I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: L’Indifferenza


1. Chi è l’indifferente;
2. Cecità e colpa degli indifferenti.


1. CHI
È L’INDIFFERENTE. – Indifferente in materia di religione si
chiama colui che non si occupa di nessuna religione: siano tutte vere
o tutte false, a lui non importa; che ve ne debba essere e se in
verità ve ne sia una vera, egli non si cura affatto di
saperlo… Se vi è un Dio, se gli si deve un culto e quale
dev’essere questo; se esistono dei dogmi sacri o no; che cosa bisogna
credere, che cosa bisogna praticare e che cosa bisogna fuggire; se
l’anima è immortale; se vi sia dopo morte un giudizio, un
paradiso, un inferno, un’eternità; se l’uomo sia fatto per un
fine e per qual fine; se esista una rivelazione; se Dio abbia parlato
agli uomini, ordinato o proibito qualche cosa, sono tutte questioni
di cui non si dà pensiero, poco o nulla importa a lui in
qualunque modo si risolvano; la sua religione sta nel non professarne
alcuna… L’indifferente può dire veramente quelle parole dei
Proverbi: « Non ho imparato la sapienza, né mi diedi
pensiero di studiare la scienza dei Santi (cioè la religione)»
(Prov. XXX, 3); egli
perciò appartiene al branco di quegli esseri che, secondo il
Profeta, sono inutili per sé e per gli altri (Psalm.
XIII, 3).
Tutti
quelli che trasandano i doveri religiosi, appartengono anch’essi più
o meno alla classe degli indifferenti; è l’indifferenza
religiosa che fomenta in essi la deplorevole accidia spirituale che
li asfissia… Quando poi anche credessero tutto quello che crede e
insegna la Chiesa, non mettendolo in pratica, cadono
nell’indifferenza; la loro fede è morta… Si avvera in essi
quel che dice Iddio per bocca di Osea: «Io darò loro
delle leggi; ma non se ne occuperanno punto, come se non fosse fatto
loro» (VIII, 12); e quello che lamenta Sofonia: «Non
cercarono il Signore, vollero a bello studio ignorarlo» (I, 6);
giungono anzi all’impudenza di dirgli: «Via da noi, che non
vogliamo saperne delle vostre leggi» (IOB. XXI, 14).
Ma la
strada di quest’indifferenza la quale non è senza un colpevole
disprezzo, mette ad un vorticoso abisso, dicono i Proverbi
(Prov. XIII, 15);
l’Apostolo ci avvisa che con Dio non si scherza e che ciascuno
raccoglierà ciò che ha seminato (Gal.
VI, 7-8). Chi è indifferente, non curante di Dio, come potrà
lagnarsi, se troverà poi Dio indifferente e non curante di
lui?

2.
CECITÀ E COLPA DEGL’INDIFFERENTI. – «Iddio, scrive
Bossuet (Oraison funèbre d’Anne de
Gonzague
), ha stabilito in mezzo a noi
un’opera tale che, libera da ogni altro influsso e da lui solo
dipendente, riempie tutti i tempi e tutti i luoghi e porta per tutta
la terra, insieme con l’impronta della sua mano, il carattere della
sua autorità e quest’opera è Gesù Cristo e la
sua Chiesa. Egli ha costituito in questa Chiesa un potere che solo è
capace di umiliare gli orgogliosi e di rialzare i semplici e che,
adatto tanto ai sapienti quanto agli ignoranti, imprime agli uni ed
agli altri un medesimo rispetto. E contro questo potere vediamo
ribellarsi i (libertini col sogghigno del disprezzo: a questa
autorità gli indifferenti mostrano noncuranza e disprezzo. Ma
qual è la cosa veduta da questi rari ingegni non veduta prima
dagli altri? Che ignoranza è mai la loro! e come facile
riuscirebbe il confonderli, se deboli e presuntuosi come sono, non
avessero tanta paura di essere istruiti! Questi ignoranti presuntuosi
non videro nulla non comprendono nulla e non hanno nemmeno clave
stabilire il nulla al quale aspirano dopo questa vita. O Dio, che
stato! vedersi perfino messa in forse questa misera porzione! Essi
non sanno se troveranno un Dio propizio o un Dio contrario. Se lo
fanno eguale al vizio ed alla virtù, che mostro d’idolo ne
risulta! Posto che non sdegni di giudicare colui che esso ha creato
capace di scegliere il bene e il male, chi loro dirà quello
che gli aggrada o gli dispiace, quello che 1’offende o lo placa?
Donde appresero essi che tutto quello che si pensa intorno a questo
primo Essere sia indifferente e che tutte le religioni sparse per il
mondo gli siano ugualmente gradite? Perché ve ne sono delle
false, ne segue forse che non ve ne sia una vera? miseri noi, se più
non ci fosse dato di discernere l’amico sincero, perché siamo
circondati da ingannatori! Dove mai impararono che la pena e la
ricompensa non esistono se non in virtù degli umani giudizi e
che non v’è in Dio una giustizia, di cui quella che in noi
risplende non è che una scintilla? Se poi esiste una tale
giustizia suprema e quindi inevitabile, divina e perciò
infinita, chi li assicurerà che essa non opera secondo sua
natura e che una giustizia infinita non si esercita in fine per mezzo
di un supplizio o di un godimento eterno ed infinito? Che cosa ne
sarà dunque degli empi e degli indifferenti e quale scudo
hanno essi contro la vendetta eterna di cui sono minacciati? Mancando
loro un migliore rifugio andranno a sprofondarsi nell’abisso
dell’ateismo e metteranno il loro riposo in un furore che non trova
quasi posto negli spiriti? Chi scioglierà loro questi dubbi,
poiché vogliono ch’amarli con questo nome? La ragione, ch’essi
prendono per unica guida, non presenta loro che difficoltà e
congetture. Le assurdità in cui inciampano, negando o
disprezzando la religione, sono ben più dure e difficili a
digerirsi, che non le verità la cui altezza fa loro dare il
capogiro; per non voler credere a misteri incomprensibili ma sublimi,
ingoiano gli uni dopo gli altri, errori non meno incomprensibili, ma
per soprappiù assurdi. Che cosa è dunque, in fin dei
conti, la loro infelice incredulità, o imperdonabile
indifferenza, se non un errore sterminato, un errore colpevole, una
temerità che tutto rischia, una stupidità volontaria,
un orgoglio insomma che non può patire il suo rimedio?
«Che
colpevole accecamento, che irreparabile disgrazia è mai quella
di passare la vita intera in una dannosa indifferenza intorno
all’avvenire dell’anima propria, il dimenticare affatto i
propri doveri di uomo e di cristiano, il vivere e morire in questa
cieca indifferenza! Come riuscirà terribile lo svegliarsi in
questo stato, nell’eternità!» O voi che dormite,
scuotetevi, dice il grande Apostolo, e levatevi su di mezzo ai morti
e il Cristo vi illuminerà» (Eph. V, 14).