La dignità della procreazione umana e le tecnologie riproduttive

Da ZENIT.org Per intero il comunicato finale diffuso il 16 marzo scorso dalla Pontificia Accademia per la Vita al termine della sua X Assemblea Plenaria.

Codice: ZI04031710


Data pubblicazione: 2004-03-17


X Assemblea Plenaria della Pontificia Accademia per la Vita: comunicato finale


CITTA’ DEL VATICANO, 17 marzo 2004 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito per intero il comunicato finale diffuso il 16 marzo scorso dalla Pontificia Accademia per la Vita al termine della sua X Assemblea Plenaria.


 


Pontificia Accademia per la Vita


“La dignità della procreazione umana e le tecnologie riproduttive. Aspetti antropologici ed etici”


X Assemblea Generale


(Roma, 16 marzo 2004)


Comunicato finale


Quest’anno, nella ricorrenza del X anniversario della sua istituzione, la Pontificia Accademia per la Vita (PAV) ha dedicato i lavori della sua Assemblea Generale ad un tema di grandissima attualità e di forte impatto sociale, che il titolo del convegno ben esprime: “La dignità della procreazione umana e le tecnologie riproduttive. Aspetti antropologici ed etici”.


 


2. Sono ormai passati più di venticinque anni dalla nascita della prima bambina, originata da un procedimento di fecondazione in vitro. Si calcola che dopo di lei, fino ad oggi, siano nati in tutto il mondo più di un milione di bambini ottenuti con le medesime procedure. Durante questi anni, infatti, il ricorso alle tecniche di riproduzione assistita ha conosciuto una progressiva diffusione in diversi Paesi del mondo, spingendo in molti casi i governi nazionali ad elaborare norme legislative specifiche, per regolare le complesse procedure connesse all’impiego di queste metodiche.


Anche la ricerca scientifica in questo settore ha investito crescenti risorse, umane ed economiche, per cercare di rendere più “efficaci” le ART (Artificial Reproductive Technologies), senza riuscire, per altro, ad ottenere un sostanziale innalzamento del tasso globale di nascite per ciclo di trattamento; tale tasso permane così basso che, se si verificasse in altri trattamenti medici, sarebbe senza dubbio interpretato come chiaro segno di un sostanziale fallimento tecnico.


Per di più, nel caso della riproduzione artificiale, un così basso tasso di riuscita, oltre a rappresentare un dato statistico di fallimento tecnico, ha spesso come triste conseguenza tanta sofferenza e delusione da parte delle coppie che vedono così, per questa via, frustrate le loro speranze di genitorialità.


Purtroppo, questo dato statistico negativo ha una tragica corrispondenza fattuale nella enorme perdita di embrioni umani, dal momento che le maggiori difficoltà operative ancora presenti nelle ART riguardano proprio il momento dell’impianto e lo sviluppo successivo dell’embrione.


 


3. Va anche notato come l’intervento della medicina nell’ambito della procreazione sia iniziata sotto l’egida di una benefica “cura della sterilità”, in molte coppie afflitte da questa condizione, a fronte di un sincero desiderio di genitorialità. I dati oggi disponibili, per altro, dimostrano come la percentuale di sterilità di coppia sia in aumento, soprattutto nelle società occidentali, sollecitando la scienza all’impegnativo compito di individuarne le cause reali e di trovarne i rimedi.


Questa finalità originaria, però, nel tempo è in parte mutata. Da un lato, essa si manifesta talvolta in un atteggiamento per così dire autocompiacente che, di fronte ad un gran numero di casi di sterilità da causa indeterminata, senza preoccuparsi di espletare ulteriori indagini diagnostiche e cliniche, individua nello sbrigativo ricorso alle ART l’unica forma di trattamento utile; dall’altro lato, si intravede all’orizzonte un fenomeno ancor più inquietante: ci riferiamo all’emergere progressivo di una mentalità nuova, secondo la quale il ricorso alle tecniche di riproduzione artificiale potrebbe rappresentare addirittura una via preferenziale, rispetto a quella “naturale”, per mettere al mondo un figlio, poiché attraverso queste tecniche è possibile esercitare un più efficace “controllo” sulle qualità del concepito, in relazione ai desideri di chi lo richiede.


Tutto ciò contribuisce a considerare il figlio ottenuto mediante le ART alla stregua di un “prodotto”, il cui valore in realtà dipende in gran parte dalla sua “buona qualità”, sottoposta a severi controlli ed accuratamente selezionata. La drammatica conseguenza è l’eliminazione sistematica di quegli embrioni umani che risultino mancanti della qualità ritenuta sufficiente, per di più secondo parametri e criteri inevitabilmente opinabili.


Non mancano, purtroppo, iniziative scientifiche e legislative miranti alla produzione, mediante le ART, di embrioni umani da “utilizzare” esclusivamente a fini di ricerca – il che coincide con la loro distruzione -, trasformandoli così in oggetti da laboratorio, vittime sacrificali predestinate ad essere immolate sull’altare di un progresso scientifico da perseguire “a tutti i costi”.


 


4. Alla luce di tutto ciò, la PAV, in coerenza alle sue finalità istitutive, sente il desiderio ed insieme la responsabilità di offrire alla comunità ecclesiale ed alla società civile il suo contributo di riflessione, per riproporre all’attenzione di ogni persona di buona volontà l’altissima dignità della procreazione umana e dei suoi significati intrinseci.


 


5. La venuta all’esistenza di un nuovo essere umano, considerata in se stessa, è sempre un dono e una benedizione: ” Ecco, dono del Signore sono i figli, è sua grazia il frutto del grembo” (Sal. 126,3). Ogni uomo, infatti, fin dal primo momento della sua vita , è il segno tangibile dell’amore fedele di Dio per l’umanità, è l’icona vivente del “sì” del Creatore alla storia degli uomini, una storia di salvezza che si compirà nella piena comunione con Lui, nella gioia della vita eterna. Ciascun essere umano, infatti, fin dal suo concepimento, è un’unità di corpo ed anima, possiede in se stesso il principio vitale che lo porterà a sviluppare tutte le suepotenzialità, non solo biologiche, ma anche antropologiche.


Perciò, la dignità – che è dignità di persona umana – di un figlio, di ogni figlio, indipendentemente dalle circostanze concrete in cui ha inizio la sua vita, resta un bene intangibile ed immutabile, che richiede di essere riconosciuto e tutelato, tanto dai singoli quanto dalla società nel suo insieme.


Tra tutti i diritti fondamentali che ogni essere umano possiede fin dal momento del suo concepimento, il diritto alla vita rappresenta certamente quello primario, in quanto costituisce la condizione di possibilità per la sussistenza di tutti gli altri diritti. In base ad esso, ogni essere umano, soprattutto se debole o non autosufficiente, deve ricevere un’adeguata tutela sociale da ogni forma di offesa o violazione sostanziale della sua integrità fisico/ psichica.


 


6. Proprio questa inalienabile dignità di persona, che appartiene ad ogni essere umano fin dal primo momento della sua esistenza, esige che la sua origine sia la conseguenza diretta di un adeguato gesto umano personale: solo il reciproco dono d’amore sponsale di un uomo e di una donna, espresso e realizzato nell’atto coniugale, nel rispetto dell’unità inscindibile dei suoi significati unitivo e procreativo, rappresenta il contesto degno per il sorgere di una nuova vita umana. Questa verità, da sempre insegnata dalla Chiesa, trova piena corrispondenza nel cuore di ogni uomo, come sottolineano le recenti parole di Giovanni Paolo II: “Sempre di più emerge l’imprescindibile legame della procreazione di una nuova creatura con l’unione sponsale, per la quale lo sposo diventa padre attraverso l’unione coniugale con la sposa e la sposa diventa madre attraverso l’unione coniugale con lo sposo. Questo disegno del Creatore è inscritto nella natura stessa fisica e spirituale dell’uomo e della donna e, come tale, ha valore universale.” (Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti alla X Assemblea Generale della PAV, 21/2/2004, n. 2).


 


7. Ribadiamo pertanto la ferma convinzione che le tecniche di riproduzione artificiale, lungi dall’essere una reale terapia per la sterilità di coppia, rappresentano una modalità non degna del sorgere di una nuova vita umana, il cui inizio, dipenderebbe così in gran parte dall’azione tecnica di terze persone esterne alla coppia e si realizzerebbe in un contesto totalmente avulso dall’amore coniugale. Nel ricorso alle ART, infatti, gli sposi non partecipano in alcun modo al concepimento del figlio col dono reciproco, insieme corporeo e spirituale, delle loro persone, attraverso l’atto coniugale. Anche il Papa ha voluto richiamare questa verità, con le seguenti parole: “L’atto in cui lo sposo e la sposa diventano padre e madre attraverso il reciproco dono totale li rende cooperatori del Creatore nel mettere al mondo un nuovo essere umano, chiamato alla vita per l’eternità.


Un gesto così ricco, che trascende la stessa vita dei genitori, non può essere sostituito da un mero intervento tecnologico, impoverito di valore umano e sottoposto ai determinismi dell’attività tecnica e strumentale” (Giovanni Paolo II, Discorso n.2).


 


8. Oltre a queste ragioni di principio, sono poi alcune circostanze concrete nella applicazione delle ART, alla luce delle attuali possibilità tecniche, ad aggravare il giudizio etico negativo su di esse. Tra queste, vogliamo ricordare soprattutto l’enorme numero di embrioni umani persi o distrutti in seguito a queste procedure, una vera “strage degli innocenti” dei nostri tempi: nessuna guerra o catastrofe ha mai causato tante vittime.


Accanto ad essi, vi sono anche gli embrioni che, per varie ragioni, finiscono per essere crioconservati; essi, se rifiutati dai committenti, “rimangono esposti a una sorte assurda, senza possibilità di offrire loro sicure vie di sopravvivenza lecitamente perseguibili” (CDF, Donum Vitae II,5). Ogni ulteriore riflessione su questo punto, ed in particolare circa  la questione della possibilità (teorica e reale) di una eventuale adozione pre-natale di questi embrioni “soprannumerari”, richiederebbe tra l’altro l’analisi approfondita di dati scientifici e statistici pertinenti, di fatto non ancora disponibili in letteratura. Pertanto, la PAV ha ritenuto prematuro, durante questa Assemblea, affrontare direttamente la questione.


Ancora, va sottolineato come l’attuazione e il miglioramento delle tecniche di riproduzione artificiale, il cui tasso di efficacia è oggettivamente molto basso, richiedano l’investimento di notevoli risorse sanitarie ed economiche, così sottratte alla necessità di cura di altre patologie ben più gravi e diffuse, dalle quali spesso dipende la sopravvivenza stessa di interi gruppi umani.


Nel caso, poi, della modalità “eterologa” delle ART (cioè, in caso di ricorso alla donazione di gameti da parte di un soggetto esterno alla coppia), siamo in presenza di un ulteriore elemento che aggrava il giudizio etico già negativo. L’unità coniugale della coppia, infatti, viene offesa e violata dalla presenza di una terza persona (talvolta anche di una quarta), che sarà poi uno dei veri genitori biologici del figlio richiesto.


In più, viene sostanzialmente violato il diritto del neoconcepito ad avere come genitori un uomo ed una donna, da cui abbia origine la sua struttura biologica e che si prendano stabilmente cura della sua crescita e della sua educazione.


Riteniamo, invece, moralmente lecita la messa in atto, qualora ve ne sia la effettiva necessità, di eventuali interventi tecnici che, senza sostituirsi ad esso, siano destinati a facilitare l’atto coniugale naturalmente compiuto o ad aiutarlo a raggiungere i suoi obiettivi naturali (cfr. CDF, Donum Vitae II,6).


 


9. L’eventuale sterilità, per una coppia di sposi desiderosi di trovare “nel figlio una conferma e un completamento della loro donazione reciproca” (Donum vitae, II, 2), indubbiamente può costituire un reale motivo di grande sofferenza ed essere fonte per loro di ulteriori problemi. Non v’è dubbio che un tale desiderio sia, in se stesso, più che legittimo e segno positivo di un amore coniugale che vuole crescere e compiersi in ogni sua espressione.


Tuttavia, occorre ribadire che un più che comprensibile e lecito “desiderio del figlio” non può mai trasformarsi in un pretenzioso “diritto al figlio” e, per di più, “a tutti i costi”. Nessuno uomo può vantare il diritto all’esistenza di un altro uomo, altrimenti quest’ultimo sarebbe posto su un piano di inferiorità valoriale rispetto a colui che vanta il diritto.


In realtà, un figlio non può mai essere inteso come un “oggetto del desiderio” da avere ad ogni costo, bensì come un preziosissimo dono da accogliere con amore, qualora giunga. Gli sposi sono chiamati a creare tutte le condizioni necessarie, attraverso il loro reciproco dono d’amore coniugale, perché possa iniziare una nuova vita, ma non possono lecitamente determinarne il sorgere fino a commissionarne la “produzione” in laboratorio, ad opera di tecnici che nulla hanno a che vedere con la coppia stessa.


Ci sembra piuttosto che debbano essere accolti con grande favore ed incoraggiati tutti gli sforzi che la medicina moderna può produrre nel tentativo di curare le forme di sterilità coniugale, come lo stesso Pontefice ha ricordato: “desidero incoraggiare le ricerche scientifiche volte al superamento naturale della sterilità nei coniugi, così come desidero esortare gli specialisti a mettere a punto quegli interventi che possono risultare utili a tale scopo. L’auspicio è che sulla strada della vera prevenzione e dell’autentica terapia la comunità scientifica – l’appello va in particolare agli scienziati credenti – possa ottenere confortanti progressi” (Giovanni Paolo II, Discorso., n. 3).


A conferma della sincerità di questi auspici, vogliamo ricordare che, durante questa Assemblea Generale della PAV, sono stati presentati alcuni programmi concreti, di notevole interesse scientifico, per la cura ed il trattamento di alcune forme di sterilità di coppia.


Il dono della fecondità coniugale, comunque, va concepito in maniera ben più ampia della sola dimensione della fertilità biologica. L’amore sponsale, come concreta manifestazione dell’amore di Dio per l’umanità, sempre è chiamato ad amare, servire, difendere e promuovere la vita umana (cfr. Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, n. 29) in tutte le sue dimensioni, anche quando di fatto non può generarla biologicamente.


Perciò, sentendoci profondamente vicini alle coppie di sposi, che ancora non riescono a trovare nella medicina una soluzione alla loro condizione di sterilità, fraternamente le incoraggiamo ad esprimere e realizzare ugualmente la loro fecondità coniugale, ponendosi con generosità a servizio delle molteplici situazioni umane bisognose di amore e di condivisione. Fra queste meritano una particolare menzione gli istituti sociali dell’adozione e dell’affidamento familiare, per i quali auspichiamo normative giuridiche sempre più in grado di assicurare le dovute garanzie ed, allo stesso tempo,dei tempi rapidi per gli adempimenti burocratici.


 


10. Un ultima notazione, infine, vogliamo riservare alla questione del ruolo dei parlamentari cattolici di fronte alle leggi ingiuste, nel campo della riproduzione artificiale umana. Ci dichiariamo in piena sintonia con la norma morale generale, affermata dalla dottrina cattolica, secondo cui una legge intrinsecamente ingiusta, che viola palesemente la dignità della vita umana- come ad es. nel caso della legalizzazione dell’aborto o dell’eutanasia -, deve trovare da parte dei credenti una ferma opposizione, mediante l’istituto dell’obiezione di coscienza.


Per un cattolico non è mai lecito “né partecipare ad una campagna di opinione in favore di una legge siffatta, né dare ad essa il suffragio del proprio voto” (Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, 73). Tuttavia, la stessa ratio della norma spinge ad interrogarsi su quali modalità  d’azione possano essere considerate moralmente lecite, nel caso in cui il voto parlamentare di uno o più cattolici risultasse determinante per abrogare (totalmente o parzialmente) una legge ingiusta già in vigore, oppure per sostenere una nuova formulazione di essa che ne limiti gli aspetti iniqui.


In un tale contesto, dare il proprio suffragio – dopo aver manifestato pubblicamente la propria ferma disapprovazione per gli aspetti iniqui della legge stessa – risulta giustificabile eticamente, nell’ottica dell’ottenimento del maggior bene possibile e della massima riduzione del danno in quel momento ottenibile. Il parlamentare cattolico, infatti, in simili circostanze, sarebbe moralmente responsabile solo degli effetti derivanti dall’abrogazione (totale o parziale) di detta legge, mentre la permanenza degli elementi iniqui sarebbe imputabile unicamente a chi li ha voluti e sostenuti.


Del resto, occorre ricordare come esista per ciascuna persona, hic et nunc, il preciso dovere morale di fare tutto il bene concretamente possibile e non si può negare che eliminare o diminuire un male costituisce, di per sé, un bene.


 


11. In conclusione, la PAV desidera ancora una volta richiamare ogni uomo di buona volontà alla considerazione della dignità altissima e peculiare della procreazione umana, nella quale si esprime al livello più alto l’amore creativo di Dio e si realizza compiutamente la comunione interpersonale degli sposi. L’ingegno dell’uomo e le capacità tecnico-scientifiche siano, dunque, poste al suo servizio, per il bene degli sposi e dei loro figli, senza mai pretendere, però, di surrogarla o di soppiantarla.