al diritto romano invece che al diritto feudale: il codice rivela il deciso assolutismo del sovrano e anche le leggi penali appaiono esorbitanti, ma tra tutti i codici del tempo la Lex Augustalis appare all’avanguardia perché si prefigge di prevenire piuttosto che reprimere i delitti; le libertà personali sono garantite a tutti, anche ai servi della gleba; i tribunali abilitati a infliggere la pena di morte sono unicamente quelli del re e non quelli dei baroni o degli ecclesiastici; il duello e l’ordalia sono prescritti dall’uso dei tribunali; gli stranieri vengono protetti nella persona e negli averi; le donne sono ammesse all’eredità.


Ordinamento amministrativo Anche il sistema amministrativo, che poi era quello normanno, appare moderno. Il re sta al vertice aiutato dai suoi consiglieri, responsabili verso il re del loro operato: essi si avvalgono dell’opera di funzionari locali che rispondono davanti ai tribunali in caso di denuncia da parte degli amministrati.


Finanze del regno di Sicilia Le entrate dello Stato erano rilevanti perché Federico II non aveva lesinato alcuno sforzo per incrementare agricoltura, commercio e artigianato. Per ottenere questo risultato furono soppresse le dogane interne e fu tollerata la presenza di mercanti di ogni nazionalità, anche veneziani e genovesi. La potenza dei baroni fu compressa, ma anche i comuni non poterono svilupparsi come era avvenuto nell’Italia settentrionale. Sotto la vigorosa amministrazione centralizzata di Federico II il regno di Sicilia raggiunse un insuperato livello di prosperità e di civiltà che può ben venir rappresentato dalla vivace scuola poetica siciliana radunata intorno alla persona del colto imperatore.


Cultura di Federico II L’infanzia di Federico II non era stata felice ma fu certamente studiosa: conosceva varie lingue e aveva spiccato interesse per la filosofia e per le scienze naturali, per la matematica e per l’astronomia. Dopo essersi reso conto che molti talenti abbandonavano il regno per seguire gli studi altrove e poi non facevano ritorno in patria, volle fondare e riccamente dotare l’Università di Napoli (1224) dove fece invitare i più noti maestri d’Europa.



17. 5 Inizia il conflitto tra l’impero e i comuni



Dopo la riconciliazione con Gregorio IX, Federico II ritenne giunto il momento di ingerirsi negli affari dei comuni dell’Italia settentrionale.


Si riforma la Lega lombarda Subito si riformò la Lega lombarda che prese la decisione di presidiare i passi alpini per impedire ogni passaggio da nord a sud delle Alpi. In questi frangenti giunse a Federico II la notizia della ribellione del figlio Enrico, il quale aveva accettato dai comuni lombardi la corona di re d’Italia da strappare al padre. Federico II tornò in Germania accompagnato dal figlio Corrado per detronizzare Enrico. Costui fu sconfitto e condotto prigioniero nell’Italia meridionale, sostituito da Corrado più ligio alla volontà del padre. Il soggiorno tedesco dell’imperatore durò dal 1235 al 1237 e si concluse con una nuova crisi tra il papa e i comuni lombardi da una parte, e l’imperatore dall’altra. Infatti, con una lettera circolare Federico II notificò la convocazione di una grande dieta da tenersi a Piacenza per far rientrare l’Italia in stretta unione con l’Impero: non solo la Lombardia ma anche le terre cedute in passato alla Chiesa dovevano ritornare sotto il dominio diretto di Federico II. Nella lettera l’imperatore affermava di essere italiano e nato in Italia: è chiaro che Federico II si preparava a fondare una nuova monarchia con l’intenzione di estendere a tutta l’Italia il centralismo burocratico che sembrava aver avuto successo in Sicilia.


Reazione papale Gregorio IX rispose riaffermando i diritti del papa la cui giurisdizione si estendeva sul mondo intero, e perciò non poteva esser giudicato da alcuno. Gregorio IX citava anche la leggenda del trasferimento dell’impero operato da Costantino a favore del papa, il quale a sua volta aveva trasferito l’impero a Carlo Magno, ma senza cedere il dominio indiretto sulla cristianità.


La battaglia di Cortenuova Federico II non prese in considerazione le ragioni del papa e penetrò nella marca veronese e trevigiana fin dal 1236; poi tornò in Germania per domare la rivolta del duca d’Austria. Nel 1237 Federico II tornò in Italia e attaccò Brescia che gli impediva il passaggio verso Milano. Le truppe della Lega lombarda, al comando del veneziano Pietro Tiepolo, podestà di Milano, furono sorprese a Cortenuova, e furono sbaragliate: il carroccio fu catturato e spedito al papa come ammonimento di ciò che sarebbe accaduto anche a lui in caso di resistenza. Milano promise di far ogni concessione all’imperatore pur di rimanere indipendente, ma i consiglieri di Federico II lo indussero a chiedere la resa incondizionata. I milanesi decisero allora la resistenza a oltranza. Nel 1238, alla dieta generale di Verona, Federico chiese ai vassalli di operare uno sforzo supremo per radunare le truppe necessarie all’assedio di Milano: per stringere la città da ogni parte iniziò l’assedio di Brescia, che resistette oltre due mesi: poiché l’autunno incalzava, Federico II fece bruciare le macchine d’assedio e si ritirò a Cremona per svernare.


Scomunica di Federico II Gregorio IX nel marzo 1239 scomunicò l’imperatore, iniziando la fase più acuta del conflitto tra Chiesa e Stato. Federico II tentò l’assedio di Milano per un mese e mezzo, ma le mura della città resistettero e per di più l’imperatore perdette il controllo di Ravenna e di Ferrara, vitali per i suoi rifornimenti. Lasciata Milano, l’imperatore si diresse a Roma nella speranza di far insorgere la città contro il papa, ma invano, e perciò Federico II si ritirò nel sud, convocando a Foggia una seconda assemblea generale per ricevere nuovi aiuti dai vassalli.


Tentativi di mediazione da parte di Luigi IX Iniziò una fase di negoziati per risolvere il contrasto tra Chiesa e Impero con la mediazione del re di Francia Luigi IX. Con una mossa a sorpresa Gregorio IX convocò a Roma un concilio che sicuramente sarebbe risultato ostile a Federico II: l’imperatore rispose con l’espulsione dalla Sicilia dei frati mendicanti. Alcuni prelati dell’Italia settentrionale, salpati da Genova per Roma, furono intercettati nei pressi dell’isola del Giglio e condotti prigionieri in Sicilia (1241).


Morte di Gregorio IX Nel 1241 il papa Gregorio IX morì. I cardinali fuggirono da Roma mentre i vicari di Federico II occupavano il territorio della Santa Sede.


Innocenzo IV Nel 1243 fu eletto papa Sinibaldo de’ Fieschi, un genovese che assunse il nome di Innocenzo IV. Giurista e diplomatico, Innocenzo IV propose una commissione di principi laici e di cardinali per esaminare il contenzioso. Federico II rifiutò il perdono ai Lombardi e chiese in feudo i territori papali occupati, un fatto che confermava la sua decisione di unire l’Italia sotto il suo potere.


Innocenzo IV si reca a Lione A Roma scoppiò una ribellione la cui responsabilità fu attribuita a Federico II che, dopo la revoca della scomunica, si era affrettato a respingere le clausole dell’accordo. Innocenzo IV chiese ai Genovesi di inviare alcune navi a Civitavecchia dove egli si recò in incognito, sfuggendo al controllo dell’imperatore. Giunto a Genova si recò subito in Francia sotto la protezione di Luigi IX. A Lione convocò un concilio per il giugno 1245.


Fase finale del conflitto tra papato e impero Federico II reagì facendo chiudere i passi alpini perché il papa non ricevesse aiuti dall’Italia, devastò il territorio di Viterbo e concentrò le truppe a Piacenza, ma alla fine ritenne opportuno nominare Taddeo da Sessa suo sostituto al concilio di Lione, appellandosi a Dio, al futuro papa, ai principi dell’impero nel tentativo di far apparire la vicenda una specie di vendetta del papa. Il 17 luglio 1245 il concilio scomunicò e depose l’imperatore giudicato colpevole di eresia e di sacrilegio.


Nuova mediazione di Luigi IX Solo Luigi IX di Francia si adoperò per riportare il conflitto nei termini diplomatici, temendo un eccessivo aumento della potenza papale, dannoso anche per gli altri sovrani. Nel frattempo Federico II, ormai a corto di risorse finanziarie, fece tassare gli ecclesiastici e predispose l’attacco contro Milano. Le truppe imperiali si concentrarono a Pavia per proseguire alla volta di Milano, mentre il figlio Enzo e il genero Ezzelino da Romano avanzavano da est: i Milanesi respinsero i due attacchi, costringendo l’imperatore a ritirarsi verso Lodi.


Parma Federico II si preparò per andare a Lione, ma non vi giunse mai perché i partigiani del papa si erano radunati a Parma occupando la valle del Taro. L’imperatore convocò un esercito nei pressi della città ribelle. Nel corso di una sortita i difensori di Parma riuscirono a penetrare nel campo di Federico II dove uccisero Taddeo da Sessa e fecero 3000 prigionieri, riuscendo a catturare il tesoro imperiale. Federico II arrivò troppo tardi e gli toccò ritirarsi a Cremona.


Federico II in difficoltà Le crescenti difficoltà dell’imperatore apparvero chiare a tutti. L’imperatore riaprì trattative di pace, ma il papa le giudicava pericolose e la rottura divenne completa. La scoperta di una nuova congiura ai danni di Federico II condusse all’arresto di Pier della Vigna, morto suicida. Federico II abbandonò ogni proposito di pace, incaricò il figlio Enzo della difesa del nord e si diresse a sud per domare le rivolte scoppiate un po’ ovunque. Nel 1249 Federico II giunse a Napoli proprio mentre il figlio Enzo, accorso in difesa di Modena contro i Bolognesi, veniva sconfitto e fatto prigioniero.


Morte di Federico II Il disastro amareggiò l’anziano imperatore, anche se i vicari dell’Italia settentrionale – Ezzelino da Romano, Manfredi, Oberto Pelavicino – riportarono alcune vittorie. Nel 1250, mentre si recava da Foggia a Lucera, Federico II fu colpito da febbre e il 13 dicembre morì nel castello di Ferentino.


Fallimento della politica di unificazione d’Italia Con la morte dell’imperatore venne meno la possibilità di unificare l’Italia sotto un unico governo. Nel nord i comuni erano troppo potenti per esser piegati e dettero vita a una miriade di staterelli animati da fiero spirito municipale; nel sud riprese vigore la tendenza anarchica dei baroni. Ma anche il Sacro Romano Impero cessò d’essere un sistema vivo di governo perché la prolungata assenza dell’imperatore dalla Germania fece cadere la possibilità di trasformarla in una potente monarchia nazionale come era avvenuto in Francia.


Stupor mundi Federico II fallì il disegno politico: i contemporanei lo definirono Stupor mundi, ma inorridirono di fronte all’evidente indifferenza religiosa e alla manipolazione della verità; rimasero stupiti di fronte alle argomentazioni giuridiche, ai libelli, agli appelli internazionali cui faceva ricorso l’imperatore, e definirono demoniaco tale iperattivismo che metteva in crisi le loro categorie di giudizio. Si può concludere che Federico II si propose fini politici e impiegò mezzi senza tener conto della mentalità dominante nella sua epoca: volle bruciare i tempi, ma rimase bruciato egli stesso. In seguito, in altri contesti culturali, le sue tecniche di potere furono imitate con maggiore successo e perciò alcuni storici indicarono in Federico II il precursore dello spirito laico e dell’assolutismo burocratico.


Castel del Monte Tra le realizzazioni di Federico II una può esser assunta come cifra della personalità enigmatica del grande imperatore, Castel del Monte. In posizione isolata, a coronamento di una collina delle Murge non lontano da Andria si erge il castello ottagonale circondato da otto torri anch’esse ottagonali; un cortile interno delimita su due piani sedici grandi stanze di pianta trapezoidale voltate con archi gotici. Non fu una fortezza militare perché nei dintorni non ci sono strade da custodire, e mancano cantine o depositi per viveri indispensabili a una guarnigione; non fu un castello di caccia perché lo spessore dei muri è ingiustificabile in un edificio civile. Il castello risulta perfettamente orientato e si può interpretare come una grande meridiana perché le ombre, reali o teoriche, proiettate dai muri nei giorni di solstizio e di equinozio, disegnano i perimetri dell’edificio, compresa una cinta esterna ottagonale andata distrutta. Sembra che l’edificio possa interpretarsi come un orgoglioso simbolo della potenza dell’imperatore che poteva realizzare tutto ciò che voleva: forse questo capriccio imperiale fornisce una traccia per comprendere il complesso mondo spirituale nel quale si muoveva l’ultimo degli Hohenstaufen.



17. 6 Luigi IX re di Francia



Un altro grande protagonista del secolo XIII fu Luigi IX re di Francia. Il regno del padre Luigi VIII fu breve, dal 1223 al 1226. La vedova Bianca di Castiglia assunse la reggenza per il figlio dodicenne: la figura di Bianca di Castiglia è importante perché a lei si deve l’educazione del figlio anche dal punto di vista politico.


Carattere di Luigi IX Luigi IX aveva un carattere opposto a quello di Federico II: era un asceta, animato da fede profonda; era affabile con i collaboratori, ma anche esigente, perché riteneva che fosse suo dovere indirizzarli alla salvezza eterna, senza tollerare o utilizzare i loro difetti. Luigi IX operò più di altri re di Francia il rafforzamento della monarchia, perché i sudditi percepivano che la sua vita e le sue forze erano poste al loro servizio. Il re applicava gli stessi princìpi anche nei rapporti con i regni vicini cercando di agire da paciere. Naturalmente, secondo le più radicate convinzioni del tempo, non fu tenero nei confronti degli eretici e dei musulmani. Tra i fratelli del re c’era Carlo d’Angiò, il più ambizioso, colui che prenderà parte attiva nelle questioni mediterranee, per sostituire gli Hohenstaufen nel regno di Sicilia.


Aspetto conservatore del regno di Luigi IX I collaboratori di Luigi IX provenivano in maggioranza dall’ambiente ecclesiastico ed erano conservatori impegnati a favorire il potere di un re tanto sollecito del bene comune che non ricorreva ai metodi meramente legali, ma sostanzialmente ingiusti impiegati da Federico II nel regno di Sicilia.


Evoluzione del sistema amministrativo francese La Francia era divisa in province a capo delle quali c’erano balivi nel nord e siniscalchi nel sud. Costoro amministravano le terre del re appaltandole ad agenti che garantivano la riscossione delle rendite e rappresentavano il re nei distretti in cui essi avevano anche la funzione di conte. Tale sistema era fonte di abusi, ma il re sapeva far funzionare i suoi tribunali. Tuttavia, durante la vita di Luigi IX l’amministrazione del regno di Francia conobbe una lenta evoluzione nel senso delle monarchie normanne, ossia una crescente centralizzazione delle funzioni politiche. Un poco alla volta il Parlamento di Parigi assunse le funzioni che nel regno di Sicilia erano assolte dalla Curia regis: i tribunali itineranti del re si fissarono a Parigi e le sentenze che in precedenza non erano scritte, furono raccolte in rotoli, conservati e consultati alla ricerca di precedenti giuridici. I membri del Parlamento di Parigi erano una ventina e a turno presiedevano il tribunale del re.


Le finanze francesi Durante il regno di Luigi IX iniziò a funzionare anche la Camera dei conti, ossia l’ufficio finanziario della corona. La maggior parte delle entrate era fornita dal reddito delle terre demaniali, dalle multe e dagli esoneri dal servizio militare; i mercanti italiani e gli ebrei dovevano pagare somme notevoli per operare in Francia; al tempo delle due crociate (Settima e Ottava) Luigi IX non esitò a far contribuire il clero. Le spese del re furono sempre oculate e perciò, senza tasse eccessive, Luigi IX riuscì a mantenere la stabilità della moneta, pur facendo fronte agli impegni di politica estera.


Torbidi all’inizio del regno I primi anni del regno di Luigi IX sotto la reggenza di Bianca di Castiglia furono travagliati da tentativi di insurrezione in Bretagna con l’appoggio del conte di Tolosa e del re d’Inghilterra, desideroso di rimettere piede in Francia. Nel 1230 ci fu un tentativo di sbarco in Normandia del re d’Inghilterra Enrico III: dopo quaranta giorni i coalizzati si dispersero per darsi a saccheggi privati.


Maggiore età di Luigi IX Nel 1234 il re fu proclamato maggiorenne, tuttavia la madre conservò un’importante funzione politica. Nei rapporti con la Chiesa Luigi IX fu assai cauto, ma non remissivo e non esitò a reprimere gli abusi ecclesiastici quando venivano minacciati i suoi diritti, specie in caso di assegnazione di benefici ecclesiastici a stranieri che non risiedevano in Francia.


Politica nei confronti dei comuni La politica di Luigi IX nei confronti dei comuni cittadini fu improntata a grande rispetto perché le città avevano fornito al re aiuto al tempo della rivolta dei nobili, ma è anche vero che il grande momento dei comuni francesi volgeva al termine: infatti Luigi IX cominciò a esigere il controllo delle amministrazioni comunali che furono pesantemente tassate tanto da indebitarsi nei confronti della corona. Nelle campagne i contadini furono favoriti dall’ordine pubblico che permetteva di vendere a buon prezzo il raccolto.


Politica estera di Luigi IX La politica estera di Luigi IX fu improntata a grande moderazione. Egli non condusse guerre contro Stati cristiani e deplorò il conflitto tra papa e imperatore perché costituiva un impedimento al recupero di Gerusalemme. La sua mediazione tra papa e imperatore risultò inefficace a causa del radicalismo dei contendenti: tuttavia il re di Francia teneva per fermo che i due poteri non dovevano annullarsi reciprocamente, essendo entrambi legittimi. Quando Gregorio IX offrì al fratello del re, Roberto di Artois, la corona imperiale, Luigi IX si oppose, ma costrinse anche Federico II a liberare i prelati francesi catturati all’isola del Giglio. Luigi IX non accolse a Parigi il papa Innocenzo IV quando fuggì dall’Italia, bensì permise che giungesse fino a Lione che allora era ancora una città imperiale, anche se tenuta in feudo dai re di Francia. I rappresentanti di Luigi IX al concilio di Lione pregarono il papa di essere accomodante nei confronti di Federico II, ma il papa non accettò il compromesso.


Le crociate di Luigi IX Fin dal 1244 Luigi IX aveva deciso di fare la crociata dopo l’arrivo in Occidente della notizia di un grande massacro compiuto dai Turchi a Gerusalemme. Luigi IX era l’unico grande sovrano occidentale in grado di guidare i crociati, ma poté mettersi in viaggio solo nel 1248. Fu deciso di attaccare Damiata sul delta del Nilo, come già avvenuto nel corso della Quinta crociata (1217-1221). Dopo aver conquistato Damiata, i crociati si diressero verso il Cairo, ma le truppe e il comandante furono colpiti da pestilenza, soffrirono la carestia e infine furono sconfitti. Il prezzo del riscatto del re fu la cessione di Damiata. Luigi IX rimase altri quattro anni in Terrasanta, riuscendo solo a riparare le fortificazioni di Giaffa, Cesarea e Sidone che sarebbero servite da basi d’appoggio per la futura crociata, poi tornò in Francia quando gli giunse notizia della morte della madre (1254). In patria Luigi IX dovette adoperarsi per far cessare la guerra che infuriava nelle Fiandre, dove era intervenuto ancora una volta il re d’Inghilterra Enrico III.


Carlo d’Angiò assume il regno di Sicilia La salute di Luigi IX declinava e certamente il soggiorno in Oriente non gli aveva giovato. La morte di Federico II aveva sollevato il grave problema della sua successione. Luigi IX sostenne i diritti di Corradino, figlio di Corrado IV, ma quando Manfredi accettò di trattare con i musulmani, il suo atteggiamento verso gli Hohenstaufen mutò. Nel 1261 divenne papa un cardinale francese che assunse il nome di Urbano IV, il quale nominò cardinali alcuni consiglieri di Luigi IX. Essi convinsero il re che la pace in Europa si poteva fare solo quando il regno di Sicilia fosse stato sottratto alla dinastia regnante in Germania. La corona di Sicilia fu offerta al fratello minore del re, Carlo di Angiò, il quale riuscì a convincere il riluttante fratello che il controllo della Sicilia avrebbe permesso rifornimenti alla prossima crociata.


Calata in Italia di Carlo d’Angiò Nel 1264 Carlo d’Angiò fu nominato dal papa re di Sicilia: allestì un esercito, discese in Italia e nel 1266 riuscì a sconfisse Manfredi nella battaglia di Benevento. Impadronitosi della Sicilia, il primo obiettivo da conquistare apparve la Tunisia. Poiché l’emiro di Tunisi sembrava disposto a convertirsi, fu deciso di sbarcare in Tunisia un esercito crociato per proseguire verso l’Egitto lungo la costa. Luigi IX, ormai anziano e ammalato, si imbarcò nel momento della massima calura e ben presto si ammalò, morendo poco dopo lo sbarco a Tunisi (25 agosto 1270). La crociata si sciolse e pochi anni dopo andarono perduti gli avamposti cristiani di Terrasanta.



17. 7 Cronologia essenziale



1197 Morte dell’imperatore Enrico VI.


1198-1216 Papato di Innocenzo III.


1202-1204 Quarta crociata.


1214 Nella battaglia di Bouvines Ottone IV di Brunswick e Giovanni Senzaterra sono sconfitti da Filippo II Augusto re di Francia.


1215 Concilio Lateranense IV.


1231 Costituzioni di Melfi che regolano in senso assolutistico il regno di Sicilia.


1237 Battaglia di Cortenuova: i comuni della Lega lombarda sono sconfitti da Federico II.


1245 Nel Concilio di Lione I Federico II viene scomunicato.


1248-1254 Settima crociata condotta da Luigi IX re di Francia.


1250 Morte di Federico II.


1264 Carlo d’Angiò, fratello di Luigi IX, è nominato re di Sicilia.


1266 Manfredi, figlio di Federico II, è sconfitto da Carlo d’Angiò nella battaglia di Benevento.


1270 Ottava crociata e morte di Luigi IX a Tunisi.



17. 8 Il documento storico



Il documento che segue è tratto dai Fioretti di san Francesco, la traduzione in una splendida lingua toscana del Trecento di un originale latino del secolo precedente. In queste pagine possiamo rintracciare alcuni temi della predicazione di san Francesco e l’esemplare modo di vivere la povertà secondo lo stile francescano che sbalordì anche san Domenico, ma che viene percepito dai più umili.



“Il fedelissimo servo di Cristo santo Francesco tenne una volta un Capitolo generale a Santa Maria degli Angeli, al quale Capitolo si raunarono oltre a cinquemila frati, e vennevi santo Domenico, capo e fondamento dell’Ordine de’ frati Predicatori; il quale allora andava di Borgogna a Roma, e udendo la congregazione del Capitolo che santo Francesco facea nel piano di Santa Maria degli Angeli, si l’andò a vedere con sette frati dello Ordine suo.


Fu ancora al detto Capitolo uno Cardinale devotissimo di santo Francesco, al quale egli avea profetato che dovea essere Papa, e così fu: il quale Cardinale era venuto studiosamente da Perugia, dov’era la corte, ad Ascesi; e ogni dì venia a vedere santo Francesco e i suoi frati, e alcuna volta cantava la Messa, alcuna volta faceva il sermone a’ frati in Capitolo.


E prendea il detto Cardinale grandissimo diletto e divozione, quando veniva a visitare quel santo collegio, veggendo in quella pianura intorno a santa Maria sedere i frati a schiere, qui sessanta, colà cento, dove dugento e dove trecento insieme, tutti occupati solamente in ragionare di Dio, in orazione, in lagrime e in esercizi di carità; e stavan con tanto silenzio, che ivi non si sentia uno romore, né uno stropiccio; e maravigliandosi di tanta multitudine così ordinata, con lacrime e con grande divozione diceva: “Veramente questo si è il campo e lo esercito de’ cavalieri di Dio!”


Non si udiva in tanta multitudine niuno parlare favole o buffe, ma dovunque si raunava una schiera di frati, o eglino oravano, o diceano ufficio, o piagneano i peccati loro e dei loro benefattori, o ragionavano della salute dell’anima. Ed erano in quel campo tetti di graticci e di stuoie, distinti per turme, secondo i frati di diverse Provincie; e però si chiamava quel capitolo, il Capitolo de’ graticci ovvero di stuoie. I letti loro si era la piana terra, e chi avea un poco di paglia: i capezzali erano o pietra o legno.


Per la qual cagione era tanta devozione di loro, a chiunque li udiva o vedea, e tanta la fama della loro santità, che della corte del papa, ch’era allora a Perugia, e delle altre terre di Val di Spoleto veniano a vedere molti conti e baroni e cavalieri e altri gentili uomini e molti popolari, e Cardinali e vescovi e Abati con altri chierici, per vedere quella così santa e grande congregazione e umile, la quale il mondo non ebbe mai, di tanti santi uomini insieme. E principalmente veniano per vedere il capo e padre santissimo di tutta quella santa gente, il quale avea rubato al mondo così bella preda e ragunato così bello e divoto gregge a seguire l’orme del vero pastore Gesù Cristo.


Essendo dunque ragunato tutto il Capitolo generale, il santo padre di tutti e generale ministro santo Francesco in fervore di spirito propone la parola di Dio e predica loro in alta voce quello che lo Spirito Santo gli facea parlare; e per tema del sermone propose queste parole: “Figliuoli miei, gran cose abbiamo promesse, e aspettiamo di certo quelle che sono promesse a noi. Brieve è il diletto del mondo, ma la pena che seguita ad esso è perpetua. Piccola è la pena di questa vita, ma la gloria dell’altra vita è infinita”. E sopra queste parole predicando devotissimamente, confortava e induceva i frati a obbedienza e a riverenza della santa madre Chiesa, a carità fraternale, ad orare per tutto il popolo di Dio, ad aver pazienza nelle avversità del mondo e temperanza nelle prosperità, a tenere mondizia e castità angelica, ad avere pace e concordia con Dio e con gli uomini e colla propria coscienza, ad amore e osservanza della santissima povertà. E qui disse egli: “Io vi comando, per merito della santa obbedienza, a tutti voi che siete congregati qui, che nullo di voi abbia cura né sollecitudine di niuna cosa da mangiare o da bere o di cose necessarie al corpo, ma solamente intendete a orare e a lodare Iddio; e tutta la sollecitudine del corpo vostro lasciate a lui, imperò ch’egli ha speciale cura di voi”. E tutti quanti ricevettero questo comandamento con allegro cuore e lieta faccia. E compiuto il sermone di santo Francesco, tutti si gittarono in orazione.


Di che santo Domenico, il quale era presente a tutte queste cose, fortemente si maravigliò del comandamento di santo Francesco e reputavalo indiscreto, non potendo pensare come tanta multitudine si potesse reggere, senza avere niuna cura e sollecitudine delle cose necessarie al corpo. Ma il principale pastore Cristo benedetto, volendo mostrare com’egli ha cura delle sue pecore e ha singulare amore a’ poveri suoi, immantanente ispirò alle genti di Perugia, di Spoleto, di Foligno, di Spello, d’Ascesi e delle altre terre dintorno, che portassono da mangiare e da bere a quella santa congregazione. Ed ecco subitamente venire delle dette terre uomini con somieri, cavalli, carri, carichi di pane e di vino, di fave e di cacio e d’altre buone cose da mangiare, secondo che a’ poveri di Cristo era bisogno. Oltre a questo, recavano tovaglie e orciuoli e bicchieri e altri vasi che faceano mestiere a tanta moltitudine. E beato si reputava chi più cose poteva recare, o più sollecitamente servire, in tanto ch’eziandio i cavalieri e i baroni e altri gentili uomini che e