I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: L’Onore.


1. Che cosa è l’onore?
2. Gli onori del mondo sono pesi.
3. Nullità e pericoli degli onori.
4. Gli onori sono da fuggirsi..


1. CHE COSA È
L’ONORE? – La parola onore deriva, secondo S. Isidoro, dal vocabolo
latino onus, peso,
carico; o meglio, l’onus
(carico) deriva da honor
(onore). – Honor ex onere venit, aut potius de honere onus
(Sentent.).
«Chi si gloria,
si glorii nel Signore» – dice S. Paolo (II Cor
X, 17). Questo ci dice che la vera gloria, il sincero onore si trova
soltanto in Dio e con Dio. Il Savio dice che «il più
alto onore consiste nel seguire il Signore» (Eccli.
XXIII, 38); e S. Bernardo sentenzia che servire a Dio è un
vero regnare: – Cui servire, regnare est (Serm.
VII, in Psalm.), 1°
perché non si dà uffizio più nobile che quello
di servire il re dei re che è la nobiltà, la grandezza
per essenza, la divina e suprema maestà…; 2° questo
servizio ci rende simili a Dio…; 3° Dio rimunera con la gloria
celeste quelli che lo servono e li stabilisce re dell’universo,
secondo quelle parole dell’Apocalisse: «Tu ci hai fatti re e
sacerdoti al nostro Dio, e noi regneremo su la terra» (Apoc.
V, 10).
«Una buona
fama…, un vero benessere… ed un nome senza macchia vale più
che ogni ricchezza», leggiamo nei Proverbi
(Prov. XV, 30), (Ibid.
XXII, 1). Una buona riputazione è da preferire a tutte le
ricchezze perché le ricchezze sono terrene, transitorie,
spesso accompagnate da tormenti, mentre il buon nome è un
tesoro dell’anima, una ricchezza spirituale, solida e duratura.
Perciò l’Ecclesiastico
ci ammonisce che abbiamo gran cura della buona fama, essendo questo
bene assai più duraturo che mille tesori (Eccli.
XLI, 15). Un nome onorato vale più di tutti i beni del mondo.
Perciò il Salmista, tra i più gravi castighi inflitti
al malvagio, conta l’averne il Signore cancellato il nome per sempre
e fatto sì che la memoria se ne perdesse (Psalm.
IX, 5, 71)
«Vi sono tre
corone, dice Simone; la corona della legge, la corona del sacerdozio,
la corona dell’impero, ma molto più illustre e preziosa di
tutte queste è la corona della buona riputazione (In Epistola
I Petri
)».
S. Giovanni
Crisostomo osserva che non i grandi monumenti, le colonne, i titoli,
procurano onorata e durevole fama, ma l’esercizio di virtù
eroiche e principalmente della carità e della limosina; poiché
tutto quello è caduco e vano, mentre le virtù sono
qualche cosa di vero e di stabile; queste sono sante e celesti,
mentre i titoli vanno spesso congiunti al delitto, più spesso
ancora alle vanità e alla boria. Non è dunque un
cercare buona fama il collocarla nei titoli e nelle colonne, ma è
non di rado un diffamarsi e un aguzzar la lingua di chi guarda, alle
satire, alle contumelie e ai sarcasmi. Se vi piace un onore eterno,
una memoria imperitura, io vi additerò una strada per la quale
arriverete al sommo della lode, della riverenza e dell’esaltamento;
un segreto che vi darà una immensa confidenza per il secolo
futuro; un tal mezzo per cui sempre durerà viva la vostra
memoria e sarete celebrati in sempiterno: e questo è
d’innalzare ricoveri per i poveri, mettere il vostro denaro nelle
mani dei bisognosi; ne avrete per di più il centuplo nel
cielo. Lasciate i marmi, i palazzi, le ville; costruite su la
elemosina e voi fabbricherete per l’eternità. Questa è
memoria immortale; memoria che vi arricchirà all’infinito e
per sempre, e non sarà mai dimenticata né da Dio, né
dagli uomini. Pensate à quelle parole che di voi si diranno:
Costui è misericordioso, buono, caritatevole, dolce, liberale,
generoso in largizioni. «Egli ha distribuito e fatto generosità
coi poveri, dice il Salmista,
la sua memoria durerà in eterno» (Psalm.
CXI, 8). In un giorno, il giorno di questa vita, ha dato le sue
ricchezze, e la sua giustizia sarà eterna, e la sua memoria lo
rende immortale. Vedete voi l’onore che risplende su di lui per tutti
i secoli? Vedete voi la sua memoria che è piena di grandi e
ineffabili beni? Cerchiamo dunque di scolpire il nostro ricordo sopra
di un tale edifizio, perché incidere il proprio nome sopra la
pietra, non serve a nulla, se non a farci mordere e lacerare. E
intanto noi lasciamo ben presto questi bassi luoghi, portando con noi
i peccati che abbiamo commesso e vi lasciamo i nostri edifizi e la
nostra fortuna, vi lasciamo una memoria fredda, inutile, disprezzata;
il nostro nome presto si estingue e passa ad altri. Osservate Tabìta;
largheggia in elemosine, e tutti i secoli ne celebrano il nome. Ora
se anche voi desiderate una buona fama, imitate questa donna celebre
in virtù: innalzatevi dei monumenti nei cuori degli uomini,
non su le pietre, e allora avrete monumenti del medesimo vostro
genere, poiché non vi è nessuna somiglianza tra voi e
la pietra. Il sodo e vero onore, si trova solo nella virtù
(Hom. XXX,
in Gen
.).
Di questo parere
erano anche i più sensati uomini dell’antichità pagana.
Interrogato, per esempio, Diogene, quali fossero le persone più
onorevoli e onorate, rispose: «Gli spregiatori delle ricchezze,
della gloria, dei piaceri, della vita, e quelli che mostrano di non
temere la povertà, l’oscurità, la miseria e la morte
(Ita LAERTIUS. In vita)».
Catone raccomandava di conservare la buona fama, ancorché si
fosse dovuto sacrificare tutto il resto (Ita LAERTIUS); Plauto
assicurava che si sarebbe tenuto per troppo più ricco, quando
fosse giunto a mantenersi un buon credito (In
Mostell
). Isocrate suggeriva a un padre, che
cercasse piuttosto di lasciare ai figli un buon nome, anziché
molte ricchezze, perché le ricchezze sono mortali, e la fama è
immortale (Ad Nicol).

2. GLI ONORI DEL
MONDO .SONO PESI. – Iddio costituisce Mosè, Dio di Faraone,
cioè suo superiore e superiore potente e formidabile. Ora che
cosa fa egli a tale annunzio? domanda Sant’Ambrogio; si lagna con Dio
che lo abbia così innalzato. E perché mai, va egli
dicendo, avete voi, o Signore, posto in ambasce il vostro servo?
perché non trovo io grazia dinnanzi a voi? perché
addossarmi il peso di tutto questo popolo? Ah! non posso più
reggere da solo tutta questa gente; è troppo superiore alle
mie spalle il carico addossatomi (Num.
XI, 11, 14 ­
De Offic
.). Un
buon re è il servo di tutti. E pieno di realtà è
il titolo col quale, da Gregorio VII in poi, sogliono chiamarsi tutti
i romani Pontefici: Servi dei servi di Dio – Servus
servorum Dei
.
Se si guarda solamente all’esteriore, nessuna
condizione sembra più felice che quella dei grandi; ma se si
guarda da vicino, non si tarda a riconoscere che le cure, i sospetti,
i disgusti, gli affanni, gli ostacoli, le calunnie, le gelosie, le
cospirazioni, ecc. da cui è continuamente assalita ed
assediata, invece di una corona di rose ne fanno una corona di spine,
invece di uno scettro la caricano d’una croce. «L’onore è
una parola che accarezza, dice S. Paolino, ma in realtà è
pesante servitù» (Epistola ad Rom.). Che cosa è
una grande elevazione? Niente altro, risponde San Gregorio, se non
agitazione dell’anima. Tutto quello che quaggiù grandeggia,
deve affliggerci assai di più per quello che patisce, che non
rallegrarsi per quello che gode (Pastor. p. 1.a, c. IX).
Quindi non fa meraviglia se Pio V, Papa religiosissimo e santo,
soleva dire: «Mentre ero semplice religioso, speravo bene della
mia eterna salute; fatto cardinale, cominciai a temerne; ed ora,
creato Pontefice, starei per dire che ne dispero (In vita)».
«L’ambizione
forma la croce degli ambiziosi, scrive S. Bernardo; non vi è
cosa che più li inquieti e li trafigga. Gli onori solleticano
coloro che li desiderano, ma sono tremendi e spaventosi per quelli
che vi riflettono. Il vero è che quando vi si pensa sul serio,
non si trova negli onori che una consolazione effimera ed un giudizio
spaventoso, un uso breve ed una fine sconosciuta (De Consid., l. III)».
Assennata sentenza è quella di Sant’Agostino: «L’onore
deve cercare te, non tu l’onore » (Homil.
l).
S. Agostino, vedendo
come il popolo applaudisse alla sua eloquenza, diceva: «Le
vostre lodi, più che di diletto e gioia, ci sono di affanno e
di pericolo. Le tolleriamo, ma ne tremiamo (Serm.
LII, de Verb. Domini
)».
Carlo V imperatore, cedendo la corona al figlio Filippo III, gli
disse piangendo: «Un peso enorme ti impongo, o figlio mio;
perché io medesimo, per tutto il tempo del mio regno, non ho
passato un quarto d’ora senza essere oppresso da gravi sollecitudini»
(In Vita).
L’uomo inesperto,
diceva Pompeo, ambisce onori e potenza, ma chi è ammaestrato
dall’esperienza ne impaurisce e li fugge a tutto potere (PLUTARCH.);
perché, come avverte Filone, chi desidera gli onori mondani,
pensi che si cerca la tempesta (Lib.
I, de J. H.). Seleuco,
re di Siria, soleva ripetere che se si pensasse quanta pena costi il
solo leggere le lettere e rispondervi, non varrebbe la spesa
raccogliere di terra il diadema (PLUTARCO). E con molto senno il re
Antigono diceva a suo figlio che si insuperbiva dell’alto suo grado:
«Ignori tu, figlio mio, che il nostro regno, altro non è
che una splendida schiavitù? (PLUTARCH. In
Vita
)».
 
3. NULLITÀ E
PERICOLI DEGLI ONORI. – Sant’Anselmo paragona coloro che anelano gli
onori ai ragazzi che corrono dietro alle farfalle. Queste quando
volano non tengono mai una via diritta, ma vanno qua e là e
quando sembra che si posino, non si fermano. E i ragazzi che le
inseguono per prenderle, badando più alla farfalla, che ai
loro piedi, inciampano e cadono. Altre volte, cautamente
avvicinatisi, mentre stanno per afferrarle, se la vedono sfuggire di
mano. Quando finalmente loro riesce di prender la, ne godono come di
prezioso tesoro. Così fanno coloro che cercano gli onori del
mondo; perché gli onori del secolo non tengono una via sicura,
ma sovente si svagano, fuggono, passano da questo a quello; e
ancorché si conseguano e si conservino, che cosa ci resta di
essi, nelle mani e nel cuore? Nulla (Similit.).
Quanta pena per arrivare agli
onori! Quanto pochi vi giungono! Quando si posseggono, o opprimono o
fuggono! Quando poi si perdono, che dispiaceri, che amarezza, e
spesso ancora che profonde umiliazioni!
«Gli onori fanno mutare
costumi, ma ben raramente in meglio, osserva un autore, e quasi
sempre in peggio» – Oh! di quanti si può dire con S.
Gregorio:
«Finché
furono soggetti agli altri, si tennero in piedi; elevati alle
cariche, decorati di onorificenze, perirono (Pastor.)».
«Come un
fiumicello, dice S. Basilio, modesto nella sua origine, col crescere
delle acque nel suo corso gonfia e inturgidisce, sì che
termina non di rado col rompere ogni argine e devasta le campagne,
così avviene talora che quelli i quali giunsero in alto e
ottennero grande potere, progrediscono nei delitti e nelle più
barbare oppressioni. L’aumento del potere si fa per loro occasione di
più enormi delitti (Homil. In Psalm.)».
 
4. GLI ONORI SONO DA
FUGGIRSI. – Bisogna, secondo la sentenza di Sant’Agostino, che gli
onori vengano in cerca di noi, non noi degli onori. Infatti la gloria
umana si stende su di noi più largamente, dice il Crisostomo,
quando la disprezziamo (Homil. V.in
Gen.
). A
chi fugge gli onori, si può ripetere quel detto di S. Basilio
ad Atanasio: «Tu fuggi, o Atanasio, l’onore, ma non ti verrà
fatto di sottrarviti» – A quelli invece che ambiscono gli
onori mondani, si può dire: Voi correte loro dietro ed essi
fuggiranno; se arrivate ad afferrarli, vi lacereranno e
insanguineranno e uccideranno.
S. Gerolamo scrive
di S. Paola: «Fuggendo la gloria, Paola la meritava; perché
la gloria segue la virtù, come ombra il corpo; fugge quelli
che ne vanno in cerca, e segue coloro che la disprezzano (In
eius epitaphio
)».
La storia fa fede che tutti i più
pii, i più santi, i più abili uomini hanno sempre
fuggito gli onori e messo ogni studio per sottrarvisi… La saviezza
e la sicurezza comandano che si segua la via battuta da tutti i
Santi.