José María de Yermo y Parres,

fondatore delle Serve del Sacro Cuore di Gesù e dei Poveri


 


Carità evangelica, umiltà amore a Dio e alla Chiesa tratti salienti della sua anima


ROSENDO HUESCA PACHECO – Arcivescovo di Puebla de los Ángeles


 


José María de Yermo fu sacerdote del clero di Pueblo de los Ángeles. Lì mise in atto alcune iniziative a favore dei sacerdoti diocesani, iniziative che si estesero abbracciando ambiti molto più vasti dell’Arcidiocesi. Aiutato efficacemente dall’Istituto delle Serve del Cuore di Gesù e dei Poveri, da lui fondato, si adoperò senza posa e in mille modi diversi per i più poveri e bisognosi.

La città di Puebla de los Ángeles conobbe bene il «suo» José María: lo vide percorrere le sue strade, udì la sua voce potente nella predicazione da diversi pulpiti e beneficiò delle numerose opere sociali frutto del suo zelo apostolico e della sua sollecitudine per i più bisognosi. Come tutti i santi, fu duramente messo alla prova; le prove non turbarono però la sua abituale gentilezza né gli fecero perdere la sua inalterabile pace interiore, quella pace che in lui era abbandono fiducioso alla Divina Provvidenza e all’amore del Padre. Un sacerdote suo contemporaneo, che conosceva la sua forte personalità, disse di lui: «Padre Yermo fu un esempio compiuto del sacerdozio di Gesù Cristo e degli apostoli della carità evangelica. La sua squisita gentilezza e l’elevata cultura gli valsero la stima di quanti lo frequentavano; la sua notevole attitudine all’oratoria sacra affascinava sempre quanti lo ascoltavano, conquistando così anime per il cielo; il suo eminente spirito di carità… lo rese degno di ammirazione fra cattolici ed empi… salvando gli orfani dalla miseria e dal crimine… si è guadagnato dalla storia il titolo di benemerito, nell’accezione più pura del termine. Perché nulla mancasse a delineare la grande figura del discepolo di Gesù, la calunnia si sforzò costantemente di essere il fondo oscuro dal quale emergeva, illesa, la brillante maestà della sua anima. A questo quadro di grandezza fungeva da cornice l’umiltà più profonda, che fece sempre di Padre Yermo una persona essenzialmente amabile…» (Padre Tomás Mas, s.j.). Tenendo conto del fatto che la vita di Padre Yermo fu eminentemente sacerdotale e delle opinioni dei censori e consultori nei processi di canonizzazione, ritengo i tratti che caratterizzano la sua santità siano i seguenti:


a) La carità evangelica. Fu la nota predominante della sua vita sacerdotale e di fondatore. La carità fu l’urgenza della sua vita e del suo apostolato. Il fratello, soprattutto se povero e abbandonato, fu per lui sacramento dell’umanità di Dio. La carità evangelica fu parte integrante e inscindibile del suo essere cristiano e sacerdotale. Uno dei consultori teologici ha dichiarato: «Attraversò senza vacillare circostanze che richiedevano un eroismo costante del quale diede prova in modo particolare in alcuni momenti speciali della sua vita». Lo stesso santo ha scritto: «Carità, carità sempre e con tutti, soprattutto con coloro che mi vogliono fare del male, costi quel che costi, anche se fosse la vita stessa. Voglio essere umile in ogni occasione, dovessi anche martirizzare la mia anima» (ASC, 18-19).


b) L’umiltà. Si considerò sempre un servo inutile in tutte le iniziative che mise in atto. Addirittura si offendeva se qualcuno lo lodava per le sue opere e i suoi atteggiamenti. Non era altro che uno strumento nelle mani del Signore. Così fu, ad esempio, nella fondazione della Congregazione delle «Serve del Sacro Cuore di Gesù e dei poveri». A tale proposito, uno dei consultori ha affermato: «Ciò che più colpisce nello scorrere gli scritti del Servo di Dio contenuti in questa collezione, e in particolare quelli relativi alle diverse fondazioni, è il profondo spirito di umiltà e di sottomissione del Servo di Dio alla volontà divina. Attraverso tali scritti il Servo di Dio si presenta a noi in modo chiaro come sacerdote, pienamente consapevole che l’Opera che il Signore ha riposto nelle sue mani non è sua ma del suo Signore e che lui non è altro che uno strumento. Non uno strumento passivo, ma uno strumento dinamico, vivo, instancabile, disponibile».


c) Disponibilità alla volontà di Dio. Aveva una chiara consapevolezza del fatto che era Dio a ispirarlo e a guidarlo nelle sue molteplici azioni apostoliche. Anelava a compiere sempre e in tutto la volontà del Padre. La sua disponibilità alla volontà del Padre era dinamica ma incondizionata. Perciò, nonostante le grandi difficoltà che dovette affrontare, non si perse d’animo e non abbandonò quanto aveva iniziato.


d) Amore e adesione alla Chiesa. Il suo amore incondizionato per la Chiesa era proverbiale. Rispettò e accettò con sottomissione e senza protestare alcune disposizioni dei suoi superiori che lo ferivano nel più profondo del suo cuore. Il suo «sentire con la Chiesa» in certe occasioni gli costò dolore e lacrime, ma preferì abbandonare alcuni progetti da lungo tempo accarezzati piuttosto che dimostrare pubblicamente il suo disaccordo con i suoi superiori gerarchici, il che naturalmente non gli impedì di difendere dinanzi ad essi ciò che credeva essere il suo dovere sacerdotale e apostolico. A tal riguardo il Padre stesso ha lasciato scritto: «Sono figlio e servo di Dio. La sua legge è incisa nel mio cuore e desidero conservarla fedelmente. Sono figlio e servo di mia Madre amatissima, la Chiesa, la amo devotamente, ed è mia ferma volontà obbedirle e rispettarla sempre, e sebbene a volte, per mezzo dei suoi degnissimi rappresentanti, mi dia dure lezioni, non cesserò mai di amarla con filiale tenerezza, Lei è mia Madre» (ASC, 68-69). Ora si parla molto, a livello di Chiesa, dell’«opzione per i poveri». Ai tempi di Padre Yermo non era così, anche se a Puebla de los Ángeles vi era una certa preoccupazione in tal senso. Perciò io credo che sia legittimo considerare il nuovo santo come un efficace precursore e promotore di questa «opzione per i poveri» che la Chiesa universale ha fatto sua, soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II. Concludo con le parole di uno dei censori degli scritti del santo, contenute nella sua recensione: «Attraverso i suoi scritti, ho incontrato un uomo, un sacerdote, di vivissima ed edificante fede, speranza e carità, adornato da numerose e svariate virtù vissute in profondità, radicalmente. Sacerdote modello di sacerdoti. Dedito in maniera incondizionata e totale alla causa del Vangelo».


 


Modello di profonda vita interiore e di servizio a favore dei più poveri


ANSELMO ZARZA BERNAL – Vescovo emerito di León, Messico


Il Concilio Ecumenico Vaticano II, nella sua Costituzione Dogmatica Lumen gentium, al n. 42, ci insegna: «”Dio è amore e chi sta fermo nell’amore, sia in Dio e Dio in lui” (1 Gv 4, 16). Ora Dio ha largamente diffuso il suo amore nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci fu dato (cfr Rom 5, 5); perciò il dono primo e più necessario è la carità, con la quale amiamo Dio sopra ogni cosa e il prossimo per amore di Dio». La carità è il tratto distintivo della vita sacerdotale di San José María de Yermo y Parres e la sintesi della sua vita consacrata e apostolica. Nei suoi scritti constatiamo che la carità fu alimentata con la più profonda vita interiore: preghiera, fedeltà alle ispirazioni dello Spirito Santo, dono totale di sé alla volontà di Dio, intima unione con Dio, accettazione generosa delle prove e delle croci che il Signore pose lungo il suo cammino, comprese le calunnie più gravi, tenendo conto che la salvezza giunge all’uomo attraverso la croce. Tutto ciò unito alla pratica eroica di tutte le virtù: fede incrollabile, speranza gioiosa e serena, carità affettiva ed effettiva verso i poveri, gli anziani, i bambini, gli indigeni, gli orfani, gli emarginati. Si distinse perché praticò costantemente la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza, l’ubbidienza, l’amore e l’adesione incrollabile alla Santa Chiesa, al Papa, al suo Vescovo, come risulta dal processo di beatificazione e di canonizzazione. Tutte queste virtù animarono la sua vita sacerdotale e apostolica. Virtù che praticò fino all’eroismo, nelle più svariate e avverse circostanze. È un modello di profonda vita interiore, unita a una singolare attività sociale a favore dei poveri, risplendendo in tutto per la sua impeccabile purezza di costumi. Uomo retto e fervente, mai si manifestarono in lui gli sviamenti di molti sacerdoti giovani che l’entusiasmo dell’azione sociale porta spesso alla perdita della vita interiore. Fu un servo di Dio e degli uomini, unito a Cristo nella sofferenza e nell’abbandono fino al supremo sacrificio della vita. Anima sacerdotale, visse in totale fedeltà all’ideale del suo sacerdozio. La sua canonizzazione lo trasforma in un modello per i sacerdoti: per quelli che vacillano nella loro vocazione o si accontentano della mediocrità e per quelli che, nel nostro tempo, vivono crisi d’identità sacerdotale. Le persone lo cercavano con grande impegno per ascoltare la sua fervente predicazione colma di unzione e di solida dottrina. Parimenti si recavano da lui per ricevere una corretta direzione spirituale. Pieno di Spirito Santo, seppe unire con ammirevole equilibrio l’evangelizzazione, la promozione e la direzione delle anime alla promozione integrale dell’uomo. Fu modello perfetto dell’autentica «opzione preferenziale per i poveri», di cui oggi si parla spesso in termini di «Chiesa dei poveri» e non sempre in senso evangelico. Con spirito profetico, nell’autentica «opzione preferenziale per i poveri», non escludente, impostò e visse tutta la sua azione pastorale. Anche per l’America Latina, scossa da gravi problemi di ogni genere, la canonizzazione di Padre Yermo y Parres sarà modello di promozione di fede salvifica, di liberazione autentica dei popoli, soprattutto dei più bisognosi ed emarginati. Per perpetuare la sua opera, ci ha lasciato nella Chiesa l’Istituto religioso delle «Serve del Sacro Cuore di Gesù e dei Poveri», che è restato fedele al carisma del suo fondatore. Anticipando le necessità del nostro tempo, infuse nel suo Istituto religioso un profondo senso ecclesiale e missionario, con un retto orientamento teorico e pratico per andare incontro alle classi sociali più bisognose dal punto di vita spirituale e materiale, aperto ai problemi del mondo attuale. A ragione possiamo dire che il nostro Santo José María de Yermo y Parres visse – come il suo Divino Maestro – l’oracolo del profeta Isaia: «Lo spirito del Signore Dio è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, e promulgare l’anno di misericordia del Signore» (Is 61, 1-3).


Vocazione maturata nel focolare domestico


Uomo di Dio, sacerdote, fondatore, gigante e apostolo della carità, insigne pedagogo cristiano della sua epoca, Padre José María de Yermo y Parres nacque il 10 novembre 1851 nella Tenuta di Jalmolonga nello Stato di México, comune di Malinalco. I suoi genitori erano il dott. Manuel de Yermo y Soviñas e Josefa Parres de Yermo, persone profondamente cristiane e di buona posizione sociale. Fu battezzato il giorno stesso della sua nascita nella Cappella della Tenuta. Cinquanta giorni dopo la madre morì; fin dai primi giorni della sua esistenza Padre Yermo conobbe quindi la sofferenza. La zia Carmen, sorella del padre, accolse il bambino e gli fece da madre, impartendogli un’ottima educazione. Infuse in suo nipote i sentimenti di pietà e di amore filiale. Egli visse la sua infanzia e la sua adolescenza a Città del Messico. Iniziò gli studi in casa con maestri privati e poi li continuò in una scuola privata con ottimi risultati, al punto che fu premiato dallo stesso Imperatore Massimiliano. Ancora adolescente, entrò nella Congregazione della Missione di san Vincenzo de’ Paoli. Gli anni di studio e di formazione non furono certamente facili. Sotto il Governo di Benito Juárez forte fu infatti la persecuzione religiosa, per cui durante il noviziato numerosi furono i cambiamenti di sede. Nel maggio 1869 emise i suoi voti e fu poi inviato a Parigi per continuare gli studi di teologia. Al ritorno a Città del Messico, lavorò per un periodo nelle missioni dell’Arcidiocesi di México, ma poi per motivi di salute dovette ritornare in seno alla sua famiglia, senza però perdere completamente i contatti con la famiglia religiosa. Visse un momento di crisi vocazionale; ottenne la dispensa dei voti per due volte e infine nel 1877 si staccò definitivamente dalla Congregazione della Missione e terminò la sua formazione sacerdotale nel seminario di León. Il 24 agosto 1879 fu ordinato sacerdote dal Vescovo Diez de Sollano e il 25 agosto celebrò la sua prima messa nella Cattedrale di León, sotto lo sguardo dolce e tenero della Madre Santissima della Luce, titolo della Santissima Vergine Maria che egli venerava in modo particolare. Durante il suo sacerdozio si distinse per il suo grande zelo sacerdotale e il suo entusiasmo apostolico. Si occupò soprattutto della catechesi dei bambini e dei giovani. Stimato come sacerdote dalle eccellenti qualità di oratore e di direttore spirituale, svolse vari incarichi nella Diocesi di León. Nel 1883 si dedicò nuovamente alla catechesi dei bambini nella Santa Casa di Loreto, temporaneamente sospesa forse per il suo stato di salute. Si distinse anche per il suo impegno a diffondere la devozione mariana, soprattutto della Madre Santissima della Luce. La sua apertura apostolica recò come frutto l’abiura della massoneria da parte di alcuni massoni che, mediante il dialogo, riuscì a far convertire. Padre Yermo nutriva grande interesse per l’educazione cristiana dei bambini e dei giovani, e anche e soprattutto delle donne. A tal fine nel 1884 pubblicò sul giornale di León «El pueblo católico» una serie di lettere indirizzate alle madri cristiane sull’educazione dei figli nel focolare domestico. Al tempo in cui la sua salute era instabile, il nuovo Vescovo di León, Tomás Barón y Morales, lo nominò cappellano della sede vacante di El Calvario. Questa comprendeva il Tempio del Calvario e del Santo Bambino, situati fuori dalla città e in condizioni miserevoli. La nomina non risultò gradita al giovane sacerdote poiché, sebbene amasse molto i poveri, significava per lui scendere da quel piedistallo di stima e di prestigio sul quale si trovava. I suoi amici gli fecero sentire questa nomina come una grande umiliazione e gli consigliarono di rinunciare. Tuttavia, un impulso segreto ispirato da Dio lo trattenne dal rinunciare all’incarico, come lui stesso confessò in seguito. Questa fase fu molto dolorosa per Padre Yermo, ma così voleva Dio nel cammino che gli aveva preparato. Convinto che la volontà di Dio fosse il cammino sicuro di una santità eccezionale e che l’umiltà fosse la base di questo edificio spirituale, riprese il programma del suo predecessore, lo scomparso Padre Prudencio, completando la costruzione della chiesa di El Calvario e continuando quella della Casa di Esercizi per sacerdoti. Si distinse non solo nel dare impulso alle opere materiali, ma anche nel promuovere la vita cristiana, il culto eucaristico e la devozione al Sacro Cuore di Gesù. Allo stesso tempo continuò ad adempiere ai suoi obblighi nella cattedrale dove era cappellano di coro e maestro di cerimonie. Nel suo rapporto con i poveri di El Calvario si rafforzò l’ispirazione divina di ottenere la loro evangelizzazione e promozione umana, ispirazione che si concretizzò e divenne realtà in un fatto insolito che segnò profondamente la sua vita e la sua vocazione. Un giorno, mentre saliva verso la collina dove si trovava la chiesa di El Calvario, Padre Yermo osservò una scena orrenda: sulla riva del fiume alcuni maiali stavano divorando due bambini appena nati abbandonati da una madre ingrata. Decise allora di cambiare il progetto della casa degli esercizi per sacerdoti sostituendola con una casa di assistenza ai poveri. All’inizio pensò alle «Piccole Suore dei Poveri», la cui fondazione si trovava in Francia, perché si occupassero della casa di beneficienza, ma queste non accettarono, visto il clima avverso alla religione che regnava in Messico. Allora riunì quattro giovani volontarie con le quali il 13 dicembre 1885 inaugurò l’«Asilo del Sagrado Corazón de Jesús», in El Calvario, senza sapere che queste «madri dei poveri» erano le prime «Serve del Sacro Cuore di Gesù e dei Poveri». Così Dio pose nelle sue mani il seme di una nuova famiglia religiosa. Padre Yermo, che allora aveva 34 anni, non lo sapeva. Tuttavia, poco a poco scoprì la sua vera vocazione di Fondatore e Padre dei Poveri. Le difficoltà, i problemi di salute, le incomprensioni anche da parte degli amici furono moltissime, ma seppe affrontarle con forza e spirito di fede. Uomo di fede, apostolo della speranza, la sua carità verso i poveri fu spesso eroica e degna di lode. Nella sua vita vi fu un momento indimenticabile e memorabile, quando con grande coraggio si prodigò per salvare le vittime dell’inondazione di León nell’anno 1888, rischiando la propria vita per salvare dalle acque abbondanti quegli sfortunati. Quel fatto gli valse il titolo di gigante della carità, titolo che gli diede il Generale Manuel González, Governatore dello Stato di Guanajuato ed ex Presidente della Repubblica Messicana. Come instancabile missionario, vide realizzarsi poco prima della sua morte uno dei suoi più grandi sogni, con l’insediamento delle sue figlie nella Missione della Sierra Tarahumara (1904). Morì gioiosamente, assaporando le note del canto Ave Maris Stella, il 20 settembre 1904, nella città di Puebla de los Ángeles, all’età di 52 anni.


Suor M. MARGARITA MORENO, Ch.


 


Una Congregazione nata dalle necessità della Chiesa locale


GUADALUPE LUCÍA BERTOGLIO – Superiora Generale


Una scena orrenda, dei maiali che divorano bambini appena nati, obbliga Padre José María de Yermo y Parres a cambiare direzione alla propria vita. Il suo cuore si sentì interpellato dinanzi alla miseria umana e alla malvagità della sua epoca. Non perse tempo in lamenti, ma si mise subito all’opera e il 13 dicembre 1885, nella città di León, in Messico, sulla collina di «El Calvario» aprì la prima casa di carità con il nome di Sacro Cuore di Gesù e l’affidò a quattro signorine caritatevoli desiderose di fare qualcosa per il prossimo. Furono loro le prime «Serve del Sacro Cuore di Gesù e dei Poveri». Come lo stesso Padre Yermo riconosce, la nuova famiglia religiosa non fu frutto di lunghe meditazioni, ma piuttosto dell’impulso della carità che lo Spirito infuse nel cuore del giovane sacerdote. Su quella collina di El Calvario le prime religiose dovettero affrontare fin dall’inizio privazioni e difficoltà di ogni genere. La famiglia nasceva all’ombra della croce. Finché la nascente Congregazione restò in «El Calvario» non ebbe un nome proprio. Tuttavia, non appena fece i primi passi (1888), il Fondatore, volendo esprimere nel titolo la realtà del suo essere e della sua esperienza vissuta, plasmò il nome con cui le suore sono attualmente conosciute: «Serve del Sacro Cuore di Gesù e dei Poveri». Questa famiglia religiosa appartiene a Cristo, è tutta del suo Cuore Santissimo. I poveri sono i destinatari e i beneficiari principali di questo dono di Dio alla sua Chiesa e al mondo. La «Serva» è chiamata a fare della sua vita un’espressione di amore nella sue dimensioni verticale e orizzontale. Il suo migliore servizio a Dio è la consacrazione della sua vita a Lui. Il servizio che rende al fratello bisognoso si sviluppa in due sensi:


a) Quello che rende a livello profondo, dando la propria vita per la salvezza eterna dei suoi fratelli bisognosi. È un servizio nascosto, ma che, unito al sacrificio di Cristo, risulta essere il più efficace.


b) Nell’ambito sociale è un servizio ai poveri e agli emarginati nelle loro molteplici carenze, che mutano nel tempo, nelle aree geografiche e nei diversi contesti socio-culturali.


Attraverso l’esperienza vissuta della carità evangelica, dell’umiltà e della semplicità, tre note evangeliche che caratterizzano il suo essere e il suo agire, la «Serva del Sacro Cuore di Gesù e dei Poveri» è chiamata a essere, soprattutto dinanzi ai poveri, una chiara presenza dell’amore misericordioso di Dio. Attraverso di lei passano la misericordia, il perdono, la consolazione e l’accoglienza dei piccoli da parte del Padre che li ama teneramente.


Questa famiglia religiosa è già passata per prove e persecuzioni, che, con l’aiuto di Dio, ha sempre superato. Oggi si ritrova consolidata nel suo spirito e fiorente di vocazioni. Accoglie circa 700 membri e opera nei seguenti ambiti: scuole con progetti di evangelizzazione e promozione umana, centri educativi di case-famiglia per bambini orfani, abbandonati o di strada, assistenza ai bambini disabili, ai malati negli ospedali e negli ambulatori, educazione ed evangelizzazione nelle missioni «ad gentes», attività con gli indigeni e gli anziani, presenza nelle prigioni e in alcuni centri di catechesi e pastorale parrocchiale.


 


La miracolosa guarigione di un sacerdote di Puebla


ANTONIO SÁEZ DE ALBÉNIZ – Postulatore


Nel marzo del 1997, a Puebla de los Ángeles (Messico) ha avuto luogo un fatto ritenuto miracoloso: la guarigione del sacerdote Rafael Pacheco Segeda. Per seguire il caso è stato nominato nel 1998 un nuovo postulatore, Padre Antonio Sáez de Albéniz, o.ss.t. A maggio dello stesso anno l’Arcivescovo di Puebla, S.E.R. Mons. Rosendo Huesca Pacheco, ha nominato il tribunale competente per istruire il processo. Questo Tribunale ha posto così tanto impegno nello svolgimento del suo compito che già il 3 giugno dello stesso anno è stato possibile aprire la Copia Pubblica nella Congregazione per le Cause dei Santi a Roma e il 26 dello stesso mese è stato emanato il decreto di validità. Il 19 novembre è stato sottoposto al consulto medico e il 7 maggio 1999 al Congresso peculiare. Il 14 dello stesso mese è stato nominato Ponente S.E.R. Mons. José Sebastián Laboa. La Congregazione ordinaria di Cardinali e Vescovi lo ha approvato nella sessione del 5 ottobre 1999. Il decreto sul miracolo è stato letto di fronte al Santo Padre nell’udienza del 20 dicembre 1999. Infine il Concistoro del 10 marzo 2000 ha presentato dinanzi alla Chiesa il nuovo santo e ha indicato la data per la sua canonizzazione, nel prossimo 21 maggio. Il miracolo riguarda don Rafael Pacheco Segeda, sacerdote dell’Arcidiocesi di Puebla de los Ángeles, affetto da gravissime malattie dalle quali è guarito improvvisamente, per intercessione del Beato José María de Yermo, alle 4 di mattina del 12 marzo 1997, mentre, privo di speranze, era ricoverato nell’Ospedale pubblico di San José di Puebla. Padre Rafael Pacheco Segeda, di 50 anni, era alcolista. Si ammalò gravemente di pancreatite necrotico-emorragica alla fine di novembre del 1996. Fu la prima di una serie di malattie secondarie che lo mantennero in stato di estrema gravità per 110 giorni. In quel tempo fu operato diverse volte. In alcuni momenti fu in pericolo di vita a causa di diverse emorragie.


Infine, l’11 marzo 1997 (la notte anteriore alla guarigione miracolosa) sopravvenne una nuova e forte emorragia che richiese massicce trasfusioni. Oltre a ciò, il malato aveva la tubercolosi polmonare bacilifera recidiva, problemi renali e fistole gastriche. Fin dall’inizio della sua malattia, il sacerdote Rafael era ricorso all’intercessione del Beato José María, e i fedeli della sua parrocchia, con grande fiducia, ma sopprattutto con grande amore, lo assecondarono organizzando preghiere quotidiane per chiedere a Dio, sempre per intercessione del Beato José María de Yermo, la guarigione del loro amato Pastore. Nella notte fra l’11 e il 12 marzo 1997, essendo in gravissime condizioni e senza speranze, il sacerdote Rafael, con profonda umiltà e fiducia, supplicò ancora una volta la misericordia divina per intercessione del Beato José María. Improvvisamente si sentì invaso da una ineffabile felicità interiore e da una grande pace. Tutti i sintomi della malattia scomparvero improvvisamente. I medici rimasero meravigliati nel constatare una guarigione tanto rapida e completa quanto inaspettata. I controlli dello stesso giorno e quelli successivi confermarono la totale e completa guarigione del malato. Anche le fistole si chiusero in quel momento. Analizzando i documenti e le dichiarazioni mediche del processo, il Consulto medico ha definito la guarigione come «istantanea, completa, duratura e scientificamente inspiegabile».


© L’OSSERVATORE ROMANO Domenica 21 Maggio 2000